Canto Artemide adorna delle auree saette...

Dea veneranda inseguitrice di cervi,

 saettatrice sorella di Apollo...

Inno omerico

 

 

 Artemide, per i Greci, o Diana, per i Latini, sorella gemella d’Apollo, fu adorata come dea della caccia e della luce lunare. Identica al fratello, anche lei era armata d’arco e frecce, con le quali cacciava o seminava pestilenze. Già da bambina conosceva quali sarebbero stati i suoi compiti e le sue scelte, infatti, non voleva ne crescere ne conoscere l’amore. Artemide è sempre stata una dea molto vendicativa, ed in modo particolare con Niobe, figlia di un sovrano dell’Asia e moglie del signore di Tebe. Niobe era una donna, la quale superbia non aveva limiti, aveva tutte le ricchezze, viveva in un ampio palazzo, ed aveva dodici figli tra cui sei maschi. Un giorno ella andò nel tempio dedicato a Latona, madre dei due dei e rimproverò le donne che bruciavano incensi sugli altari, perché Latona non era degna di risiedere sull’Olimpo con gli altri dei, visto che aveva saputo fare solo due figli, anziché lei che ne aveva fatto dodici. Latona adirata seguì tutta la scena e convocò subito i suoi figli, Apollo e Diana, con l’intento di andare a punire Niobe per la colpa commessa. La prima a vendicarsi fu Diana, la quale scoccò, una dopo l’altra, sei frecce, che silenziose solcarono il cielo notturno e trapassarono il cuore delle sei belle figlie di Niobe. Le ragazze, di giorno in giorno andavano perdendo il loro bel colorito roseo, i loro capelli mutarono da un nero lucente in un grigio cupo, i loro volti si riempirono di rughe, e dopo alcuni giorni morirono. Apollo non fece di meno, anche lui scoccò le sei frecce che uccisero gli altri sei figli di Niobe. Ormai disperata la madre iniziò a vagare in cerca di pace, fino ad arrivare in una montagna dove, talmente era il dolore che rimase li tramutandosi, grazie alla pietà di Zeus, in pietra da cui sgorgavano, come due piccoli ruscelli, le lacrime.   

 

Salve, o Luna dalle larghe ali!

Una luce splendente dal tuo viso si diffonde:

nella notte brillano i tuoi raggi e la corona d'oro;

bianca è la tua veste, bianchi i tuoi cavalli.

Salve, o signora dalle belle trecce!

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Omaggio a Diana, Annibale Carracci (1597-1602)