La Citta' del Sole

di
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Campanella Tommaso

Prima parte

DIALOGO POETICO

INTERLOCUTORI

OSPITALARIO E GENOVESE NOCHIERO DEL COLOMBO.

OSPITALARIO: Dimmi, di grazia, tutto quello che t'avvenne in questa navigazione.

GENOVESE: Già t'ho detto come girai il mondo tutto, e poi come arrivai alla Taprobana e fui forzato metter in terra, e poi, fuggendo la furia di terrazzani, mi rinselvai e uscii in un gran piano proprio sotto l'equinoziale.

OSPITALARIO: Qui che t'occorse?

GENOVESE: Subito incontrai un gran squadrone d'uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero alla Città del Sole.

OSPITALARIO: Dì come è fatta questa città e come si governa.

GENOVESE: Sorge nell'ampia campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma per la levatura, più abitazioni ha che si fosse in piano.

È la città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, e ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora.

Entrati dunque per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta che s'alza e cala con bello ingegno, si vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l'altra. Appresso stanno palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati, e di sotto non vi è introito, se non dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze belle con le finestre al convesso e al concavo, e son distinte con picciole mura tra loro. Solo il muro convesso è grosso otto palmi, il concavo tre, li mezzani uno o poco più.

Appresso poi s'arriva al secondo piano, ch'è dui passi o tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e passeggiatori; e dalla parte dentro, l'altro muro, che serra i palazzi in mezzo, ha il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture.

E così s'arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando s'entran le porte, che son doppie per le mura interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché vanno obliquamente, e son d'altura quasi insensibile distinte le scale.

Nella summità del monte vi è un gran piano e un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio.

OSPITALARIO: Dì, dì mo, per vita tua.

GENOVESE: Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l'altare, ch'è un solo e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonne della cupola vi sono per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan d'intorno al concavo dell'esterior muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili assai.

Sopra l'altare non vi è altro ch'un mappamondo assai grande, dove tutto il cielo è dipinto, e un altro dove è la terra. Poi sul cielo della cupola vi stanno tutte le stelle maggiori del cielo, notate coi nomi loro e virtù c'hanno sopra le cose terrene, con tre versi per una; ci son i poli e i circoli signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si vedono finiti in corrispondenza alli globbi dell'altare. Vi sono sempre accese sette lampade nominate dalli sette pianeti.

Sopra il tempio vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno, e molte altre grandi sopra li chiostri, e qui abitano li religiosi che son da quaranta, ecc.

Vi è sopra la cupola una banderola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime.

OSPITALARIO: Per tua fé, dimmi tutto il modo del governo, ché qui t'aspettavo.

GENOVESE: È un principe sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano.

Ha tre principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore.

Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura dell' offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni.

Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, e tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze.

Nelle mura del tempio esteriori e nelle cortine, che si calano quando si predica per non perdersi la voce, vi sta ogni stella ordinatamente con tre versi per una.

Nel dentro del primo girone tutte le figure matematiche, più che ne scrisse Euclide e Archimede, con la lor proposizione significante. Nel di fuore vi è la carta della terra tutta, e poi le tavole d'ogni provinzia con li riti e costumi e leggi loro, e con l'alfabeti ordinati sopra il loro alfabeto.

Nel dentro del secondo girone vi son tutte le pietre preziose e non preziose, e minerali, e metalli veri e pinti, con le dichiarazioni di due versi per uno. Nel di fuore vi son tutte sorti di laghi, mari e fiumi, vini e ogli e altri liquori, e loro virtù e origini e qualità; e ci son le caraffe piene di diversi liquori di cento e trecento anni, con li quali sanano tutte l'infirmità quasi.

Nel dentro del terzo vi son tutte le sorti di erbe e arbori del mondo pinte, e pur in teste di terra sopra il rivellino, e le dichiarazioni dove prima si ritrovaro, e le virtù loro, e le simiglianze c'hanno con le stelle e con li metalli e con le membra umane, e l'uso loro in medicina. Nel di fuora tutte maniere di pesci di fiumi, lachi e mari, e le virtù loro, e 'l modo di vivere, di generarsi e allevarsi, e a che serveno, e le somiglianze c'hanno con le cose celesti e terrestri, e dell'arte e della natura; sì che mi stupii quando trovai pesce vescovo e catena e chiodo e stella, appunto come son queste cose tra noi. Ci sono ancini, rizzi, spondoli e tutto quanto è degno di sapere con mirabil arte di pittura e di scrittura che dichiara.

Nel quarto, dentro vi son tutte sorti di uccelli pinti e lor qualità, grandezze e costumi, e la fenice è verissima appresso loro. Nel di fuora stanno tutte sorti di animali reptili, serpi, draghi, vermini, e l'insetti, mosche, tafani, ecc., con le loro condizioni, veneni e virtuti; e son più che non pensamo.

Nel quinto, dentro, vi son l'animali perfetti terrestri di tante sorti che è stupore. Non sappiamo noi la millesima parte, e però, sendo grandi di corpo, l'han pinti ancora nel di fuori rivellino; e quante maniere di cavalli solamente! oh, belle figure dichiarate dottamente!

Nel sesto, dentro vi sono tutte l'arti meccaniche, e l'inventori loro, e li diversi modi come s'usano in diverse regioni del mondo. Nel di fuori vi son tutti l'inventori delle leggi e delle scienze e dell'armi. Trovai Moisè, Osiri, Giove, Mercurio, Macometto e altri assai: e in luoco assai onorato era Giesù Cristo e li dodici Apostoli, che ne tengono gran conto, Cesare, Alessandro, Pirro e tutti li Romani; onde io ammirato come sapeano quelle istorie, mi mostraro che essi teneano di tutte nazioni lingua, e che mandavano apposta per il mondo ambasciatori, e s'informavano del bene e del male di tutti; e godeno assai in questo. Viddi che nella China le bombarde e le stampe furo prima ch'a noi. Ci son poi li mastri di queste cose; e li figliuoli, senza fastidio, giocando, si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che abbin dieci anni.

Il Amore ha cura della generazione, con unir maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti.

Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, e ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo.

OSPITALARIO: Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si vive; si è republica o monarchia o stato di pochi.

GENOVESE: Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune; si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro, ma essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna.

Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente: o avaro e insidioso e ippocrita, si è impotente. Ma quando pèrdono l'amor proprio, resta il commune solo.

OSPITALARIO: Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro fatichi, come Aristotile dice contra Platone.

GENOVESE: Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, più che si dice delli Romani, quanto son più spropriati. E credo che li preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione di crescere più a dignità, sariano più spropriati e santi e caritativi con tutti.

OSPITALARIO: Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan piacere l'un l'altro.

GENOVESE: Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che tra loro non ponno donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune; e molto guardano gli offiziali che nullo abbia più che merita. Però quanto è bisogno tutti l'hanno. E l'amico si conosce tra loro nelle guerre, nell'infirmità, nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti li gioveni s'appellan frati, e quei che son quindici anni più di loro, padri, e quindici meno, figli. E poi vi stanno l'offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa all'altro far torto nella fratellanza.

OSPITALARIO: E come?

GENOVESE: Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l'offiziale: ci è uno che si chiama Liberalità, uno Magnanimità, uno Castità, uno Fortezza, uno Giustizia criminale o civile, un Solerzia, un Verità, Beneficenza, Gratitudine, Misericordia, ecc.; e a ciascuno di questi si elegge quello che da fanciullo nelle scole si conosce inchinato a tal virtù. E però, non sendo tra loro latrocinii, né assassini, né stupri e incesti, adultèri, delli quali noi ci accusiamo, essi si accusano d'ingratitudine, di malignità, quando uno non vuol far piacere onesto, di bugia, che abborriscono più che la peste; e questi rei per pena son privati della mensa commune, o del commerzio delle donne, e d'alcuni onori, finché pare al giudice, per ammendarli.

OSPITALARIO: Or dimmi, come fan gli offiziali

GENOVESE: Questo non si può dire, se non sai la vita loro. Prima è da sapere che gli uomini e le donne vestono d'un modo atto a guerreggiare, benché le donne hanno la sopravesta fin sotto al ginocchio e l'uomini sopra, e s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo li tre anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guardano e insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cositori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro squadre si spediscono: perché, mentre gli altri si esercitano il corpo, o fan li publici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi alli dieci tutti si mettono alle matematiche, medicine e altre scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. E in campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno ad imparare; e quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli che null'arte imparano e stanno oziosi e tengono in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica.

Gli offiziali poi s'eleggono da quelli quattro capi e dalli mastri di quell'arte, li quali molto bene sanno chi è più atto a quell'arte o virtù, in cui ha da reggere, e si propongono in consiglio, e ognuno oppone quel che sa di loro. Però non può essere Sole se non quello che sa tutte l'istorie delle genti e riti e sacrifizi e republiche e inventori di leggi e arti. Poi bisogna che sappia tutte l'arti meccaniche, perché ogni due giorni se n'impara una, ma l'uso qui le fa saper tutte, e la pittura. E tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche, astrologiche. Delle lingue non si cura, perché ha l'interpreti, che son i grammatici loro. Ma più di tutti bisogna che sia metafisico e teologo, che sappia ben la radice e prova d'ogn'arte e scienza, e le similitudini e differenze delle cose, la Necessità, il Fato e l'Armonia del mondo, la Possanza, Sapienza e Amor divino e d'ogni cosa, e li gradi degli enti e corrispondenze loro con le cose celesti, terrestri e marine, e studia molto bene nei profeti e astrologia. Dunque si sa chi ha da esser Sole, e se non passa trentacinque anni, non arriva a tal grado; e questo offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più di lui e sia più atto al governo.

OSPITALARIO: E chi può saper tanto? Anzi, non può saper governare chi attende alle scienze.

GENOVESE: Io dissi a loro questo, e mi risposero: —Più certi semo noi che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate l'ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori o eletti da fazione potente. Ma il nostro Sole, sia pur tristo in governo, non sarà mai crudele, né scelerato, né tiranno un chi tanto sa. Ma sappiate che questo è argomento che può tra voi, dove pensate che sia dotto chi sa più grammatica e logica d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol memoria servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose morte; né sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni. Il che non può avvenire al nostro Sole, perché non può arrivare a tante scienze chi non è scaltro d'ingegno ad ogni cosa, onde è sempre attissimo al governo. Noi pur sappiamo che chi sa una scienza sola, non sa quella né l'altre bene; e che colui che è atto ad una sola, studiata in libro, è inerte e grosso. Ma non così avviene alli pronti d'ingegno e facili ad ogni conoscenza, come è bisogno che sia il Sole. E nella città nostra s'imparano le scienze con facilità tale, come vedi, che più in un anno qui si sa, che in diece o quindici tra voi, e mira in questi fanciulli.

Nel che io restai confuso per le ragioni sue e la prova di quelli fanciulli che intendevano la mia lingua; perché d'ogni lingua sempre han d'esser tre che la sappiano. E tra loro non ci è ozio nullo, se non quello che li fa dotti; ché però vanno in campagna a correre, a tirar dardi, sparar archibugi, seguitar fiere, lavorare, conoscer l'erbe, mo una schiera, mo un'altra di loro.

Li tre offiziali primi non bisogna che sappino se non quell'arti che all'offizio loro partengono. Onde sanno l'arti communi a tutti, istoricamente imparandole, e poi le proprie, dove più si dà uno che un altro: così il Potestà saperà l'arte cavalieresca, fabricar ogni sorte d'armi, cose di guerra, machine, arte militare, ecc. Ma tutti questi offiziali han d'essere filosofi, di più, e istorici, naturalisti e umanisti.

OSPITALARIO: Vorrei che dicessi l'offizi tutti, e li distinguessi; e s'è bisogno l'educazion commune.

GENOVESE: Sono prima le stanze communi, dormitori, letti e bisogni; ma ogni sei mesi si distingueno dalli mastri chi ha da dormire in questo girone o in quell'altro, e nella stanza prima o seconda, notate per alfabeto.

Poi son l'arti communi agli uomini e donne, le speculative e meccaniche; con questa distinzione, che quelle dove ci va fatica grande e viaggio, le fan gli uomini, come arare, seminare, cogliere i frutti e pascer le pecore; però nell'aia, nella vendemmia, nel formar il cascio e mungere si soleno le donne mandare, e nell'orti vicini alla città per erbe e servizi facili. Universalmente, le arti che si fanno sedendo e stando, per lo più son delle donne, come tessere, cuscire, tagliar i capelli e le barbe, la speziaria, fare tutte sorti di vestimenti; altro che l'arte del ferraro e delle armi. Pur chi è atta a pingere, non se le vieta. La musica è solo delle donne, perché più dilettano, e de' fanciulli, ma non di trombe e tamburi. Fanno anche le vivande; apparecchiano le mense; ma il servire a tavola è proprio delli gioveni, maschi e femine, finché son di vint'anni.

Hanno in ogni girone le pubbliche cucine e le dispense della robba. E ad ogni officio soprastante è un vecchio e una vecchia, che comandano e han potestà di battere o far battere da altri li negligenti e disobedienti, e notano ognuno e ognuna in che esercizio meglio riesce. Tutta la gioventù serve alli vecchi che passano quarant'anni; ma il mastro e maestra han cura la sera, quando vanno a dormire, e la mattina di mandar alli servizi di quelli a chi tocca, uno o due ad ogni stanza, ed essi gioveni si servono tra loro, e chi ricusa, guai a lui! Vi son prime e seconde mense: d'una parte mangiano le donne, dall'altra gli uomini, e stanno come in refettori di frati. Si fa senza strepito, e un sempre legge a tavola, cantando, e spesso l'offiziale parla sopra qualche passo della lezione. E' una dolce cosa vedersi servire di tanta bella gioventù, in abito succinto, così a tempo, e vedersi a canto tanti amici, frati, figli e madri vivere con tanto rispetto e amore.

Si dona a ciascuno, secondo il suo esercizio, piatto di pitanza e minestra, frutti, cascio; e li medici hanno cura di dire alli cochi in quel giorno, qual sorte di vivanda conviene, e quale alli vecchi e quale alli giovani e quale all'ammalati. Gli offiziali hanno miglior parte; questi mandano spesso della loro a tavola a chi più si ha fatto onore la mattina nelle lezioni e dispute di scienze e armi, e questo si stima per grande onore e favore. E nelle feste fanno cantar una musica pur in tavola; e perché tutti metteno mano alli servizi, mai non si trova che manchi cosa alcuna. Son vecchi savi soprastanti a chi cucina e alli refettori, e stimano assai la nettezza nelle strade, nelle stanze e nelli vasi e nelle vestimenta e nella persona.

Vesteno dentro camisa bianca di lino, poi un vestito ch'è giubbone e calza insieme, senza pieghe e spaccato per mezzo, dal lato e di sotto, e poi imbottonato. E arriva la calza insino al tallone, a cui si pone un pedale grande come un bolzacchino, e la scarpa sopra. E son ben attillate, che quando si spogliano la sopraveste, si scerneno tutte le fattezze della persona. Si mutano le vesti quattro volte varie, quando il Sole entra in Cancro e Capricorno, Ariete e Libra. E, secondo la complessione e procerità, sta al Medico di distribuirle col Vestiario di ciascun girone. Ed è cosa mirabile che in un punto hanno quante vesti vogliono, grosse, sottili, secondo il tempo. Veston tutti di bianco, e ogni mese si lavan le vesti con sapone, o bucato quelle di tela.

Tutte le stanze sottane sono officine, cucine, granari, guardarobbe, dispense, refettori, lavatori; ma si lavano nelle pile delli chiostri. L'acqua si getta per le latrine o per canali che vanno a quelle. Hanno in tutte le piazze delli gironi le lor fontane, che tirano l'acque dal fondo solo con muover un legno, onde esse spicciano per li canali. Vi è acqua sorgente molta e nelle conserve, a cui vanno le piogge per li canali delle case, passando per arenosi acquedotti. Si lavano le persone loro spesso, secondo il maestro e 'l medico ordina. L'arti si fanno tutte nei chiostri di sotto, e le speculative di sopra, dove sono le pitture, e nel tempio si leggono negli atri di fuora. Son orologi di sole e di squille per tutti i gironi, e banderole per saper i venti.

OSPITALARIO: Or dimmi della generazione.

GENOVESE: Nulla femina si sottopone al maschio, se non arriva a dicinov'anni né maschio si mette alla generazione inanti alli vintiuno, e più si è di complessione bianco. Nel tempo inanti è ad alcuno lecito il coito con le donne sterili o pregne, per non far in vaso indebito; e le maestre matrone con gli seniori della generazione han cura di provederli, secondo a loro è detto in secreto da quelli più molestati da Venere. Li provedono, ma non lo fanno senza far parola al maestro maggiore, che è un gran medico, e sottostà ad Amore, Prencipe offiziale. Se si trovano in sodomia, sono vituperati, e li fan portare due giorni legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine e posero li piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale. Ma chi si astiene fin a ventun anno d'ogni coito è celebrato con alcuni onori e canzoni.

Perché quando si esercitano alla lotta, come i Greci antichi, son nudi tutti maschi e femine, li mastri conoscono chi è impotente o no al coito, e quali membra con quali si confanno. E così, sendo ben lavati, si donano al coito ogni tre sere; e non accoppiano se non le femine grandi e belle alli grandi e virtuosi, e le grasse a' macri, e le macre alli grassi, per far temperie. La sera vanno i fanciulli e si conciano i letti, e poi vanno a dormire, secondo ordina il mastro e la maestra. Né si pongono al coito se non quando hanno digerito, e prima fanno orazione, ed hanno belle statue di uomini illustri, dove le donne mirano. Poi escono alla fenestra, e pregono Dio del Cielo, che li doni prole buona. E dormeno in due celle, sparti fin a quell'ora che si han da congiungere, ed allora va la maestra, ed apre l'uscio dell'una e l'altra cella. Questa ora è determinata dall'Astrologo e Medico; e si forzan sempre di pigliar tempo, che Mercurio e Venere siano orientali dal Sole in casa benigna e che sian mirati da Giove di buono aspetto e da Saturno e Marte. E così il Sole come la Luna, che spesso sono afete. E per lo più vogliono Vergine in ascendente; ma assai si guardano che Saturno e Marte non stiano in angolo, perché tutti quattro angoli con opposizioni e quadrati infettano, e da essi angoli è la radice della virtù vitale e della sorte, dependente dall'armonia del tutto con le parti. Non si curano del satellizio, ma solo degli aspetti buoni. Ma il satellizio solo nella fondazione della città e della legge ricercano, che però non abbia prencipe Marte o Saturno, se non con buone disposizioni. Ed han per peccato li generatori non trovarsi mondi tre giorni avanti di coito e d'azioni prave, e di non esser devoti al Creatore. Gli altri, che per delizia o per servire alla necessità si donano al coito con sterili o pregne o con donne di poco valore, non osservan queste sottigliezze. E gli offiziali, che son tutti sacerdoti, e li sapienti non si fanno generatori, se non osservano molti giorni più condizioni; perché essi, per la molta speculazione, han debole lo spirito animale, e non transfondeno il valor della testa, perché pensano sempre a qualche cosa; onde trista razza fanno. Talché si guarda bene, e si donano questi a donne vive, gagliarde e belle; e gli uomini fantastichi e capricciosi a donne grasse, temperate, di costumi blandi. E dicono che la purità della complessione, onde le virtù fruttano, non si può acquistare con arte, e che difficilmente senza disposizion naturale può la virtù morale allignare, e che gli uomini di mala natura per timor della legge fanno bene, e, quella cessante, struggon la republica con manifesti o segreti modi. Però tutto lo studio principale deve essere nella generazione, e mirar gli metodi naturali, e non la dote e la fallace nobiltà-

 

Seconda parte

Se alcune di queste donne non concipeno con uno, le mettono con altri; se poi si trova sterile, si può accomunare, ma non ha l'onor delle matrone in Consiglio della generazione e nella mensa e nel tempio; e questo lo fanno perché essa non procuri la sterilità per lussuriare.

Quelle che hanno conceputo, per quindici giorni non si esercitano; poi fanno leggeri esercizi per rinforzar la prole e aprir li meati del nutrimento a quella. Partorito che hanno, esse stesse allevano i figli in luochi communi, per due anni lattando e più, secondo pare al Fisico. Dopo si smamma la prole, e si dona in guardia delle mastre, se son femine, o delli maestri., con gli altri fanciulli; e qui si esercitano all'alfabeto, a caminare, correre, lottare e alle figure istoriate; e han vesti di color vario e bello. Alli sette anni si donano alle scienze naturali, e poi all'altre, secondo pare agli offiziali, e poi si mettono in meccanica. Ma li figli di poco valore si mandano alle ville, e, quando riescono, poi si riducono alla città. Ma per lo più, sendo generati nella medesima costellazione, li contemporanei son di virtù consimili e di fattezze e di costumi. E questa è concordia stabile nella republica, e s'amano grandemente e aiutano l'un l'altro.

Li nomi loro non si mettono a caso, ma dal Metafisico, secondo la proprietà, come usavan li Romani: onde altri si chiamano il Bello, altri il Nasuto, altri il Peduto, altri Bieco, altri Crasso, ecc.; ma quando poi diventano valenti nell'arte loro o fanno qualche prova in guerra, s'aggiunge il cognome dall'arte, come Pittor Magno, Aureo, Eccellente, Gagliardo, dicendo: Crasso Aureo, ecc.; o pur dall'atto dicendo: Crasso Forte, Astuto, Vincitore, Magno, Massimo, ecc., e dal nemico vinto, come Africano, Asiano, Tosco, ecc.; Manfredi, Tortelio dall'aver superato Manfredi o Tortelio o simili altri. E questi cognomi s'aggiungono dall'offiziali grandi, e si donano con una corona conveniente all'atto o arte sua, con applauso e musica. E si vanno a perdere per questi applausi, perché oro e argento non si stima se non come materia di vasi o di guarnimenti communi a tutti.

OSPITALARIO: Non ci è gelosia tra loro o dolore a chi non sia fatto generatore o quel che ambisce?

GENOVESE: Signor no, perché a nullo manca il necessario loro quanto al gusto; e la generazione è osservata religiosamente per ben publico, non privato, ed è bisogno stare al detto dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti a belle donne immeritamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che qui non bisogna far con inganno di ballotte per contentarsi delle brutte i brutti, perché tra loro non ci è bruttezza; ché, esercitandosi esse donne, diventano di color vivo e di membra forti e grandi, e nella gagliardia e vivezza e grandezza consiste la beltà appresso a loro. Però è pena della vita imbellettarsi la faccia, o portar pianelle, o vesti con le code per coprir i piedi di legno; ma non averiano commodità manco di far questo, perché chi ci li daria? E dicono che questo abuso in noi viene dall'ozio delle donne, che le fa scolorite e fiacche e piccole; e però han bisogno di colori e alte pianelle, e di farsi belle per tenerezza, e così guastano la propria complessione delle prole. Di più, s'uno s'innamora di qualche donna, è lecito tra loro parlare, far versi, scherzi, imprese di fiori e di piante.

Ma se si guasta la generazione, in nullo modo si dispensa tra loro il coito, se non quando ella è pregna o sterile. Però non si conosce tra loro se non amor d'amicizia per lo più, non di concupiscenza ardente.

La robba non si stima, perché ognuno ha quanto li bisogna, salvo per segno d'onore. Onde agli eroi ed eroisse la republica fa certi doni, in tavola o in feste publiche, di ghirlande o di vestimenta belle fregiate; benché tutti di bianco il giorno e nella città, ma di notte e fuor della città vestono a rosso, o di seta o di lana. Abborreno il color nero, come feccia delle cose, e però odiano i Giapponesi, amici di quello. La superbia è tenuta per gran peccato, e si punisce un atto di superbia in quel modo che l'ha commesso. Onde nullo reputa viltà servire in mensa, in cucina o altrove, ma lo chiamano imparare; e dicono che così è onore al piede caminare, come all'occhio guardare; onde chi è deputato a qualche offizio, lo fa come cosa onoratissima, e non tengono schiavi, perché essi bastano a se stessi, anzi soverchiano. Ma noi non così, perché in Napoli son da trecento milia anime, e non faticano cinquanta milia; e questi patiscono fatica assai e si struggono; e l'oziosi si perdono anche per l'ozio, avarizia, lascivia e usura, e molta gente guastano, tenendoli in servitù e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia o l'arte fare, se non male e con stento. Ma tra loro, partendosi l'offizi a tutti e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro ore il giorno per uno, sì ben tutto il resto è imparare giocando, disputando, leggendo, insegnando, caminando, e sempre con gaudio. E non s'usa gioco che si faccia sedendo, né scacchi, né dadi, né carte o simili, ma ben la palla, il pallone, rollo, lotta, tirar palo, dardo, archibugio.

Dicono ancora che la povertà grande fa gli uomini vili, astuti, ladri, insidiosi, fuorasciti, bugiardi, testimoni falsi; e le ricchezze insolenti, superbi, ignoranti, traditori, disamorati, presumitori di quel che non sanno. Però la communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni cosa hanno e possedono; poveri, perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro. E molto laudano in questo le religioni della cristianità e la vita dell'Apostoli.

OSPITALARIO: E' bella cosa questa e santa; ma quella delle donne communi pare dura e ardua. S. Clemente Romano dice che le donne pur sian communi, ma la glosa intende quanto all'ossequio, non al letto, e Tertulliano consente alla glosa; ché i Cristiani antichi tutto ebbero commune, altro che le mogli, ma queste pur furo communi nell'ossequio.

GENOVESE: Io non so di questo; so ben che essi han l'ossequio commune delle donne e 'l letto, ma non sempre, se non per generare. E credo che si possano ingannare ancora; ma essi si difendono con Socrate, Catone, Platone e altri. Potria stare che lasciassero quest'uso un giorno, perché nelle città soggette a loro non accommunano se non le robbe, e le donne quanto all'ossequio e all'arti, ma non al letto; e questo l'ascrivono all'imperfezione di quelli che non han filosofato. Però vanno spiando di tutte nazioni l'usanze, e sempre migliorano; e quando sapranno le ragioni vive del Cristianesimo, provate con miracoli, consentiranno, perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano naturalmente, senza fede rivelata; né ponno a più sormontare.

Di più questo è bello che fra loro non ci è difetto che faccia l'uomo ozioso, se non l'età decrepita, quando serve solo per consiglio. Ma chi è zoppo serve alle sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a carminar la lana e levar il pelo dal nervo delle penne per li matarazzi; chi non ha mani, ad altro esercizio; e se un solo membro ha, con quello serve; ma questi stanno, se non furo illustrissimi per la città, nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano alla repubblica ogni cosa.

OSPITALARIO: Di mo della guerra; ché poi dell'arti e vitto mi dirai, poi delle scienze, e al fine della religione.

GENOVESE: Il Potestà tiene sotto di sé un offiziale dell'armi, un altro dell'artellaria, un delli cavalieri, un delli ingegneri; e ognuno di questi ha sotto di sé molti mastri di quell'arte. Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l'esercizio della guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che esercitano li gioveni di dodici anni in suso all'arme; benché prima nella lotta e correre e tirar pietre erano avvezzi da mastri inferiori. Or questi l'insegnano a ferire, a guadagnar l'inimico con arte, a giocar di spada, di lancia, a saettare, a cavalcare, a sequire, a fuggire, a star nell'ordine militare. E le donne pure imparano queste arti sotto maestre e mastri loro, per quando fusse bisogno aiutar gli uomini nelle guerre vicine alla città; e, se venisse assalto, difendono le mura. Onde ben sanno sparar l'archibugio, far balle, gittar pietre, andar incontro. E si sforzano tor da loro ogni timore, e hanno gran pene quei che mostran codardia. Non temono la morte, perché tutti credono l'immortalità dell'anima, e che, morendo, s'accompagnano con li spiriti buoni o rei, secondo li meriti. Benché essi siano stati Bragmani pittagorici, non credono trasmigrazione d'anima, se non per qualche giudizio di Dio. Né s'astengono di ferir il nimico ribello della ragione, che non merita esser uomo.

Fanno la mostra ogni dui mesi, e ogni giorno ci è l'esercizio dell'arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, e una lezione d'arte militare, e fanno sempre leggere l'istorie di Cesare, d'Alessandro, di Scipione e d'Annibale, e poi dànno il giudizio loro quasi tutti, dicendo:—Qui fecero bene, qui male—; e poi risponde il maestro e determina.

OSPITALARIO: Con chi fan le guerre? e per che causa, se son tanto felici?

GENOVESE: Se mai non avessero guerra, pure s'esercitano all'arte di guerra e alla caccia per non impoltronire e per quel che potria succedere. Di più' vi son quattro regi nell'isola, li quali han grande invidia della felicità loro, perché li popoli desiderariano vivere come questi Solari, e vorriano star più soggetti ad essi, che non a' proprii regi. Onde spesso loro è mossa guerra, sotto color d'usurpar confini e di viver empiamente, perché non sequeno le superstizioni di Gentili, né dell'altri Bragmani: e spesso li fan guerra, come ribelli che prima erano soggetti. E con tutto questo perdono sempre. Or essi Solari, subito che patiscono preda, insulto o altro disonore, o son travagliati l'amici loro, o pure son chiamati d'alcune città tiranneggiate come liberatori, essi si mettono a consiglio, e prima s'inginocchiano a Dio e pregano che li faccia ben consigliarsi, poi s'esamina il merito del negozio, e così si bandisce la guerra. Mandano un sacerdote detto il Forense: costui dimanda a' nemici che rendano il tolto o lascino la tirannia; e se quelli negano, li bandiscono la guerra, chiamando Dio delle vendette in testimonio contra chi ha il torto; e si quelli prolungano il negozio, non li dànno tempo, si è re, più d'un'ora, si è republica, tre ore a deliberar la risposta, per non esser burlati; e così si piglia la guerra, se quelli son contumaci alla ragione. Ma dopo ch'è pigliata, ogni cosa esequisce il locotenente del Potestà; ed esso comanda senza consiglio d'altri, ma, si è cosa di momento, domanda il Amor e 'l Sapienza e 'l Sole. Si propone in consiglio grande, dove entra tutto il popolo di venti anni in su, e le donne ancora, e si dichiara la giustizia dell'impresa dal Predicatore, e metteno in ordine ogni cosa.

Devesi sapere ch'essi hanno tutte sorti de arme apparecchiate nell'armari, e spesso si provano quelle in guerre finte. Han per tutti li gironi, nell'esterior muro, l'artellerie e l'archebugi preparati e molti altri cannoni di campagna che portano in guerra, e n'han pur di legno, nonché di metallo; e così sopra le carra li conducono, e l'altre munizioni nelli muli e bagaglie. E se sono in campo aperto, serrano le bagaglie in mezzo e l'artellerie, e combattono gran pezzo, e poi fan la ritirata. E 'l nemico, credendo che cedano, s'inganna; perché essi fanno ala, pigliano fiato e lasciano l'artiglierie sparare, e poi tornano alla zuffa contro nemici scompigliati. Usano far i padiglioni alla romana con steccati e fosse intorno con gran prestezza. Ci son li mastri di bagaglie, d'artellerie e dell'opere. Tutti soldati san maneggiar la zappa e la secure. Vi son cinque, otto e diece capitani di consiglio di guerra e di stratagemme, che comandano alle squadre loro secondo prima insieme si consigliorno. Soleno portar seco una squadra di fanciulli a cavallo per imparar la guerra e incarnarsi, come lupicini, al sangue; e nei pericoli si ritirano, e molte donne con loro. E dopo la battaglia esse donne e fanciulli fanno carezze alli guerrieri, li medicano, serveno, abbracciano e confortano; e quelli, per mostrarsi valenti alle donne e figli loro, fanno gran prove. Nell'assalti, chi prima saglie il muro ha dopo in onore una corona di gramigna con applauso militare delle donne e fanciulli. Chi aiuta il compagno ha la corona civica di quercia; chi uccide il tiranno, le spoglie opime, che porta al tempio, e si dona dal Sole il cognome dell'impresa.

Usano i cavalieri una lancia, due pistole avanti cavallo, di mirabil tempra, strette in bocca, che per questo passano ogni armatura, ed hanno anco lo scocco. Altri portano la mazza, e questi son gli uomini d'arme, perché, non potendo un'armatura ferrea penetrare con spada o con pistola, sempre assaltano il nemico con la mazza, come Achille contra Cigno, e lo sconquassano e gittano. Ha due catene la mazza in punta, a cui pendeno due palle, che, menando, circondano il collo del nemico, lo cingeno, tirano e gettano; e, per poterla maneggiare, non tengono briglia con mano, ma con li piedi, incrocchiata nella sella, ed avvinchiata nell'estremo alle staffe, non alli piedi, per non impedirsi; e le staffe han di fuori la sfera e dentro il triangolo, onde il piè torcendo ne' lati, le fan girare, ché stan affibbiate alli staffili, e così tirano a sé o allungano il freno con mirabil prestezza, e con la destra torceno a sinistra ed "a contrario". Questo secreto manco i Tartari hanno inteso, ché stirare e torcere non usano con le staffe. Li cavalli leggeri cominciano con li schioppi, e poi entrano l'aste e le frombole, delle quali tengono gran conto. E usano combattere per fila intessute, andando altri, ed altri ritirandosi a vicenda; e le spade sono l'ultima prova.

Ci son poi li trionfi militari ad uso di Romani, e più belli, e le supplicazioni ringraziatorie. E si presenta al tempio il capitano, e si narrano li gesti dal poeta o istorico ch'andò con lui. E 'l Principe lo corona, ed a tutti soldati fa qualche regalo ed onore, e per molti dì sono esenti dalle fatiche publiche. Ma essi l'hanno a male, perché non sanno stare oziosi ed aiutano gli altri. E all'incontro quei che per loro colpa han perduto, si ricevono con vituperio, e chi fu il primo a fuggire non può scampar la morte, se non quando tutto l'esercito domanda in grazia la sua vita, ed ognuno piglia parte della pena. Ma poco s'ammette tal indulgenza, si non quando ci è gran ragione. Chi non aiutò l'amico o fe' atto vile, è frustato; chi fu disobediente, si mette a morire dentro a un palco di bestie con un bastone in mano, e se vince i leoni e l'orsi, che è quasi impossibile, torna in grazia.

Le città superate o date a loro subito mettono ogni avere in commune, e riceveno gli offiziali solari e la guardia, e si van sempre acconciando all'uso della Città del Sole, maestra loro; e mandano li figli ad imparare in quella, senza contribuire a spese.

Saria lungo a dirti del mastro delle spie e sentinelle, degli ordini loro dentro e fuore la città, che te li puoi pensare, ché son eletti da bambini secondo l'inclinazione e costellazione vista nella genitura loro. Onde ognuno, oprando secondo la proprietà sua naturale, fa bene quell'esercizio e con piacere per esserli naturale; così dico delle stratagemme ed altri. La città di notte e di giorno ha le guardie nelle quattro porte e nelle mura estreme, su li torrioni e valguardi: e lo girone il dì le femine, la notte li maschi guardano; e questo lo fanno per non impoltronire e per li casi fortuiti. Han le veglie, come i nostri soldati, divise di tre in tre ore; la sera entrano in guardia.

Usano le cacce per imagini di guerra, e li giochi in piazza a cavallo e a piede ogni festa, e poi segue la musica. Perdonano volentieri a' nemici e dopo la vittoria li fanno bene. Se gettano mura o vogliono occider i capi o altro danno a' vinti, tutto fanno in un giorno, e poi li fanno bene, e dicono che non si deve far guerra se non per far gli uomini buoni, non per estinguerli. Se tra loro ci è qualche gara d'ingiuria o d'altro, perché essi non contendono se non di onore, il Principe e suoi offiziali puniscono il reo severamente, s'incorse ad ingiuria di fatto dopo le prime ire; se di parole, aspettano in guerra a diffinirle, dicendo che l'ira si deve sfogare contro l'inimici. E chi fa poi in guerra più atti eroici, quello è tenuto c'abbia raggione nell'onoranza, e l'altro cede. Ma nelle cose del giusto ci son le pene; però in quello di mano non ponno venire, e chi vol mostrarsi megliore, faccilo in guerra publica.

OSPITALARIO: Bella cosa per non fomentar fazioni a roina della patria e schifar le guerre civili, onde nasce il tiranno, come fu in Roma e Atene. Narra or, ti prego, dell'artefici loro.

GENOVESE: Devi aver inteso come commune a tutti è l'arte militare, l'agricoltura, la pastorale; ch'ognuno è obbligato a saperle, e queste son le più nobili tra loro; ma chi più arti sa, più nobile è, e nell'esercitarla quello è posto, che più è atto. L'arti fatigose e utili son di più laude, come il ferraro, il fabricatore; e non si schifa nullo a pigliarle, tanto più che nella natività loro si vede l'inclinazione, e tra loro, per lo compartimento delle fatiche, nullo viene a partecipar fatica destruttiva dell'individuo, ma solo conservativa. L'arti che sono di manco fatica son delle femmine. Le speculative son di tutti, e chi più è eccellente si fa lettore; e questo è più onorato che nelle meccaniche, e si fa sacerdote. Saper natare è a tutti necessario, e ci sono a posta le piscine fuor, nelle fosse della città, e dentro vi son le fontane.

La mercatura a loro poco serve, ma però conoscono il valor delle monete, e batteno moneta per l'ambasciatori loro, acciocché possino commutare con la pecunia il vitto che non ponno portare, e fanno venire d'ogni parte del mondo mercanti a loro per smaltir le cose soverchie, e non vogliono danari, se non merci di quelle cose che essi non hanno. E si ridono quando vedeno i fanciulli che quelli donano tanta robba per poco argento, ma non li vecchi. Non vogliono che schiavi o forastieri infettino la città di mali costumi; però vendono quelli che pigliano in guerra, o li mettono a cavar fosse e far esercizi faticosi fuor della città, dove sempre vanno quattro squadre di soldati a guardare il territorio e quelli che lavorano, uscendo dalle quattro porte, le quali hanno le strade di mattoni fin al mare per condotta delle robbe e facilità delli forastieri. Alli quali fanno gran carezze, li donano da mangiare per tre giomi, li lavano li piedi, li fan vedere la città e l'ordine loro, entrare a consiglio e a mensa. E ci son uomini deputati a guardarli, e se voglion farsi cittadini, li provano un mese nelle ville e uno nella città, e così poi risolveno, e li ricevono con certe cerimonie e giuramenti.

L'agricoltura è in gran stima. non ci è palmo di terra che non frutti. Osservano li venti e le stelle propizie, ed escono tutti in campo armati ad arare, seminare, zappare, metere, raccogliere, vindemiare, con musiche, trombe e stendardi; e ogni cosa fanno fra pochissime ore. Hanno le carra a vela, che caminano con il vento, e quando non ci è vento, una bestia tira un gran carro —bella cosa!—e han li guardiani del territorio armati, che per li campi sempre van girando. Poco usano letame all'orti e a' campi, dicendo che li semi diventano putridi e fan vita breve, come le donne imbellettate e non belle per esercizio fanno prole fiacca. Onde né pur la terra imbellettano, ma ben l'esercitano, e hanno gran secreti di far nascer presto e multiplicare, e non perder seme. E tengon un libro a posta di tal esercizio, che si chiama la Georgica. Una parte del territorio, quanto basta, si ara; l'altra serve per pascolo delle bestie. Or questa nobil arte di far cavalli, bovi, pecore, cani ed ogni sorte d'animali domestici è in sommo pregio appresso loro, come fu in tempo antico d'Abramo; e con modi magici li fanno venire al coito, che possan ben generare, inanzi a cavalli pinti o bovi o pecore; e non lasciano andar in campagna li stalloni con le giumente, ma li donano a tempo opportuno inanzi alle stalle di campagna. Osservano Sagittario in ascendente, con buono aspetto di Marte e Giove: per li bovi, Tauro, per le pecore, Ariete, secondo l'arte. Hanno poi mandre di galline sotto le Pleiadi e papare e anatre, guidate a pascere dalle donne con gusto loro presso alla città e li luochi, dove la sera son serrate a far il cascio e latticini, butiri e simili. Molto attendono a' caponi ed a' castrati ed al frutto, e ci è un libro di quest'arte detto la "Bucolica". Ed abbondano d'ogni cosa, perché ognuno desidera esser primo alla fatica per la docilità delli costumi e per esser poca e fruttuosa; ed ognun di loro, che è capo di questo esercizio, s'appella Re, dicendo che questo è nome loro proprio, e di chi non sa. Gran cosa, che le donne ed uomini sempre vanno in squadroni, né mai soli, e sempre all'obedienza del capo si trovano senza nullo disgusto; e ciò perché l'hanno come padre o frate maggiore.

Han poi le montagne e le cacce d'animali, e spesso s'esercitano.

La marineria è di molta reputazione, e tengono alcuni vascelli, che senza vento e senza remi caminano, ed altri con vento e remi. Intendono assai le stelle, e flussi e reflussi del mare, e navigano per conoscer genti e paesi. A nullo fan torto; senza esser stimolati non combattono. Dicono che il mondo averà da riducersi a vivere come essi fanno, però cercano sempre sapere se altri vivono meglio di loro. Hanno confederazione con gli Chinesi, e con più popoli isolani e del continente, di Siam di Cancacina e di Calicut, solo per spiare.

Hanno anche gran secreti di fuochi artifiziali per le guerre marine e terrestri, e stratagemme, che mai non restan di vincere.

OSPITALARIO: Che e come mangiano? e quanto è lunga la vita loro?

GENOVESE: Essi dicono che prima bisogna mirar la vita del tutto e poi delle parti; onde quando edificaro la città, posero i segni fissi nelli quattro angoli del mondo. Il Sole in ascendente in Leone, e Giove in Leone orientale dal Sole, e Mercurio e Venere in Cancro, ma vicini, che facean satellizio; Marte nella nona in Ariete, che mirava di sua casa con felice aspetto l'ascendente e l'afeta. e la Luna in Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere, e non facea aspetto quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella quarta, senza far malo aspetto a Marte ed al Sole. La Fortuna con il capo di Medusa in decima quasi era, onde essi s'augurano signoria, fermezza e grandezza. E Mercurio, sendo in buono aspetto di Vergine e nella triplicità dell'asside suo, illuminato dalla Luna, non può esser tristo; ma, sendo gioviale, la scienza loro non mendica; poco curando d'aspettarlo in Vergine e la congiunzione.

Or essi mangiano carne, butiri, mele, cascio, dattili, erbe diverse, e prima non volean uccidere gli animali, parendo crudeltà; ma poi vedendo che era crudeltà ammazzar l'erbe, che han senso, onde bisognava morire, consideraro che le cose ignobili son fatte per le nobili, e magnano ogni cosa. Non però uccidono volentieri l'animali fruttuosi, come bovi e cavalli. Hanno però distinto li cibi utili dalli disutili, e secondo la medicina si serveno; una fiata mangiano carne, una pesce ed una erbe, e poi tornano alla carne per circolo, per non gravare né estenuare la natura. Li vecchi han cibi più digestibili, e mangiano tre volte il giorno e poco, li fanciulli quattro, la communità due. Vivono almeno cento anni, al più centosettanta, o duecento al rarissimo. E son molto temperati nel bevere: vino non si dona a' fanciulli sino alli diciannove anni senza necessità grandissima, e bevono con acqua poi, e così le donne; li vecchi di cinquanta anni in su beveno senz'acqua. Mangiano, secondo la stagione dell'anno, quel che è più utile e proprio, secondo provisto viene dal capo medico, che ha cura. Usano assai l'odori: la mattina, quando si levano, si pettinano e lavano con acqua fresca tutti; poi masticano maiorana e petroselino o menta, e se la frecano nelle mani, e li vecchi usano incenso; e fanno l'orazione brevissima a levante come il "Pater Noster"; ed escono e vanno chi a servire i vecchi, chi in coro, chi ad apparecchiare le cose del commune; e poi escono all'esercizio, poi riposano poco, sedendo, e vanno a magnare.

Tra loro non ci è podagre, né chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né flati, perché questi nascono dalla distillazione ed inflazione, ed essi per l'esercizio purgano ogni flato ed umore. Onde è tenuto a vergogna che uno si vegga sputare, dicendo che questo nasce da poco esercizio, da poltroneria o da mangiar ingordo. Patiscono più tosto d'infiammazioni e spasmi secchi alli quali con la copia del buon cibo e bagni sovvengono; ed all'etica con bagni dolci e latticini, e star in campagne amene in bello esercizio. Morbo venereo non può allignare, perché si lavano spesso li corpi con vino ed ogli aromatici; e il sudore anche leva quell'infetto vapore, che putrefà il sangue e le midolle. Né tisici si fanno, per non essere distillazione che cali al petto, e molto meno asma, poiché umor grosso ci vuole a farla. Curano le febri ardenti con acqua fresca, e l'efimere solo con odori e brodi grassi o con dormire o con suoni ed allegrie; le terzane con levar sangue e con reubarbaro o simili attrattivi, e con bevere acque di radici d'erbe purganti ed acetose. Di rado vengono a medicina purgante. Le quartane son facili a sanare per paure sùbite, per erbe simili all'umore od opposite; e mi mostraro certi secreti mirabili di quelle. Delle continue tengono conto assai, e fanno osservanza di stelle e d'erbe, e preghiere a Dio per sanarle. Quintane, ottane, settane poche si trovano, dove non ci sono umori grossi. Usano li bagni e l'olei all'usanza antica, e ci trovaro molti più secreti per star netto, sano, gagliardo. Si sforzano con questi ed altri modi aiutarsi contra il morbo sacro che ne pateno spesso.

OSPITALARIO: Segno d'ingegno grande, onde Ercole, Socrate, Macometto, Scoto e Callimaco ne patiro.

GENOVESE: E s'aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d'aiutarsi contra l'umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l'estate e nella stanchezza; né contra il soverchio calor dell'aromati aumentato, perché non escono di regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell'arte.

OSPITALARIO: Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.

GENOVESE: Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni nova luna e ogni opposizione sua fanno consiglio dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale è buono e chi è tristo. Dopo ogn'otto dì, si congregano tutti l'offiziali, che son il Sole, Pon, Sin, Mor; e ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé, che son tredici, e ognun di questi tre altri, che fan tutti quaranta; e quelli han l'offizi dell'arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione e vestito ed educazione; e li mastri d'ogni squadra, cioè caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon gli offiziali, pria nominati in consiglio grande. Dopo ogni di fa consiglio Sole e li tre prencipi delle cose occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è trattato nell'elezione e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono saper più di loro e aver più purgato ingegno; e son tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più sa e imparano da quelli; ma questo è di rado assai.

Li capi principali delle scienze son soggetti al Sapienza, altri che il Metafisico, che è esso Sole, che a tutte le scienze comanda, come architetto, e ha vergogna ignorare cosa alcuna al modo umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il Politico, l'Economico, il Morale, l'Astronomo, l'Astrologo, il Geometra, il Cosmografo, il Musico, il Prospettivo, l'Aritmetico, il Poeta, l'Oratore, il Pittore, il Scultore. Sotto Amore sta il Genitario, l'Educatore, il Vestiario, l'Agricola, l'Armentario, il Pastore, il Cicurario, il Gran Coquinario. Sotto Potestà il Stratagemmario, il Campione, il Ferrario, l'Armario, l'Argentario, il Monetario, l'Ingegnero, Mastro spia, Mastro cavallarizzo, il Gladiatore, l'Artegliero, il Frombolario, il Giustiziero. E tutti questi han li particolari artefici soggetti.

Or qui hai da sapere che ognun è giudicato da quello dell'arte sua; talché ogni capo dell'arte è giudice, e punisce d'esilio, di frusta, di vituperio, di non mangiar in mensa commune, di non andar in chiesa, non parlar alle donne. Ma quando occorre caso ingiurioso, l'omicidio si punisce con morte, e occhio per occhio e naso per naso si paga per la pena della pariglia, quando è caso pensato. Quando è rissa subitanea si mitiga la sentenza, ma non dal giudice, perché condanna subito secondo la legge, ma dalli tre prencipi. E s'appella pure al Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far la grazia. Non tengono carcere, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si scrive processo, ma in presenza del giudice e del Potestà si dice il pro e il contra; e subito si condanna dal giudice; e poi dal Potestà, se s'appella, il sequente dì si condanna; e poi dal Sole il terzo dì si condanna, o s'aggrazia dopo molti dì con consenso del popolo. E nessuno può morire, se tutto il popolo a man commune non l'uccide;ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano, facendo che esso si leghi la polvere per morir subito. E tutti piangono e pregano Dio, che plachi l'ira sua, dolendosi che sian venuti a resecare un membro infetto del corpo della republica; e fanno di modo che esso stesso accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto, dica che la merita; ma quando è caso contra la libertà o contra Dio o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce. Questi soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte le cause perché non deve morire, e li peccati degli altri e dell'offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano in esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi e ammende; ma non però travagliano li nominati.

Li falli di fragilità e d'ignoranza si puniscono solo con vitupèri, e con farlo imparare a contenersi, e quell'arte in cui peccò, o altra, e si trattano in modo che paion l'un membro dell'altro.

Qui è da sapere che se un peccatore, senza aspettar accusa, va da sé all'offiziali accusandosi e dimandando ammenda, lo liberano dalla pena dell'occulto peccato e la commutano mentre non fu accusato.

Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima pena. E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole cinque testimoni a convincere; se non, si libera col giuramento il reo. Ma se due altre volte è accusato da dui o tre testimoni, al doppio paga la pena.

Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel luoco, quando giudicano, e dicono:—Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi—; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.

OSPITALARIO: Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro.

GENOVESE: Sommo sacerdote è Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, e offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati proprii, quanto li strani in genere, senza nominare li peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio e orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo pubblicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi di quelli errori, e confessa i suoi in pubblico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città e ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per li suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio, che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e quello saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata; ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora.

 

Terza parte

Di più vi stanno ventiquattro sacerdoti sopra il tempio, li quali a mezzanotte, a mezzodì, la mattina e la sera cantano alcuni salmi a Dio; e l'offizio loro è di guardar le stelle e notare con astrolabi tutti li movimenti loro e gli effetti che producono, onde sanno in che paese che mutazione è stata e ha da essere. E questi dicono l'ore della generazione e li giorni del seminare e raccogliere, e serveno come mezzani tra Dio e gli uomini; e di essi per lo più si fanno li Soli e scriveno gran cose e investigano scienze. Non vengono a basso, se non per mangiare; con donne non si impacciano, se non qualche volta per medicina del corpo. Va Ogni dì Sole in alto e parla con loro di quel che hanno investigato sopra il benefizio della città e di tutte le nazioni del mondo. In tempio da basso sempre ha da esser uno che faccia orazione a Dio, e ogni ora si muta, come noi facciamo le quarant'ore, e questo si dice continuo sacrifizio.

Dopo mangiare si rendon grazie a Dio con musica, e poi si cantano gesti di eroi cristiani, ebrei, gentili, di tutte nazioni, per spasso e per godere. Si cantano inni d'amore e di sapienza e d'ogni virtù. Si piglia ognuno quella che più ama, e fanno alcuni balli sotto li chiostri, bellissimi. Le donne portano li capelli lunghi, inghirlandati e uniti in un groppo in mezzo la testa con una treccia. Gli uomini solo un cerro, un velo e berrettino. Usano cappelli in campagna, in casa berrette bianche o rosse o varie, secondo l'offizio e arte che fanno, e gli officiali più grandi e pompose.

Tutte le feste loro son quattro principali, ciò è quando entra il sole in Ariete, in Cancro, in Libra, in Capricorno; e fanno gran rappresentazioni belle e dotte; e ogni congiunzione e opposizione di luna fanno certe feste. E nelli giorni che fondaro la città e quando ebbero vittoria, fanno il medesimo con musica di voci feminine e con trombe e tamburi e artiglierie- e li poeti cantano le laudi delli più virtuosi. Ma chi dice bugia in laude è punito; non si può dir poeta chi finge menzogne tra loro; e questa licenza dicono che è ruina del mondo che toglie il premio alle virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.

Non si fa statua a nullo, se non dopo che more; ma, vivendo, si scrive nel libro delli eroi chi ha trovato arti nove e secreti d'importanza, o fatto gran benefizio in guerra o pace al publico.

Non si atterrano li corpi morti, ma si bruggiano per levar la peste e per convertirsi in fuoco, cosa tanto nobile e viva, che vien dal sole e a lui torna, e per non restar sospetto d'idolatria. Restano pitture solo o statue di grand'uomini, e quelle mirano le donne formose, che s'applicano all'uso della razza.

L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la mattina prima a levante, poi a ponente, poi a mezzodì, poi a settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a settentrione, poi ad ostro. E replicano solo un verso, che dimanda corpo sano e mente sana a loro e a tutte le genti, e beatitudine, e conclude: a come par meglio a Dio". Ma l'orazione attentamente e lunga si fa in cielo; però l'altare è tondo e in croce spartito, per dove entra Sole dopo le quattro repetizioni, e prega mirando in suso. Questo lo fan per gran misterio. Le vesti pontificali son stupende di bellezza e di significato a guisa di quelle di Aron.

Distingueno li tempi secondo l'anno tropico, non sidereo, ma sempre notano quanto anticipa questo di tempo. Credono che il sole sempre cali a basso, e però facendo più stretti circoli arriva alli tropici ed equinozi prima che l'anno passato; o vero pare arrivare, ché l'occhio, vedendolo più basso in obliquo, lo vede prima giungere e obliquare. Misurano li mesi con la luna e l'anno col sole; e però non accordano questo con quella fino alli dicinove anni, quando pur il Capo del Drago finisce il suo corso; del che han fatto nova astronomia. Laudano Tolomeo e ammirano Copernico, benché Aristarco e Filolao prima di lui; ma dicono che l'uno fa il conto con le pietre, l'altro con le fave, ma nullo con le stesse cose contate, e pagano il mondo con li scudi di conto, non d'oro. Però essi cercano assai sottilmente questo negozio, perché importa a saper la fabrica del mondo, e se perirà e quando, e la sostanza delle stelle e chi ci sta dentro a loro. E credeno esser vero quel che disse Cristo delli segni delle stelle, sole e luna, li quali alli stolti non pareno veri, ma li venirà come ladro di notte, il fine delle cose. Onde aspettano la renovazione del secolo, e forsi il fine. Dicono che è gran dubio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verisimile che sia fatto, anzi certo. Son nemici d'Aristotile, l'appellano pedante.

Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempii celesti; ma non l'adorano, e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio, e però a lui serveno solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore e ogni altra cosa. Però l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle, vive case loro, e che le bellezze sue Dio più le mostrò in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua.

Negano gli eccentrici ed epicicli di Tolomeo e di Copernico; affermano che sia un solo cielo, e che li pianeti da sé si movano ed alzino, quando al sole si congiungeno per la luce maggiore che riceveno; e abbassino nelle quadrature e nell'opposizioni per avvicinarsi a lui. E la luna in congiunzione ed opposizione s'alza per stare sotto il sole e ricever la luce in questi siti assai che la sublima. E per questo le stelle, benché vadano sempre di levante in ponente, nell'alzare paion gir a dietro; e così si veggono, perché il stellato cielo corre velocemente in ventiquattr'ore, ed esse ogni dì, camminando meno, restano più a dietro; talché, sendo passate dal cielo, paion tornare. E quando son nell'opposito del sole, piglian breve circolo per la bassezza, ché si inchinano a pigliar luce da lui, e però caminano inante assai; e quando vanno a par delle stelle fisse, si dicon stazionari; quando più veloci, retrogradi, secondo li volgari astrologi; e quando meno, diretti. Ma la luna, tardissima e in congiunzione ed opposizione, non par tornare, ma solo avanzare inanti poco, perché il primo cielo non è tanto più di lei veloce allora c'ha lume assai o di sopra o di sotto, onde non par retrograda, ma solo tarda indietro e veloce inanti. E così si vede che né epicicli, né eccentrici ci voleno a farli alzare e retrocedere. Vero è ch'in alcune parti del mondo han consenso con le cose sopracelesti, e si fermano, e però diconsi alzar in eccentrico.

Del sole poi rendono la causa fisica, che nel settentrione s'alza per contrastar la terra, dove essa prese forza, mentre esso scorse nel merigge, quando fu il principio del mondo. Talché in settembre bisogna dire che sia stato fatto il mondo, come gli Ebrei e Caldei antiqui, non li moderni, escogitaro: e così, alzando per rifar il suo, sta più giorni in settentrione che in austro, e par salire in eccentrico.

Tengono dui principi fisici: il sole padre e la terra madre; e l'aere essere cielo impuro, e 'l fuoco venir dal sole, e 'l mar essere sudore della terra liquefatta dal sole e unir l'aere con la terra, come il sangue lo spirito col corpo umano; e 'l mondo essere animal grande, e noi star intra lui, come i vermi nel nostro corpo; e però noi appartenemo alla providenza di Dio, e non del mondo e delle stelle, perché rispetto a loro siamo casuali; ma rispetto a Dio, di cui essi sono stromenti, siamo antevisti e provisti; però a Dio solo avemo l'obligo di signore, di padre e di tutto.

Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han per tanto certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere se queste pene sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco.

Fanno metafisici principi delle cose l'ente, ch'è Dio e 'l niente, ch'è il mancamento d'essere, come condizione senza cui nulla si fa, perché non se faria si fosse: dunque non era quel che si fa. Dal correre al niente nasce il male e 'l peccato; però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato ha causa deficiente, non efficiente. La deficienza è il medesimo che mancanza, cioè o di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo metteno il peccato. Perché chi può e sa ben fare, deve volere, perché la volontà nasce da loro, ma non e contra. Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e relazione di sé a sé; e così tutte cose compongono di possanza, sapienza e amore, in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto pendeno dal non essere. E per quelle meritano, per queste peccano, o di peccato di natura nelli primi o d'arte in tutti tre. E così la natura particolare pecca nel far i mostri per impotenza o ignoranza. Ma tutte queste cose son intese da Dio potentissimo, sapientissimo e ottimo, onde in lui nullo ente pecca e fuor di lui sì; ma non si va fuor di lui, se non per noi, non per lui, perché in noi la deficienza è, in lui l'efficienza. Onde il peccare è atto di Dio, in quanto ha essere ed efficienza; ma in quanto ha non essere e deficienza, nel che consiste la quiddità d'esso peccare, è in noi, ch'al non essere e disordine declinamo.

OSPITALARIO: Oh, come sono arguti!

GENOVESE: S'io avessi tenuto a mente, e non avesse pressa e paura, io ti sfondacarìa gran cose; ma perdo la nave, se non mi parto.

OSPITALARIO: Per tua fé, dimmi questo solo: che dicono del peccato d'Adamo?

GENOVESE: Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; benché chiamano infelicità quella loro, perché è annichilarsi il mostrarsi quel che non sei, cioè d'essere re, d'essere buono, d'esser savio, ecc., e non esser in verità. Dal che argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane, e stavano per dire con Platone che li cieli prima giravano dall'occaso, là dove mo è il levante, e poi variaro. Dissero anco che può essere che governi qualche inferior virtù, e la Prima lo permetta, ma questa pur stimaro pazzia. Più pazzia è dire che prima resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti; ma confessano che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti, e credono che la mutanza degli assidi ogni mille anni o mille seicento variano il mondo. E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale.

Finalmente dicono ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credeno che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa. Ma dai figli al padre torna la colpa, perché trascuraro la generazione, la fecero fuor di tempo e luoco, e in peccato, e senza scelta di genitori, e trascuraro l'educazione, ché mal l'indottrinaro. Però essi attendeno assai a questi dui punti, generazione ed educazione; e dicono che la pena e la colpa redonda alla città, tanto de' figli, quanto de' padri; però non si vedeno bene e par che il mondo si regga a caso. Ma chi mira la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo (come essi fan de' condennati a morte, anatomizzandoli) e delle bestie e delle piante, e gli usi delle parti e particelle loro, è forzato a confessare la providenza di Dio ad alta voce. Però si deve l'uomo molto dedicare alla vera religione, e onorar l'autor suo; e questo non può ben fare chi non investiga l'opere sue e non attende a ben filosofare, e chi non osserva le due leggi sante:

Quel che non vuoi per te non far ad altri,

e quel che vuoi per te fa tu il medesimo.

Dal che ne segue, che se dai figli e dalle genti noi onor cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo noi a Dio, da cui tutto ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia sempre lodato.

OSPITALARIO: Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo argumento da questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E che però gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. E credo che noi non sappiamo quel che ci facemo, ma siamo instromenti di Dio. Quelli vanno per avarizia di danari cercando novi paesi, ma Dio intende più alto fine. Il sole cerca strugger la terra, non far piante e uomini; ma Dio si serve di loro in questo. Sia laudato.

GENOVESE: Oh, se sapessi che cosa dicono per astrologia e per l'istessi profeti nostri ed ebrei e d'altre genti di questo secolo nostro, c'ha più istoria in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e più libri si fecero in questi cento che in cinque mila; e dell'invenzioni stupende della calamita e stampe e archibugi gran segni dell'union del mondo; e come, stando nella triplicità quarta l'asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna e Marte, che in quel segno valeno al navigar novo, novi regni e nove armi. Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando alla triplicità prima dopo l'apparizion della stella nova in Cassiopea, sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma e di arti, e profeti e rinovazione. E dicono che a' Cristiani questo apporterà grand'utile; ma prima si svelle e monda, poi s'edifica e pianta. Abbi pazienza, che ho da fare.

Questo sappi, c'han trovato l'arte del volare, che sola manca al mondo, e aspettano un occhiale di veder le stelle occulte e un oricchiale d'udir l'armonia delli moti di pianeti.

OSPITALARIO: Oh! oh! oh! mi piace. Ma Cancro è segno feminile di Venere e di Luna, e che può far di bene?

GENOVESE: Essi dicono che la femina apporta fecondità di cose in cielo, e virtù manco gagliarda rispetto a noi aver dominio. Onde si vede che in questo secolo regnaro le donne, come l'Amazoni tra la Nubbia e 'l Monopotapa, e tra gli Europei la Rossa in Turchia, la Bona in Polonia, Maria in Ongheria, Elisabetta in Inghilterra, Catarina in Francia, Margherita in Fiandra, la Bianca in Toscana, Maria in Scozia, Camilla in Roma ed Isabella in Spagna, inventrice del mondo novo. E 'l poeta di questo secolo incominciò dalle donne dicendo: "Le donne, i cavalier, l'armi e l'amori." E tutti son maledici li poeti d'ogge per Marte; e per Venere e per la Luna parlano di bardascismo e puttanesmo. E gli uomini si effemminano e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove regna Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li bordelli degli effeminati publici, e mille sporchezze.

Non però restò, per esser tropico segno Cancro ed esaltazion di Giove ed apogìo del Sole e di Marte trigono, sì come per la Luna e Marte e Venere ha fatto la nova invenzion del mondo e la stupenda maniera di girar tutta la terra e l'imperio donnesco, e per Mercurio e Marte e Giove le stampe ed archibugi, di non far anche de leggi gran mutamento. Ché del mondo nono e in tutte le marine d'Africa e Asia australi è entrato il cristianesimo per Giove e Sole, ed in Africa la legge del Seriffo per la Luna, e per Marte in Persia quella d'Alle, renovata dal Sofì, con mutarsi imperio in tutte quelle parti ed in Tartaria. Ma in Germania, Francia ed Inghilterra entrò l'eresia per esser esse a Marte ed alla Luna inchinate; e Spagna per Giove ed Italia per il Sole, a cui sottostanno, per Sagittario e Leone, segni loro, restaro nella bellezza della legge cristiana pura. E quante cose saran più di mo inanzi, e quanto imparai da questi savi circa la mutazion dell'assidi de' pianeti e dell'eccentricità e solstizi ed equinozi ed obliquitati, e poli variati e confuse figure nello spazio immenso; e del simbolo c'hanno le cose nostrali con quelle di fuori del mondo; e quanto seque di mutamento dopo la congiunzion magna e l'eclissi, che sequeno dopo la congiunzion magna in Ariete e Libra, segni equinoziali, con la renovazione dell'anomalie, faran cose stupende in confirmar il decreto della congiunzion magna e mutar tutto il mondo e rinovarlo!

Ma per tua fé, non mi trattener più, c'ho da fare. Sai come sto di pressa. Un'altra volta.

Questo si sappi, che essi tengon la libertà dell'arbitrio. E dicono che, se in quarant'ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso soavemente fan mutanza, chi segue più il senso che la raggione è soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori infetti, da' Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il cristianesimo in Messico nel medesimo tempo.

Ma di quanto è per sequire presto nel mondo io tel dirò un'altra fiata.

L'eresia è opera sensuale, come dice S. Paolo, e le stelle nelli sensuali inchinano a quella, nelli razionali alla vera legge santa della Prima Raggione, sempre laudanda. Amen.

OSPITALARIO: Aspetta, aspetta.

GENOVESE: Non posso, non posso.