Le donne di Montale …….

 

La poesia di Montale si rivolge spesso a un “tu” femminile in cui l’autore cerca un’alternativa radicale all’inferno della storia e alla “prigione” dell’esistenza quotidiana. Non si dà, però, la possibilità di un rapporto reale con la donna; perciò essa non è mai descritta fisicamente, tranne in alcuni particolari simbolici, lo sguardo, i capelli, il passo. La donna è infatti soggetta a una sublimazione che l’allontana dalla realtà storica e la trasforma in una creatura inafferrabile, che appare, scompare e riappare in barlumi di luce.

Montale recupera in questo il modello stilnovistico e dantesco della donna-angelo, portatrice di salvezza, e la salvezza è possibile solo come fuga dal mondo della storia; perciò la donna deve rappresentare una dimensione “diversa”, quella della morte (Arletta), della religione (Clizia), oppure del mondo istintivo e biologico degli animali (Volpe e Mosca).

Negli Ossi di seppia e nelle Occasioni la folata di vento vivificatore, che porta un segnale di salvezza, è associata ad Arletta o Annetta. Nella realtà è Anna degli Uberti, conosciuta nelle estati trascorse a Monterosso, e niente affatto morta precocemente come risulterebbe invece dalle poesie di Montale.

Arletta compare in Incontro (Ossi di seppia) come improvvisa rivelazione della memoria del poeta. Questi, sullo sfondo di una città raggelata in una fissità mortuaria, vive l’incontro miracoloso con una pianta che si trasforma fra le proprie dita nei capelli della donna. Il contatto dura un attimo, ma la donna resta depositaria di una forza morale, che il poeta invoca perché lo aiuti a scendere “senza viltà”.

Arletta torna ancora in un recupero della memoria nella Casa dei Doganieri (Occasioni), con la funzione di rappresentare il “varco”, in una zona dove è incerto il confine tra i vivi e i morti.

Un’altra donna si affianca ad Arletta in una parte degli Ossi di seppia e delle Occasioni, la peruviana Paola Nicoli. Anch’essa resta però in una lontananza irraggiungibile, diventa “la straniera”.

Il tema dell’opposizione della donna alla degradazione della storia è sviluppato sino alle estreme conseguenze nelle Occasioni e nella Bufera e altro concentrandosi nel mito di Clizia.

Nel 1933 era comparsa nella vita di Montale Irma Brandeis, una giovane studiosa americana, di famiglia ebrea e dotata di forti sentimenti morali e religiosi. La donna nelle sue poesie prende il nome mitologico di Clizia.

Clizia, figlia dell’Oceano, era amante del Sole, ma venne da lui abbandonata per la sorella Leucotoe, si vendicò denunciando la sorella al padre Oceano che la fece sotterrare viva; Clizia persa la speranza di poter riconquistare l’amore del dio, si trasformò in girasole. Nel mito Clizia resta sempre fedele al Sole, cioè Apollo, dio della cultura; il girasole infatti si volge sempre verso il sole, e cioè verso il valore supremo della cultura.

Clizia diventa così la nuova Beatrice, l’annunciatrice di un nuovo valore e di una nuova religione: quella delle lettere. Il carattere sacrale e la chiaroveggenza di Clizia si concentrano nei suoi “occhi di acciaio” in Nuove stanze (Occasioni): ella vi appare come la sacerdotessa di un rituale capace di tenere in scacco, con la forza della lucida intelligenza, la follia della guerra che si avvicina.

La missione di Clizia culmina in La primavera hitleriana, che fa parte della Bufera ed altro, dove la donna, personificazione della salvezza, costituisce un’occasione di esperienza del divino.

L’angelo visitatore si trasforma nella “cristofora”, la donna portatrice del messaggio cristiano. Ebrea e cristiana, costretta a fuggire e a ritornare in America all’inizio delle persecuzioni razziali (1938), essa diventa nella Bufera la vittima sacrificale che assume su di se il male del mondo. L’allegoria umanistica di Clizia si converte nell’allegoria religiosa del riscatto per tutti gli uomini, e non più solo per il poeta o per pochi eletti.

Su uno sfondo di gelo e di morte, nella città percorsa dal “messo infernale” (Hitler), Clizia indica una speranza che salvi l’umanità dai “mostri” che stanno per travolgere l’Europa nella catastrofe.

Ma di fronte alla guerra, che tuttavia si scatena, alle delusioni del dopoguerra e all’avvento della società di massa Clizia si rivela inadeguata, mentre il rigore esclusivamente morale del suo messaggio inaccessibile agli affetti quotidiani, allontana il poeta.

Ora Montale cerca la salvezza non più nei valori alti e nelle ideologie, ma nel “basso”, nella vitalità degli istinti puramente biologici e sessuali, nella terra o nel fango in cui si riproducono il gallo cedrone e l’anguilla (Bufera ed altro).

Quelle del gallo cedrone e dell’anguilla sono allegorie complesse e articolate. Anzitutto il gallo cedrone e l’anguilla sono animali capaci di unificare mondi diversi, cielo e terra nel primo caso, mare e terra nel secondo. Si tratta inoltre di animali ambigui, al confine fra specie diverse: metà gallo e metà volatile il primo, metà serpe e metà pesce il secondo. Allegoricamente entrambi rappresentano non solo la vitalità e la perennità dei cicli riproduttivi, ma anche il valore stesso della poesia; infatti l’uno è famoso per il suo canto d’amore, l’altra è paragonata a una sirena incantatrice (la sirena canta e incanta come la poesia). Ciò significa che la poesia potrà sopravvivere solo se imparerà a praticare la stessa ambiguità dei due animali, a non farsi classificare, a mimetizzarsi, a frequentare il fango, a identificarsi non più con un astratto “dover essere” ma con la stessa energia vitale che presiede alla riproduzione dell’anguilla.

Ed ecco la donna-volpe (la poetessa Maria Luisa Spaziani),l’antagonista di Clizia, l’anti-Beatrice, la “donnola”, il “carnivoro biondo”. Volpe è la creatura terrestre portatrice di un eros concreto, ed è dunque ben diversa dalla precedente figura femminile.

Bisogna infine ricordare la moglie, Drusilla Tanzi, la quale è presentata con l’appellativo di Mosca, con cui la chiamavano gli amici, Mosca non ha l’eccezionalità di Clizia e nemmeno di Volpe; ma è assunta come maestra di vita per la capacità istintiva di aderire all’esistenza nella sua immediatezza. La figura di questa donna viene evidenziata da Montale nella poesia Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale.