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CASA DELLA MEMORIA - SERVIGLIANO
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campo servigliano

1915-1955 – Campo di Concentramento di Servigliano (Fermo)


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Prigionieri nel campo di Servigliano


campo servigliano

Veduta del Campo di Servigliano


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CONTADINI E PRIGIONIERI

Quando la sera dell’8 settembre 1943 venne annunciato l’armistizio, sul suolo italiano si trovavano circa 80.000 prigionieri alleati, i quali erano stati catturati nel deserto nord africano.
Essi erano reclusi in 70 campi ed ospedali militari disseminati su tutta la penisola. L’indecisione del Re e dei comandi militari si ripercosse su tutta la nazione fino ai comandanti dei singoli campi.
Che dovevano fare con i prigionieri, rilasciarli o trattenerli?
Nessuno poteva prevedere gli sviluppi della guerra. Gli alleati che erano sbarcati in Sicilia, avrebbero presto risalito lo stivale e liberato tutti i campi? E che dire dei tedeschi?
In verità giunsero degli ordini, ma questi erano alla fin fine contraddittori e nella confusione dei giorni seguenti, la decisione sul da farsi ricadde, in larga misura, su singoli uomini.
Mentre circa 50.000 prigionieri alleati vennero caricati su treni merci diretti in Germania, in una minoranza di campi si decideva di scappare in massa.
A Servigliano, l’uomo del destino si chiamava Capt. John Harold Derek MILLAR, un ufficiale medico, il quale senza tentennare prese su di sé la responsabilità per l’intera evacuazione del campo: era la sera del 14 settembre 1943.
Per duemila uomini reclusi nel campo iniziò una nuova avventura.
Da quel momento in poi si sarebbero trovati a chiedere cibo e protezione ai loro supposti nemici.
Anche se non mancarono casi di delazione alle autorità, che avevano promesso L. 5.000 a chi consegnava un fuggiasco, è però vero che lo strato più basso della popolazione italiana, cioè la gran massa dei contadini mezzadri, si fece carico degli ex prigionieri evasi dai campi.
Un contadino di Penna San Giovanni, che faceva parte di una famiglia di 30 persone, ha raccontato:

“ I prigionieri di guerra alleati usciti dal vicino campo di concentramento di Servigliano si riversarono sulle nostre colline. Malgrado la nostra povertà non mancavamo di aiutare a nascondere questi poveri poco più che ragazzi, in paese straniero, con lingua diversa benché nemici di poco tempo prima. Li nascondevamo nei pagliai o nella macchia, portavamo loro da mangiare e fu diviso con loro … il pane che non c’era! Anche i bambini della famiglia hanno rischiato tanto. Erano loro che portavano da magiare ai fuggiaschi perché insospettabili. Il rischio era forte: fucilazione o davano fuoco alla casa”.
(Intervista a Giuseppe Paoletti, rilasciata ad Antonio Millozzi nel marzo 2008)

… Chi legge oggi la vastissima diaristica che gli ex-prigionieri hanno lasciato trova in quei diari un filo conduttore: sono le espressioni di gratitudine verso i contadini. Un’altra cosa che colpisce il lettore è il fatto che nei dattiloscritti originali in lingua inglese compare spesso in italiano la parola contadini perché tra questi e i prigionieri in fuga si instaurò immediatamente un rapporto di amicizia tanto che i prigionieri si sentirono in un certo senso adottati dalle famiglie che li ospitavano.

“I contadini erano stati buoni verso di noi; oltre alla loro amicizia, essi avevano veramente poco da offrire. Se noi ci fermavamo presso di loro, temevano per se stessi, ma non ci forzavano ad andar via, promettendo anzi di prendersi cura di noi, di sfamarci e nasconderci dal nemico. Che grande generosità c’è in questo mondo, in mezzo all’odio, alle follie e ai combattimenti.”
(Peter Watson, Mountain Highway, dattiloscritto inedito s. d., archivio del Monte San Martino Trust, Londra.)

I dati rilasciati nel dopoguerra dalla Commissione Alleata (Allied Screening Commission) confermano che le regioni dell’Italia centrale furono quelle che dettero maggiore aiuto ai prigionieri in fuga. In particolare, per quanto concerne le Marche, questa regione si trovò ad essere una terra di transito attraversata da migliaia di prigionieri che scendevano dal nord nella speranza di raggiungere le linee alleate. Questi andavano a sommarsi alla popolazioni di prigionieri locali fuoriusciti dai campi di Servigliano, Sforzacosta e Monte Urano. Il maggiore Fosters Hewitt, uno dei responsabili della Commissione Alleata, nel rapporto finale del maggio1947, concluse:

“Una base di solidarietà ed amicizia si è creata ed in particolare con l’enorme massa di contadini. Se questa base sarà tenuta viva o sarà lasciata sgretolarsi è una questione che va al di là dello scopo di questa Commissione. […] La speranza è che questo lavoro che ha realizzato così tanto, non sarà in futuro dimenticato negli scaffali diventando una memoria sbiadita.”
(The National Archive, Londra, Cartella WO 208/3397)

La realtà ha dimostrato che le preoccupazioni del maggiore Fosters erano infondate, l’amicizia tra i contadini e i prigionieri è durata al di là di ogni aspettativa. Lo dimostrano le frequenti visite che i prigionieri hanno fatto nel dopoguerra. Quando loro non sono più potuti venire a causa dell’età avanzata, allora sono venuti i figli e i nipoti a dire grazie.


CAPITANO MILLAR, John Harold Derek (98370)
R.A.M.C. (Royal Army Medical Corp) affiancato alla 19° ambulanza da campo della 4° Divisione

Il Capt MILLAR fu catturato ad ovest di ACROME (Nord Africa) l’11 dicembre 1941, poi tradotto via DERNA a BENGASI e via mare a BARI, per essere infine internato nel campo PG 59 di SERVIGLIANO. In questo campo il Capt MILLAR esercitò la sua professione di medico.
Dopo l’armistizio, su suggerimento del sottufficiale responsabile dei prigionieri HEGGARTY e in pieno accordo con gli altri ufficiali, il Capt MILLAR assunse il comando del campo. Si adoperò quindi per organizzare la fuga dei prigionieri. Diede ordine ai suoi uomini di dividersi in piccoli gruppi guidati da un leader. Il Capt MILLAR diede inoltre l’ordine di distribuire il contenuto dei pacchi della Croce Rossa insieme al vestiario e agli stivali in giacenza. Completare queste operazioni, il Capt MILLAR si procurò una mappa e ordinò ai sottufficiali del campo di fare quante più copio possibili. Nel frattempo organizzò eventi sportivi e concerti per tenere i prigionieri occupati.
Quando si seppe che i tedeschi erano vicini, la fuga fu condotta come stabilito in precedenza. Nel campo furono lasciati solo i prigionieri malati. L’Ufficiali medico Capt ROSSI, che era un buon dottore, promise di prendersi cura di loro.
Il Capt MILLAR fu tra gli ultimi ad abbondare il campo e raggiunse le linee alleate il 19 novembre 1943. Il Capt medico MILLAR gestì la situazione venutasi a creare nel campo di Servigliano, dopo l’armistizio, in maniera esemplare. (The National Archive, Londra, file 373/63 p. 391. Motivazione per l’assegnazione al Capt medico MILLAR di un M.B.E. – member of the British Empire – onorificenza data dallo Stato Inglese per alti meriti civili o militari).

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