UN POMERIGGIO ROMANO CON…
ALESSANDRA MONTRUCCHIO

…presents: "MACCHIE ROSSE"

In un caldo pomeriggio romano incontro Alessandra Montrucchio, per una volta non nella veste di sfegatata fan degli Alpha ma in qualità di giovane scrittrice emergente… 
Un mese e mezzo fa circa, durante un meeting pizzaiolo col Bertucchio Office (in visita di cortesia nella mia città di origine!) ho lanciato l'idea, naturalmente per ridere, di preparare un'intervista alla Montrucchio sulla sua attività di scrittrice. Ora, se la mia capacità di scrivere rasenta l'asfalto, quella di intervistatore probabilmente è in viaggio per il centro della terra; nel momento in cui ho formulato la proposta pensavo avrei sollevato una bella risata. Invece la Bertaggia, illuminandosi in volto stile Paperon de' Paperoni quando gli si prospetta un guadagno (solo non è comparsa la $ negli occhi), ha subito pensato che avrebbe potuto essere un'ottima idea (però senza specificare per quale fine - e ciò mi insospettisce non poco…), e così eccomi calato nei panni di un Lillo Gruber in erba. Pensare le domande è stato un po' faticoso, non volevo realizzare un'intervista scontata ed ero convinto di essere comunque riuscito ugualmente nell'intento che volevo evitare… Invece devo dire che è stata una cosa simpatica! Mi sono divertito e alla fine la qualità delle domande non è stata davvero rilevante (alla Montrucchio sono pure piaciute… mah!); determinante è stata la disponibilità della nostra, che si è abbastanza aperta alle varie questioni…


Save: Ciao Alessandra! 

Ale: Ciao!

S: Iniziamo l'intervista… Spero che le domande non ti sembrino sceme, è la mia prima esperienza come intervistatore!

A: Vai… mi fido di te!

S: Mamma mia, sono edificato da tanta fiducia… Cominciamo appunto con una domanda scema: fammi una breve presentazione della tua persona, descriviti in tre aggettivi (o anche di più, se vuoi…)

A: Logorroica, ipercritica e un po' monotematica, paranoica!

S: In che senso "monotematica"?

A: Nel senso che tendo a fissarmi per un certo periodo su una determinata cosa o persona ed è difficile che riesca a "scollarmene"; in questo senso sono monotematica.

S: Ok, descrivi ora il tuo ultimo romanzo in tre aggettivi.

A: Direi corale, nostalgico e dolceamaro.

S: Di nuovo: perché "dolceamaro"?

A: Perché c'è una prima parte in cui si descrive la vita di una ragazza qualunque durante le sue vacanze al mare, la storia con un ragazzo verso il quale deve capire se prova amicizia o amore, quindi una parte dolce; ma emerge a tratti e in modo progressivamente crescente, per poi sfociare nel finale, l'amarezza, che domina "Macchie rosse".

S: Che cosa rappresenta questo tuo ultimo romanzo per te, umanamente parlando?

A: "Macchie rosse" è il romanzo a cui sono più legata, anche se non sono sicura che sia il più riuscito, perché è una storia sulla quale mi cimento dal 1989. Nonostante questo sia un lavoro in cui non mi identifico, neanche nella figura della protagonista, e che nessuno degli avvenimenti raccontati siano realmente successi né a me né a miei amici, è il mio libro più autobiografico, perché racconta tutte le emozioni, tutto il clima sentimentale che ho vissuto da adolescente. Ho scritto questo libro per cantare la mia adolescenza e il luogo che l'ha resa unica. Dovrebbe rappresentare l'epopea della mia adolescenza. Erano molti anni che volevo scrivere di questo posto di mare dove ho vissuto delle estati determinanti quanto a formazione e dove sento molto le mie radici, pur non essendo la città in cui sono nata e cresciuta. Ho iniziato questo romanzo nel 1989 e devo ammettere di non sapere quante versioni diverse come intreccio e come finali possa avere scritto, perché non riuscivo mai a metterci davvero il sentimento di quegli anni…

S: Non ti sentivi soddisfatta?

A: No, infatti. In questo senso questo è davvero il romanzo della mia adolescenza, anche se non racconta di fatti successi o persone esistite davvero.

S: Ed artisticamente che cosa rappresenta?

A: Artisticamente credo rappresenti la chiusura di un ciclo, nel senso che è il terzo di tre libri connessi fra loro da un legame forte, rappresentato dalla tipologia di personaggi, di tematiche… con questo romanzo si chiude un cerchio, dal prossimo devo veramente cambiare tematiche: è tempo di affrontare altre vicende, altre storie.

S: Quale è stata la tua fonte di ispirazione principale? E le altre?

A: Ciò che mi ha messo voglia di scrivere è stato il luogo, Lido di Spina, e fondamentalmente un ragazzo che avevo conosciuto là e con il quale avevo avuto una breve storia durante un'estate. Ferii molto questo ragazzo; ero ragazzina e a quell'età si fa molto in fretta a far male alle persone senza averne coscienza immediata. Poi è morto…

S: E' il "Joe" a cui il libro è dedicato?

A: Sì. E' morto nel 1992 in un incidente in macchina. E' stato uno dei più grandi dolori della mia vita e anche uno dei più grandi rimorsi. Può sembrare stupido, ma mi sarebbe piaciuto chiedergli scusa per quanto gli avevo fatto quando eravamo ragazzini.

S: Quindi questo romanzo lo hai scritto anche per raccontare di lui…

A: Sì anche, e per esorcizzare il dolore. Se ora torno a Lido di Spina per due o tre ore mi prende un'euforia pazzesca, mi accorgo che non è cambiato quasi niente degli ambienti; poi però viene la malinconia nell'accorgermi che sono cambiate le persone, i posti di ritrovo. Se poi vado al Campiello, il residence dove abitavano Joe e gli altri amici, dove peraltro non stavo io, vedo le case bianche e mi sembrano lapidi di un cimitero; penso a Joe che è morto. E' questa l'impressione che mi dà oggi Lido di Spina.

S: Ci torni spesso?

A: No.

S: Per scelta?

A: Per vigliaccheria. (Sospira, ndr). 

S: Ok… altre ispirazioni?

A: Un'altra ispirazione è stato Marian (il cantante del gruppo tedesco Alphaville, ndr) che quando ero ragazzina è stato un sogno; anche Marinella aveva bisogno di un sogno e in questo senso Marian mi ha orientata. Poi ci sono ispirazioni letterarie; per me in particolare uno scrittore americano, Hubert Celby Jr., l'autore di "Ultima fermata a Brooklin", che ha influenzato la forma dei miei dialoghi.

S: Una breve storia della stesura…

A: "Breve" sarà difficile, perché è stata una gestazione molto lunga. Nell'estate del 1989 ho scritto il nucleo. Avevo 19 anni…

S: Fino a che età hai frequentato Lido di Spina? 

A: Fino a 17 anni.

S: Quindi eri già nel periodo di distacco…

A: Sì. Però Lido di Spina per me è sempre stata centrale; il mio primo romanzo lo scrissi a 14 anni, voleva essere una storia d'amore (con Marian, ndr) ambientata a Spina, quindi da sempre volevo scrivere di quel luogo. Il nucleo che scrissi nel 1989 non era concluso, però c'era. La prima stesura completa risale al 1992, quando è morto Joe; l'ho ripresa nel 1994, mentre quella definitiva l'ho scritta fra il 1996/7 e il 1999. 

S: Quali difficoltà hai incontrato?

A: Non veniva mai fuori quello che volevo davvero trasmettere, prova ne è l'elaborazione lunga. Rileggevo i capitoli e mi dicevo: <Questo non è quello che voglio esprimere>. Poi mi sono accorta che sarei andata avanti all'infinito e ho detto basta… dopodiché è venuto il momento di consegnarla. 

S: Alcune parti descrittive sono davvero belle… conta di più l'ispirazione che ti fa scrivere di getto o la rilettura e la correzione successive?

A: Diciamo che la risposta è a metà strada. Quando mi viene da scrivere qualcosa significa che parecchi meccanismi si sono già messi in moto dentro di me; anche la prima scrittura "di getto" non è stata poco meditata, avevo già in mente quello che volevo dire. Ogni tanto si verificano situazioni in cui scrivi e la penna è come se si inceppasse, non va più avanti. Quando la penna incontra il pensiero, è il momento di scrivere; ma alle spalle c'è già sempre una meditazione. Poi c'è un lavoro, anche piuttosto lungo, di revisione. 

S: E rispetto al nucleo del 1989 cos'è cambiato?

A: Sicuramente la forma; la protagonista, che nel 1989 era la sottoscritta; inoltre ci sono molti più personaggi. Inoltre, lungo le varie stesure, è cambiato il senso. Se rileggo ora quello che avevo scritto negli anni '90 il tema era "cogli l'attimo", vivi la tua vita fino in fondo nel momento in cui la vivi. Scrivendo l'ultima versione mi sono accorta che il tema era diventato la fine della giovinezza; era un'altra cosa. Forse ha giocato la diversa maturità, nel frattempo erano passati un po' di anni.

S: Quanto ti sei "messa in gioco", quanto hai messo di te stessa? 

A: Cosa vuoi sapere esattamente?

S: Cosa hai messo della tua persona, di quello che sei…

A: Questa cosa viene fuori ogni volta che scrivi; quando vuoi scrivere bene, dando del tuo meglio, devi avere il coraggio di guardarti dentro con onestà, fino in fondo, con molta sincerità. Questo non è semplice, per due motivi: primo, arrivare a guardarsi fin nel profondo non è facile; secondo, è a maggior ragione complicato scriverlo, esplicitarlo. Finché lo pensi, dopo puoi anche dimenticartene; quando lo scrivi rimane. Non sempre ci si riesce… in questo senso penso di essermi messa molto in gioco, è una cosa molto personale.

S: Ti ritrovi in/ti senti vicina a qualche personaggio particolare? 

A: A Luca, perché ha qualcosa di mio: il fatto di sentirsi sempre inadatto alle situazioni, di non esserci mai del tutto dentro. In lui la cosa è più evidente rispetto a me perché è molto più timido di me, ma di per sé questa è una cosa che provo frequentemente, e che quindi ci accomuna. Inoltre è un personaggio pervaso di inerzia, non è un ragazzo che "fa", piuttosto osserva e scrive. Anche io sono così, non nel senso che sono pigra, quanto piuttosto che non prendo molte posizioni, cerco un po' il "quieto vivere"; osservo, macino e scrivo. 

S: Qual è il messaggio di fondo, la filosofia che permea la storia?

A: Che si cresce, anche se non piace. E che è molto facile crescere male.

S: Nel senso che gli eventi portano ad una maggiore probabilità di crescere male o perché si decide di crescere così?

A: Credo nel senso che ci si lasci crescere male. Per crescere bene mantenendo quanto di più bello hai nell'adolescenza ci vuole molta attenzione su se stessi e su chi ci sta attorno e ci vuole anche molta consapevolezza, ciò che non si ha quando si sta crescendo. Le cose capitano rapide e molte volte non si ha tempo o voglia di riflettere su quello che capita; poi ci si ritrova adulti avendo fatto le scelte giuste, che non si sarebbero fatte se ci si fosse guardati davvero in faccia… si è cresciuti male, insoddisfatti della propria vita, infelici e si rende infelice il prossimo.

S: In particolare, la visione della vita che ne esce non è molto positiva…

A: Beh, sono una persona abbastanza pessimista per natura. Credo che uno dei grandi difetti della nostra epoca sia che siamo troppo disincantati per appassionarci alle cose. Siamo indifferenti, pigri, inerti; "ci lasciamo fare", lasciamo che tutto accada… si hanno talmente tanti impegni, tanti input e cose da fare che comprensibilmente non si ha tanta voglia di mettersi in gioco, di essere continuamente sinceri e allora si delega… trovo sia un nostro grande limite.

S: Tutta la storia mi pare immersa in un'atmosfera di ricordo, una specie di malinconia da "tempi perduti" la permea. E' un'impressione corretta? (la cosa è evidente soprattutto nell'ultima parte).

A: Sì, non a caso prima ho parlato di nostalgia. Non volevo scrivere un libro nostalgico, volevo che questa nostalgia emergesse alla fine, per cui ho scritto tutta una prima parte in prima persona e al tempo presente sperando che in qualche modo sembrasse scritta in quell'anno, in presa diretta; e una seconda parte più riflessiva, più amara, che facesse riflettere sulla prima, e che la trasformasse un po' nella memoria. E' un'impressione corretta, perché il tema della malinconia c'è; non che i tempi passati fossero necessariamente belli, infatti capitano anche cose brutte, ma erano tempi in cui era possibile crescere in modo diverso. Forse è il rimpianto dell'occasione perduta, delle potenzialità accantonate senza neanche rendersene conto, della soglia che ciò rappresentava nella propria esistenza. 

S: Quale significato ha il titolo? Quale significato ha il fatto che entrambe le parti del libro terminino con un riferimento esplicito al titolo? Si può dire sia in qualche modo un "leit motiv"?

A: Sì, anzi in ogni giornata c'è una macchia rossa. Non è il morbillo (ride, ndr); rappresenta sempre un istante di rivelazione. In ogni giornata c'è una macchia rossa che è il momento determinante della giornata, in cui si rivela qualcosa, in cui c'è un istante di verità o semplicemente di grande intensità vitale, emotiva: il giorno dell'aborto di Lucrezia la macchia rossa è il suo sangue, il giorno in cui Ale balla la macchia rossa è sulla sua camicia, il giorno in cui Marinella parla con Luca la macchia è il neon rosso dietro di lui che gli illumina i capelli… sono i momenti clou delle giornate, sono delle epifanie, nel bene e nel male.

S: Interessante… Quale "spessore" hanno le figure di Alessandro e di Marinella? (oltre il fatto che quest'ultima è una che si "diverte"… ( ).

A: (ridacchia… ndr) Marinella è una ragazza media, una in cui la ribellione significa farsi un po' di ragazzini, cose molto facili… non va neanche tanto bene a scuola… ma se ne rende conto anche lei. E' una qualsiasi, ma non stupida, per cui nonostante questa sua immaturità, queste finte ribellioni è una che vede abbastanza bene le cose come stanno e le vive con un certo divertimento ed una certa ironia - spero… E' una testimone del suo tempo - di quell'estate - ma non più elevata, non migliore del suo tempo, però ne è relativamente consapevole, anche suo malgrado… Alessandro è, per me, la giovinezza, ne è la personificazione, in senso eterno: la condizione da cui tutto è possibile. Giovinezza è quella condizione in cui tutto può ancora essere e Alessandro può essere tutto, perché ne ha le potenzialità, e nel contempo non è niente di specifico, perché non lavora, ha molte doti che non mette mai a frutto, la sua stessa bellezza prorompente, che è anche commovente perché si sa che tanto prima o poi finisce, e infatti finisce. Nel romanzo non uso mai l'aggettivo "giovane" se non per lui.

S: Chi visualizzavi, a chi pensavi scrivendo di Alessandro?

A: All'inizio, nella prima versione, Alessandro era molto questo amico che è morto, dal quale avevo preso il fatto che fosse un ragazzo molto bello e molto intelligente, e in questo modo anche antipatico… uno che non ti perdona, che non ti lascia passare nulla, anche un po' cattivo verso gli altri, molto lunatico; ma di cui tutti hanno un grande rispetto perché dietro comunque c'è un'intelligenza per la quale si accettano anche i lati negativi. Nel tempo il personaggio ha assunto anche altre caratteristiche prese da diverse parti; per i miei gusti la bellezza è sempre aggraziata, quindi gli ho dato una capacità di ballare, di muoversi, di occupare lo spazio quasi incantevole, l'ho voluto rendere sensuale, non volevo fosse "impomatato". Volevo che, leggendo di lui, le lettrici volessero veramente toccarlo, vederlo… per questo mi sono ispirata ad un ragazzo, sempre del mare, che è di una sensualità pazzesca; da lui ho preso alcuni atteggiamenti, modi di fare e di vestire…

S: Il modo di vestire di Alessandro è sempre descritto in modo molto particolareggiato…

A: Sì, perché lui è sempre un outsider rispetto agli altri, è quasi sempre mezzo nudo, è fuori dagli schemi. Nell'estate del 1984, dove i jeans non si chiamano jeans ma Closet, Stone island… dove tutto è marca, in mezzo a gente fighetta, ricca e ben vestita lui indossa pantaloni molli, non ha le scarpe, non ha la maglietta, porta i capelli lunghi… è uno che non sta dietro alle mode.

S: Non sembra un po' forzato che in appena due settimane di vita vacanziera capitino così tante cose, nel bene e nel male??? Intendo, in due settimane cambia definitivamente la vita di alcuni personaggi (Lucrezia, Bebe, Augusto…), e quella degli altri ne rimane cmq segnata…

A: Forse non sono riuscita bene nel mio obiettivo… Volevo realizzare una specie di effetto "go-down". I ragazzi sono pronti ad affrontare un'estate come tutte le altre, dove ogni giorno è uguale al precedente. Poi succede una cosa molto importante, l'aborto di Lucrezia, che dà uno scossone a tutti. Da quel momento è un effetto "go-down", per cui Bebe e Augusto escono allo scoperto proprio in conseguenza di questo evento, ed è un secondo avvenimento che porta tutti alla riflessione su quello che sono. Poi può darsi che siano troppi…

S: E' una mia impressione personale; arrivato all'incidente ho pensato che ci fosse stata un'eccessiva concentrazione…

A: Può darsi… anche per necessità narrativa: qualcosa doveva succedere… (ridiamo, ndr), cioè, avevo bisogno che succedessero quelle cose. Comunque sono eventi collegati fra loro.

S: Così come il "coming out" di Bebe e Augusto: non è un po' "stereotipato"?

A: Non sono omosessuale, quindi quella scena mi ha creato diversi problemi perché non sapevo come una coppia omosessuale potesse affrontare questo discorso di fronte a degli amici. Ho provato a scrivere la scena; ho ritenuto che fosse possibile, anche solo sotto il profilo letterario o comportamentale, che avessero deciso di rivelarsi e che lo facessero una volta soltanto con tutti di fronte, per evitare il pellegrinaggio di casa in casa a spiegarsi ad ognuno singolarmente. Lucrezia e Gabriele hanno messo in moto delle dinamiche di gruppo nuove, quindi mi pareva plausibile che Bebe e Augusto decidessero di rivelarsi al gruppo di amici. Ho fatto leggere la scena a un paio di miei amici scrittori omosessuali che l'hanno ritenuta verosimile, quindi io mi sono fidata… Considera che è anche un'altra epoca ed un posto particolare: il 1984 (e vent'anni in queste cose incidono) e la ricca provincia emiliana, benpensante, non nel senso di bigotta, piuttosto che la facciata sociale e quello che dicono gli altri sono essenziali. Se ti compri l'orologio domani il tuo amico se lo comprerà di un modello superiore per farti vedere che se lo può permettere anche migliore. In un mondo così, nel 1984, rivelare di essere omosessuali soprattutto se, come Bebe, si è figli di un avvocato importante non è certo semplice.

S: Mi pare che questo libro sia un po' una celebrazione del ruolo del gruppo di amici… tutti i momenti essenziali, ad eccezione delle questioni sentimentali e personali di Marinella, sono corali, o avvengono con alcuni soltanto, ma subito dopo subentrano gli altri.

A: Questo era voluto perché al mare in quegli anni c'era la compagnia; la dimensione naturale del tuo tempo libero era stare con la compagnia. Magari avevi il ragazzo o l'amico del cuore, ma i tre quarti della tua giornata li passavi con gli amici. Volevo mettere la stessa coralità… Nella prima versione, dove c'erano meno personaggi, era qualcosa di apertamente inverosimile che dei ragazzi di 18 anni al mare non avessero un gruppo di riferimento. Comunque c'è da notare che non si tratta di un vero e proprio gruppo: questi ragazzi sono amici da tanti anni, da sempre, ma si sono solo visti al mare, in vacanza, quindi in realtà si conoscono poco, e questo viene fuori: non sono davvero amici, non si sanno aiutare l'un l'altro, non si sanno neanche capire l'un l'altro. Quasi nessuno intuisce che cosa sta per succedere a Lucrezia, così come per Bebe ed Augusto. Solo Alessandro sa le cose come stanno prima degli altri, perché è sempre un passo avanti rispetto agli altri, ma neanche Marinella quasi mai capisce qualcosa. Quindi c' è un gruppo che a volte reagisce compatto, ma in realtà non lo è poi così tanto: sono solo gli amici "del mare", che infatti poi si perdono. 

S: Domanda scema: cambieresti qualcosa ora come ora? Dovessi anche solo modificare qualcosa a livello di bozza…

A: Mah, rileggendolo magari qualche frase la cambierei… niente di sostanziale però, per come è concepito. Cercherei di rivedere il personaggio di Fitz che non mi ha soddisfatta molto.

S: Che cosa prova uno scrittore quando dà la propria opera alle stampe? Che cosa pensa? Quali sono i pensieri, le speranze, le paure…

A: Lì per lì non ti rendi ben conto… è più forte la sensazione del "basta, ho finito!". La grande impressione è la prima volta che vedi le bozze, la prima volta che vedi il tuo libro sotto forma di libro, con quel carattere di stampa, quel telaio che lo ingabbia… ciò fa una certa impressione, perché quanto hai concepito e patito è quell'oggetto, totalmente distinto da te, libero di andare nel mondo, e di vivere, nelle mani di chi lo comprerà, avventure che non puoi neanche immaginare, essendo che magari hai cercato di comunicare certe cose e i lettori chissà cosa ci troveranno… In realtà la cosa davvero strana è che quando pubblichi e hai la ragionevole certezza che anche la tua prossima opera sarà pubblicata diventa molto più difficile scrivere; ti fai molti problemi e scrupoli in più, perdi almeno parzialmente il piacere della scrittura: ad esempio perdi la testa su cosa sarebbe meglio aggiungere, quali temi sarebbe meglio affrontare, come porsi di fronte agli altri scrittori giovani… sono paranoie che inevitabilmente ti fai, anche perché poi c'è sempre qualcuno che te le fa sui giornali, nelle interviste…

S: Ci sono state delle recensioni?

A: Sì, anche abbastanza buone.

S: Daresti qualche consiglio su come leggere il romanzo?

A: Sì… credo che il rischio sia di cedere alla tentazione di pensare, dopo le prime pagine, di trovarsi di fronte al solito romanzo giovanilistico. Spero sempre di essere letta non come una che scrive cose giovanilistiche ma che scrive sui giovani, e c'è una bella differenza: non un scimmiottare i linguaggi, le tendenze o le storie che vanno di moda tra i giovani, ma un riflettere sui giovani… 

S: Hai tratto qualche insegnamento per te stessa scrivendo questo libro?

A: Non saprei… (Trascrivendo l'intervista mi sono accorto che questa domanda è davvero difficile, per la scrittrice e forse ancora di più per la persona. Mi scuso con Ale per l'imbarazzo che ha creato - e ne ha creato…; per quanto mi riguarda la si può benissimo eliminare… ndsave)

S: Quale tipo di feedback vorresti avere dai tuoi lettori?

A: Mi piace molto quando mi scrivono che il libro è non solo piaciuto; a volte il libro piace per motivi che non potevo neanche immaginare esistessero, e addirittura la gente trova cose che speravo di non aver messo! Quindi non è detto che il parere positivo faccia del tutto piacere. Mi soddisfa quando chi ha letto ha passato tre, quattro ore davvero in quel mondo e una volta che ha chiuso il libro ha continuato a pensarci (come è successo a me… ndr). Spero di non scrivere mai libri sgradevoli da leggere perché ritengo che la narrazione sia anche intrattenimento, e che quindi la gente leggendo i miei libri si diverta. Però spero anche che si avverta la consistenza; se ci fosse solo la gradevolezza narrativa ma non rimanesse nulla non sarebbe bello… quando mi dicono che hanno letto e poi hanno continuato a pensarci per me è il massimo!!!

S: Com'è oggi Lido di Spina rispetto a quanto descritto nel libro?

A: A quanto ti ho già detto aggiungo che oggi è anche più spopolata. Un tempo l'intera riviera romagnola, non solo Rimini o Riccione, era molto di moda in Italia e anche all'estero. Oggi non è più così: anche per gli italiani sta cambiando il modo di fare le vacanze, non si vedono più mamme casalinghe che passano tre mesi al mare con i figli… ai miei tempi era la norma. Tutti lavorano e le ferie sono spezzettate… non si passa più l'estate chiacchierando tutto il giorno con i vicini di lettino e di ombrellone!

S: Quanto c'è di Marian in questo libro?

A: C'è molto! In tutti i miei libri c'è sempre molto di Marian, a partire dalle frasi intere tratte dalle sue canzoni, l'ho sempre plagiato spudoratamente, da quando so che lui esiste. In certi casi si tratta di atmosfere o concetti: assolutamente presi da lui. Poi in questo libro Marian è molto in Fitz, non nel personaggio in sé ma nel fatto che il mio sogno di Marian è molto nel sogno di Fitz… L'ho depredato tantissimo!

S: Ho associato l'atmosfera della seconda parte del libro alle sensazioni che dà la musica di "A victory of love" e al testo di "Lassie come home". E' un approccio possibile?

A: Credo soprattutto da "Lassie come home", che ha un'atmosfera da "Grande freddo". Quanto a "A victory of love" direi che potrebbe anche essere se la canzone, dopo l'acuto finale, avesse una coda. Il finale di "Macchie rosse" è in sordina, non è un acuto… l'urlo semmai è prima (ride, ndr). Direi che "Lassie come home" vada meglio… anche perché in quel testo c'è il tema del ritorno, e nel libro anche: c'è il ritorno a Lido di Spina, la rimpatriata, quindi un senso di amarezza per il tempo passato e per i cambiamenti avvenuti…

S: Grazie Ale per la disponibilità…

A: Grazie a te per l'intervista…