Per quanto possa sembrare banale, iniziare da Nietzsche questo resoconto su Dioniso, per le conseguenze che le sue teorie hanno avuto, non solo sul mondo della filologia, ma anche su quello dell'estetica, si impone come una scelta forzata.

Mi riservo però di citare, in primis, non quanto da lui detto ne La nascita della tragedia o negli scritti ad essa antecedenti ma quanto sostenuto in Ecce homo.

Innanzi tutto N. precisa:

"È un libro che ha agito e perfino affascinato proprio per ciò che aveva di sbagliato - per l'applicazione alla wagnereria, come se quest'ultima fosse un sintomo di ascesa. Appunto perciò questo libro fu un avvenimento nella vita di Wagner: solo da quel momento in poi si appuntarono grandi speranze sul nome di Wagner. Ancora oggi mi si ricorda, in mezzo al chiasso per il Parsifal, che proprio io ho sulla coscienza il fatto che una così alta considerazione culturale di questo movimento abbia oggi il sopravvento. - Parecchie volte ho trovato questo scritto citato come "La rinascita della tragedia dallo spirito della musica": la gente ha avuto orecchie solo per quanto offriva una nuova formula dell'arte, dell'intenzione, del compito di Wagner - perciò non sono stati a sentire ciò che di prezioso si occultava nel fondo di questo scritto. "Grecità e pessimismo": questo sarebbe stato un titolo non equivoco, cioè, un primo ragguaglio su come i Greci la fecero finita col pessimismo - per mezzo di che cosa lo superarono… Proprio la tragedia è la prova che i Greci non erano pessimisti: su questo punto, come su tutto il resto, Schopenhauer si è sbagliato. - Se la si prende in mano con una certa neutralità di spirito, la Nascita della tragedia ha un'aria molto inattuale; nessuno si sognerebbe di pensare che fu cominciata mentre tuonavano i cannoni della battaglia di Wörth. Ho meditato lungamente questi problemi nelle fredde notti di settembre davanti alle mura di Metz, quando facevo servizio di infermeria; si potrebbe credere, addirittura, che quest'opera sia stata scritta cinquant'anni prima. É indifferente alla politica - oggi si direbbe "non tedesca" -, ha un ripugnante odore hegeliano e solo in certe formule è impregnata del profumo di cerimoniere funebre di Schopenhauer. Un'"idea" - l'opposizione di apollineo e dionisiaco - tradotta in metafisica; la storia stessa vista come lo sviluppo di quest'"idea"; l'opposizione risolta in unità nella tragedia; in quest'ottica, certe cose che mai prima si erano affrontate venivano improvvisamente contrapposte, venivano illuminate e capite l'una per mezzo dell'altra… Due sono le innovazioni decisive del libro: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci - il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l'arte greca. L'altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico decadent… In tutto il libro, silenzio profondo, ostile sul cristianesimo, il quale non è né apollineo né dionisiaco; nega tutti i valori estetici - gli unici valori che vengono riconosciuti nella Nascita della tragedia: nel senso più profondo esso è nichilistico, mentre nel simbolo dionisiaco viene raggiunto il limite estremo dell'affermazione.

E ancora:

"In quale misura io avessi così trovato il concetto di "tragico", la conoscenza definitiva della psicologia della tragedia, l'ho spiegato da ultimo anche nel Crepuscolo degli idoli : " Il sì alla vita anche nei suoi problemi più oscuri ed avversi, la volontà di vita che nell'immolare i suoi esemplari più alti sente la gioia della propria inesauribilità - questo io chiamo dionisiaco, questo io ho inteso come ponte verso la psicologia del poeta tragico. Non per svincolarsi dal terrore e dalla pietà, non per purificarsi da una passione pericolosa per mezzo di una violenta scarica, questo è stato l'equivoco di Aristotele -: bensì perché, al di là di terrore e pietà, siamo noi stessi la gioia eterna del divenire quella gioia che comprende in sé anche la gioia nell'annientare…". In questo senso io ho il diritto di considerarmi il primo filosofo tragico - e cioè l'estrema antitesi e l'antipodo di un filosofo pessimista. Prima di me non esisteva questa trasposizione dell'elemento dionisiaco in un pathos filosofico: mancava la saggezza tragica - ne ho cercato invano un qualche segno perfino nei grandi Greci della filosofia, quelli dei due secoli prima di Socrate. Mi è restato un dubbio per Eraclito, nella vicinanza del quale sento più calore e mi sento di miglior umore che altrove. L'affermazione del flusso e dell'annientare, che è il carattere decisivo in un a filosofia dionisiaca, il sì al contrasto e alla guerra, il divenire, con rifiuto radicale perfino del concetto di "essere" - in questo io debbo riconoscere quanto di più affine a me sotto ogni aspetto sia mai stato pensato finora. La dottrina dell'"eterno ritorno", cioè della circolazione incondizionata e infinitamente ripetuta di tutte le cose - questa dottrina di Zarathustra potrebbe essere già stata insegnata da Eraclito. Per lo meno se ne trovano tracce nella Stoa, che ha ereditato quasi tutte le concezioni fondamentali da Eraclito".

I passi fin qui riportati rivelano, come già nel Tentativo di un'autocritica, l'approccio fondamentalmente nuovo che ha caratterizzato la stesura de La nascita della tragedia. Se Rhode, in risposta a Wilamowitz, sottolineerà come il testo di Nietzsche, volutamente, per una scelta metodologica radicale, sottintendesse un ricco repertorio di fonti, quella che mi sembra essere una caratteristica evidente del metodo nietzscheano è la volontà di operare un'analisi psicologica del fenomeno tragedia. È, in nuce, il manifestarsi di quel metodo che avrà un ulteriore, perfezionato sviluppo, in Genealogia della morale. Tale modalità di analisi troverà in Vernant e Detienne la definizione di psicologia storica. Dioniso ed Apollo, di là dalla loro deità, si configurano come istinti. [I]

La connessione fra tragedia e Dioniso, se, dopo un secolo di cultura nietzscheana, sembra ovvia, in realtà non lo è per nulla. Ora, traendo spunto dall'affermazione di Nietzsche che i Greci "la fecero finito con il pessimismo", risulta ovvio chiedersi cosa si debba intendere per pessimismo. L'esempio seguente mi sembra particolarmente significativo: Erodoto narra che Cleobi e Bitone, non disponendo di buoi, trainarono essi stessi il carro su cui sedeva la madre, per consentirle di assistere ad una festa di Era, per la distanza di quarantacinque stadi e che una volta giunti, alla richiesta della madre di donare ai figli il sommo bene, Era abbia risposto concedendo a loro la morte nel sonno.[II]Queste convinzioni,[III] comunque, non rappresentavano l'opinione dell'uomo comune che era attaccato alla vita e vedeva nella morte la sventura più grande. Ben più rappresentativo, delle concezioni comuni, proprio perché l'epos ha sempre una caratteristica collettiva - popolare, è l'Achille omerico che, conversando nell'Ade con Odisseo dice: "Vorrei lavorare la terra come bracciante, al servizio di un uomo povero e privo di risorse, piuttosto che regnare su tutti i morti". I sentimenti dell'uomo greco di fronte alla morte dipendono anche dal fatto che il pensiero dell'oltretomba, così come consacrato dai poemi omerici, non offriva alcun compenso ai mali della vita. Luogo riservato a coloro che sfuggivano al destino di morte erano i Campi Elisi. Trattasi di "un luogo che non è parte del regno di Ade, ma un paese sulla superficie della terra, destinato a dimora non già delle anime separate dai corpi, ma degli uomini le cui anime non si sono staccate dal loro io visibile: perché soltanto così possono avere sentimento e provare godimento della vita"[IV] (E. Rhode). Fra gli eroi, solo Menelao vi sarà ammesso, e non grazie a meriti acquisiti durante la sua vita terrena, bensì perché, essendo marito di Elena, è genero di Zeus e, pertanto, la sua condizione umana è particolare.

Ben presto cominciarono a diffondersi dottrine che promettevano ai mortali una sorte meno lugubre. Secondo l'Inno a Demetra (VII sec.), coloro che sono invitati ai riti misterici di Eleusi, nell'Ade, saranno felici. Che dietro i misteri di Eleusi campeggi la figura di Dioniso appare, oltre che in un passo delle Istmiche di Pindaro, dal seguente passo dell'Antigone sofoclea: "O tu dai molti nomi, gloria della sposa figlia di Cadmo e progenie di Zeus dal tuono possente, tu che proteggi l'Italia illustre e domini nelle valli a tutti comuni di Demetra Eleusina, o Bacco".[V] Gli effetti su coloro che hanno conosciuto i misteri, sugli "iniziati", sono descritti da un altro frammento di Sofocle:    " O tre volte felici quelli che vanno nell'Ade dopo aver contemplato tali misteri: difatti solo a essi, laggiù spetta la vita, mentre agli altri, laggiù tutto va male"[VI]. Ci troviamo di fronte, allora, ad una soluzione al pessimismo di cui sopra: la conoscenza misterica garantisce, "post mortem", una condizione migliore. Ma di che tipo di conoscenza si tratta? G. Colli la definisce "estatico-visionaria". La parola è dunque estranea al rituale eleusino[VII].

La figura di Dioniso, il cui culto è stato attestato per l'età del bronzo a Pilo e a Chania, rimase per lungo tempo al di fuori all'ambiente della polis proprio per il suo carattere misterico. I poemi omerici lo menzionano, anche se mai come dio dell'Olimpo: l'Iliade evoca il mito di sua madre Semele e la lotta del trace Licurgo contro il giovane dio e le sue nutrici[VIII]; in una similitudine si fa allusione alle folli ancelle del dio. Questo riserbo delle fonti, oltre al mito secondo cui il dio sarebbe giunto da Oriente, ha spinto gli studiosi a ritenere che Dioniso fosse stato introdotto in Grecia relativamente tardi: tale teoria fu elaborata soprattutto da Erwin Rhode. La sua interpretazione venne definitivamente confutata solo in seguito alla decifrazione dei testi in lineare B dove, in due tavolette trovate a Pilo, in Messenia, e in una terza ritrovata a Chania, a Creta, appare un Diwonusojo, figlio di Zeus, collegato al vino. I miti e i riti relativi a Dioniso, prima del suo ingresso nel pantheon greco, lo denotano come dio del disordine: Rhode dà, a tal proposito, una descrizione avvincente di ciò che poteva accadere durante una celebrazione dionisiaca. Le feste principali confermano questi aspetti del culto: nel mondo eolico le Agrionie, nell'area ionico-attica le Antesterie. Entrambe si svolgevano sul finire dei mesi invernali. Il segno più chiaro della portata destrutturante del culto dionisiaco è dato dalle menadi: figure femminili che, impossessate dal dio, distruggono la quotidianità della donna greca, ristretta, normalmente, nell'ambito dei ginecei. Il sovvertimento della quotidianità è anche un ribaltamento dei ruoli maschile - femminile. Le baccanti, non solo rifiutano l'amplesso desiderato dal maschio, ma lo sbranano: "la baccante, per non essere preda sessuale, diventa una cacciatrice che uccide. Il mito della nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus -nascita che rappresenta un parto maschile[IX]- lo pone già sotto l'insegna di un'ambiguità[X] che troverà poi nel travestimento da donna - sacerdotessa, utilizzato per il rientro a Tebe, un'ulteriore manifestazione [XI].

"Gli sbranamenti degli uomini per opera delle baccanti, ripetutamente testimoniati nei miti dionisiaci, sono la reazione della preda che azzanna il cacciatore, esprimono l'odio per il maschio" (G. Colli, La sapienza greca, I, pag. 375, 1[A 13]). Se il sovvertimento dei comuni ruoli sessuali caratterizza l'azione delle baccanti, Dioniso è sessualmente ambiguo come il Fanes orfico[XII]. La pittura vascolare offre numerosi esempi di menadi che, quasi ad ostentare un potere nei confronti del genere maschile, cavalcano muli eccitati sessualmente. La presenza del mulo è un riferimento esplicito al dio: secondo una tradizione l'animale va connesso con l'arrivo di Dioniso ad Atene. Una tradizione mostra come ad Atene le donne, in seguito ai fatti di Erigone, figlia dell'ateniese Icario, la quale, dopo la morte del padre, linciato da alcuni pastori che credevano di essere stati avvelenati col vino loro offerto, s’impiccò presso l'albero sotto il quale era stato abbandonato il corpo del padre, erano le vere titolari del culto dionisiaco[XIII].

In quella circostanza Dioniso punì gli Ateniesi con una strana forma di follia collettiva, che spingeva tutte le fanciulle ad impiccarsi a loro volta; e il flagello ebbe termine allorché, per consiglio dell'oracolo di Delfi, furono condannati i pastori colpevoli del misfatto e venne istituita una festa in onore di Erigone, nel corso della quale, le fanciulle si dondolavano su altalene.  Il padre di Erigone, Icario, passa come colui che introdusse in Atene, la coltivazione della vite. I miti che descrivono Dioniso come suscitatore di follia sono molti. La mitografia di Apollodoro descrive i seguenti avvenimenti:

1.  ad Argo fa impazzire le donne e queste, si mettono a divorare i figli;

2.  fa impazzire un manipolo di pirati che durante il viaggio a Nasso lo catturano con il proposito di venderlo. I pirati si gettano in mare e vengono trasformati in delfini;

3.  fa impazzire Ligurgo che uccide il figlio Driante;

4.  fa impazzire Agave che uccide il figlio Penteo[XIV].

Il testo dello (pseudo) Apollodoro, opera molto probabilmente redatta tra il II e III sec. dopo cristo si presenta come un'Enciclopedia dei miti greci, quasi un dizionario di una materia che aveva perso la sua valenza religiosa, ma attendibile risonanza di fonti più antiche. Un dato balza all'occhio immediatamente: la follia delle donne, molto spesso, come collettività di donne. Questo aspetto è stato sintetizzato da L.Gernet con un'unica frase: "il menadismo è cosa femminile"[XV] e Vernant, riprendendo il discorso, potrà dire: "la virtù religiosa che le qualifica ad avere, in quanto Baccanti, una parte predominante nel dionisismo è l'inverso di quell'inferiorità che le marca su un altro piano e che impedisce loro di partecipare - alla pari con gli uomini - alla direzione degli affari della città"[XVI]. Gli omicidi che si perpetrano a causa del dio sono violenti, sanguinosi, che ricordano i sacrifici umani pure attribuiti al culto dionisiaco[XVII]. Con riferimento al mito di Erigone e del rito "dell'altalena", mi sembra fondamentale rilevare che, per porre termine ai suicidi delle fanciulle ateniesi, sia stato necessario consultare l'oracolo delfico. Dobbiamo quindi supporre un intervento di Apollo? A mio avviso non è azzardato crederlo: già Rhode mette in risalto un altro caso, pur con tutte le differenze possibili, da quello sopra menzionato: " Già poesie esiodee narravano delle figlie dl re Preto di Tirinto che, colte da furore dionisiaco, avevano corso i monti del Peloponneso finché erano state guarite e purificate da Melampo, il celebre profeta di Pilo, insieme alle numerose dame che si erano accompagnate con loro. La guarigione era avvenuta per mezzo dell'aumento di eccitazione dionisiaca prodotto da grida di gioia, balli eccitanti e dall'applicazione di certi mezzi catartici. Melampo non abroga il culto di Dioniso e il suo entusiasmo, ma piuttosto lo regola e lo compie; perciò presso Erodoto egli può passare da fondatore del culto dionisiaco in Grecia. Inoltre, la leggenda conosce questo fondatore delle feste dionisiache come fervido seguace del culto apollineo; «particolarmente caro ad Apollo», da lui egli ha ottenuto il dono della preveggenza, diventato ereditario nella sua famiglia. In lui la leggenda presenta, in forma tipica, una conciliazione dell'elemento apollineo con il dionisiaco, conciliazione che è un vero fatto storico se anche non della storia più antica"[XVIII]. A Delfi, luogo in cui il dio Apollo aveva ucciso il mostro Pitone, rappresentazione probabile di una divinità ctonia soppiantata dal dio[XIX], il culto di Dioniso è attestato sicuramente nel V sec. ma la sua presenza deve riportarsi a tempi antecedenti[XX]. Kerényi dimostra come il culto di Dioniso precedette quello di Apollo in base a considerazioni sui calendari religiosi e un nutrito repertorio di fonti letterarie.  La statua di Apollo è rappresentata sul suo sepolcro, Dioniso, infatti, essendo figlio di Zeus e della donna Semele, non sfugge al destino di morte. Al di fuori delle attestazioni orfiche che narrano di Dioniso sbranato dai Titani[XXI],secondo altre leggende egli morì per mano di Licurgo o di Perseo. Un tema caro a G. Colli, quello dello specchio di Dioniso, ci viene dalla tradizione orfica. Secondo tale tradizione, il dio venne sbranato dai Titani nel momento in cui osservava la sua immagine in uno specchio. Il passo fondamentale è in Nonno, Dionisiache, 6, 172 - 173: "… con spada orrenda i Titani violarono Dioniso che guardava fissamente l'immagine mendace nello specchio straniante". Interessato ai problemi della conoscenza, G. Colli, dà la seguente spiegazione: "Lo specchio è il simbolo dell'illusione, perché quello che vediamo nello specchio non esiste nella realtà, è soltanto un riflesso. Ma lo specchio è anche simbolo della conoscenza perché guardandomi nello specchio io mi conosco. E lo è pure in un senso più raffinato, perché tutto il conoscere è portare il mondo dentro uno specchio, ridurlo ad un riflesso che io possiedo. E ora ecco la folgorazione dell'immagine orfica: Dioniso si guarda allo specchio e vede il mondo! Il tema dell'inganno e quello della conoscenza sono congiunti, ma soltanto così vengono risolti. Il dio è attratto dallo specchio, da questo giocattolo dove si mostrano immagini sconosciute e variopinte - la visione lo inchioda ignaro del pericolo - non sa di contemplare se stesso. Eppure quello che vede è il riflesso di un dio, il modo in cui un dio si esprime nell'apparenza. Specchiarsi, manifestarsi, esprimersi: nient'altro è il conoscere. Ma questa conoscenza del dio è proprio il mondo che ci circonda, siamo noi. La nostra corposità, il pulsare del nostro sangue, ecco, è questo il riflesso del dio. Non c'è un mondo che si rifletta in uno specchio e diventi la conoscenza del mondo: quel mondo, inclusi noi che lo conosciamo, è lui già un'immagine, un riflesso, una conoscenza. […] Solo Dioniso esiste: noi e il nostro mondo siamo un'apparenza mendace". La caratteristica della poesia orfica fu proprio il tentativo di unire la religione ad una speculazione filosofica. Rhode, che interpreta lo smembramento di Dioniso da parte dei Titani come la frantumazione, nel molteplice, della divinità Una, pur avendo qualche bella intuizione in relazione al significato simbolico dello specchio, ed è accattivante l'idea di un Narciso orfico, l'importanza di esso, è subordinata alla sua funzione.

Se precedentemente abbiamo potuto notare l'importanza delle donne, nei miti e nei culti relativi a Dioniso, ora dobbiamo mettere in risalto come, d'altra parte, le Grandi Dionisie ateniesi, furono prerogativa del maschio. Queste celebrazioni avevano luogo alla fine di marzo e, istituite abbastanza recentemente (sotto Pisistrato), erano dedicate a Dioniso Eleuterio." Si trattava di una grande festa nazionale che prevedeva la partecipazione di meteci ed alleati, e si celebrava alla presenza degli stranieri" (Frontisi Ducroux). Ora, in Atene, nessuna donna si oppose alla venuta del Dioniso Eleuterio ma furono i maschi, puniti con la condanna del priapismo, ad opporsi, in un primo momento, al nuovo dio e, in seguito, ad accettarlo. "Dopo il sacrificio dei tori sull'altare del dio, ai cittadini veniva offerto un lauto banchetto. In serata aveva luogo il kvmoV, cioè un corteo sfrenato e tumultuoso nel quale i maschi, molto probabilmente mascherati e travestiti, suonavano, danzavano e cantavano alla luce delle torce, abbandonandosi a lazzi e oscenità di vario genere ritualmente consentite. L'indomani avevano inizio gli agoni: dapprima si svolgeva quello dei ditirambi, canti in onore di Dioniso, che però potevano evocare diversi temi mitici, eseguiti da cori di adulti e di giovani che danzavano ritmicamente al suono del flauto. Seguiva per la durata di tre giorni l'agone tragico, col dramma satiresco e l'agone comico" (Frontisi Ducroux). Se l'affermazione di Aristotele che la tragedia avrebbe "avuto inizio da coloro che intonavano il ditirambo"[XXII]è vera e, se è vero che il ditirambo, in origine, era il canto che accompagnava i tori nel luogo del sacrificio, il termine tragedia è legato ad un altro animale sacrificale: il caprone.  La pittura vascolare, in taluni casi, ci mostra un bambino nell'atto di cavalcarlo, in un caso recante, in mano, dei grappoli d'uva. Di certo si tratta di raffigurazioni di Dioniso nell'atto di vincere, "domare", un nemico naturale della coltura della vite. Ma ecco che, anche in questo caso, il discorso si fa più complicato: infatti a Perinto abbiamo una tradizione sacrificale in cui l'uccisione di un capretto sta evidentemente a rappresentare il sacrificio del dio. L'oracolo di Perinto, una città sull'Ellesponto recita:" Dopo che Bacco, avendo gridato "Euoi", è colpito, sangue, fuoco e polvere si mischieranno". Ecco dunque un passo nuovo in cui il concetto Dioniso "pervade" quello di Bacco e del capro. Una sottintesa unità fa coincidere quindi l'animale sacrificato con il dio in onore del quale si sacrifica (anzi è il dio che comanda il sacrificio e, in qualche modo, lo esegue). "L'avvento dell'eroe dionisiaco, che era al tempo stesso il persecutore del dio, Dioniso e Anti-Dioniso in un'unica persona, doveva contraddistinguere la fase letteraria" (K. Kerényi). In questo superamento delle divisioni (sparagmòs è dunque divisione) Kerényi vi legge la partecipazione alla zoé.[XXIII], alla vita senza ulteriori caratterizzazioni. Il cerchio si sta chiudendo, non siamo forse di fronte allora al "come i Greci la fecero finita con il pessimismo"? A questo punto l'oltretomba omerico, con le sue immagini di diafane ombre, ci appare veramente lontano. Solo in seguito, in Ecce homo e nel Crepuscolo degli Idoli , Nietzsche riuscirà a definire alcune intuizioni che pur sono presenti ne La nascita della Tragedia. In relazione al pessimismo è dunque mediante la tragedia , espressione di un autentico dir di sì alla vita , quella "indistruttibile", che trova un superamento. "L'arte che ha l'attore di immedesimarsi nel carattere di un altro e di parlare e di agire come se fosse quest'altro, ha ancora sempre un oscurissimo legame con la sua radice prima, con quella trasformazione del loro essere che i partecipanti alle feste dionisiache notturne, quand'erano veramente eccitati, sentivano operarsi in sé durante l'estasi"[XXIV] (Rhode). Ecco delineata dunque una categoria psicologica ben precisa già menzionata nel presente studio: quella dell'altro. Nell'esperienza dionisiaca, nella sperimentazione dell'alterità "si manifesta l'ignoto" (Colli), i contorni del possibile sono ampliati in una dimensione temporale diversa, inusuale, dove il divenire è costitutivo dell'essere.

 


[I] Contrapposizione Omero - ArchilocoÕ oggettivo - soggettivo. Nietzsche, per spiegare il procedimento poetico dell'artista lirico ricorre a Schiller : " Da principio il sentimento è in me senza oggetto determinato e chiaro; quest'ultimo si forma solo più tardi. Precede una certa disposizione d'animo musicale, e solo a questa segue in me l'idea poetica". Qui la musica è elemento dionisiaco, la parola apollineo. "Quando Archiloco, il primo dei lirici greci, manifesta alle figlie di Licambe il suo amore furioso e insieme il suo disprezzo, allora non è la sua passione a danzarci davanti in orgiastica ebbrezza; vediamo Dioniso e le Menadi, vediamo l'invasato, inebriato Archiloco sprofondato nel sonno ed ecco che Apollo gli si accosta e lo tocca con l'alloro. L'incantesimo dionisiaco - musicale del dormiente sprizza ora intorno a sé come faville di immagini, poesie liriche, che nel loro dispiegamento più alto si chiamano tragedie e ditirambi drammatici…la lirica è altrettanto dipendente dallo spirito della musica, quanto la musica, invece, nella sua assoluta illimitatezza, non ha bisogno dell'immagine e del concetto, ma solo li tollera accanto a sé".Archiloco aveva usato nelle sue composizioni ritmi giambici e trocaici, i versi asinarteti, formati dalla giustapposizione di due elementi ritmici autonomi (cola), e la struttura epodica, costituita dalla successione di un verso più lungo ed uno più breve. Egli avrebbe introdotto anche la parakatalogé, una forma di recitativo sostenuto dal suono dell'aulos e l'accompagnamento non più all'unisono, ma ad intervallo di ottava. La produzione di Archiloco non fu solamente solistica: egli stesso afferma di aver composto ditirambi: "Io so intonare il bel canto del signore Dioniso, il ditirambo, quando sono folgorato nell'animo dal vino"  (D fr.77).

[II] Erodoto, I.31

[III] cfr. Teognide I. 425-28; Sofocle, Edipo a Colono, 1224-1228.

[IV] Erwin Rhode, Psiche, pag. 72.

[V] Sofocle, Antigone1115-1121.

[VI] Sofocle, fr. 837.

[VII] Cfr. G. Colli, La sapienza greca, commento a 3[A 1], pag. 381

[VIII] Iliade, 6.130-140

[IX] "Zeus toglie immediatamente dal corpo di Semele, che si sta consumando a poco a poco, il piccolo Dioniso, si opera un taglio in una gamba, la apre, e trasforma la sua coscia in un utero femminile per ospitarvi il piccolo, che in quel momento è un fanciullo di sei mesi. Così Dioniso sarà doppiamente figlio di Zeus, sarà il "due volte nato". Giunto il momento della nascita, Zeus apre la sua coscia e Dioniso ne esce, così come era stato estratto dal ventre della madre", Jean Pierre Vernant, L'universo, gli dei, gli uomini.

[X] "A tempo debito Zeus scioglie le cuciture, fa nascere Dioniso e lo affida ad Ermes. Ermes lo porta da Ino ed Atamante e li persuade a crescerlo come se fosse una fanciulla", Apollodoro, Biblioteca II, 4 28.

[XI] "E attraversando tutta la città scovate lo straniero dalle forme femminili che porta una nuova malattia nelle donne e oltraggia i matrimoni", Euripide, Baccanti 352 - 354. "E io credo davvero che ora esse, come uccelli, entro i cespugli si stringano nell'amore, serrate dalle trappole più piacevoli", Euripide, Baccanti 957 - 958. È di rilievo la terminologia specifica della caccia.

[XII] Cfr. Apione in  Clemente Alessandrino, Omilie Romane 6,5.

[XIII] "Ogni  particolare della tradizione viene spiegato da questa ricostruzione dei fatti. Il ruolo più tremendo è assegnato dai mitografi più antichi (quelli che nella letteratura precedono Eratostene) alla mitica compagna del dio, Erigone. A giudicare dal suo nome, che significa "colei che è nata all'alba", essa deve essere stata un aspetto della Grande Dea di Brauron che, sotto il nome di Artemide era la dea della luna Nella sua prima fase essa sorge all'alba, invisibile o quasi, ma non per questo accolta con minore venerazione. Per tale motivo Erigone, nella genealogia degli eroi che rivendicarono per sé il palcoscenico tragico, diventò una figlia di Clitennestra e di Egisto, sorellastra di Ifigenia e doppione della medesima dea. Così, al pari di Ifigenia , che a Brauron le ragazze veneravano come eroina, essa fu prescelta da Artemide, in una tragedia tarda, come propria sacerdotessa in Attica. Era dunque la dea di Brauron, che in uno dei suoi aspetti accompagnò Dioniso al suo arrivo in Attica. Fu inclusa nel suo mito, a cui apparteneva la parte di una donna divina, la parte di Arianna, un misto di gioia e dolore. A questa parte conveniva il suo aspetto di  Alêtis, in quanto nei miti arcaici la dea della luna era vista come dea "errante". Il vagare di Erigone terminava, durante le festività dionisiache di Atene, nel Giorno delle Brocche,con la festa dell'altalena. Il fatto che questa festa segnasse la fine del suo vagare risulta chiaro dal mito degli Icari, in cui Erigone, secondo un'interpretazione sinistra dell'atto del dondolare, pose fine alla sua vita impiccandosi all'albero che era cresciuto dal cadavere di Icario. Ad Atene le fanciulle si lasciavano dondolare su sedili sospesi per aria. Anche ai bambini era consentito di dondolarsi imitandole, perché in quel giorno, il "giorno delle brocche di vino", essi imitavano tutto quanto accadeva pubblicamente nella grande festa dionisiaca. Tuttavia quella era e rimase sempre una festa delle vergini" (K. Kerényi, Dioniso, pag. 155).

[XIV] Quanto fosse conosciuto il mito delle Baccanti viene attestato inequivocabilmente da uno storico: Tacito. Negli Annales, infatti troviamo: "At Messalina non alias solutior luxu, adulto autumno simulacrum vindemiae per domum celebrabat. Urgeri prela, fluere lacus; et feminae pellibus accinctae adsultabant ut sacrificantes vel insanientes Bacchae; ipsa crine fluxu thyrsum quatiens, iuxtaque Silius hedera vinctus, gerere cothurnos, iacere caput, strepente circum procaci choro. Ferunt Vettium Valentem, lascivia in praealtam arborem conisum, interrogantibus quid adspiceret, respondisse tempestatem ab Ostiam atrocem, sive coeperat ea species, seu forte lapsa vox in praesagium vertit"; "Messalina, intatnto, scioltasi ad ogni sfrenatezza, essendo ormai autunno avanzato, celebrava in casa sua  una rappresentazione delle feste della vendemmia. Si premevano torchi, riboccavano di vino i tini, e donne cinte di pelli danzavano come folli Menadi nel rito di Bacco; la stessa Messalina, sparsa la chioma, agitava pazzamente un tirso ed accanto a lei Silio incoronato d'edera e calzato di coturni agitava il capo, in mezzo alle grida folleggianti di un coro sfrenato e procace. Si narra che Vettio Valente, salito su di un alto albero, per fare uno scherzo allegro, a coloro che lo interrogavano che cosa vedesse rispose che vedeva venire in avanti da Ostia una terribile tempesta, sia che realmente si fosse già affacciata una tale visione, sia che quelle parole gettate là a caso avesse poi mutato in profezia", Tacito, Annales XI, 31 (Trad. di Bianca Ceva, Ed. BUR). Tutta la vivacità della descrizione e l'episodio di Vettio Valente, la cui analogia con Penteo mi sembra ben chiara, ricordano Euripide anche nei termini.

[XV] L. Gernet, Dionysos et la religion dionysiaque in "Revue des etudes Grecques", 1953, pp. 337 - 395.

[XVI] J.P. Vernant,Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi PBE, pag.363.

[XVII] Cfr. Rhode, Psiche, pag. 379 e n.

[XVIII] Rhode, Psiche, pag. 384-386 e n.

[XIX] A tal proposito è interessante l'etimologia di alcuni termini che riconducono alla tradizione mitica di Apollo a Delfi:

delfiV= delfino; delfoi= Delfi; delfix=Tripode; PuJaeuV= Nome di Apollo a Lindo; PuJaiV= missione sacra inviata a consultare Apollo Pitico; PuJia= giochi pitici; PuJioV= Pitico; PuJw= far imputridire, marcire; PuJwn= Pitone (Crf. N.T.,Pneuma PuJwnoV= spirito profetico); PunJanomai= ampliato dalla radice PuJ= apprendere. Pytho, lat.= nome più antico della Focide, ai piedi del Parnaso, dove sorgeva la città di Delfi, più tardi nome della città stessa (Delphica Pytho: Tibullo, 2,3,27).

[XX] Cfr. Callimaco, fr. 643; Euforione, fr. 13: "E anche Dioniso era onorato a Delfi assieme ad Apollo, come segue. I Titani consegnarono ad Apollo- suo fratello- le membra di Dioniso che avevano sbranato, gettandole nel lebete. E Apollo le accolse accanto al tripode, come dice Callimaco. Ed Euforione dice: nella coppa gettarono Bacco celeste, sul fuoco" (Schol. Lycophr.  207).

[XXI] Clemente Alessandrino, Protrettico 2, 17-18: " I misteri di Dioniso sono difatti assolutamente inumani. Intorno a lui  ancora fanciullo si agitano in una danza armata i Cureti, ma i Titani si insinuano con l'astuzia: dopo averlo ingannato con giocattoli fanciulleschi, ecco che questi Titani lo sbranarono, sebbene fosse ancora un bambino, come dice il poeta dell'iniziazione, Orfeo il Tracio:

la trottola, il giocattolo rombante e rotante, le bambole phieghevoli e le belle mele d'oro delle Esperidi dalla voce sonante.

E non è inutile menzionarvi come oggetto di biasimo i simboli inutili di questa iniziazione: l'astragalo, la palla, la trottola, le mele, il giocattolo rotante e rombante, lo specchio, il vello". Nonno, Dionisiache, 6, 172-173: "…con spada orrenda i Titani violarono Dioniso che guardava fissamente l'immagine mendace nello specchio straniante".

[XXII] Aristotele, De arte poetica, IV, 1449.

[XXIII] K. Kerényi, Dioniso, pp. 295.

[XXIV] Rhode, Psiche pp. 378.


 

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