L’anguilla
L’anguilla, la
sirena dei mari freddi che
lascia il Baltico per giungere ai
nostri mari, ai nostri estuari,
ai fiumi che risale in
profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e
poi di capello in
capello, assottigliati, sempre più addentro,
sempre più nel cuore del macigno,
filtrando tra gorielli di
melma finché un giorno una luce scoccata
dai castagni ne accende il guizzo
in pozze d’acquamorta, nei fossi che
declinano dai balzi
d’Appennino alla Romagna; l’anguilla, torcia,
frusta, freccia d’Amore in
terra che solo i nostri
botri o i disseccati ruscelli pirenaici
riconducono a paradisi di
fecondazione; l’anima verde che
cerca vita là dove solo morde l’arsura e la
desolazione, la scintilla che
dice tutto comincia
quando tutto pare incarbonirsi, bronco
seppellito; l’iride breve,
gemella di quella che
incastonano i tuoi cigli e fai brillare
intatta in mezzo ai figli dell’uomo, immersi
nel tuo fango, puoi tu non crederla
sorella? EUGENIO
MONTALE
(Dalla quinta sezione, “Silvae”, de “La bufera ed altro”) Commento
Il testo si divide in due parti: nella
prima (vv. 1-14) si descrive il viaggio che l’anguilla compie dai freddi mari
del Nord (in riferimento a Clizia come donna del Nord) al Mediterraneo e poi
dal mar Tirreno agli Appennini risalendo il corso di un fiume e dei suoi
affluenti; nella seconda (vv, 15-30) viene messo in evidenza il contrasto tra
l’inospitalità del paesaggio naturale circostante e la vitalità
dell’anguilla, capace di sopravvivere e di riprodursi in condizioni di estremo
disagio. Negli ultimi versi vi è poi una domanda rivolta dal poeta a Clizia
per chiederle di ammettere la propria somiglianza con l’anguilla. Clizia e
l’anguilla si scambiano, infatti, reciprocamente un particolare: l’iride
degli occhi della donna appartiene anche all’anguilla, mentre Clizia è
immersa nel fango come l’animale. La metrica rivela un’alternanza di versi lunghi (fino a
quattordici sillabe) e brevi (fino a sette) che conferisce al componimento
una struttura “anguillare”: una struttura, cioè, che tende a rendere
visivamente sia il profilo dell’anguilla, sia il modo zigzagante del suo
precedere. Di particolare rilievo è l’artificio che collega il primo verso
all’ultimo, tanto sintatticamente, quanto attraverso il gioco dei
significati, L’anguilla del primo verso funziona come complemento oggetto di
un verbo che si trova all’ultimo verso (“puoi tu\ non crederla”): tutta la
poesia è costituita infatti da un’unica domanda (e infatti consta di un unico
lungo periodo). Si notino poi gli enjambement dal v. 20 al 25; “l’anima verde
che cerca\ vita là dove solo\ morde l’arsura e la desolazione,\ la scintilla
che dice\ tutto comincia quando tutto pare\ incarbonirsi, bronco seppellito”.
In particolare l’enjambement tra “cerca” e “vita” potenzia il valore della
ricerca e la forza della pronuncia della parola vita, Anche l’enjambement tra
“solo” e “morde” produce un singolare effetto: la parola morde viene a
evocare la parola morte (cui d’altronde si avvicina, con la sua differenza
della dentale, sonora anziché sorda), così da rendere più forte la ricerca
della vita nella morte da parte dell’anguilla. Si osservi infine l’anagramma
che unisce “incarbonirsi” a “bronco” (tutte le lettere di questa seconda
parola si ritrovano nella prima) ottenendo il risultato di far diventare
positivo ciò che inizialmente era negativo: il ramo (“bronco”) “seppellito”
diventa carbone, cioè calore e luce, cosicché “incarbonirsi” non significherà
soltanto morire o diventare fossile, ma anche trasformarsi in carbone, vale a
dire in una possibilità di fuoco e di speranza. Nella poesia di Montale, pur
nell’ambito di un contesto linguistico alto e sostenuto (di cui sono
documento termini come “sirena”, “incarbonirsi”, “bronco”, “iride”), si
incontrano espressioni comuni (come “piena” e “pozze d’acquamorta”). Questo
incontro di alto e basso non è solo un espediente tecnico; è anche un modo
attraverso cui Montale cerca di mettere in rapporto fra loro l’umile e
l’elevato, il profano e il sacro, attribuendo un valore religioso a un
animale che vive nel fango e rappresenta l’eros. Segno di una ricerca che non si arrende mai, neppure di
fronte alle più dure difficoltà storiche e individuali, questa poesia risulta
senza dubbio di fortissima attualità. Anche noi, come Montale, sentiamo il
rischio cui la vita va incontro se
non sa difendersi dalle minacce insite nella civiltà industriale, e anche noi
vediamo come la società di massa e la mercificazione di tutto mettano in
pericolo l’esistenza di valori autentici.
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