Ecco i Racconti di Nicola Odoni:

 

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                                                                              La Spada

 

 

Giaceva lì, immobile, la Reliquia del Male, avvolta da un telo nero come il cielo quando la luna scompariva, circondata da ceri immortali, erano neri e la loro fiamma si nutriva d’aria inesistente. Giaceva lì, lo strumento del male, emanava un bagliore invisibile di malvagità che col passare dei secoli aveva riempito la fredda cella scavata nella roccia, scavata con chi sa quale maleficio, poiché non vi erano entrate né uscite. Giaceva lì, l’arma del Demonio, la spada che fu forgiata col calore del suo alito e col ferro del suo corpo, un grosso rubino nero era incastonato nel suo manico, anch’esso portatore di male. Al centro della cella, al centro della montagna, al centro del suo impero riposava lo strumento di pena del Demone, utilizzato solo per le guerre più grandi e per i nemici più forti. L’ultima volta fu destata dal suo riposo poiché l’esercito del Bene era entrato nelle Terre del Male, e numeroso aveva attaccato l’esercito immondo del Signore Demone, ed egli temendo di essere sopraffatto e distrutto, impugnò la Spada, e una nuova forza colpì l’esercito, che adesso avanzava e distruggeva gli invasori, Egli non dovette neanche scendere sul campo, bastò solo il potere malefico      della spada a dare la forza a coloro che avevano il cuore nero del male. Ma molti altri poteri essa nasconde nel suo ferro, poteri che il Demonio gli ha conferito rendendola capace di distruggere persino coloro che crearono il mondo ancor prima della venuta del male. Persino il Demonio stesso teme che il potere si possa ritorcere su di lui, e fu costretto, secoli fa, a rinchiudere tale arma distruttrice nel cuore del suo impero e nel cuore del mondo. Ma adesso il Demone è morto e il suo impero distrutto, deve prima c’era disperazione e morte ora sorge una splendida vallata che circonda il bosco ai piedi della montagna, che solitaria mantiene l’immortale segreto da centinaia d’anni. La cella è ancora fredda e silenziosa, e il male vive ancora tra le sue pareti, il male della spada non è morto insieme al suo padrone. Ed ella giace ancora lì, silenziosa e segreta al resto del mondo, che, ignaro, vive la sua vita pensando che, ormai, il male non esista più. Ma la spada non è la sola ad essere sopravvissuta alla distruzione di tutto ciò che è malvagio, no, c’è ancora il custode di tale prezioso oggetto, si, il Demonio non avrebbe mai lasciato un potere così grande difeso solo dalla roccia di una montagna, no, egli forgiò insieme alla spada anche un degno custode, e lo rinchiuse nella cella ed egli vaga col suo spirito tra quelle pareti, l’unico superstite del genocidio di tutti gli esseri malvagi, ma egli non poteva uscire a meno che qualcuno non avrebbe aperto un varco nella roccia maledetta dal Demonio. E qualcuno lo fece. Un antico discendente di colui che uccise il demonio, seppe tramite antichissimi manoscritti dell’esistenza di una reliquia, che giaceva nel cuore della montagna, ed egli prese tutto il suo popolo e scavò lunghe gallerie sino a trovarne il centro. Diede lui l’ultimo colpo per aprire una breccia, e come lo fece un’aria malsana lo avvolse e sentì nella sua mente grida di persone, grida malvagie e acute, che chiedevano aiuto e che sfidavano il discendente di colui che distrusse il male. Poi il silenzio avvolse tutta la galleria, e nulla più uscì dalla breccia, altre un leggero bagliore. Allorché egli si mosse e con una torcia entrò nella breccia, e la vide avvolta nel suo manto scuro, circondata dalle fiamme leggere dei ceri. Ed egli avvertì il male che dimorava nella cella e che usciva dalla spada, indietreggiò di un passo, ma poi si infuse coraggio e tolse il velo, e un bagliore illuminò la stanza, un vento proveniente del nulla spense la torcia, ed egli vide nella lucente lama delle figure orribili, tantissimi demoni che si affacciavano dal loro mondo e si presentavano innanzi a colui che, con tanta stoltezza osò sfidare il male incarnato nella spada. Ed egli rabbrividì nel vedere morte e distruzione che uscivano dalla spada. Delle urla di dolore fecero distogliere lo sguardo al discendente del paladino del bene che si vide di fronte una figura mostruosa, dopo cento secoli d’agonia il custode poté incarnarsi in un corpo. La breccia si chiuse con il crollo del soffitto, la galleria fu sommersa dalle pietre e il passaggio verso l’esterno, chiuso. Da fuori della montagna si senti echeggiare un urlo spaventoso. Il custode con la sua larga bocca ornata di denti aguzzi emanò un alito caldo che investì l’uomo, avvolto dalle fiamme egli si dibattete sbattendo contro il muro. Il fuoco si spense, non era morto, non poteva morire, poiché in quel luogo senza tempo la Morte soccombe ai piedi del custode, egli era la morte dentro quel luogo, egli decideva quando le pene dell’uomo sarebbero cessate. No, egli voleva che l’artefice di un tale sconsiderato gesto, sarebbe dovuto perire solo dopo un’angosciante tortura. E così fu. Il mostro lo afferrò per il collo e lo guardò dritto negli occhi terrorizzati ed anch’egli lo guardò come supplicante e vide in faccia la morte, vide, nei suoi occhi, immagini terribili e maledette. Se avesse potuto sarebbe morto dalla paura, ma non poteva, non ancora. Il custode lo gettò a terra e brandì la spada e lo sfiorò appena, ma al contatto della lama e della pelle, egli la sentì gelida, freddissima, terribilmente fredda, e poi da un secondo contatto parve bollente e caldissima, tremendamente calda. Chiese pietà, ma ricevette ben altro. Egli rimase lì per secoli e secoli scontando la pena, e dopo che il custode si stancò ne decise la morte. Ed egli non ricevette sepoltura, il suo corpo e la sua anima furono distrutti dalla spada, capace di distruggere persino le anime immortali. Ed ella giace lì, con il suo custode che vaga nella montagna, con il suo telo nero che l’avvolge e il suo male che la protegge, ed aspetta invano il ritorno del suo padrone.

 

 

ATTACCO

 

La compagnia avanzava in fila indiana. I cavalli stanchi strisciavano i pesanti zoccoli sul terreno. Il capofila si fermò. Egli era il più forte e abile di tutti nell’adoperare le armi, e il più coraggioso nella battaglia. Chiamò a consiglio il suo amico silvano. Esaminò a lungo le tracce che il possente Uomo gli aveva fatto notare, erano piuttosto fresche e abbastanza chiare. Essi non vollero allarmare il gruppo e ripresero il cammino per il sentiero impervio, ma l’imponente Uomo sguainò la spada lucente e l’esile Elfo trasse fuori dalla sua faretra due frecce. Chiudeva la fila un piccolo Nano che cavalcava un piccolo destriero, manteneva ben salde le redini e rassicurava il suo cavallo, imbracciava uno scudo e il suo martello da guerra giaceva penzolante sulla sella ferendo di tanto in tanto l’animale. Cavalcava a testa china una figura con la tunica rosso porpora, aveva una sacca a tracollo e pugnale attaccato alla cinta, il suo animale era alto e fiero. Un piccolo Hobbit si faceva portare da un cavallo. Sbarazzino e perso nei suoi pensieri fissava la nuca dell’Elfo. Aveva un sacchetto appeso alla cinta e un pugnale molto piccolo attaccato alla sella. Il guerriero si fermò, facendo arrestare tutta la fila; il nano scese e impugnò con forza il manico della sua arma, l’esploratore pose una freccia tra il sottile legno e la tesa corda del suo lungo arco. Il piccolo uomo sperando in una sosta scese e si sedette in una roccia, mentre l’incappucciato stava ancora sul suo destriero, pensieroso mise la mano nella borsa, ne trasse fuori una borraccia e sorseggiò dell’acqua. Scoccarono dei fischi. Due, tre, o forse più, frecce squarciarono la finta calma del gruppo, poiché i guerrieri e l’Elfo si aspettavano qualcosa, persino lo stregone si era reso conto, forse prima di tutti, del pericolo.

Solo l’hobbit saltò dallo spavento e dalla meraviglia. Due frecce si piantarono per terra, una andò a schiantarsi contro il potente scudo del nano, altre colpirono i cavalli che scapparono come rincorsi da qualcosa. La tensione crebbe. Lo spavento anche. Si guardarono attorno, ma non videro nulla. Li circondava una immensità di verde, alberi, cespugli, sassi. L’oscurità avvolse piano gli sventurati. L’Elfo si giro di scatto, puntò con l’arco e scoccò. Un urlo. Un gemito. Un botto. Saltò fuori una figura scura, orrenda, l’Uomo lo punì con la sua spada che brillava di sangue. Il Nano si guardò attorno, il barbuto vecchio uomo, chiuse gli occhi e alzo le mani. Il Silvano carico dalla sua faretra l’arco, il piccolo e spaventato Hobbit si rifugiò dietro di lui. Uscirono dal nulla altre due figure, sempre scure ed orribili, ma perirono sotto la furia del Nano, e la precisione dell’Elfo. Immediatamente dopo un altro spaventoso nemico balzò alle spalle dell’Elfo, che disarmato guardò inerme l’immonda figura arrostita da una lingua di fuoco uscita dalle mani del mago.

“Orchetti” gridò l’uomo uccidendone un altro con la sua spada sempre più rossa. Arrivarono altre frecce. Da più parti. Il nano fu colpito nel braccio che reggeva lo scudo, che cadde a terra. Due indirizzate allo stregone, non arrivarono a destinazione, cadendo per terra come se avessero incontrato un muro. Un’altra sfiorò il mezzo-uomo. L’Uomo indietreggiò dalla folta boscaglia, l’elfo scoccò un’altra freccia, a vuoto. Il nano estrasse il ferro che ardeva nel suo braccio. Lo stregone urlo parole antiche e la luce circondò il gruppo mettendo in fuga alcuni orcchetti più vicini. Uno cadde a terra trafitto da una freccia elfica. Altri sfidarono la magica luce e si gettarono all’attacco ma il nano, accecato dalla rabbia e dal dolore, lo colpì violentemente sull’addome fracassandogli la cassa toracica, cadde a terra impugnando ancora la sua sporca lama. Ci fu un lungo silenzio. Esso incrementava ancor di più la paura e il terrore. Sembrava che gli orchetti avessero cessato l’attacco. Questo silenzio allarmò ancor di più l’Elfo, prese tre frecce dalla sua faretra di cuoio. Caricò l’arco con una di esse e si voltò ripetutamente a destra e sinistra. Il guerriero umano impugnò la spada con le sue possenti mani come per caricare il prossimo colpo. Si guardava alle spalle con la coda dell’occhio. Il Nano divaricò le piccole e robuste gambe, strizzo gli occhi dal dolore lacerante e sospirò. L’Hobbit e il mago rimasero fermi chi ammutolito dalla paura chi come per guardare con la mente e non con gli occhi. Da destra vennero tre orchetti, altrettanti da sinistra. Molti ancora da varie direzioni. Una freccia colpì il mago, l’Elfo scagliò le sue tre frecce quasi contemporaneamente e rapide colpirono tre orchi. L’Uomo infilzò un orchetto che gli si parve davanti, e un altro che si scagliava contro il vecchio accasciato a terra. Il piccolo barbuto balzò urlando di contro ad un orchetto armato di una scimitarra arrugginita, scaraventandolo contro un albero. Altro silenzio. Altra pausa. Altri orchetti. Il mago  ferito all’addome urlo furioso, rimbombò tutta la foresta e un lampo accecò i compagni che riaprendo gli occhi videro i corpi esamini a terra delle immonde creature.  Lo stregone chiuse gli occhi e si accasciò a terra. Il piccolo uomo lo soccorse subito gettandosi al suo fianco, estrasse il suo pugnale dalla cintura e si voltò di scatto come se attaccato. Ci fu subito un altro attacco da parte di altri orchetti. Tutto fu vano. L’impareggiabile forza del Nano, l’abilità dell’Uomo e la precisione dell’Elfo distrussero in un attimo l’orda di omuncoli. “Dobbiamo scappare” urlò l’uomo. “Andiamo in un punto meno aperto. È rischioso stare qui, le frecce non possono essere deviate”, aggiunse l’Elfo abbattendone un altro distante dieci metri. L’Uomo prese il vecchio mago. “Vai da Telalar. Il suo arco ti proteggerà” disse all’Hobbit. Il nano si trascinò vicino al guerriero. “Eligord! Più in là c’è un punto dove possiamo essere attaccati da un solo punto”. “Portaci dove dici, mio buon amico”, disse sollevando il vecchio. Un urlo di terrore partì dell’Hobbit indicando dietro di loro. Una freccia parti dall’arco di Telalar. \ Un grosso lupo con denti acuminati ed enormi ringhiava, lo cavalcava un orchetto che lo incitava ad attaccare con parole e urli inumani. La pelosa bestia balzò ancor più velocemente puntando Eligord. Il Nano caricò un violento colpo. Il suo martello si scontrò contro il suo muso ringhioso con tutto il suo peso e con tutta la forza del Nano. L’orchetto fu scaraventato a terra dove una freccia lo trafisse. Il bestione giaceva sfigurato a terra. “I Warg” disse l’Hobbit. “Maledetti Warg” aggiunse il Nano respirando affannosamente come sfiancato dal colpo dato. “Andiamo” urlò possente Eligord. “Telalar guardami le spalle” disse mettendo la sua spada nella cinta. “Dalin precedici” urlò guardando il Nano, che, sentite quelle parole, si girò e cominciò a correre. L’Hobbit lo seguì. Eligord avanzava come se non avesse nessun fardello, e Telalar correva e si fermava a guardare indietro. Dieci orchetti si lanciarono ad uno sfrenato inseguimento. Due caddero sotto le frecce, gli altri continuarono ad inseguirli accompagnati da nuovi cacciatori, alcuni in sella a tremendi lupi giganti. Questi correvano velocissimi e presto raggiunsero il gruppo che nel frattempo era arrivato davanti ad una roccia. Dalin e Eligord attaccarono il  Warg contemporaneamente, esso cadde schiacciando l’orchetto che lo cavalcava. Il vecchio mago si risvegliò dal suo sonno. Il dolore della freccia e il collasso mentale avuto lo avevano stordito. Barcollava in piedi, con gli occhi semi chiusi. Telalar scagliò una freccia nel buio, colpendo qualcosa. Gli orchetti rimasti indietro nell’inseguimento arrivarono gettandosi nel mezzo. Ne passarono solo tre su otto. Gli altri caddero sotto i violentissimi colpi dei guerrieri. I tre orchetti si gettarono contro Telalar, il piccolo uomo e il vecchio stregone. Telalar lo uccise prima che giungesse. Il mago incenerì il suo avversario, ricadde a terra. L’Hobbit cercò invano di difendersi ma lo sporco orco lo colpi al ventre. “Sanocc!” urlò Dalin. Una freccia punì l’insano gesto dell’orchetto. Il piccolo Sanocc si mise la mano al petto e si gettò faccia a terra. Lo soccorse il Nano rassicurandolo. Non vi furono più attacchi per un paio di minuti, oltre un orchetto poco intelligente che osò sfidare l’immensa forza di Eligord. Si sentiva un potente respiro. Copriva le parole di conforto di Dalin e il dolore di Sanocc. Ciò preoccupò il guerriero umano, che si girò guardando la fonte di tanto fastidioso rumore. Telalar lo vide. Era grosso, molto grosso. Tanto grande che l’orchetto che lo cavalcava, benché robusto, sembrava piccolo, piccolissimo. I suoi occhi rossi e iniettati di sangue scuro guardavano il grosso guerriero che con aria di sfida ondeggiò la spada. La bestia partì con un salto e arrivo sopra Eligord. Lo infilzò con la lama, ma il grosso lupo lo morse lo stesso. Lo ferì ad in braccio. L’uomo gettò un urlo di dolore che fece rabbrividire persino Dalin, che si scaraventò contro due orchetti appena giunti. Telalar scoccò due frecce, una verso il cavaliere e l’altra verso il cavallo. Eligord sanguinante uccise il Warg. Il braccio sinistro era lacerato da una profonda ferita. La spada pesava su una sola mano. Arrivarono altre frecce che colpirono la gamba dell’arciere per eccezione. Gli partì un colpo dal dolore, ma non colpì nessuno. Il Nano tornò dal piccolo Sanocc. Pianse. Con le lacrime agli occhi si scaraventò contro un grosso Warg senza cavaliere. La rabbia per la morte del giovane uomo gli diede una forza ancor più grande. Il tremendo lupo cadde sotto un tremendo colpo. La sua collera non si fermò. Attaccò altri tre orchetti che giungevano. Nulla rimase di loro. Lo stregone si rialzò. Frugò nella sua capiente borsa, e bevve un liquido strano, incolore, insapore e inodore. Fu di nuovo rinvigorito, quasi ringiovanito. Si accorse della tragica situazione. Tre feriti e un morto. Chiuse i pugni. Li riaprì e delle sfere azzurre comparirono dalle sue palme. Due grosse palle azzurre colpirono, una decina di orchi, che, tranquilli, meditavano un nuovo attacco. Sembravano infiniti. Arrivarono orchetti da ogni parte. Chi impugnava scimitarre chi insolite asce, altri tirarono delle accette. Non colpirono nessuno. Questa nuova orda di male fu decisiva. Una dozzina attaccò l’uomo. Ne uccise metà. Ma nulla più, purtroppo. Fu ferito più volte all’addome. E al volto. Morì. Il suo spirito valoroso lasciò il corpo. Altri andarono contro il nano. Stanco di uccidere si abbandonò un attimo. Fu colpito. La sua rabbia uccise due orchetti, ma anche lui valorosamente perì. Telalar gettò a terra l’arco, prese un pugnale. Si scaravento contro un orchetto, ma la differenza di lama e di forza non diedero scampo all’Elfo. Aveva finito le frecce. Il vecchio uomo rimase solo. Aprì la braccia. Il fuco lo avvolse. Ma tutto fu vano. Una miriadi di frecce lo uccisero mentre recitava antiche parole.

 

Gli orchetti banchettarono sui loro corpi. Quasi gli dispiaceva di non degnar di sepoltura i valorosi combattenti.