Inni sacri - "La passione"

di
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Manzoni Alessandro

Inni sacri

LA PASSIONE

[3 marzo 1814 - 15 ottobre 1815]

 

      O tementi dell'ira ventura,

Cheti e gravi oggi al tempio moviamo,

Come gente che pensi a sventura,

Che improvviso s'intese annunziar.

Non s'aspetti di squilla il richiamo;

Nol concede il mestissimo rito:

Oual di donna che piange il marito,

E la veste del vedovo altar.

      Cessan gl'inni e i misteri beati,

Tra cui scende, per mistica via,

Sotto l'ombra de' pani mutati,

L'ostia viva di pace e d'amor.

S'ode un carme: l'intento Isaia

Proferì questo sacro lamento,

In quel dì che un divino spavento

Gli affannava il fatidico cor.

      Di chi parli, o Veggente di Giuda?

Chi è costui che, davanti all'Eterno

Spunterà come tallo da nuda

Terra, lunge da fonte vital?

Questo fiacco pasciuto di scherno

Che la faccia si copre d'un velo

Come fosse un percosso dal cielo,

Il novissimo d'ogni mortal?

      Egli è il Giusto che i vili han trafitto,

Ma tacente, ma senza tenzone;

Egli è il Giusto; e di tutti il delitto

Il Signor sul suo capo versò.

Egli è il santo, il predetto Sansone

Che morendo francheggia Israele;

Che volente alla sposa infedele

La fortissima chioma lasciò.

      Quei che siede sui cerchi divini,

E d'Adamo si fece figliolo,

Né sdegnò coi fratelli tapini

Il funesto retaggio partir:

Volle l'onte, e nell'anima il duolo,

E l'angosce di morte sentire,

E il terror che seconda il fallire,

Ei che mai non conobbe il fallir.

      La repulsa al suo prego sommesso,

L'abbandono del Padre sostenne:

Oh spavento! l'orribile amplesso

D'un amico spergiuro soffrì.

Ma simìle quell'alma divenne

Alla notte dell'uomo omicida:

Di quel Sangue sol ode le grida,

E s'accorge che Sangue tradì.

      Oh spavento! lo stuol de' beffardi

Baldo insulta a quel volto divino,

Ove intender non osan gli sguardi

Gl'incolpabili figli del ciel.

Come l'ebbro desidera il vino,

Nell'offese quell'odio s'irrita;

E al maggior dei delitti gl'incita

Del delitto la gioia crudel.

      Ma chi fosse quel tacito reo,

Che davanti al suo seggio profano

Strascinava il protervo Giudeo,

Come vittima innanzi a l'altar,

Non lo seppe il superbo Romano;

Ma fe' stima il deliro potente,

Che giovasse col sangue innocente

La sua vil sicurtade comprar.

      Su nel cielo in sua doglia raccolto

Giunse il suono d'un prego esecrato:

I celesti copersero il volto:

Disse Iddio: Qual chiedete sarà.

E quel Sangue dai padri imprecato

Sulla misera prole ancor cade,

Che mutata d'etade in etade

Scosso ancor dal suo capo non l'ha.

      Ecco appena sul letto nefando

Quell'Afflitto depose la fronte,

E un altissimo grido levando,

Il supremo sospiro mandò:

Gli uccisori esultanti sul monte

Di Dio l'ira già grande minaccia;

Già dall'ardue vedette s'affaccia

Quasi accenni: Tra poco verrò.

      O gran Padre! per Lui che s'immola

Cessi alfine quell'ira tremenda;

E de' ciechi l'insana parola

Volgi in meglio, pietoso Signor.

Sì, quel Sangue sovr'essi discenda;

Ma sia pioggia di mite lavacro:

Tutti errammo; di tutti quel sacro

santo Sangue cancelli l'error.

      E tu, Madre, che immota vedesti

Un tal Figlio morir sulla croce,

Per noi prega, o regina de' mesti,

Che il possiamo in sua gloria veder

Che i dolori, onde il secolo atroce

Fa de' boni più tristo l'esiglio,

Misti al santo patir del tuo Figlio

Ci sian pegno d'eterno goder.