Tra poeti e nostalgia
Gorizia, 14 novembre - 2a Gorizia Maratona

di Fabio Marri


Purtroppo, la seconda domenica di novembre era intasata di maratone: tre
solo in Italia, pił quella del Canton Ticino. Fin che le nostre proteste
sulle assurdita' del calendario resteranno lettera morta, le maratone
italiane non potranno mai crescere oltre certi limiti. O forse gli
organizzatori desiderano mantenere il numero dei corridori entro cifre
facilmente gestibili: potrebbe essere il caso di Gorizia, la piu' giovane e
la piu' piccola delle tre italiane in collisione, cui si erano iscritti 136
atleti (in stragrande maggioranza della regione o della vicina ex
Iugoslavia), e che ha visto al traguardo 96 uomini, 7 donne e 7 disabili in
carrozzella (guardare le classifiche complete nella sottopagina apposita).
Vedremo come i bravi e simpatici Marciatori Goriziani si regoleranno per
organizzare quella grande maratona promessa per il prossimo centenario della
citta'. Dal punto di vista dell'accoglienza umana, non si puo' desiderare di
meglio: pronto invio per fax dei materiali informativi, prenotazione diretta
di alloggio a tariffe modeste, sole 20 mila di iscrizione (comprendenti un
pasta-party dopo la gara), premi uguali per i primi tre uomini e donne
(cosicche' alle prime due donne e' bastato scendere un pelino sotto le 3 ore
e 30' per spartirsi la cifra che agli uomini e' 'costata' un 2.42'). Da
elogiare la punzonatura prima del via, e la maratona a staffetta, allestita
come gara di contorno, per quanti non se la sentono di fare tutti i 42 km.
Anche i paesaggi sono affascinanti, specialmente per chi conosce la storia
delle due guerre mondiali che hanno martoriato quelle terre, e ancora
offrono una citta' spaccata in due, con la vecchia ferrovia "Transalpina" a
fare da Muro di Berlino. Il percorso propone, dopo un breve giro iniziale di
4 km in citta', il passaggio per Lucinico, San Lorenzo, Cormons, poche
centinaia di metri a sud dell'attuale confine italo-sloveno, segnato da
quelle montagne su cui grandi scrittori combatterono e poetarono (chi non
ricorda le poesie immortali di Ungaretti, "di queste case non e' rimasto che
qualche brandello di muro.", " si sta come d'autunno sugli alberi le
foglie."); il Carso insomma, descritto da un altro soldato delle trincee, il
triestino Scipio Slataper morto sul Podgora: "Non hai riposo, e stai nudo al
ghiaccio e all'agosto, mio Carso, rotto e affannoso verso una linea di
montagne per correre a una meta; ma le montagne si frantumano, la valle si
rinchiude, il torrente sparisce nel suolo".
(Podgora: nome che evoca migliaia di morti per conquistare Gorizia nel 1916
e riperderla nel '17, ma che a me modenese fa venire in mente, con rabbia,
il piazzale dello stadio Braglia, indecorosamente sbattezzato in "Giovani di
piazza Tien An Men", come se i modenesi morti sul Podgora contassero meno
degli studenti cinesi).
Piove, piove sui confini; non forte (dopo tre ore smettera'), e quasi a
meta' corsa si piega verso sud, a raggiungere di nuovo l'Isonzo ("oggi, come
l' Isonzo - di asfalto azzurro - mi fisso - nella cenere del greto"), e il
Friuli piu' 'veneto' (Mariano, Farra, Gradisca), quello da cui emana la
poesia dialettale di Pasolini (che non era solo lo sporcaccione dei film, ma
in friulano sapeva evocare sensazioni nuove, "al plouf il seil - tai spolers
dal to pais") o di Amedeo Giacomini, "A plouf, Signor, a plouf - su la me
Basse a plouf..- e jo chi, di bessol - il stomit ch'a mi doul - la ciar ch'a
sighe - a sinti' al trima' dai ornars.". Non importa se non si capiscono le
parole: dai suoni risenti il fruscio delle foglie percosse dal vento e
dall'acqua.
Ma torniamo alla prosa quotidiana, agli ultimi 7 km di rientro verso
Gorizia, e di salita che a questo punto sembra crudele; l'ultimo ponte
sull'Isonzo (che nello sloveno degli attuali occupanti si chiama Socia, vi
immaginate cosa direbbe un bolognese?). La chiusura al traffico funziona
piuttosto malaccio, i ristori invece sono ottimi (sebbene il te' poteva
essere piu' tiepidino); lo stadio di partenza e arrivo ha tutti i confort,
dal parcheggio comodissimo alle docce (non propriamente calde, per gli
ultimi); le classifiche sono pronte quasi subito, le premiazioni hanno luogo
mentre l'ultimo sta ancora arrivando (e' il glorioso Togni di Lumezzane, 74
anni e oltre 400 maratone, qui a 4.40:20, cioe' due ore dopo i primi, e fa
fatica a trovare l'ingresso allo stadio, poi per la paura che i ristori
finiscano, mangia il suo piatto di  maccheroni in pantaloncini e maglietta,
infreddolito senza far la doccia).
Come detto, molto pochi i partecipanti fuori regione, a parte i citati
sloveni: un bergamasco arrivato sesto, il nostro giovane collaboratore
Simone Lamacchi da Verona 53o col suo record in 3.21, un rovigotto arrivato
terz'ultimo. Chi scrive se l'e' cavata con un 3.44:51, cioe' circa lo stesso
tempo realizzato a Calderara due settimane prima; ma qui il percorso era
molto piu' duro. Ma chi scrive era a Gorizia anche per una ragione
sentimentale: riabbracciare la sua vecchia maestra, che profuga dall'Istria
negli anni che "quelli di la'" sparavano, era venuta a insegnare (allora,
poco piu' che ragazzina, ma gia' con tante sofferenze addosso) nelle
campagne modenesi; e nel 1959 se ne era tornata a Gorizia dove le era morta
la mamma, senza piu' ritornare. Da lei avevo imparato le canzoni della
Patria, il XXIV maggio e La bandiera dei tre colori, e altre che oggi fanno
sorridere, ma che allora, specialmente per la maestra Maria, avevano un
significato non di retorica; avevamo capito il senso di un tricolore che
sventola sul colle di San Giusto, ma non piu' su Pola e Fiume, su Plezzo e
Tolmino.
Facevamo ginnastica tra i banchi, sul pavimento di legno: flessioni e
piegamenti, senza nemmeno toglierci il grembiulino nero e il colletto bianco
(poche aule piu' in la', studiava il giovane Ivano Barbolini, futuro patron
della maratona di Carpi). Ero tra i piu' scarsi, la maestra mi chiamava
"fiaccooone"; ma ci sono ancora, signorina; e quando al km 34 uno con la
maglia della Slovenia mi si e' attaccato, a succhiare l'aria per poi
fregarmi all'arrivo, io non mi sono dato pace finche', al 39, l'ho
cominciato a staccare. Per fortuna e' solo uno sport e non una guerra; ma.
signorina maestra, non passa lo straniero!