La CROCE

"In hoc signo vinces"

Demoni danzanti,

frecce dell’Inferno

trafiggon la mia anima

avanza, signore della notte,

avanza.

Il giorno s’avvicina,

s’odono dei canti

il Demone sconfitto

è un’altra battaglia vinta.

<<"Quando le Anime danzano" di Susan Deschain: interessante!>>esclamò Marika, esaminando il grosso libro.

Mi avvicinai a lei e osservai la copertina: vi era un immagine di un demone oscuro che stringeva in pugno un gruppetto di uomini urlanti, mentre degli spettri biancastri, quasi evanescenti sulla stessa carta, danzavano intorno alla testa del demone gigante.

<<Oh, Madre de Dios!>> esclamai scherzosamente.<<Davvero ti piace? Io lo trovo…terrificante!>>

<<Anche io, e per questo mi piace! Lo prendo!>>, e chiuse il discorso, offrendo il libro alla cassiera e preparando il borsello.

Usciti dal negozio, Marika tolse immediatamente il libro dalla busta e se lo rigirò tra le mani, come per assicurarsi la sua esistenza, infine lo aprì.

<<guarda, sulla prima pagina c’è un canto: "Demoni danzanti, frecce dell’inferno, trafiggon la mia anima, avanza, signore della notte, av…">>,<<NO!>>Gridai strappando il libro di mano alla ragazza <<Ma che fai? Ridammelo subito, idiota!>>.

<<Scusa, io…Non leggere mai più ad alta voce quel brano, ti prego!>>Non sapevo cosa mi fosse preso, ma all’improvviso avevo sentito un presentimento e non ero riuscito a fare ad altra cosa che strappare il libro di mano a Marika.

<<E perché mai?>>chiese lei, con i grandi occhi verdi incuriositi, ma poi, dopo aver visto il mio sguardo grave e serio, sorrise e mi rassicurò <<D’accordo, non lo leggerò ad alta voce, ma guarda, la poesia non è finita>> esclamò, indicandomi una scritta sotto il libro, in un carattere piccolissimo, che diceva: "questo canto non è completo: leggete il libro e poi scrivete il finale che vi sembra più adatto, dopodiché mandatelo all’autrice e colui che avrà scritto il pezzo migliore, riceverà un premio. A sorpresa, naturalmente." Questo finale mi sembrava leggermente troppo malizioso per un libro serio, ma tenni queste considerazioni per me.

Accompagnai Marika a casa, raccomandandole ancora di non leggere ad alta voce quel canto, e quando lei mi ripromise di non farlo, mi incamminai tranquillo verso casa. Era una splendida giornata e il sole arrossava il cielo e le poche nuvole prima di sparire dietro le colline, l’aria era tiepida e i primi innaffiatori automatici irrigavano i giardini. Ascoltai la pace del mondo mentre camminavo in mezzo alla strada.

La mattina seguente il tempo era cambiato: l’aria era fredda, pesante, il cielo coperto di nuvole grigie e la pace del giorno prima sembrava svanita, scacciata da qualche forza malvagia; l’aspetto delle strade quella mattina era deprimente.

Mi feci accompagnare a scuola da mia madre più tardi del solito, perché il cielo annunciava pioggia e non volevo prendermi un acquazzone andando in bicicletta, ma lei prima doveva sbrigare delle commissioni più urgenti.

Entrando in classe, notai immediatamente che c’era qualcosa che non andava: tutti sembravano tristi ed apatici e anche la nostra professoressa di italiano, che di solito era allegra e scherzosa, spiegava svogliatamente, spostando di continuo lo sguardo intorno a sé, come se avesse avuto paura di qualcosa.

L’unica che sembrava "normale" nel gruppo era Marie Julie, con cui avevo spesso scambiato libri e chiacchierato dei più svariati argomenti, tutti però abbastanza alternativi, tanto che la sua migliore amica, Silvie, chiamava "I Pazzi" per indicare noi due: non si guardava intorno di continuo e teneva in mano un oggetto che non riuscii ad identificare.

Durante l’intervallo, mentre cercavo di rianimare inutilmente gli sguardi vuoti e spenti dei miei compagni con scherzi e commenti sulle notizie del giornale quotidiano, Marie Julie mi venne accanto stringendo in braccio un libro, che mi mostrò orgogliosa.

Il titolo era "Quando le Anime danzano" di Susan Deschain.

 

 

 

<<Bello, vero? Lo conosci?>> esclamò vedendo la mia sorpresa stampata sul volto <<Nella prima pagina c’è un bel

canto: Demoni danzanti, Frecce dell’inferno…>>: nuovamente il NO! del giorno prima uscì dalla mia bocca, stavolta portandosi con sé una nota di paura, <<Non lo leggere ad alta voce!>>, la ammonì, <<Mai!>>, ma il sorriso maligno che apparve sul suo volto mi terrorizzò:<<Veramente l’ho già letto diverse volte ad alta voce, e l’ho letto anche qui in classe, peccato che tu non ci fossi, vero Silvie?>>; la voce della ragazza giunse da una distanza inimmaginabile, uscendo da un profondo labirinto oscuro:<<Vero, Marie, vero>> e poi ancora, stavolta con un tono di implorazione, quasi come fosse un drogato in crisi di astinenza:<<Ti prego, Marie, leggilo ancora!>>.

Marie Julie mi guardò maliziosa <<Non oggi, Silvie, Nickalin mi ha chiesto di non farlo>>.L’uso del mio nome completo mi stupì più della risposta data: tutti mi avevano sempre chiamato con il mio diminutivo, Nick, sebbene io amassi il mio nome intero, che mia madre mi aveva dato in onore ad un famoso libro che aveva letto molto tempo prima.

<<Ma forse gli interessa questo>> esclamò continuando a tenere in faccia quel sorriso maligno, quasi un ghigno, e tirando fuori un piccolo idolo raffigurante un essere grottesco e dall’aria malefica;<<L’ho trovato stamani fuori dalla porta di casa mia avvolto in un pacchettino rosso: è un demone delle isole Kalamata, chiamato Etli, che gli indigeni credono dimorasse un tempo sull’isola, prima dell’avvento dei Cristiani. Puoi prenderlo in mano, se vuoi!>>, finì, guardandomi fisso negli occhi.

Lentamente avvicinai la mia mano al mostriciattolo, ipnotizzato, e solo Marie Julie poté vedere la pietra prendere a tremare nelle sue mani, illuminandosi di una luce profonda, e immediatamente chiuse gli occhi, disipnotizzandomi all’istante.

Sbattei le palpebre appesantite per e mi mossi lentamente, intorpidito. La pietra non era più tra le mani di Marie Julie, che l’aveva accuratamente riposta nel suo pacchettino all’interno dello zaino borbottando parole in una lingua incomprensibile, e dopo continuò a parlarmi come se niente fosse successo ed evidentemente doveva aver pensato che io avessi dimenticato tutto l’accaduto, ma non era così.

Quel pomeriggio andai a chiamare Marika e gli dissi di portare con sé il libro.

<<Dove andiamo?>>, chiese, trotterellando verso di me sul vialetto del suo giardino. Non aveva letto il canto ad alta voce e io mi tranquillizzai, terrorizzato al pensiero di vederla uscire con lo sguardo malefico come quello di Marie Julie quella mattina.<<In Chiesa>>, risposi risoluto, ma Marika mi guardò stupita <<In Chiesa, e perché mai? Non è Domenica>>, esclamò, ma continuò a seguirmi mentre camminavo spedito verso la Chiesa Cattolica di S. Joseph, incuriosita, ma silenziosa.

Entrai in Chiesa aprendo lentamente la porta, ma Marika mi trattenne per un braccio, guardandomi impaurita, con occhi spiritati:<<Nickalin, noi…non dobbiamo, non possiamo. Io…non posso!>>, gridò, e io ebbi conferma di tutte le mie paure. Le strappai con forza il libro di mano, spingendola dentro ed entrando dopo di lei: sentii il libro vibrare con forza quando attraversai la porta, e un grido di rabbia mi invase la mente, ma resistetti e lo ignorai.

Padre Paul accorse, richiamato dal grido di Marika, che adesso sembrava calma, come se non avesse mai parlato, e si piantò davanti a noi <<Cosa è successo, ragazzi?>>chiese trafelato.

Padre Paul era un tipo strano, simpatico e poco ligio alla disciplina ed era il mito dei ragazzi che frequentavano la parrocchia, anche perché le sue messe erano appassionate e appassionanti. Amava il sovrannaturale e nessuno sapeva da dove venisse, a parte il Vescovo e l’altro prete della parrocchia, Padre Mauritius, soprannominato Bahamas per via del suo strano nome, ma seppur giovane mostrava sul viso numerosi segni di battaglie interiori.

<<Tutto ciò è molto strano, ragazzi>> esclamò, dopo aver sentito la mia storia, <<Ma se quel che mi dici è vero, allora siamo in un bel pasticcio. Fammi vedere il libro! Davvero ha vibrato?>>;<<Siete tutti pazzi>> disse Marika, <<Io non ho mai detto quelle cose, il libro non ha mai vibrato e… non siamo in un pasticcio!>>.La ignorammo.

Il libro riprese a vibrare nel momento stesso in cui lo consegnai a Padre Paul, e Marika spalancò stupita la bocca, guardandomi spaventata.

<<Sta gridando>> sussurrò Padre Paul con la voce spezzata, dopodiché mi fissò in volto:<<Dobbiamo fermarli, Nick, dobbiamo fermarli!>>. <<Come facciamo, Padre?>>, chiesi, ma dentro di me sapevo già la risposta, l’avevo già ricevuta entrando in Chiesa. Padre Paul prese il Crocifisso che teneva al collo, se lo tolse e lo avvicinò lentamente al libro, appoggiandocelo.

Nel momento stesso in cui veniva appoggiato sulla copertina del libro, il Crocifisso si illuminò e prese a vibrare, allo stesso modo del libro, che sembrava impazzito: La copertina prese fuoco nel punto in cui era appoggiata la Croce di legno, e in pochi secondi del libro non rimaneva che un mucchietto di polvere turbinante, che venne spazzata via da un vento fresco e profumato proveniente da nessuna direzione in particolare, che mi spettinò i capelli e fece svolazzare la gonna di Marika e la tunica di Padre Paul, prima di sparire così come era comparso.<<Con la Fede, figliolo, con la Fede in Dio Onnipotente>>.

Il religioso ci consegnò un Crocifisso di legno ciascuno e quando Marika, che aveva già letto molte pagine del libro maledetto, strinse in mano la Croce, cacciò un grido e lo lasciò cadere, ustionata e con il palmo ancora

sfrigolante. Dopo aver tenuto a lungo la mano sotto il fresco getto d’acqua di una cannella, ci mostrò la mano: Vi era rimasto impresso il profilo del Crocifisso, e quella cicatrice le sarebbe rimasta per sempre, simbolo della scacciata maledizione.

Riprendendo il Crocifisso in mano, Marika resistette coraggiosamente al leggero sfrigolio che continuò per un po’, ma quando il palmo ebbe definitivamente cessato di "friggere", il dolore che la ragazza aveva provato scomparve, lasciando solamente un senso di pace e la cicatrice.

Il prete ci congedò raccomandandoci di non fare niente di avventato e di avvertirlo immediatamente se fosse successo ancora qualcosa di strano.

Ci allontanammo continuando a rassicurarlo, ma io sapevo che tutto sarebbe dipeso esclusivamente da ciò che avremmo fatto io e Marika, e la mia prossima mossa sarebbe stata la più pericolosa, ma anche la più logica: mettermi in contatto con l’autrice del libro, Susan Deschain.

Arrivati a casa, utilizzai il metodo più veloce per trovare qualsiasi cosa esista nel mondo: Internet; trovai infatti immediatamente un sito su Susan Deschain e il suo indirizzo privato di posta elettronica. Le scrissi che avrei dovuto parlarle a proposito del suo libro e allegai il mio indirizzo E-mail in caso avesse voluto contattarmi via Internet.

Il giorno seguente era di nuovo una bella giornata, e mi incamminai deciso verso la scuola, stringendo con forza il Crocifisso che tenevo nella tasca del giubbotto. Sulla strada incontrai Marika, che andava nella mia stessa scuola, ma in una classe differente, e facemmo il tragitto insieme, senza parlare molto, e notai che Marika aveva la mano destra, quella ustionata, fasciata: evidentemente, anche se il dolore era scomparso, la bruciatura doveva essere ancora fresca.

Entrai nella mia classe prima dell’arrivo della professoressa, e quando aprii la porta l’aria pesante e morta mi avvolse, quasi impedendomi di respirare. Sapevo quale ne era la causa, e fortunatamente sapevo anche come rimediare: entrai in classe con un’aria allegra e ingenua, fingendo di ignorare le facce vacue e gli occhi spenti dei miei compagni di classe, ed esclamando con aria semiseria <<Scusate, ma al cimitero comunale l’aria è più viva!>>, aprii le finestre e immediatamente il vento profumato del giorno precedente si infilò nella classe scacciando l’aria venefica e lasciando un senso di tranquillità in tutta la stanza.

Quando sentii l’inconfondibile voce di Marie Julie avvicinarsi alla porta della classe, strinsi con tutte le mie forze il Crocifisso, ancora tenendolo nascosto, e mi piazzai in piedi di fronte alla porta.

Quando la ragazza attraversò la porta assieme a Silvie, che ascoltava rapita le sue parole, e respirò l’aria fresca e Benedetta, una smorfia di terrore, rabbia e disgusto le apparve in volto, e dietro il viso, che sembrava diventato trasparente, per pochi istanti vidi ciò che era all’interno del libro, l’essere malefico che dimorava in quei pochi versi: un mostro orrendo, grottesco e dagli occhi malvagi, che riconobbi all’istante.

Era il demone raffigurato nell’idoletto che Marie aveva trovato.

Quando l’immagine della creatura svanì, vidi gli occhi spiritati della mia compagna riempirsi d’odio e cercare intorno spaventati, trovare il mio sguardo e chiudersi come abbagliati.

<<Tu!>>, gridò Marie Julie, parandosi gli occhi con il braccio, come se fossi stato avvolto nella Luce,<<Sei stato tu, Maledetto, ma adesso la pagherai!>>; mentre diceva così, mi ero accorto che si stava frugando nella tasca, e gridando mi lanciò addosso l’idolo di pietra, che brillava di una luce rossa così intensa da farlo sembrare avvolto nelle fiamme.

Estrassi il Crocifisso dalla tasca e lo parai davanti a me, recitando una preghiera: la Croce si illuminò nelle mie mani e prese a vibrare, scagliando un raggio di Luce bianca e azzurra sulla pietra, che si frantumò in mille pezzi dopo una lotta durata pochi centesimi di secondo e migliaia di anni.

Il grido di odio ed orrore che Marie Julie cacciò mi fece rabbrividire più della luce malefica dell’idolo. La Luce si diresse verso la ragazza, ma essa gridò qualcosa in una lingua incomprensibile e Silvie si parò tra la Croce e Marie e si scagliò su di me con occhi vuoti, ma pieni di odio e terrore.

La ragazza corse verso di me e mi atterrò tentando di togliermi il Crocifisso dalle mani, ma era come se non fossi io a reggere la Croce, quanto lei ad essere in mano mia. All’improvviso la sua Luce si spense, l’oggetto scivolò dal mio palmo, e capii che Marie Julie doveva aver di nuovo maledetto la stanza approfittando della mia distrazione, e che da quel momento dovevo contare solo sulle mie forze, ma avevo un’arma segreta.

<<E’ dunque questo il tuo Dio, che ti abbandona nel momento del bisogno?>> sentii la vera voce dell’essere uscire dalla bocca di Marie, alle spalle di Silvie; <<Entra nelle mie milizie e sarai libero di fare ciò che vuoi, e soprattutto ti consiglio di entrare volontariamente, o sarò costretta a…>>sentii le pagine del libro maledetto aprirsi tra le mani del demone-ragazza: era il momento.

<<D’accordo, d’accordo!>> gridai, sopraffatto da Silvie <<Entrerò volontariamente!>>:sentii la servitrice del demone allontanarsi e un ghigno apparve sul volto di Marie Julie <<Bene, recita il canto, allora!>>.

<<No, prima berrò un po’ d’acqua, se permetti.>>: un momentaneo sguardo di rabbia apparve sul viso di Marie, prima di lasciare di nuovo il posto al ghigno <<D’accordo, è giusto. Il tuo ultimo bicchiere d’acqua. Goditelo.>>.

Mi avvicinai allo zaino e l’aprii, prendendo la mia arma segreta:<<Sai qual è la differenza tra i demoni e Dio, Marie?>>;

Il ghigno sparì dal volto della ragazza, trasformandosi in un sorrisetto un po’ idiota, e io ripresi <<I demoni non hanno la speranza e per vivere entrano nei corpi di persone che perdono la loro intelligenza!>> Così dicendo, estrassi la mia arma segreta: il Libro, la Bibbia.

L’espressione di orrore e terrore che apparve sul volto di Marie Julie era quasi più terrificante del demone che l’aveva posseduta: immediatamente Silvie e tutti i miei compagni di classe che avevano intanto assistito come paralizzati alla battaglia stramazzarono al suolo, contorcendosi. Marie si girò per fuggire, mentre il suo corpo aveva già cominciato a bruciare dall’interno, ma mentre la creatura stava per varcare la porta, vidi una Luce potentissima illuminare l’intera area della porta, e con un sospiro capii di cosa si trattava: dietro la luce si intravedeva un ombra che teneva davanti a sé una Croce, Marika.

La ragazza era accorsa attirata dalle urla, che stranamente sembrava sentire solo lei, perciò era uscita di corsa dalla sua aula e si era precipitata verso la mia classe, aveva estratto il Crocifisso e se l’era piantato davanti: la Croce di legno aveva immediatamente iniziato a vibrare e a risplendere.

Il demone era ormai in trappola, e si dimenava furiosamente parandosi il volto con le mani, mentre rivoli di fumo si alzavano da sotto i vestiti.

Improvvisamente una voce ruppe il frastuono provocato dalla belva:<<In nome di Dio Onnipotente creatore dell’Universo>>

L’essere demoniaco si acquattò, e un grido, stavolta provocato dalla stessa voce di Marie Julie, superò per un attimo ogni suono.

<<Ti ordino, O demone infernale, essere ripugnante scacciato dal Paradiso>>

Lanciai un gridolino, quando mi accorsi che quella voce usciva da me e non era la mia, ma rimasi impassibile e stavolta riconobbi il suono che uscì dalla mia bocca

<<Di lasciare questo Mondo, ora e per sempre!>>

Il demone lanciò un ultimo grido, una voce profonda, stridente, che mi fece rabbrividire <<Nel nome del signore delle Tenebre, io…NO!NOOOOO!

Lanciai la Croce verso la creatura, e il Crocifisso colpì il petto di Marie Julie, conficcandocisi.

In un istante sembrò che miliardi di luci brillassero all’interno del corpo della ragazza, contratta in una smorfia di orrore, ma immediatamente tutto svanì, così come era cominciato: la Croce che avevo lanciato verso il demone giaceva inerte in terra accanto al corpo svenuto di Marie Julie, La Bibbia e il Crocifisso avevano smesso anch’essi di brillare, ma all’improvviso il Libro si aprì e ne scaturì nuovamente il vento profumato, che dissolse il fumo e l’odore di zolfo che stagnavano nella stanza, risucchiandoli, e richiudendo la Bibbia con un tonfo.

Marika lasciò cadere il Crocifisso, che batté in terra senza alcun rumore, e mi abbracciò. Le cinsi le braccia intorno alla vita e rimanemmo lì, in piedi e in silenzio, ognuno pregando e riflettendo, ma entrambi aspettando il risveglio dei nostri compagni, e in particolare di Marie Julie.

La prima a svegliarsi fu Silvie, che, scuotendo la testa, ci vide e ci guardò <<beh, che avete da guardare, non sono mica un mostro, io!>> e l’unica cosa che mi riuscì di rispondere fu <<Tu, no!>>.

Poco dopo si svegliò anche Marie Julie, che ci sorrise non appena ci vide, e fui molto contento di vedere che era tornato il solito sorriso di Marie <<Lo so che non dovrei>>, disse per prima cosa, <<Ma mi ricordo tutto e so esattamente quel che mi è successo: grazie, ragazzi, vi devo un’anima!>>;lanciò un gridolino toccandosi il petto, dove rimase una cicatrice nel punto in cui si era conficcata la mia Croce.

<<A questo punto, rimane una sola cosa, da fare>> dissi io, <<Eliminare il problema alla fonte>>.

Tornato a casa controllai immediatamente la posta su Internet: trovai un messaggio proveniente da Susan Deschain e lo aprii.

Non portava buone notizie:

Sono la figlia di Susan. Mia madre si è impiccata Lunedì scorso, quando ha finalmente capito ciò che aveva fatto. Se volevi parlarle a proposito del suo ultimo libro, sappi che io conoscevo la verità sul quel canto e ho provato a impedirle di inserirlo nel libro, ma non ha mai voluto ascoltarmi. E ora è morta. Migliaia di persone sono già possedute e altre ne verranno, se qualcuno non farà qualcosa in fretta: bisogna innanzitutto distruggere il demone che ha già posseduto una persona e quando lo si è fatto, bisogna finire il canto con la notizia della sconfitta del demone. Allora tutti i demoni lasceranno questo mondo, e per sempre. Questo è quel che era scritto nel libro che mia madre aveva trovato in una Chiesa assieme all’iscrizione. Io non posso farlo perché sono una parente della persona che ha diffuso l’iscrizione, e la mia anima sarà perduta finché qualcuno non distruggerà i demoni. Se lo farà uno, lo farà per tutti.

Buona fortuna , e che Dio sia con voi,

Nicole Deschain.

Era una vera e propria missione, e mi misi subito all’opera: telefonai a Marika e la chiamai a casa mia. Non c’era scritto nella lettera, ma sapevo che dovevamo finire il canto insieme.

Rilessi la lettera più volte, ripetendo il canto nella mia mente, stando bene attento a non fare uscire neanche una sillaba.

Presi il Crocifisso che mi aveva donato padre Paul in mano, e immediatamente seppi quel che avrei scritto, come avrei

finito il canto. Le lettere apparvero ben chiare nella mia testa, e mi sembrò persino di sentire una voce angelica che le cantava nel vento.

 

 

 

Quando la ragazza arrivò, ci mettemmo subito all’opera, e in pochi minuti il canto era finito.

Lo recitammo a voce alta, insieme:

Demoni danzanti,

frecce dell’inferno,

trafiggon la mia anima,

avanza, signore della notte,

avanza.

Il giorno s’avvicina,

s’odono dei canti,

il demone sconfitto,

è un’altra battaglia vinta.

Quando l’ultima parola fu pronunciata, la bellissima voce che avevo sentito prima risuonò nell’aria, in tutto il paese e cantò il nostro canto, accompagnata e trasportata dal vento profumato, stavolta molto più imponente e forte delle altre volte.

Abbracciai forte Marika mentre la voce volava via, nel vento.

Quella sera, furono migliaia le persone a recitare il Padre Nostro prima di addormentarsi, e la Fede in Dio tornò sul mondo.

V Petrilli Niccolò aprile ’99

INCUBI

 

 

Respirai a fatica, gli occhi fuori dalle orbite, stretto nella presa letale della bestia.

Le fauci dell’animale emanavano un odore di sangue e putrefazione, odore di morte, mentre mi stringeva tra gli artigli e mi avvicinava alla sua bocca spalancata, come una pressa per officine in attesa della prossima macchina da stritolare.

Aspirai una violenta zaffata di quell’odore nauseante e mi dimenai l’ultima volta nella presa del mostro, mentre Giuliette, legata fermamente con corde ad un palo, gridava istericamente.

<<E’ la fine>>, pensai, e gridai con tutta la mia voce e tutto il mio cuore <<Addio, Giuliette, non potrò salvarti!>>, mentre la punta delle zanne del mostro mi sfiorava il viso…

E il mostro produsse un trillo squillante, continuo, cominciando a cantare una canzone degli Aerosmith.

Scattai a sedere sul letto, sudato, reprimendo a forza un grido di terrore, e ancora tremante spensi la radio e mi alzai.

<<Un altro dannatissimo giorno di scuola>>, esclamai tra me e me, paragonando con un sorriso la mia professoressa di Italiano al terribile drago del mio sogno.

Misi a posto la foto caduta di Giuliette, la mia fidanzata, ammirandola per qualche istante, pensando a come era bella nel sogno, vestita come una principessa medievale, sperduta, impaurita e piangente legata ad un palo come sacrificio al grande drago e io, aitante cavaliere, caduto in una trappola del mago crudele della Torre Nera, il malefico Walter.

Mi preparai ed uscii di corsa, agguantando il panino, giusto in tempo per vedere al notiziario del mattino che un leone era fuggito da uno zoo e che poteva essere molto pericoloso uscire di casa;<<Un’altra leggenda metropolitana, come tante>>gridai a mia madre, che mi avvertì di stare attento all’animale, ma quando uscii di casa mi accorsi che non era assolutamente una leggenda metropolitana: era la più grande maledizione a cui fossi stato condannato.

Avevo intenzione di andare a chiamare i miei compagni per fare il tragitto per andare a scuola insieme: era una splendida mattina di fine Aprile, il cielo era terso e il sole splendeva, perciò avevo pensato di andare a scuola a piedi.

<<E’ già uscita!>>, mi disse la madre di Giuliette, ancora in bigodini e vestaglia <<Voleva chiamarti, ma dormivi ancora, perciò si è avviata a piedi, ma se corri forse la raggiungi.>>;mentre la madre di Giuliette finiva la frase, io ero già scattato e percorrevo di corsa la strada, con la brezza marina che mi frustava il volto

Mentre correvo, anzi, volavo verso la scuola, contento di poter fare il tragitto insieme alla mia amata, in quella giornata così bella, e avevo anche intenzione di raccontarle il mio sogno, senza naturalmente la parte della mia sconfitta <<In amore e in guerra…>>, dissi tra me e me pensando solo a raggiungerla.

Un ruggito terrificante mi bloccò di colpo: poco distante da me, scorgevo l’immagine di un’animale, del leone scappato, chino su una pozza di sangue. Di colpo mi sentì svenire, il sangue mi si paralizzò nelle vene e il panico si diffuse nella mia mente, mentre dalla mia bocca incominciarono ad uscire una serie di "no!" terrorizzati. cominciai a correre verso il leone, continuando a gridare, impugnando lo zaino pieno di libri come un arma, terrorizzato all’idea che quel corpo informe immerso in una pozza di sangue potesse essere…

I capelli biondi bagnati di sangue e i Jeans stracciati mi tolsero ogni dubbio, proiettandomi all’istante nella pazzia: Mi accasciai al suolo e scoppiai a ridere, mentre strisciavo verso il cadavere dilaniato di quella che era stata la mia ragazza, sdraiato in mezzo alla strada ancora deserta, nonostante le mie grida avessero scosso l’intera città.

Sentii il suo sangue, il sangue di lei, scorrere via e bagnarmi il viso e le mani, inzupparmi i vestiti, quando mi sdraiai accanto al corpo e l’abbracciai, piangendo e sussurrando ancora quei "no!" continui e disperati, e mi guardai attorno prima di cadere forse in un coma: il leone si era accovacciato accanto a noi e mi guardò con uno sguardo pieno di una cosa ben peggiore della crudeltà e dell’istinto animale: era uno sguardo che diceva <<Nulla di personale, ragazzo. Mi hanno ordinato di farlo>> .

Saltai a sedere sul letto, gridando di terrore, completamente sudato e tremante nella prima luce del mattino che filtrava dalle serrande abbassate. Sentii mia madre che si svegliava di colpo e che correva qua, ma le gridai che stavo sognando e mi accorsi che stava tornado al piano inferiore, dove nessun altro doveva aver sentito il mio urlo <<Meglio così>>, pensai, prima di alzarmi; non avevo nessuna voglia di raccontare il mio incubo, e men che meno di riaddormentarmi. La casa era immersa nel silenzio più assoluto e decisi perciò di scendere e guardare un po’ di tv prima di andare a scuola: percorsi il corridoio a piedi nudi e mi sdraiai sul divano, ma mentre la televisione, accesa su un programma musicale diffondeva le note di una canzone abbastanza orecchiabile, vidi con la coda dell’occhio un movimento silenzioso alle mie spalle.

<<Mamma>> chiamai, pensando che dovesse essere lei, per chiederle di prepararmi la colazione, ma quando mi arrivò la risposta, proveniente dalla cucina, contemporaneamente ad un altro movimento alle mie spalle, ancora più vicino, sussultai e balzai in piedi, brandendo il telecomando e girandomi di scatto.

Non c’era niente, solo uno spazio vuoto tra il divano e il muro, dove un truciolo di polvere era planato da sotto divano: quel fatto era ciò che avrebbe potuto salvarci, ma allora non me ne accorsi.

Feci colazione, mi vestii e uscii di corsa: il sole splendeva, ma il vento e le nuvole in lontananza non annunciavano una buona giornata; In Aprile, forse si poteva chiedere anche di più, pensai.

Andai a scuola accompagnato dai miei migliori amici, e la mattinata passò tranquilla, anche troppo: difatti la nostra professoressa aveva deciso quel giorno di recuperare le interrogazioni mancanti, e io e i miei amici, tutti "bravi" studenti, non potemmo far altro che guardare con occhi addormentati la strage di poveri alunni innocenti.

Tornai a casa da solo: i miei amici e Giuliette si erano tutti fermati al centro commerciale e io avevo preferito andare a casa, perché volevo navigare un po’ in Internet prima di fare i compiti; ero in punizione, ma dato che mio padre non sarebbe tornato prima delle sei di sera, avevo ancora un po’ di tempo.

Entrai in casa, senza accorgermi che la porta era aperta, canticchiando: era una bellissima giornata, nonostante le mie infauste previsioni mattutine e se avessi fatto velocemente i miei compiti, forse avrei potuto raggiungere i miei amici al centro commerciale, dato che vi si sarebbero trattenuti tutto il pomeriggio.

Non era giornata, quella, e non lo sarebbe stata mai più, non per me.

C’era del sangue sul pavimento, della cucina, c’era sangue sul muro, c’era sangue nel lavello; con orrore vidi una scarpa di mia madre tutta insanguinata, e vi guardai dentro: come nel peggiore dei film horror, il piede era ancora lì. Gridai.

Corsi fuori: c’era la macchina di mio padre, parcheggiata nel vialetto, e il garage aperto.

Corsi verso la rimessa, gridando e chiamando il suo nome: sentivo dei rumori provenire da dietro la macchina, rumori come di mascelle e denti che mangiano e spezzano; un rivolo di sangue scendeva nella bocchetta per far uscire l’acqua.

Presi una chiave inglese e la lanciai nella direzione da cui proveniva il rumore, che cessò di colpo.

Impugnai un’altra chiave inglese e mi avvicinai: uno strano essere grottesco stava rosicchiando la testa di mio padre. Lo colpii

Lo colpii, lo colpii, gli feci volare via la testa di mio padre dagli artigli e continuai a mirare a quello che doveva essere il volto del mostro, fino a che, con un rumore di stoffa che si strappa, la testa dell’essere si staccò di netto, rotolando verso la porta che conduceva di sopra, aperta, senza un solo schizzo di sangue.

<<Oh mio Dio!>>sentii una voce alle mie spalle <<Cos’è successo?>>chiese Giuliette prima di inginocchiarsi accanto a me, coprendosi il volto.

Osservai a lungo l’essere, gli riavvicinai la testa al corpo, lo esaminai e gli piantai crudelmente un cacciavite sotto il collo, più per vendetta che per sicurezza

Era un essere davvero orrendo: un metro e mezzo di pelliccia e artigli, un viso grottesco, con punte ossee che gli ricoprivano la testa come capelli gelatinati e occhi piccoli e carichi di malvagità, anche dopo che l’essere era morto.

<<Sembra un Gremlin>> commentò scioccata Giuliette <<ma non esistono!>>.

<<Raccontaglielo!>> Dissi io, con una voce stranamente acuta e quasi isterica: una rabbia incredibile mi stava risalendo le membra e avrei voluto sfasciare tutto. Avevo perso famiglia, vita e sanità mentale in poco più di mezz’ora, ma improvvisamente un’idea mi balenò in mente, un’idea tanto folle da poter essere vera.

<<E’ un sogno!>>Gridai<<Uno stupido sogno, tu non sei Giuliette veramente e io sto solo dormendo>>.

La ragazza mi guardò spaventata <<cosa stai dicendo? Non è un sogno, non stai sognando>>, disse, stringendomi i bracci e cercando di calmarmi, ma io non le credetti, non poteva esistere una cosa così orrenda come l’essere riverso sul pavimento bagnato del sangue di mio padre.

<<Devo svegliarmi, non ce la faccio a resistere!>>, gridai, scaraventando via Giuliette, che batté la testa sullo spigolo della jeep di mio padre, perdendo i sensi.

Cominciai a battere la testa contro il muro come un folle, ma vedendo che non riuscivo ancora a svegliarmi, cominciai a darmi degli schiaffi fortissimi fino a farmi uscire il sangue dal naso, ma quando capii che non sarebbe servito a nulla, scoppiai a piangere e mi inginocchiai accanto a Giuliette, che si stava risvegliando.

Quando la ragazza riaprì gli occhi e mi vide, si ritrasse spaventata, ma la rassicurai, mi scusai e l’aiutai a rialzarsi, pulendole con un fazzoletto il sangue che le usciva da una ferita sul sopracciglio.

<<Ce ne devono essere degli altri, cerchiamoli>>, dissi, prendendo la mia mazza da baseball preferita dall’armadietto e mi avviai verso l’interno della casa, seguito da Giuliette, anch’essa armata di mazza.

Ne trovammo tre occupati a distruggere il frigorifero e a rosicchiare ossa che preferii non guardare, e li colpimmo fino a che non smisero di dibattersi e ad agitare gli artigli nell’aria. Altri due erano nel bagno e facevano uscire acqua bollente dal rubinetto, divertendosi un mondo: li uccidemmo tramortendoli e gettandoli nell’acqua bollente.

Quando credetti che li avessimo uccisi tutti, mi gettai sul divano e piansi, confortato da Giuliette, infine ci addormentammo entrambi, scioccati e spaventati, e fu la nostra fine.

Mi svegliai di soprassalto, non sentendo più il peso di Giuliette sulla mia spalla, e quando mi girai verso di lei, percorsi la sottile linea che ancora mi divideva dalla pazzia, la varcai e fui perduto.

La polizia mi ritrovò poche ore dopo, chiamata dai vicini che sentivano uno stranissimo odore uscire dalla casa, l’odore dei Gremlin: avevo preso i resti dei cadaveri dei miei familiari e di Giuliette e li avevo radunati come meglio potevo in soggiorno, canticchiando, infine mi ero seduto e li avevo osservati.

I cadaveri degli esseri, al contrario, erano tutti spariti, e la polizia non mi credette: mi chiusero in manicomio, mi misero la camicia di forza e mi chiusero in questa stanza buia e imbottita di materassi, perché non mi facessi male in alcun modo. Sono cinque anni che sono chiuso qua dentro. Mi danno da mangiare imboccandomi, non mi sento più le braccia e stare qui mi distrugge più di quanto mi risani. Un agenzia del paranormale sta cercando prove per tirarmi fuori, ma non è facile: quei bastardi sono più furbi di quanto non si possa pensare, così dice la ragazza che ogni tanto mi viene a trovare. Assomiglia tanto a Giuliette, ma non ho più voglia di provare affetto, per nessuno. Voglio soltanto andare fuori e vendicarmi, sterminare ogni Gremlin della terra. Non ho ancora capito se sia un altro incubo, ma voglio portarlo a termine.

E riposare in pace.

©Petrilli Niccolò

Aprile ‘99