Sugli avvenimenti della
rivolta del 1866, chiamata da alcuni anche del “sette e mezzo”, per i
7 giorni e mezzo in cui si svolsero gli avvenimenti, molto si è scritto,
a torto ed a ragione. Durò dal 16 al 22 Settembre di quell’anno e
coinvolse Palermo ed alcuni paesi della sua provincia, tra cui
principalmente Misilmeri.La insurrezione del 1866, non ebbe capi e fu
soprattutto anarchia di basso popolo. Le cause della rivolta sono
molteplici: il malgoverno, vessatorio, insensato dei dirigenti di allora,
la soppressione delle corporazioni religiose, la sconfitta delle battaglie
di Custoza e di Lissa, l’introduzione della leva militare obbligatoria,
l’applicazione fiscale, bestiale di tutte le leggi ed i regolamenti
piemontesi applicati in Sicilia, gli arresti dei genitori e delle sorelle
dei disertori di leva, e i ripetuti spadroneggiamenti delle autorità
militari, che in diversi momenti entrarono in conflitto a fuoco contro i
cittadini.Ma queste non sono soltanto che alcune delle cause di ribellione
che il popolo lamentava al malgoverno di allora. Misilmeri, come altri
comuni attraversava un periodo di transizione tra l’avvenuta unità d’Italia,
che aveva i suoi pro ma anche i suoi contro, e gli antichi ricordi
borbonici, tutto ciò causava gravi fratture tra il governo e i cittadini.
La rivolta ebbe inizio come già detto il 16 Settembre 1866, in alcune
borgate di Palermo di udirono ripetute detonazioni di armi da fuoco. La
notte successiva tali detonazioni si ripeterono e si estesero anche in
tutta la città. I Misilmeresi, che da tempo, ogni giorno, trafficavano
con Palermo, portarono in paese queste allarmanti notizie. I renitenti di leva, i disertori ed anche i
malviventi s’intesero tra loro e fecero un complotto a Misilmeri, per
assaltare il Carcere mandamentale e liberare tutti i detenuti. Attorno
alle 2 di notte, una banda capeggiata da Giuseppe Amato, si recò al
Carcere, impegnando un conflitto a fuoco col picchetto di guardia che
custodiva il carcere ed appena dopo poche fucilate, Amato venne colpito a
morte da i proiettili.Con questo omicidio cominciò la lunga serie di
sangue che di qua in avanti scorrerà a Misilmeri. L’Amato in quel
momento, a giudizio della popolazione misilmerese, venne considerato come
un vittima innocente dei tutori dell’ordine. Ciò fu di incitamento ai
malintenzionati di stringersi il lega per vendicarsi. Il secondo omicidio
avvenne il giorno dopo, il 18 Settembre, quando mentre due Carabinieri
stazionavano di sentinella, dinanzi la porta della caserma sita in via La
Masa, un certo Domenico Bono in stato di ubriachezza si avvicinò a loro
per disarmarli, ma i carabinieri spararono all’improvviso e l’uomo
morì sul colpo.
Il 19 Settembre accadde il terzo omicidio stavolta a danno di un
pacifico contadino di nome Nicolò Costa che passando con il proprio asino
dinanzi alla caserma, e vedendo le sentinelle che il giorno spararono al
Bono gli venne quasi istintivo, di guardarle con sguardo timido. Questo
sguardo fu interpretato dal Carabiniere Rappelli, quasi provocatorio e nel
suo istinto violento, sparò un colpo di fucile, che colpì alla testa il
povero Costa uccidendolo.
Con questo terzo omicidio da parte dei tutori dell’ordine,
in pieno centro abitato di Misilmeri, il grado di sopportazione dei
cittadini era arrivato ai limiti. L’indomani 20 Settembre, un’immensa
folla spontaneamente si radunò in Piazza Comitato, la piazza principale
del paese e commentando ognuno o a gruppi aspramente quei fatti di sangue,
cominciarono prima a gesticolare, minacciando anche vendetta contro i
tutori dell’ordine. Scrive il Pirrello” Pietro Gucciardi, Maggiore
della Guardia Nazionale di Misilmeri, a vedere questa forte reazione del
popolare in Piazza Comitato, compreso dell’imminente pericolo che
incombeva sui Carabinieri, onde evitare una strage, tentò di porsi come
paciere tra il popolo irato e i carabinieri. Il Gucciardi, testimone
oculare, salì in Caserma e chiese di parlare con il comandante dei
Carabinieri, il Maresciallo Grimaldi. Questi, intraprendente e borioso di
sé, alla richiesta fattagli dal Maggiore Gucciardi, a nome del popolo
misilmerese, cioè, per il momento di allontanarsi lui e tutti i
carabinieri dal paese, il Maresciallo Grimaldi, si sentì punto nel suo
orgoglio di Comandante, e riferì che la popolazione sita in Piazza
Comitato non gli faceva paura. Il Gucciardi, appresa la posizione del
Comandante, si allontanò mortificato dalla caserma, cosciente che da lì
in seguito sarebbe accaduto qualcosa di molto spiacevole.Il popolo udito
il messaggio, irruppe in una vicina casa dov’erano depositati i fucili
della guardia nazionale, né abbatté le porte e né uscì armato. Da quel
momento il popolo si avviò in direzione della caserma, e cominciò a
sparare i primi colpi di fucile, i carabinieri, accorti della situazione,
si difesero coraggiosamente e cominciarono a ferire parecchi rivoltosi,
ma, bloccati da tutte le parti e deficienti di munizioni da fuoco e di
viveri, si videro perduti e cominciarono a pensare alla loro salvezza,
cosicché sporsero un panno bianco in segno di capitolazione.Il conflitto cessò all’istante ed una torva
baraonda di armati si piazzava davanti alla caserma. Nel frattempo il
maresciallo Grimaldi con un suo collega riuscì a scappare dirigendosi
verso Marineo, ma, aperte le porte della caserma, per l’uscita di quei
due allora subito tutti i latitanti, e malfattori che istintivamente
odiavano i carabinieri, spiranti vendetta, si precipitarono a sparare all’impazzata
contro coloro che si erano arresi. E salme dei carabinieri giacquero
dentro la caserma, fino alla mattina del 21 settembre quando, Pietro Costa
tagliava la testa al carabiniere Rappelle, l’uccisore del fratello, e
col piede la spingeva fuori dalla caserma facendola rotolare per un breve
tratto.Terminata la
sanguinosa scena, suonarono le campane della Madrice per celebrarne la
vittoria. La testa del carabiniere infilzata su di un bastone, fu portata
anche in processione per i corsi principali del paese, tra lo schiamazzare
della popolazione. Sul far della sera di quel giorno, un comitato
improvvisato decise di non prolungare il truce spettacolo, facendo
rimuovere le sanguinanti spoglie, che deposte su dei carri, suscitarono al
loro passaggio orrore e pietà. Nessuna di queste vittime ebbe esequie
religiose ne furono annotati agli atti di morte.
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