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Dove e come

 

14/10/2010

Hola a todos!!

Hemos cambiado todos los numeros de telefonode Doha. Los que estaban antes ya no funcionan. Estos son los nuevos:

casa 00974 4427 2924

mob Paola 00974 3368 4431

mob Luca 00974 6663 0261

Un abrazo para todos y hasta pronto.

 

Salve a tutti!

Abbiamo cambiato tutti i numeri di telefono di Doha. Questi sono i nuovi:

casa 00974 4427 2924

cell Paola 00974 3368 4431

cell Luca 00974 6663 0261

Inoltre, visto il successo che hanno avuto i miei "racconti di viaggio di un pilota" alla radio, li aggiungo qui sotto per chi volesse leggerli...

Un abbraccio a tutti e a presto.

Paola, Luca e Sofia

 

IL BARONE ROSSO

Salve a tutti! Prima di tutto mi presento. Sono il Barone Rosso, più ROSSO che Barone.Vivo in quella parte del mondo dove una bottiglia di acqua minerale costa più che un pieno di benzina, dove i bambini quando vedono un albero si spaventano perché non ne hanno mai visto uno, e dove due fette di prosciutto cotto si trasformano in un sogno proibito.

Ossia in un paese del Medio Oriente.

Che ci faccio qui? Faccio l’autista di aereo (come dice mia figlia), l’aviatore (come dice mia nonna), il pilota come dice il mio contratto di lavoro o più semplicemente non faccio quasi nulla 8come dice mia moglie da quando ha scoperto che l’aeroplano ha il pilota automatico). Quindi come potete immaginare non viaggio nel vero senso della parola.

Per me la giornata inizia con la preparazione della valigia, operazione che normalmente dura tra il minuto e mezzo e i due minuti (sempre che mia figlia non abbia cambiato la combinazione dell’apertura…), taglio la barba per dare una parvenza di serietà, uniforme, baci alla famiglia e via all’aeroporto. E il cappello dov’è? Panico in casa! Tutti a cercare il cappello. Non vorrai mica che l’aereo parata tardi? Intravedo un sorriso sulla bocca della piccola Baronessa Rossa, mia figlia, la quale mi cerca di spiegare dove sia il fondamentale accessorio. Il problema è che mia figlia ha poco più di due anni e sta ancora cercando di capire perché in casa ogni cosa debba avere tre nomi (italiano, spagnolo e inglese), essendo mia moglie messicana e vivendo in un paese dove ci si esprime per lo più in inglese. Alla fine capisco che logicamente il cappello l’ha preso Lola, la sua inseparabile bambola, che appena finisce di usarlo come padella per cucinare me lo ridarà.

Una volta in aeroporto, ci si incontra con il resto dell’equipaggio che è ogni volta differente. La cosa che rende interessante i miei viaggi è molto spesso la convivenza con i colleghi che qui arrivano da ogni parte del pianeta: Asia, Africa, Americhe, Europa e… Melegnano (è successo!). Ma la cosa più importante è capire subito come sarà il collega che siederà accanto a te in cabina per le prossime otto ore. Sigillati dentro uno spazio di circa due metri quadrati, può risultare un po’ pesante una conversazione di sette ore in cui il collega egiziano prova a convertirti all’Islam per poi scoprire che non solo non sei cattolico, ma sei addirittura ateo.

Le destinazioni variano, ma per il momento le prossime mete saranno Hong Kong e lagos. Una ultima cosa: una carrambata in aereo sarebbe una novità, vero?

A presto.

 

HONG KONG

“Signore e Signori buongiorno, dalla cabina di pilotaggio il vostro Barone Rosso vi da il benvenuto a bordo su questo volo per Hong Kong”. Avete mai notato che la maggior parte delle volte non si capisce nulla dell’annuncio che noi piloti facciamo? Vi assicuro che non è voluto.

Oggi il collega che mi farà compagnia in cabina è del Togo. Si chiama Pindaco Pindaco di cognome, Fnu di nome. Il tempo di decollare e mi viene spontaneo chiedere dettegli sul nome. La persona in questione è nata in un villaggio vicino al confine con il Ghana. Il suo unico e vero nome è Pindaco, ma quando ha chiesto per la prima volta il passaporto, era necessario avere nome e cognome. Semplice, hanno solo ripetuto l’unico che aveva! E chiedo con curiosità: allora non ti chiami Fnu di nome. No, Fnu significa First Name Unknown…(nome sconosciuto), ma tutti oramai mi chiamano così! E’ nato in un piccolo villaggio, e ha duecento tra fratelli e sorelle. In realtà mi spiega che è figlio del re del villaggio, il quale ha avuto una trentina di mogli. Alla morte del padre, lui è stato nominato consigliere del nuovo re, che è un fratello che vive in Francia. Chiedo come facciano a “governare”il villaggio vivendo così lontani. Via mail e Skype! Mi è piaciuta subito questa idea di un governo tradizionale, che quando convoca il consiglio dei ministri si da appuntamento su Skype. Incuriosito voglio sapere di più sul modo di vivere del suo villaggio. Mi racconta che hanno una religione tutta loro, in cui la fortuna o la sfortuna nella vita di ognuno dipende sostanzialmente dalle buone o cattive azioni dei propri antenati. Se non trovi lavoro, probabilmente tuo nonno non ha pagato un debito e così lo sgarbo fatto a un membro della comunità ha effetti negativi sulla vita dei nipoti. Da occidentale iper razionale quale sono mi viene da chiedere: ma tu ci credi? Molto francamente Fnu mi dice che non del tutto, ma che comunque è un ottimo sistema per garantire una pacifica convivenza nella comunità. Perbacco!

Il tempo vola e arriviamo a Hong Kong. Il tempo di una doccia, dormire un po’ e voglio subito vedere la città. E’ la mia prima volta a Hong Kong. Arrivo con il treno alla stazione centrale e il primo impatto è quello classico in tutta l’Asia:fiumi di gente che rendono inutile ogni tentativo di decidere dove andare. I può solo seguire il flusso principale. Finalmente mi apparto in un angolo e guardo la cartina. La meta è la montagna da cui si vede tutta la città. Il primo problema è attraversare la strada: si devono prendere una serie infinita di passaggi sopraelevati, che spesso passano all’interno di immensi centri commerciali. Infine impiego venti minuti per attraversare un solo semaforo e uscire dal lato sbagliato. Rimpiango il pilota automatico.

Vado a piedi sino alla funicolare che porta in vetta al Peak e, una volta in cima, altri centri commerciali e la vista della città: una giungla di grattacieli. Rimango a godermi il tramonto, ma sul lato della montagna da cui si vede solo foresta e mare.

Torno in hotel e crollo sul letto. Al mattino seguente voglio tornare in città per trovare quello che cerco: una zona meno lussuosa e moderna, scorci di città popolare più cinese. E ci riesco. Trovo un mercato di strada, edifici popolari, improvvisati ristoranti e un tempio. All’interno decine di bastoncini di incenso che rendono l’ambiente molto suggestivo. Sul lato della sala ci sono anche due piccoli uffici di indovini. Ho appena finito di leggere “ un indovino mi disse” di Terzani e, sull’onda dell’emozione, non esito ad entrare nello sgabuzzino dell’indovino pieno di libri. Purtroppo però nessuno dei due parla inglese. Peccato! Mi piacerebbe sapere quando l’Italia cambierà governo, e chiedere, come Terzani, se nel futuro avrò anche io un anno in cui sarebbe meglio non volare. Sarebbe un gran bel problema!

 

ALGERI

Carissimi, poiché la programmazione di lavoro di un pilota è per definizione instabile quasi come la sua mente, il mio volo per Lagos è stato cambiato per un altro con destinazione Algeri. Meno male che la valigia di questi tempi sia più o meno mono-stagionale. Non è raro trovarsi con un costume da bagno e una maglietta a Gennaio a Mosca o con il cappotto all’aeroporto di Male, causa cambio dell’ultimo minuto…

E anche questa volta ciò che ha reso interessante il viaggio è stata la compagnia dei colleghi. In particolare la presenza di una ragazza coreana che mi ha subito salutato cordialmente con un “ Hi Locca”. Veramente mi chiamo Luca, ma non so perché dopo due giorni assieme le risultava ancora difficile memorizzare il mio nome. D’altra parte non nascondo che appena incontrata mi ha subito preso il solito imbarazzo che contraddistingue ogni incontro con le colleghe Cinesi, Coreane e  Giapponesi. Il problema è che( molto brutto da dire)  mi sembrano tutte uguali e trovo incredibilmente difficile riconoscerle. Comunque la tecnica è ormai collaudata. Proseguire la conversazione con sicurezza e senza incertezze, cercando di carpire dettagli che mi aiutino a risolvere il puzzle. In questo caso però la mia faccia deve essere stata particolarmente espressiva, e la collega non esita a ricordarmi che ci siamo conosciuti in un volo un paio di mesi prima (nella compagnia siamo svariate migliaia tra piloti e assistenti di volo…). Si chiama … non ricordo, perché anche i nomi sono parecchio complicati. Diciamo Jasung. Subito mi chiede se anche io prevedo di rimanere in hotel, visto la pericolosità della destinazione. Pericolosa Algeri? E qui viene la parte interessante del viaggio. Ho assistito a un incontro di pugilato culturale, una specie di scontro di particelle simile a quelli che avvengono nell’acceleratore del Cern (citazione con dedica per i Desperados 5.0). Dovete sapere che, benchè non mi piaccia generalizzare, Giapponesi e Coreani vivono il contatto con paesi meno organizzati o puliti dei loro come un vero e proprio shock.

Dopo sei ore di volo arriviamo a destinazione e, non appena in hotel, chiedo se qualcuno abbia voglia di venire in centro città. Subito sento “Locca, I will come with you”. Jasung mi comunica che ha deciso di affrontare questa prova. Le altre colleghe coreane (in tutto erano 3) rimangono sbigottite e con aria preoccupata  iniziano a parlarle in coreano. Ma lei sembra decisa a questa avventura degna di essere raccontata alle generazioni che verranno. Il tempo di cambiarci e si esce. Si prende un taxi direzione Casbah. Subito rimango impressionato dalle decine di bei palazzi in stile francese, ma con quell’aria trasandata che conferisce ancor più fascino. La gente si dimostra subito molto cordiale e si respira un’aria mediterranea che, per noi emigrati, ti fa sentire subito a casa. Provo a dire due parole al tassista, che però non parla inglese e sembra molto più interessato alla mia compagna di viaggio. Abbandono la mia personale contemplazione della città e mi rivolgo a Jasung per chiederle cosa le sembri il primo impatto. Con uno di quei bei sorrisi asiatici di circostanza, sembra che sia particolarmente preoccupata dalla massiccia presenza di polizia e posti di blocco. Effettivamente la città è pesantemente presidiata dalle forze di polizia, ma subito la rassicuro: ” Meglio, significa che è molto sicura!”. Non sembra molto convinta. Arrivati alla Casbah, ci infiliamo in un paio di stradine, ma capisco subito che la collega è esterefatta e mi chiede: “Ma ti piace vedere queste case che cadono a pezzi? Pensi che ci viva gente dentro?”. Tutte le mie spiegazioni sulla storia di questa zona della città, il fatto che sia Patrimonio dell’Umanità e il tentativo di trasmetterle le sensazioni che io ricevo sono assulutamente vane. Mi convinco che questa ragazza non la sto portando in giro, la sto seviziando. Invertiamo la rotta e andiamo verso la piazza della Grande Poste e su verso il Sacre Coeur. Io mi concentro sulla vita che mi circonda, lei sui passi pedonali inesistenti. Ciò nonostante ogni due per tre cambia lato della strada, ogni volta afferrando con gran forza il suo braccialetto. Le chiedo incuriosito il perché delle due cose. Il braccialetto è un amuleto buddhista che l’ha sempre protetta da tutti i pericoli (ma sarà sufficiente per le strisce pedonali algerine?). E il rischio dell’attraversamento è necessario in quanto il percorso è guidato dalla presenza dell’ombra. Come qualcuno di voi saprà non c’e’ cosa peggiore per molte ragazze asiatiche che prendere un raggio di sole…

Dopo un’ora di cammino tra mille piacevoli deviazioni tiro fuori la cartina per individuare la via più breve a un piccolo ristorante consigliatomi, la Maison du Cous Cous. Subito Jasung cerca rassicurazioni sul fatto che non ci siamo persi. Guardando la sua faccia mi viene fuori una gran risata! Jasung si fa coraggio e si avvicina a un fioraio per chiedere informazioni. L’uomo, molto affabile, le fornisce le indicazioni e incuriosito chiede di dove siamo. Le regala due rose e lei ringrazia, anche se le spine sul gambo del fiore fanno sì che le afferri con circospezione.

Arriviamo al ristorante, tanto semplice quanto bello. All’interno un ambiente molto scuro e pieno di fumo, con bei tappeti un po’ dappertutto e vari animali imbalsamati. Rimango anche qui un paio di secondi incantato ad osservare gli altri commensali e a godermi l’atmosfera. Però …vengo stordito da una raffica di flash. Jasung ha sfoderato la sua arma diabolica: una macchina fotografica ipermoderna con cui sta accecando un gruppo di persone che stanno fumando una shisha in santa pace.

Alla fine molto contenta e grata dell’esperienza, Jasung mi confida che non dirà nulla di tutto quello che ha visto ai suoi genitori in Corea. L’avevano redarguita sui pericoli del viaggiare!

Infine concludo con una informazione di servizio: la programmazione di Agosto prevede Giacarta (Indonesia), Seul due volte e forse Milano (casa dolce casa…).

Un saluto

 

Seul

Salve a tutti. Oggi alla partenza siamo tre piloti (per coprire le abbondanti nove ore di volo che ci aspettano) e dodici assistenti di volo, con una netta maggioranza di coreane felici di tornare a casa. In cabina ci siamo io, un messicano e un americano-iracheno.

Una premessa importante è che in questo ambiente di lavoro multi culturale, una delle prime indicazione che tutti ti danno è di evitare di parlare di religione e politica. Capirai!  Sulla prima potrei anche desistere dall’esprimere tutte le mie perplessità, ma non parlare di politica…Partendo dal presupposto che molte persone di altri paesi del mondo sono molto suscettibili su questi temi, bisogna approssimarsi a tali argomenti con molta delicatezza.

Non facciamo in tempo decollare e subito sondo il terreno, con qualche domanda generica sulla doppia nazionalità al collega americano-iracheno. Saad sembra sufficientemente aperto per iniziare una conversazione sul tema della guerra in Irak. Il volo, in direzione est, ci porta a sorvolare l’Iran, il Pakistan, un piccolo pezzo di India e Cina (con spettacolari viste sulle montagne dell’ Himalaya e il deserto dei Gobi di cui vi mando qualche foto).Mi viene spontaneo chiedere che posizione possa avere un iracheno, cittadino americano, sulla triste situazione irachena. Sull’attualità entrambi coincidiamo sulla totale assenza di motivazioni reali per  l’invasione americana (e non solo). Inoltre mi dice che come iracheno era rimasto particolarmente impressionato dalle manifestazioni di proteste che erano nate in Europa. Ed io ricordo la rabbia di quei giorni in cui, residente a Valencia in Spagna, partecipai ad una grandissima ed emotiva manifestazione.

Mi sorge però una domanda cui non ho mai trovato una risposta. O forse non l’avevo mai cercata! Perché Saddam nel 1990 decise di attaccare il Kuwait, attirando su di sé le ire della comunità internazionale? E qui viene la parte interessante. Il collega, che in quegli anni effettuava voli di stato per il governo iracheno, mi racconta che il suo paese stava portando avanti una negoziazione con il Kuwait riguardo il fatto che i pozzi kuwaitiani stessero prelevando petrolio dentro il territorio iracheno. Il mio collega accompagnò membri del governo iracheno all'ultima riunione a Riad tra i due stati. Ma nel mezzo della notte venne svegliato per ripartire in fretta e furia verso Bagdad. I kuwaitiani avevano deciso di continuare le trivellazioni ed insultarono gli iracheni. A quel punto l'Irak scelse l'azione militare e informò l’allora ambasciatrice americana Gillespie. A sorpresa (almeno per me) l'ambasciatrice disse che gli Stati Uniti non si sarebbero intromessi in una disputa tra due stati a loro amici... A quel punto l'attacco dell’Irak ,che secondo il collega voleva solo essere dimostrativo e non colpi' nessun obiettivo in Kuwait.

Io personalmente sono rimasto esterefatto dal racconto!

Iniziamo la discesa verso la nostra destinazione e ad accoglierci un avvertimento scritto bello grande sulla mappa di avvicinamento all’aeroporto di Seul: nel caso si dovesse sorvolare la frontiera con la Corea del Nord, dopo un avvertimento ci si ritroverebbe abbattuti… Saad vede la mia faccia e ride, dice che è tutta propaganda…Sarà…

Arriviamo in hotel e subito si va a visitare la zona di Insa Dong, ma in realtà si tratta di una sorta di prova a ostacoli.In Corea poca gente parla inglese e la prima difficoltà sta nel trovare la fermata del metro, poi poter comprare i biglietti a quelle macchine automatiche infernali che tanto piacciono anche in Giappone. Missione compiuta e arriviamo in questa zona di Seul che in realtà è una sfilza infinita di negozi per turisti, con la piacevole eccezione di qualche galleria d’arte e splendidi negozi che vendono infiniti tipi di carta di riso, tutti bellissimi. Tornerò a casa con un bella stampa realizzata in un piccolo negozio artigiano. Appena arrivato lo mostro tutto eccitato a mia figlia e mia moglie. La prima sfodera pericolosamente il suo pennarello rosso, con la chiara intenzione di aggiungere dettagli al disegno… mia moglie sorride e mi dice di non preoccuparmi, è già il quinto che compro.

Saluti a tutti.

 

“Magica” Indonesia

Ciao a tutti.Pronti a partire per un viaggio ai confini della realtà? Anche oggi siamo tre piloti. Io ,un iraniano e un indonesiano. Quest'ultimo, arriva leggermente in ritardo, preso com'è dal parlare con due cellulari quasi contemporaneamente.Mi confida che con uno parla con una fidanzata che ha qui in Medio Oriente e con l'altro con quella che sta in Indonesia. ..deplorabile abitudine di parecchi piloti. Comunque una volta in volo non so perchè ma esce fuori il discorso della magia. Memore del libro di Terzani sugli indovini,ricordo un capitolo in cui lui parla della forte presenza di magia su alcune isole indonesiane. Mi butto a capofitto nella conversazione. Il collega indonesiano,Nakire, racconta di esser nato in Papua. Da quelle parti ci sono ancora popolazioni che hanno riti magici molto potenti. Ma le magie più incredibili lui le ha viste fare nel Borneo. Premette che lui non crede a nulla di tutto questo, ma ...ha visto con i suoi occhi gli effetti della magia nera in questa regione: mi racconta di una donna sofferente dalla cui dalla pancia usciva l'estremita di un fil di ferro. Si scopri più tardi che il filo era di due metri ed era distribuito all'interno di tutto il corpo. Poi racconta di avere lui stesso un coltello, usato da sua nonna per rituali vari, che sta in piedi su un tavolo da solo. Racconta tanti altri aneddoti... ma lui non ci crede. Poi mi dice che la relazione con la ragazza indonesiana esiste suo malgrado. Vorrebbe essere fedele a quella che ha a casa, ma a suo dire anche questo è frutto della magia nera. La ragazza deve avergli fatto qualcosa. Questa volta però, a scanso di equivoci, dice che non è una semplice scusa, ma crede nell'incantesimo!Poi mi avverte sui pericoli di incontrare uno di questi maghi del Borneo. Se fosse il caso e questo mi offrisse una bevanda, devo assolutamente girare il bicchiere in senso orario, in modo da neutralizzare qualsiasi ingrediente che il mago possa aver aggiunto a mia insaputa. Comunque lui non ci crede... A quel punto mi viene davvero una gran voglia di conoscere uno di questi maghi, ma il collega non ne conosce neppure uno a Giacarta. E comunque sarebbe pericoloso, anche se lui … non ci crede. Il collega iraniano, per non essere da meno, ci racconta che anche nel suo paese i Sufi sono in grado di fare cose strabilianti, come tagliare la testa ad un animale e rimetterla al suo posto senza che il povero muoia. A questo punto della notte mi manca solo di vedere un Ufo che mi suona il clacson davanti e ho creato la puntata perfetta di X Files.

Arriviamo a Giacarta, Nakire scompare tra le braccia della sua magica ragazza ed io esco in esplorazione. Una delle prime cose degli indonesiani che chiama l'attenzione è che dal tassista al proprietario di una piccola bottega, nell'attesa di lavorare si posano placidamente su una panchina o per terra e dormono. Qualcuno potrebbe considerarla una carenza cronica di sonno, altri un innato senso di pigrizia, io invece rimango affascinato da quella che considero una maniera sana di prendere la vita.

Mi reco nel centro storico di Batavia, la parte costruita dagli Olandesi durante il periodo di colonizzazione, poi vedo il bel museo dei tipici pupazzi indonesiani utilizzati per una specie d’ ancestrale teatrino delle ombre, poi vado al porto. Qui ci sono centinaia di imbarcazioni di legno ancora a vela che vengono utilizzate per trasporto merci tra le isole. Forse l'ultimo paese al mondo dove si possa ancora vedere un porto commerciale di sole navi a vela. Nel frattempo arriva una comitiva di turisti. Mi si avvicina un ragazzo che tenta di vendermi souvenir vari.Mi fermo a chiacchierare un po' e vuole a tutti i costi vendermi una cerbottana. Divertito gli chiedo di mostrarmi come funziona. Sfodera un paio di freccete e le spara sulla fiancata di legno di una nave. Nel tragitto una di queste sorvola pericolosamente il cappello di un turista americano, il quale si avvicina per capire di cosa si tratti. In un paio di minuti un decina di turisti assediano il venditore per acquistare le cerbottane. Mi godo la scena a distanza: circondato da grossi americani, vedo il piccolo indonesiano indaffarato a vendere quanti più pezzi possibile.Alza un momento la testa e mi sorride come a ringraziare. Gli indonesiani rimangono tra le mie popolazioni preferite, sempre cordiali e sorridenti.

Mi trasferisco ad Ancol, un zona verde che dà sul mare.Vado a vedere il mercato degli artisti, fatto di centinaia di piccole casette di legno nel mezzo di un piccolo bosco. Dopo un po' intravedo una casa diversa dalle altre. All'interno è piena di amuleti, teste di animali, coltelli e molte maschere dai visi a dir poco inquietanti. Ho subito pensato: ci sono, ho trovato il mago. Con qualche timore (mai avuti prima...)entro e conosco il proprietario:un signore con capelli rasta. Mi racconta che ha vissuto con la tribù dei Dani, mi fa vedere delle foto di un villaggio. E' davvero interessantissimo(cercate su internet!). Con il poco inglese che parla mi racconta dei suoi quadri, tutti in uno stile tribale, ma con un chè di tetro. Dopo qualche esitazione chiedo il perchè di tanti amuleti e maschere e,soprattutto, se fanno parte di qualche rituale magico.Mi conferma tutto quello che il mio collega mi ha raccontato.Ascoltando quest'uomo possono sorgere dubbi anche al più incallito degli illuministi. Dopo una mezzoretta di pseudo conversazione, si allontana e torna con un bicchiere d'acqua: ho sentito un brivido freddo attraversarmi. Giro il bicchiere in senso orario e bevo...tanto non ci credo.

Saluti

SEUL2

Buongiorno a tutti. Sono appena tornato dal secondo viaggio del mese a Seul. In cabina di pilotaggio, assieme a me, un inglese e un collega del Costa Rica. Purtroppo Jasung, la collega coreana di Algeri, ha dato buca in quanto ha preferito andare una settimana nelle isole greche con amici piuttosto che a casa dai genitori.Come biasimarla !!

Tuttavia ho subito trovato un degno sostituto. Frutto della multiculturalità della mia compagnia aerea, ho visitato parte della città guidato da un ragazzo argentino che prima di fare l’assistente di volo ha studiato due anni in Corea. Si sono anche aggiunti anche il collega inglese e una collega brasiliana. Appena usciti dall’hotel quest’ultima ci informa che vorrebbe trovare un parrucchiere per sistemare i capelli. Noi tre uomini ci guardiamo un po’ perplessi. Ma poi mi viene da ridere quando penso che anche a me piace tagliare i capelli quando vado in giro. E’ una esperienza i cui risultati possono essere alquanto sorprendenti.

C’e’ chi si porta a casa un souvenir, e chi un taglio di capelli. L’importante è il ricordo del viaggio, no? E poi al massimo in qualche occasione particolarmente sfortunata i capelli si radono a zero.

Ho frequentato barbieri spagnoli, bulgari, indiani, filippini, siriani e qualche altro. Il primo elemento sorpresa deriva dal fatto che ci si possa capire sul taglio. Poi i concetti di corto e lungo cambiano da paese a paese. Infine, grande punto di domanda, è la moda locale del momento, che segnerà irrimediabilmente il successo o il disastro finale.

Dopo questa breve digressione su “Barbieri nel mondo”, ci dirigiamo verso il centro della città. E scopriamo che giusto dietro l’hotel , c’è una via intera di Beauty Center. Dopo averne osservati vari, Melisa entra nel più grande. Ma dico la verità c’è qualcosa che non ci quadra. Non si vedono né sedie né strumenti per il taglio. Melisa esce correndo e, tra gli sguardi stupiti delle”parrucchiere” e spanciandosi dalle risate,  ci dice “è un burdel”.

Prendiamo il metro ed arriviamo nel centro. A questo punto il gruppo si divide in due ogni volta che si attraversa la strada: il gruppo argentino-italo-brasiliano lo fa in maniera creativa e sicuramente più rapido, mentre il collega inglese segue inesorabilmente le strisce pedonali assieme alla popolazione locale. Conclusione, ci si perde un paio di volte fino a che il britannico desiste dalle sue velleità di senso civico e segue il gruppo maggioritario: sintesi perfetta di come la maggioranza non sempre decida per il meglio…

Attraversiamo un quartiere fatto di strette strade e case tradizionali. Ci sono parecchi ristoranti di strada, purtroppo chiusi, dove pare preparino ottime grigliate. Anche se bisogna essere sicuri del tipo di carne che si chiede, visto che il cane da queste parti sembra essere ampliamente utilizzato in cucina. Poi ci dirigiamo verso il palazzo di Changdeok. Arriviamo giusto in tempo per il tour in inglese dei giardini. La guida ci informa che la passeggiata durerà circa due ore. Melisa si eclissa elegantemente per tornare alla ricerca del parrucchiere e noi visitiamo questo bellissimo parco. Per noi che viviamo nel deserto, è come tornare a scoprire che gli alberi esistono!

Visitato anche il palazzo resta solo qualche ora per mangiare qualcosa e dormire prima delle dieci ore di volo che ci aspettano per tornare a casa.

Al momento del ritrovo di tutto l’equipaggio nella hall dell’hotel prima della partenza, compare Melisa con una capigliatura alquanto bizzarra: un caschetto coreano a lei che ha i capelli ricci...e rimpiange di non essere venuta a vedere i giardini. Paese che vai, parrucchiere che trovi!

Saluti

 

MXP

Carissimi, oggi vi porto a MXP. Sì, è proprio…Malpensa! Richiedo questo volo non tanto per vedere l’involuzione della mia città natale, quanto per incontrare i miei genitori e qualche amico che ho ancora da quelle parti. La preparazione della valigia è la cosa più complicata. Infatti avviene regolarmente un via vai di merci tra la nostra casa di Doha e le casse rimaste a Milano contenenti tutte le cose accumulate nei cinque traslochi precedenti. O, ancor più spesso, mi dedico alla movimentazione di alimenti vari. Oggi sembra non debba portare nulla a Milano, quindi l’unica cosa che faccio è lasciare spazzolino, dentifricio, un pantalone con una maglietta e un paio di boxer (rigorosamente decorati con aeroplanini…scherzo). Devo massimizzare lo spazio disponibile per le provviste di cibo. Mi presento in aeroporto e incontro i colleghi di oggi. In cabina con me c’è Philippe, della Nuova Caledonia. Dalla mia faccia deve aver subito capito che non ho la più pallida idea di dove si trovi il suo paese sulla cartina geografica. O forse più semplicemente è abituato a che le persone non lo sappiano… Mi spiega che si trova vicino all’Australia ed è una colonia francese; poi vuol subito sapere se sono di Milano. Ebbene, il collega mi chiede  se conosco un posto dove possa mangiare …la fondue. E non una normale, ma la fondue savoyarde (fonduta savoiarda). Rimango un po’ perplesso. Non so se sta scherzando o dice sul serio. Propendo per la seconda ipotesi, e gli spiego che non è proprio un piatto tipico milanese e oltretutto non è neppure particolarmente diffuso nel periodo estivo, vista la pesantezza del chilo di formaggio fuso che lo compone… Non convinto chiederà in hotel. Dopo sei ore di volo arriviamo a MXP. In hotel a Milano l’intero equipaggio, dopo aver preso le chiavi della stanza, fa la fila davanti al banco informazione. Mi precedono le hostess che chiedono indicazioni circa tutti i possibili negozi del centro. Poi tocca a me e il concierge in automatico mi tira fuori una cartina di Milano e mi spiega come andare in Piazza del Duomo…veramente volevo chiedere se aveva il cambio per il biglietto della metro. Dopo di me Philippe chiede per la fondue. Io vado subito a casa e la prima tappa è il supermercato. Vediamo un po’… i tortellini al prosciutto non si possono portare, la coppa neanche, e neppure una bottiglia di vino (tutti generi vietati in Qatar). L’effetto è lo stesso che provavo anni fa negli autogrill italiani passando davanti alla zona dei salumi: un’attrazione fatale a cui solo un vegetariano potrebbe resistere. Non mi resta che saccheggiare il reparto dei formaggi. Poi torno a casa e come ogni buona madre, anche la mia sa cosa rende felice suo figlio: uno spuntino a base di pane e salame!

Poi mi reco nel box dove ci sono le nostre casse e la mia amata moto. Mia moglie aveva organizzato tutte le scatole ognuna con un numero e una lista relativa al contenuto. Devo cercare una cosa, ma qualcosa non quadra. Temo che mia figlia si sia divertita a effettuare qualche leggera modifica alla numerazione. Là dove cerco delle calze, trovo le posate e una grattugia… Mi arrendo, chiudo tutto e vado a godermi un giro in bici nella campagna del Parco Sud. Come avrete capito anche dai post precedenti, ciò di cui sento maggiormente la mancanza in Medio Oriente è un po’ di verde. Quindi un giro tra le risaie del sud Milano mi conforta e mi rilassa. Ma questo momento di pace viene interrotto dal cellulare che inizia a squillare…è Philippe in preda alla disperazione. Non avendo trovato la fondue, ha ripiegato per un bel ristorantino in Galleria. Sia chiama Sa, Sa… Savini! Gli avevano appena portato il conto…

La mattina seguente andiamo a Malpensa per il ritorno. Al passaggio delle nostre valige per lo scanner, noto che il finanziere strabuzza gli occhi nel vedere il contenuto della mia…avrà visto un intero reparto di formaggi compresso in una valigia. Mi guarda e, al mio italianissimo “Arrivederci”, sorride. Ha capito che trasporto generi di prima necessità per un italiano all’estero!

Philippe mi racconta del pranzo al Savini. E, peggio di quanto potessi immaginare, sembra avesse anche invitato a cenare un paio di colleghe. Io cerco di mantenere un’aria di circostanza, ma non resisto dal ridere. Lui, serio, mi dice con forte accento francese: ”Next time pizza”.

Saluti

 

SALUTI

Salve a tutti. Visto che è l’ora dei saluti, un paio di considerazioni finali. Prima di tutto un grazie speciale alla trasmissione, che anche quest’anno alla fine di centinaia di post ti fa sentire quasi parte di una grande famiglia, dopo aver letto le storie di viaggio (e non solo) di persone che a Giugno erano delle sconosciute ed ora sembra le si conosco quasi di persona.

Poi mi viene da pensare a quante persone come voi porto tutti i giorni in posti lontani, molti con l’illusione di scoprire posti nuovi, o riabbracciare la famiglia lontana, o semplicemente vivere un’esperienza speciale. E sono contento di pensare che alla fine forse non sono solo un autista d’aereo.

Per concludere come si deve: “ Signore e signori, a nome del Barone Rosso, Pindaco Pindaco, Jasung, Saad, Melisa, Philippe e tutto l’equipaggio vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia e speriamo di riavervi presto a bordo dei nostri aerei”

Saluti a tutti!