Uomini Illustri
Jacopo Sansovino soprannome di Jacopo Tatti (Firenze 1486 ca. - Venezia 1570),
architetto e scultore italiano che introdusse a Venezia il classicismo romano.
La sua formazione iniziò nella bottega di Andrea Sansovino - in suo onore Tatti
decise di assumerne il nome - e le sue opere giovanili, come il Bacco fanciullo
(1512, Museo del Bargello, Firenze), si ispirano soprattutto agli esempi
classici e alle opere di Michelangelo.
Dal 1516 al 1527 l'artista soggiornò a Roma. Il progetto a pianta centrale per
la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini mostra il suo apporto originale al
linguaggio classicista.
Fuggito da Roma dopo il sacco della città, si trasferì a Venezia dove progettò
palazzi, chiese ed edifici pubblici, fondendo la tradizione classica con il
gusto per l'ornato dello stile veneto. Fu nominato nel 1529
direttore dei lavori delle Procuratie; tra le opere più importanti di questo
periodo si ricordano la Scuola nuova della misericordia (dal 1532, incompiuta),
la chiesa del convento di San Francesco alla Vigna (dal 1534) e Palazzo Corner
(dal 1532 ca.). Gli fu inoltre affidato il coordinamento della ristrutturazione
del centro della città intorno a piazza San Marco; progettò gli edifici
principali della nuova sistemazione, come la Zecca, la Loggetta del campanile e
la Biblioteca Marciana (iniziata attorno al 1536) ispirandosi al classicismo e
nel rispetto degli edifici medievali e quattrocenteschi preesistenti, cioè San
Marco, il campanile, la Torre dell'Orologio e le Procuratie Vecchie.
Le sue opere lasciarono una traccia profonda nell'architettura veneziana,
influenzando, in particolare, Andrea Palladio e Baldassarre Longhena.
Soprannome di Giovanni Antonio de' Sacchis (Pordenone 1483 ca. - Ferrara 1539),
pittore italiano.
Originale e fecondo artista, diffuse lo stile manieristico nell'Italia
settentrionale.
Per manierismo s'intende una tendenza stilistica, sviluppatasi tra il primo e
l'ultimo decennio del XVI secolo, principalmente tra Roma, Mantova e Firenze,
poi rapidamente diffusasi in Italia e in Europa.
Le opere manieriste sono caratterizzate da forme allungate e figure modellate
in modo fortemente plastico, assottigliate o ritorte; nella composizione e
nella scelta dei soggetti emerge l'amore per il bizzarro e l'inusuale, per le
pose stravaganti, per gli aspetti inquietanti della realtà e le scene
drammatiche, talvolta a scapito di una resa realistica dello spazio; i colori
usati sono inoltre spesso inconsueti, e accostati in modo straniante.
Le prime opere del Pordenone, eseguite in Friuli, furono improntate ai modelli
veneti di Bartolomeo Montagna, Cima da Conegliano e Giorgione. Ma un radicale
mutamento stilistico fu stimolato dal viaggio a Roma del 1515: suggestionato
dal classicismo di Raffaello e dal titanismo di Michelangelo, iniziò a
conferire alle sue figure proporzioni grandiose, fissandole entro composizioni
turbolente, dalla cromia contrastata e dissonante e dal drammatico effetto
illusionistico (affreschi della Cappella Malchiostro nel Duomo di Treviso;
Storie della Passione nella navata del Duomo di Cremona, 1520-1522; ante
d'organo del Duomo di Spilimbergo, 1524). Nel 1528, a Venezia, dipinse tele e
affreschi nella chiesa di San Rocco: il suo esempio fu importante per
l'evoluzione in senso manieristico di Tiziano. Nel 1529-30 lavorò nella chiesa
dei francescani a Cortemaggiore e nel 1530-1532 in Santa Maria di Campagna
presso Piacenza: il soggiorno emiliano lo pose in contatto con le opere di
Correggio e Parmigianino, e fu determinante per l'evoluzione manieristica dei
pittori padani, quali i cremonesi Giulio Campi e Camillo Boccaccino. Dopo un
breve rientro a Venezia, nel 1533 affrescò a Genova le perdute Storie di
Giasone sulla facciata di Palazzo Doria, quindi tornò a Venezia e in Friuli
(affreschi sulla facciata di Palazzo Tinghi a Udine, 1534 ca.). Chiamato a
Ferrara da Ercole II d'Este per disegnare cartoni per arazzi, vi morì poco dopo
il suo arrivo, forse avvelenato dai pittori ferraresi invidiosi del suo
successo.
autoritratto di
Palma il Giovane (Olio su tela 126X96) |
Giambellino soprannome di Giovanni Bellini (Venezia 1432ca. - 1516), pittore
italiano, la cui influenza fu determinante nello sviluppo della pittura veneta
tra XV e XVI secolo.
Figlio di Jacopo e fratello di Gentile Bellini, risentì nelle sue opere
giovanili soprattutto dell'influsso del cognato, il pittore padovano Andrea
Mantegna: da quest'ultimo Bellini apprese l'arte dello scorcio prospettico, la
resa plastica della figura umana, l'importanza delle linee di contorno e dello
schema della composizione. Tuttavia Bellini maturò presto uno stile proprio,
caratterizzato da una particolare percezione della luce e del colore, da una
spiccata sensibilità per il paesaggio naturale e dalla straordinaria capacità
di ritrarre nei suoi personaggi sentimenti ed emozioni.
Questa impostazione stilistica si modificò ulteriormente negli anni successivi.
A partire dal 1470 le tele di Bellini sono sempre più dominate dal colore, che
arriva a sfondare la forma fino a diventare assoluto protagonista della
composizione. L'artista apprese dall'arte fiamminga e dall'opera di Antonello
da Messina le possibilità tecniche ed espressive della pittura a olio, che da
allora preferì sempre alla tempera.
Lo stile di Bellini giunse a piena maturazione verso il 1500. Bellini
lavorò a una serie di monumentali pale d'altare dedicate alla Madonna in
trono tra santi, nelle quali le figure, lo spazio, la luce, le architetture e i
paesaggi si compongono in un equilibrio perfetto, in un'armonia di relazioni e
rimandi che pare frutto di un felice stato di grazia, del tutto spontaneo.
Questi dipinti, tra cui si ricorda la Madonna con il doge Agostino Barbarigo
(1488, San Pietro Martire, Murano), sono splendidi esempi di arte
rinascimentale.
Lo stile più tardo di Bellini è evidente nella Pala di San Zaccaria (1505, San
Zaccaria, Venezia), dominata da un'atmosfera particolarmente calda, all'interno
della quale le figure, gli sfondi, la luce e l'aria si fondono l'uno
nell'altro, aspetti diversi di un'unica realtà.
Enorme fu l'importanza storica di Bellini. Con il suo percorso artistico durato
65 anni, incentrato sullo studio della luce, la resa del paesaggio e la
rappresentazione di una calda umanità, portò la pittura veneta
dall'arretratezza provinciale tipica della sua generazione all'avanguardia
dell'arte rinascimentale.
Cima da Conegliano soprannome di Giovanni Battista Cima (Conegliano 1459 ca. -
1517 ca.), pittore italiano, tra i più celebri esponenti della scuola veneziana
tra il XV e il XVI secolo. L'apprendistato, iniziato nella città natale, fu
completato a Venezia.
Gli influssi dal Giambellino e da Alvise Vivarini, evidenti fin dalle prime
opere, fanno supporre che Cima frequentasse talvolta la bottega d'uno di questi
celebri pittori veneziani, o di entrambi.
Tra i primi lavori di Cima figurano diverse pale destinate ad altari della
terraferma veneziana (Madonna col Bambino e i santi Giacomo e Gerolamo, 1489,
Museo civico di Vicenza; Madonna e santi per il Duomo di Conegliano); vi appare
già definito lo stile che, con poche varianti sostanziali, avrebbe
contraddistinto anche le opere posteriori: un armonioso linguaggio classico
ripreso dal Giambellino e dal Vivarini, memore anche delle pale veneziane di
Antonello da Messina, con espressive figure simmetricamente disposte sui primi
piani davanti a naturalistici paesaggi collinari: una pittura intrisa di luce,
straordinariamente serena e rasserenante, priva di turbamenti.
Il fatto di essere riuscito ad aggiudicarsi l'esecuzione della pala per
l'altare maggiore di San Giovanni in Bragora (Battesimo di Gesù, 1492) attesta
il conseguimento del successo anche nella capitale; negli anni attorno al 1500
fu il più prolifico autore di pale d'altare per le chiese veneziane, più
dell'anziano Bellini o dei giovani pittori affermatisi all'inizio del XVI
secolo, quali Giorgione, Tiziano o Palma il Vecchio.
Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 - Madrid 1770), pittore italiano, l'ultimo
grande maestro della scuola veneziana, ricordato soprattutto per i cicli di
affreschi d'impronta rococò
(stile decorativo settecentesco caratterizzato da un gusto ornamentale leggero
e raffinato).
L'influsso maggiore nella sua formazione artistica gli venne dal Veronese. Fu
ammesso alla gilda dei pittori di Venezia nel 1717 e lavorò per il doge e
l'aristocrazia veneta, oltre che per nobili di varie altre città italiane.
Tiepolo realizzò grandi affreschi e pitture a olio su pareti e soffitti,
ideando i dipinti in funzione dell'architettura ornata e curvilinea in voga nel
periodo rococò.
Tiepolo si avvalse spesso dell'aiuto dei figli Lorenzo e Giandomenico.
Giandomenico (Venezia 1727-1804), in particolare, si distinse dal padre per una
personale ricerca sugli effetti luministici e per la vena ironico-grottesca che
caratterizza alcune sue opere ispirate a scene di vita quotidiana. Famoso
soprattutto per i dipinti in costume, particolarmente vivaci e ricchi di
inventiva.
ritratto di
Girolamo Aleandro (A. Veneziano) |
Pomponio Amalteo (1505-1588), nacque a Motta di Livenza e cominciò i primi studi sotto la guida dello zio Marcantonio, eruditissimo Pubblico Maestro della Città dal 1510 al 1515. Avendo scoperto la vocazione per l'arte del pennello, andò alla scuola di un certo Domenego depentór di Motta, dal quale imparò i primi elementi di base della pittura.
Poi, trasferendosi a San Vito al Tagliamento, ebbe la fortuna di poter frequentare la scuola del Pordenone, apprendendo le tecniche eccelse del Maestro. Trasse l'amore per la grandiosità delle forme, per l'esasperato movimento e per l'affollamento delle composizioni. Nel 1534 finì con lo sposare anche la figlia, Graziosa, del Pordenone.
Dopo la morte del Maestro, avvenuta nel 1539, l'Amalteo portò a termine varie commissioni iniziate dal Pordenone e creò una propria bottega d'arte a San Vito.
Divenne se non celeberrimo, sufficientemente noto da essere denominato :
Eccellentem Dominum Pomponium Amaltheum, pictorem S.Viti (eccellente signor Pomponio Amalteo, pittore di San Vito). Difatti
egli visse la maggior parte della sua vita sempre nella cittadina di San Vito al Tagliamento dove era uno degli ottimati del Consiglio Comunale e, successivamente, Podestà nel 1562.
Fu anche noto con il nome di "Pompeo de la Motha". Operò in molte città venete (Portogruaro, Belluno, Ceneda, Oderzo) e friulane (Udine, Cividale, Baseglia, Gemona, Valvasone, Pordenone) lasciando una notevole produzione artistica sia a "fresco", sia a "olio" su tela. Fu indubbiamente il maggiore pittore in ambito rinascimentale che abbia operato in terra friulana dopo il Pordenone, a lui si ispirarono nella seconda metà del Cinquecento e dell'inizio del Seicento molti artisti del luogo.
Opere di Pomponio Amalteo si trovano anche nella Galleria degli Uffizi a Firenze, nella Biblioteca Reale di Torino, al Metropolitan Museum di New York e in diverse collezioni europee.
Il 9 marzo 1588 morì in San Vito al Tagliamento e trovò sepoltura nella Chiesa di S.Lorenzo.
Fu un pittore di provenienza bresciano-mantovano, allievo del Tiziano e di Palma il Vecchio, operò, nella prima metà del XVI secolo a Venezia con il padre Giovanni. Tale collaborazione risultò talmente compenetrata da rendere tuttoggi ardua l'esatta identificazione stilistica dei due artisti.
Pittore veneziano nato nel 1709 e morto nel 1769. Formatosi alla scuola di Sebastiano Ricci, dopo un soggiorno romano, svolge la maggior parte della sua attività a Venezia dove esegue importanti cicli pittorici in palazzi e chiese della città. La sua presenza è documentata anche a Trento. Verso la fine della sua vita intraprende un viaggio a Pietroburgo ove realizza alcuni dipinti nel Palazzo d'Inverno.
Gaspare Diziani nasce a Belluno il 24 novembre 1689. Rinomato pittore e incisore, fu dapprima allievo di Gregorio Lazzarini e poi del conterraneo Sebastiano Ricci. Una notorietà acquisita con la pittura istintiva di scenografie teatrali lo conduce nel 1717 a Dresda, alla corte di Augusto III di Sassonia e a Monaco di Baviera. Nel 1720 rientra a Venezia e gode di un felice momento pittorico. Si sposta in diverse città del Veneto, disegnando opere di pregevole valenza artistica, soprattutto a Belluno e a Padova. Si ferma anche a Roma, Bergamo e Trento, affrontando tutti i temi pittorici, dal paesaggio al ritratto storico, alla pittura religiosa. Nel 1766, è eletto alla presidenza dell'Accademia di Pittura di Venezia, ma non può concludere il mandato perchè muore il 17 agosto 1767 in piazza San Marco a Venezia.
Giambattista Canal nacque a Venezia nel 1745 dal padre pittore Fabio. Fu artista accademico e noto per oltre mezzo secolo in tutto il Veneto come abilissimo "frescante", detto anche l'ultimo dei fa presto per l'incredibile velocità di esecuzione nell'affrescare superfici molto estese. Qualità che gli favorì un'attività incessante, presso chiese e palazzi, in particolar modo a Venezia, ma anche in molti paesi delle province venete. Morì nel 1825.
Pittore, nato a Fusina l'8 dicembre 1850, morto a Venezia il 17 ottobre 1918. Compiuti gli studi a Treviso, frequentò nell'Accademia delle Belle Arti di Venezia la scuola di P.M. Molmenti, che lo educò all'obiettività di un verismo acuto e preciso.
Pittore (1819-1894), nato a Motta di Livenza, fu professore all’Accademia di Belle Arti di Venezia ed apprezzato artista alla Corte Imperiale di Vienna. Numerose sono le sue opere in veneto.
Pittore bergamasco, nato verso il 1470 e morto il 7 novembre 1528. Si chiamò anche Cordeliaghi. Viene posto tra i più diligenti epigoni di Giovanni Bellini. Fu però sensibile anche all'influsso della pittura di Vittorio Carpaccio e, più tardi, di quella di Iacopo Palma il Vecchio e di Lorenzo Lotto.
Antonio Scarpa nacque a Lorenzaga di Motta di Livenza il 19 maggio 1752.
Da giovane fu istruito dallo zio don Paolo, il quale capì subito che il nipote era dotato di un'intelligenza non comune e persuase
il fratello Giuseppe a non fare del figlio un mercante. Così il giovane Antonio fu mandato all'Università di Padova
dove seguì i corsi universitari di Medicina e Chirurgia laureandosi il
19 maggio 1770, proprio il giorno del suo diciottesimo compleanno; fu allievo del principe degli anatomici Giambattista Morgagni e di Caldani.
Nel 1772 otteneva la docenza di anatomia-chirurgica presso l’Università di
Modena, chiamato da Francesco III che ben presto riconobbe l'eccelsa valenza dei suoi studi
impegnandosi poi a costruire l'Istituto Anatomico, che tuttoggi esiste. Nel frattempo, Scarpa
fu anche eletto primo chirurgo dell'Ospedale Militare e
tenne la cattedra sino al 1783, anno in cui venne chiamato dall’Università di
Pavia. Appena giunto a Pavia da Modena, il suo primo e principale impegno fu la
costruzione del Teatro Anatomico che fu inaugurato solennemente con un’orazione
latina degna della circostanza. In questa occasione ricevette in dono dal
Brambilla la bellissima cassetta in mogano intarsiato, con la raccolta di
strumenti per le ricerche anatomiche, tuttora conservata nel vestibolo
dell’Aula Scarpa 5 . Altro dono avuto da mano regale è l’armamentario
chirurgico in avorio ed argento donatogli da Napoleone I Imperatore. A Pavia
gli fu assegnata la cattedra di anatomia umana, alla quale venne aggiunto
l’insegnamento di operazioni chirurgiche. Qualche anno dopo, nel 1787,
istituitasi la Clinica Chirurgica, gli venne affidata la direzione di questa.
Nel 1800 fu riconfermato professore di anatomia umana e di clinica chirurgica;
presidente del Gabinetto anatomico. Nel 1813 Scarpa lascia la cattedra ed
ottiene la giubilazione mantenendo però la direzione della Facoltà medica e dei
Gabinetti anatomici. Molte e notevoli per importanza ed originalità di
contenuto sono le opere che Scarpa diede alle stampe. Il nome di Scarpa si
afferma come anatomico nel 1773 con la pubblicazione della sua prima nota De
structura fenestrae rotundae auris, et de tympano secundario, ma una più
completa relazione delle sue scoperte anatomiche ed anatomo-comparative sopra
l’organo dell’udito (timpano secondario, canali semicircolari membranosi,
ganglio vestibolare, ecc.) vennero più tardi pubblicate con una ricca
documentazione iconografica nel 1789 e con queste anche i risultati delle
ricerche sull’organo dell’olfatto e sul nervo olfattivo già annunciate in una
sua precedente opera preventiva del 1785. Seguirono le scoperte riguardanti il
nervo accessorio spinale del 1787 e le Tabulae nevrologicae ad illustrandam
historiam. cardiacorum nervorum, noni nervorum cerebri, glossopharingei et
pharingei del 1794. Di grande rilievo fu allora, per la novità e per la
nitidezza della dimostrazione data con materiale illustrativo che si trovavano
ancora pochi anni or sono come ornamento di opere e trattati di anatomia umana,
la scoperta dei nervi del cuore proprio in aperto contrasto con l’affermazione
di Behrends del 1792 (il cuore non è dotato di nervi). Dal 1799 al 1804 si
susseguirono sue fondamentali osservazioni, compiute anche comparativamente
sugli animali, sulla struttura minuta delle ossa, sull’osteogenesi,
accrescimento e riassorbimento. Rilevante è anche la scoperta del nervo
naso-palatino. Dal 1800 la sua attività va sempre più orientandosi ed
intensificandosi per la chirurgia; impegnatosi nell’esercizio e
nell’insegnamento della clinica oculistica, pubblica la sua opera magistrale
sulle malattie degli occhi, alla quale seguono dal 1801 al 1816 altre quattro
edizioni. La quinta perfezionata ed ampliata porta il titolo di Trattato di
malattie degli occhi ed è del 1821. A cominciare dalla prima edizione di
quest’opera sulle malattie degli occhi, furono fatte traduzioni in francese,
tedesco ed inglese. Scarpa si manifesta degno continuatore anche in questo
campo del grande Morgagni la cui opera nella patologia e nella chirurgia
dell’occhio fu notevole. Molte sono le note e memorie che trattano di argomenti
vari di chirurgia ed interessantissime sono anche le numerose lettere che si
trovano pubblicate nel suo epistolario, nelle quali tratta problemi chirurgici,
dà relazioni di casi particolarmente interessanti, dà consigli a colleghi, ed
espone sue vedute personali. Fu accolta favorevolmente nel 1803 la sua opera
sui piedi torti congeniti alla quale seguirono altre tre edizioni; ebbe un vero
successo nel 1804 la pubblicazione dell’opera in folio e corredata di
magnifiche tavole sull’aneurisma, alla quale seguirono nuove edizioni e
traduzioni ed un’appendice con notizie nuove e con precetti per la cura nel
1816. Del 1808 è l’insigne opera corredata di tavole litografate sulle ernie e
della quale venne pubblicata una seconda edizione nel 1820 e nel 1823 un
supplemento sulle ernie del perineo. E’ trattando le ernie inguino-femorali (o
crurali) e la legatura dell’arteria femorale nel terzo superiore di essa, che
Scarpa diede quella così precisa descrizione della regione che prese il nome di
triangolo di Scarpa, e che fa parte ancor oggi della nomenclatura medica
internazionale.
busto marmoreo
Palazzo della Loggia
Motta di Livenza
Nonostante il declino degli ultimi anni di vita, nel 1827 esce un’importante
memoria anatomica e patologica sulle ossa ed altre del 1828 e del 1830 sul
sistema arterioso degli arti e sull’aneurisma. Scarpa fu a lungo e
ripetutamente Rettore e poi negli ultimi anni Direttore degli Studi Medici e
dei Gabinetti. Autoritario ed intransigente, ebbe pochi amici e molti
avversari; era apprezzato per il suo indiscutibile valore, ma temuto e da
qualcuno odiato. Negli ultimi anni di vita, e soprattutto durante la sua
infermità, gli rimasero fedeli forse soltanto due suoi allievi, il chirurgo
Cairoli e Panizza , suo successore alla cattedra di anatomia.
L'insigne Professore morì in solitudine il 31 ottobre 1832.