2.1 Tra Medioevo e risorgimento

Dopo il trasferimento della reggia a Palermo, Mileto, che aveva visto tanto splendore -- annoverando, tra l’altro, anche la visita dei pontefici Urbano II, Callisto II e Pasquale II, nonché, nel 1190, il passaggio di Riccardo Cuor di Leone, re d’Inghilterra, in occasione del suo viaggio verso l’Oriente per partecipare alla Crociata -- diveniva ormai una "piccola città di provincia", senza perdere tuttavia i suoi privilegi; anzi Federico II, visitando la cittadina nel 1223, ne stabilì di ulteriori da concedersi ai monasteri e alle chiese della Cattedrale.

Dal punto di vista politico Mileto, come sintetizza efficacemente Antonio Romano, "passata a diversi "signori" ebbe prima il titolo di ducato e poi di contea. Nel 1131 incontriamo un Roberto, duca di Mileto e nel 1210 un Tommaso, conte di Mileto".

Forse Mileto in tale periodo fu tra i paesi che parteggiarono per la Casa Sveva. E si può sostenere il passaggio per Mileto di Corrado IV Hohenstaufen. É infatti documentato un "privilegio" di perpetua demanialità a favore della città di Vizzini, in Sicilia, rilasciato proprio dal "campo di Mileto" il 2 maggio 1262 (Bartuli, inedito).

Successivamente la cittadina fu contesa tra gli Angioini (francesi) e gli Aragonesi (spagnoli), tanto che "fu a volte angioina a volte aragonese". Da ultimo si alternarono Ruggero da Lauria, della parte degli Aragonesi, e Ruggero Sanseverino, della parte degli Angioini; i Sanseverino detennero Mileto almeno fino alla fine del 1400, essendo nel 1486 la cittadina assediata e "messa a ferro e a fuoco dagli Aragonesi", e subendo 10 anni più tardi un altro assedio da parte di Consalvo de Cordova, fino a quando "tornata la pace e riassestatasi la monarchia spagnola sul trono di Napoli, viene assegnata a Don Diego de Mendoza da Carlo V (1512), che passa per Mileto durante il suo viaggio in Calabria del 1535".

Sia la società sia l’economia della cittadina in questo tempo, molto probabilmente mutarono in seguito al trasferimento della corte del Normanno a Palermo; ne seguì infatti sia uno spopolamento sia una diversa configurazione delle classi sociali; vi erano sempre i nobili e gli ecclesiastici, ma aumentò in modo più che proporzionale il popolino. L’economia si dovette caratterizzare sempre più per le attività di tipo primario (agricoltura, pastorizia, ecc.); né si fa cenno, nella bibliografia consultata, se ancora veniva coniata moneta, anche se riteniamo di rispondere negativamente a tale eventualità, in quanto sicuramente Ruggero II preferì accentrare la zecca presso la sede del Regno, e cioè a Palermo. Da allora a Mileto il Denaro fu sostituito dal Ducato, che si continuò ad usare fino all’unità d’Italia; infatti nelle memorie del Napolione sicuramente l’abbreviazione ‘d:ti’ significa ‘ducati’, e ancora di ducati, in modo esplicito, si parla in relazione ai compensi erogati per la costruzione della prima fontana pubblica della nuova Mileto (le guglie).

Né riscontriamo in detta bibliografia significativi accenni allo sviluppo culturale nel periodo di cui stiamo trattando, anche se non mancarono miletesi dotti, come ad esempio Goffredo Fazzari e Bartolomeo Sanseverino. Il primo, poi elevato alla cattedra vescovile di Mileto, legò il suo nome sia al fatto di essere stato annoverato come consigliere nella corte del Re Roberto D’Angiò sia per aver promosso il primo restauro della Cattedrale romanico-normanna --. Il secondo fu Duca e Maestro Razionale e presiedeva al patrimonio reale di cui ne aveva la cura.

Pochi anche gli apporti artistici, se si esclude un certo Antonio di Napoli, o "Maestro di Mileto", come viene identificato da F. Negri Arnoldi, scultore del trecento, autore di diverse opere, tra cui le due figure della Vergine e sei santi e di San Giovanni Battista, che corredavano uno dei due monumenti sepolcrali dei Sanseverino, e la Madonna col Bambino in trono. Dal lato architettonico, oltre il summenzionato restauro della Cattedrale -- per il quale peraltro il Fazzari si servì, secondo il Negri Arnoldi, del "Maestro di Mileto" - - è da segnalare inoltre che, ad opera di Ruggero Sanseverino, venne costruita a Mileto "una graziosa cappella, nei pressi del Vescovado" dedicata alla SS. Annunziata.

Nel periodo rinascimentale, vi fu dunque dal punto di vista politico il passaggio dal dominio dei Sanseverino a quello degli Aragonesi; in modo particolare, come riporta il Guicciardini, e rammenta il Pata, Don Ugo di Cardona, passato dalla Sicilia in Calabria con un esercito spagnolo, si scontra con le truppe del Sanseverino e le sconfigge (1503). Ultimo conte di Mileto fu Onorato Sanseverino. Una volta passata in mano agli spagnoli, nel 1592 Mileto viene trasformata da contea in principato, e in tale stato viene data «in dotazione ai Gomez De Silva, Grandi di spagna, Duchi dell’Infantado», che la detennero fino ad oltre la rovina del 1783, e precisamente «fino all’anno di eversione della legge sulla feudalità, accaduta nel 1807».
La società continua ad essere composta più o meno come nei secoli precedenti, ma evolve dal punto di vista culturale, anche in virtù delle influenze positive che la cultura umanistica e rinascimentale a livello nazionale produceva a livello locale. Agli inizi del ‘400 era stato fondato, soprattutto grazie all’impegno della contessa Gilda de Marolis, l’ospedale civile; il 1440 data poi l’istituzione del Seminario diocesano di Mileto, essendo vescovo dal 1435 Antonio Sorbilli; il che contribuiva al delinearsi di un centro di cultura, oltre che di studi, cosa ragguardevole per quel tempo, «come d’altronde si può notare nello svolgimento della storia culturale della cittadina, dove, appunto culturalmente, assai viva ed avvertita fu sempre la presenza dei docenti di questo istituto».
Come uomini dotti del tempo vengono ricordati Iacopo Gagliardi e Francesco de Noctuciis, entrambi nativi di Mileto. Il primo fu un celebre giureconsulto, che ha lasciato alcune dotte opere in latino, tra cui De delictis tam mentalibus, quam actualibus e De Iurisdictione omnium iudicum. Il secondo, nato forse nel ‘500, fu anch’egli autore di una notevole produzione letteraria, come concordano gli storici, ma «di lui non conosciamo i titoli delle opere scritte»; fu arcidiacono di Mileto e poi vescovo di Oppido nel 1542. Sul versante letterario è infine da ricordare un certo Ciccus o Cicco, «poeta egregio, nato a Mileto e fiorito intorno al 1400».
Il Pata ricorda pure Diego Santoro e Domenico Sodaro «facitori di versi», e Michele Agapito, agostiniano, cultore di poesia latina. Dal lato artistico, non paiono degne di nota opere architettoniche, mentre sono da ricordare almeno due opere, una di natura pittorica ed una di natura scultorea, anche se quest’ultima è stata solo fatta pervenire a Mileto: la statua di San Nicola, attualmente presente in cattedrale alla fine della navata di destra in prossimità della cripta; essa, opera dello scultore romano Francesco Rusticucci, fu acquistata nel 1549 dal vescovo Quinzio de Rusticis. del 1457.
Per quanto riguarda la pittura è da segnalare la Madonna delle pere, di Paolo di Ciacio (o Ciaccio) di Mileto, opera che attualmente si trova presso il museo di Santa Maria della Consolazione in Altomonte (CS); nel quadro, che viene documentato nel 1457, si intravvedono elementi espressivi fiamminghi e catalani, inflessioni orientali e alcune ricordanze antonellesche, considerato che il pittore fu allievo di Antonello da Messina dal 1456 all’aprile.
Nel campo musicale sono da rimarcare le attività artistiche di Giovann Domenico Martoretta e di Giovanni Luca Conforti. Il Martoretta, originario di Mileto, completò la sua formazione musicale fuori dalla natia Calabria; delle sue opere ci rimangono diverse raccolte di madrigali e mottetti sacri tra cui i due madrigali: In un bel prato e O fortunato augello.
Il Conforti, anch’esso di Mileto -- vi nacque «intorno al 1560» -- fu cantore contraltista della Cappella Sistina; suo merito consiste nel fatto che «fu il primo ad introdurre il trillo nel canto e a dettarne le regole». Egli lasciò anche due opere teorico-pratiche: Breve et facile maniera di esercitarsi... a far passaggi e Passaggi sopra tutti li salmi.
Pur non essendo originari di Mileto, il Pata ricorda il Barrio, nato a Francica nel 1510, autore del famoso De antiquitate et situ Calabriae, e Maria Edvige Pittarelli, anch’essa nativa di Francica (nel 1485), autrice di versi, sulla cui autenticità peraltro è intervenuto anche il Croce.
Non bisogna infine dimenticare che in tale periodo Mileto fu da vicino, anche se non direttamente, interessata da un «evento del tutto spirituale»: il passaggio per la zona di San Francesco di Paola. Sono da ricordare, dal lato religioso, il Beato Paolo da Mileto, dell’ordine di San Domenico, e Fra Giovanni, nativo di Mileto, appartenente all’Ordine dei Minimi, che fu provinciale nell’anno 1544.
A cavallo tra il secolo attuale e quello successivo sta invece Domenico Fiumara, nato a Mileto nel 1580, il quale, ancora giovinetto, entra a far parte dell’Ordine Regolare dei Frati Minori; di lui rimangono opere scritte tra cui il Cerimoniale Clericorum Regoliarum minorum (1631), il Directorium Mentalis Orationis (1635) i Sacri discorsi per le domeniche (1646) e il Direttorio delle opere cristiane in ogni giorno, settimana, mese ed anno (1658).

Ciò che accomuna la cittadina di Mileto nei secoli XVII e XVIII, doloroso a dirsi, sono gli eventi terremotali. Nel XVII secolo si registrano "quattro terremoti, rispettivamente del 3 febbraio 1624, del 27 marzo 1638, del 5 novembre 1659 e dell’11 gennaio 1693, preceduti da minori scosse il 16 agosto 1606 ed il 7 settembre 1616"; nel XVIII secolo sono segnalate le scosse del 2 aprile 1723 e dell’8 dicembre 1743 oltre a quella del 5 febbraio 1783, la quale ultima fu di tale entità che rase completamente al suolo l’intera cittadina, determinandone la definitiva scomparsa dal suo sito originario.

Nei secoli di cui stiamo trattando Mileto continuò ad essere in mano, come sappiamo, ai Gomez De Silva, e la sua amministrazione "dominata da un governatore col titolo di viceprincipe di Mileto, è retta da un Sindaco dei Nobili, da due eletti dei cittadini e da un Sindaco del popolo", dal che si deduce come poteva essere organizzata la società Miletese in quel periodo. A Mileto erano poi sottoposti dieci casali: Calabrò -- attualmente rione di Mileto --, Comparni, Paravati, San giovanni --attualmente frazioni di Mileto --, Jonadi, Nao, San Pietro, Scarmaconi, Cotefoni e Sèllari -- questi ultimi quattro non più riedifcati dopo la distruzione dovuta agli eventi terremotali --, che, tuttavia, prima del XVIII secolo avevano ognuno il proprio sindaco. "Abbiamo ancora qualche vaga notizia di altri due casali miletesi: Carna, situato tra Francica e S. Costantino, appartenente alla Cattedrale di Mileto, e Franele, esistente ancora nel 1445".

Nel XVIII secolo mutò l’organizzazione ecclesiastica, in quanto "con Bolla di Clemente XI (31 marzo 1717) la Badia, o Abbazia della SS. Trinità, fino allora rimasta autonoma, viene aggregata al vescovado".

Nel periodo in esame la popolazione miletese, esigua di numero (non arrivava, nel suo picco più basso, a 2000 anime, essendo in tal caso meno numerosa di quella vivente nel casale di Ionadi), non mutò in genere i rapporti esistenti tra le varie attività economiche rispetto ai secoli precedenti, rimanendo sempre prevalenti le attività agricole. Peraltro tale economia non doveva essere del tutto statica, considerata l’esigenza di istituire, nel 1621, un Monte dei Pegni, situato presso l’Ospedale; successivamente ne furono creati altri tre, uno sotto il titolo della Pietà posto nella Cattedrale, "l’altro sotto il titolo di S. Michele Arcangelo, posto nella propria sua chiesa", e il terzo, infine, creato nel 1744, sotto il titolo di San Rocco.

Culturalmente non vi sono tuttavia segni di cedimento: si segnala l’istituzione, nel 1696, della biblioteca nel Seminario di Mileto, a cura del vescovo Domenico Bernardini, mentre l’archivio comunale nel corso del XVIII secolo serbava (ormai andati distrutti dagli incendi del 1848 e 1910) il "Liber Consiliorum seu Parlamentorum Civitatis Mileti", la "Pandetta dei diritti di Bagliva" e l’"Elenco dei Catapani", insieme con altri preziosi documenti. Nel 1723 fu costituita, ad opera del vescovo Ercole Michele Aierbi d’Aragona, l’Accademia Milesia -- in omaggio alla quale la nostra Associazione omonima, curatrice del presente breve excursus storico, è stata a sua volta costituita -- che si fece "promotrice di studi d’ erudizione e di scienza". L’Accademia si occupò anche di musica, annovernado fra gli accademici Alfonso Piperni, virtuoso suonatore di violino, che lasciò anche un’opera dal titolo Regole per ben trasportare ogni composizione per tutti i tuoni e mezzi tuoni possibili della musica.

Rimanendo nel campo musicale ci è doveroso ricordare Girolamo Ruffa che, sebbene nativo di Tropea o Drapia (uno dei casali di Tropea), operò alquanto in Mileto, dove fu Maestro di cappella della Cattedrale: "della sua attività a Mileto non resta traccia, eppure non è improbabile che vi sia stato per parecchi anni: difatti nel 1701 sarà nominato "Discretus perpetuus" grazie anche alla sua attività di maestro di cappella".

Egli fu frate dell’ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco. Le sue opere furono pubblicate a Napoli e dedicate a D. Pietro Hurtado de Mendoza. governatore dello Stato di Mileto.

In campo storico e letterario vengono ricordati Ruggiero Carbonello, Gian Luca Fenech e Francesco Rossi.

Il Carbonello, nato a Mileto probabilmente nella seconda metà del 1600, "fu canonico ed erudito storico, il quale in una dotta opera illustrò la città di Catanzaro" . Il Fenech lasciò un’opera intitolata Flores Casuum Moralium, che venne tenuto in grande stima dai più grandi moralisti e teologi. Il Rossi, uomo erudito, "cultore di scienze e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica", visse tra il ‘700 e l’800 -- nacque infatti a Mileto il 23 marzo 1747 spegnendosi all’età di 94 anni il 17 dicembre 1840 --. Fu professore di Diritto Civile presso l’università di Napoli e lasciò dieci scritti, la maggiorparte di diritto. Vi è peraltro chi nutre seri dubbi sulle origini miletesi del Fenech e del Rossi.«Al sec. XVIII appartengono anche i memorialisti di cronaca Luigi Piperni ed Uriele Maria Napolione», nonché il figlio di Luigi Piperni, il citato Ignazio, e Paolano Maria Comerci, arcade e autore di opere legali.
Culturalmente ebbe anche buona parte il Seminario diocesano dove in particolare insegnavano «un Rettore per li buoni costumi... un maestro di scola e... un maestro di cappella», e in cui si coltivarono studi di filosofia, teologia dogmatica, diritto civile e canonico.
Nel campo artistico, Mileto soffre vari danni architettonici in seguito ai su ricordati eventi terremotali; in particolare con la scossa del 1659 fu distrutta l’Abbazia della SS. Trinità, che venne riedificata successivamente tra il 1680 e il 1698.
In tale secolo nel campo della scultura è da segnalare un crocefisso, sorto dalle abili mani dell’Algardi, e fatto pervenire a Mileto (così come la statua di San Nicola).
Continua nei secoli XVII e XVIII a Mileto l’afflato religioso; si ricordano del 1600 Fra Benedetto e Fra Leone; il primo, dell’Ordine dei Minori Cappuccini, fu Provinciale negli anni 1618, 1624 e 1629; il secondo, nato a Mileto e anch’egli Cappuccino, fu Provinciale nell’anno 1636.
Del 1700 il Capialbi menziona Giuseppe Antonio Piperni, nato a Mileto il 25 ottobre 1707, tesoriere della Cattedrale di Mileto e Vescovo di Caiazzo, in Provincia di Caserta. Da segnalare infine la traslazione della reliquia del martire San Fortunato avvenuta nel 1777 su istanza del vescovo Giuseppe Carafa.
Mentre dubbio è non solo il secolo, ma addirittura il periodo della nascita di Mileto antica, certo è invece, purtroppo, il momento della sua distruzione, coincidente con la fatidica data del 5 febbraio 1783, quando un violentissimo terremoto, di dimensioni apocalittiche, la radeva completamente al suolo insieme con altre cittadine calabresi.
Per come testimoniano le piantine della città, e come sostiene l’Occhiato, l’orografia di Mileto antica non pare sia stata oltremodo sconvolta dal tremendo terremoto; infatti a tutt’oggi si notano le due colline dove sorgevano l’Abbazia e la Cattedrale, con la leggera depressione intervallare; anche se non è da escludere, e lo si nota manifestamente in prossimità della cosiddetta ‘timpa del Ceravolo’, che qualche costone di collina sia pur franato.
E, a maggior ragione, è errato pensare che la città fu completamente inghiottita dal terreno; infatti il disegno di Pompeo Schiantarelli riportante i resti di Mileto subito dopo il terremoto, dimostra come la città, benchè rudere, sia rimasta in piedi. Il fatto che oggi presso l’antico sito di Mileto si scorge imponente solo il muro detto ‘Scarpa della Badia’, è conseguenziale a due attività di riporto del materiale residuo dopo il terremoto: la prima dovuta alla ricostruzione di Mileto (la nuova Mileto si può dire che effettivamente è rinata dalle rovine dell’antica città); la seconda, come si esprime in termini tragicomici l’Occhiato, al troppo ‘amore archeologico’ di cittadini e non.
La stessa ‘Scarpa della Badia’ non è poi da credere che sia il resto dei muri perimetrali dell’Abbazia della SS. Trinità, in quanto, come dimostra in un suo pregevole saggio l’Occhiato, è certo che fosse un rinforzo innalzato, molto probabilmente a seguito del terremoto del 1659, a ridosso ed a sostegno della facciata e del campanile.
Seguì subito la costruzione di baracche, come dimostrato dal disegno del sopra citato Schiantarelli, cosicchè alla Mileto di marmi e graniti si sostituiva la Mileto di tavole e legni.

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