Le Tendenze

Pensiero Generale

Abbigliamento per Uomo

Abbigliamento per Donna

 

Religione (Buddismo e Zen)

Arte

Musica

 

Gli anni sessanta sono un periodo di grande rivoluzione dei costumi in tutto il mondo occidentale che hanno caratterizzato le svolte nei vari settori, dal letterario al musicale, al figurativo, al teatrale. Dagli Stati Uniti all'Olanda le giovani generazioni rifiutano improvvisamente i modelli esistenti e cercano forme nuove che rompano con il passato. E' un fenomeno di massa che contamina ogni settore della vita quotidiana: dai rapporti fra i sessi. alla concezione del lavoro e del tempo libero. Alla base di questi fenomeni possiamo individuare una tendenza generale; la contestazione. All'origine della rabbia giovanile stava la contestazione del sistema borghese capitalistico, l'ansia per un futuro su cui pesava il pericolo di una guerra atomica e il violento scontro generazionale. Essi rifiutavano la loro società, accusata di appiattire l'uomo, dequalificare l'intellettuale e mercificare tutto, anche l'arte e il pensiero. 

 

Famigerati Figli dei Fiori e il loro tipico abbigliamento

I Capelli, che già sembrano scandalosi quando coprono le orecchie e la fronte, diventano sempre più lunghi; ai primi stivaletti, maglia a righe e pantaloni attillati di derivazione dall'abbigliamento per il tempo libero americano subentra la più sfrenata libertà di accostamenti di colori, materiali e stili. Personaggi carismatici come Mick Jagger o Brian Jones, il leggendario chitarrista dei Rolling Stones considerato l'uomo più elegante del mondo rock, ostentano jabots, velluti, lamé, pellicce, calzamaglie, stivali alla moschettiera, vestiti in tessuto da tappezzeria e da biancheria intima, accompagnati da collane, orecchini e un trucco sempre più smaccato. E' dal Settecento che l'uomo non presentava un'immagine di sé altrettanto vistosa e sessualmente provocatoria, arrivando quasi a mettere in ombra quella femminile.

 

Per tenere il passo, la donna deve giocare le stesse carte: trucco molto marcato, capelli lunghi e cotonati,  pantaloni attillati, golf e magliette aderentissime, stivali sopra il ginocchio, calze a rete e in fine la rivoluzionaria minigonna tagliata appena al di sotto dell'inguine.

Il pensiero buddista non costituì, all’origine, un complesso organico di particolari verità rivelate, e quindi di dogmi, né si presentò come una religione particolare contrapposta alle altre. Secondo il suo insegnamento, la verità è universale e a-temporale, al di sopra dei singoli insegnamenti. La legge buddista è l’ordine delle cose. Le cose stesse sono dei dharma, giacché “fissati” secondo questa legge. Il punto di partenza della riflessione Buddista è la constatazione della presa del dolore nel mondo: la vita è dolore. L’esistenza della sofferenza può essere considerata come la diagnosi del male. Essa è la prima, delle quattro sante verità, in cui si riassume la dottrina buddistica. Seguono l’origine del dolore, l’eliminazione del dolore e il cammino che conduce all’eliminazione del dolore. Quest’ultima è a sua volta divisa in otto tappe “perfette”. L’esistenza del mondo è spiegata come una relazione di cause (“coproduzione condizionata”), non esiste quindi una divinità creatrice.
All’origine della sofferenza vi sono le passioni e il desiderio. Per raggiungere il Nirvana è quindi necessario rendersi conto di tutto ciò ed eliminare ogni legame causale. Lo Zen rappresenta un ramo del buddismo. Alla fine della seconda guerra mondiale, lo zen suscitò in Europa e negli Stati Uniti l’interesse d’artisti, filosofi e psicologi, affascinati dalla suggestività della sua pittura e della sua scultura, e dalla profondità di un pensiero in cui venivano individuate presunte connessioni con alcune correnti della filosofia contemporanea (Schopenhauer). La dottrina della filosofia Zen consiste nella constatazione, che le cose di cui l’uomo fa esperienza, non possono essere classificate per mezzo di dati empirici forniti dalla percezione, poiché sono dotate di una realtà propria, più profonda e universale. Il mondo deve, dunque, essere colto nella sua essenza, in uno stato di “non mente” che lasci scorrere i pensieri senza conservarne traccia. A differenza delle altre scuole buddiste, lo zen sostiene che questo stato, irraggiungibile attraverso le pratiche rituali e devozionali, è il frutto di una riflessione diretta e immediata, che sottrae alle parole e alle azioni qualsiasi significato simbolico e rappresentativo, impedendo che nella mente si generi una qualsiasi forma di pensiero autonomo. Il pensiero zen intende liberare la mente dai pericoli insiti in ogni processo d’elaborazione concettuale, limitandosi a cogliere con distacco le forme della realtà esterna. D’altro canto, sul piano letterario, il movimento è stato tipocizzato in alcune opere del tempo, che sono diventate una sorta di Vangelo per i giovani beat: “Il giovane olden”, di Salinger, ove si descrive, con viva adesione al mondo giovanile e al suo gergo (slang), il senso di disagio e d’angoscia che caratterizzava le generazioni a contatto con la civiltà consumistica, schiavizzata dal mito del denaro e del benessere. Kerouac, in particolare, è l’autore di quella che può essere definita la bibbia dei beatnik, il romanzo “Sulla Strada”, scritto nel 1951 e pubblicato nel 1957. N’è protagonista Sal Paradise, il quale narra i suoi viaggi attraverso l’America del nord, negli anni 47-50, e i suoi incontri con Karl Marx e Dean Moriarty. I tre personaggi sono personificazioni rispettivamente di Jack Kerouac, Allan Ginsberg e Neal Cassady. Nel corso dei loro viaggi, compiuti coi mezzi più disparati, i tre giovani ricercano tutti i piaceri che la vita può dar loro, da quelli intellettuali alle visioni stimolate dell’alcol e dalla droga, alle eccitazioni provocate dalla velocità nella guida e dalla musica jazz, al godimento sessuale volto a colmare un profondo bisogno d’affetto. Al tempo stesso, però, acquisiscono anche l’esperienza della vita vissuta dai vagabondi, dai poveri, dagli emarginati dalla società e ne traggono un profondo senso di compassione e solidarietà. Il romanzo si conclude con il ritorno
alla tristezza del vivere quotidiano. Sul piano cinematografico, la figura del giovane ribelle, sensibile e infelice è stata incarnata da attori quali James Dean, protagonista di “Gioventù bruciata” e da Marlon Brando nel film “Il selvaggio”, divenuti entrambi simboli della rivolta giovanile contro un mondo adulto visto come fonte di noia, di sottomissione e viltà.

I cambiamenti visti fino ad ora ben presto porteranno ad una nuova espressione dell’arte, del tutto originale, che si adatterà alle nuove esigenze del mondo culturale: l’arte di tutti, alias Pop Art. I pittori, infatti, erano diventati un tutt’uno col mondo fisico esterno, tanto che era impossibile capire quanto fosse dovuto all’autore e quanto lo influenzasse il mondo esterno; il perché di questo derivava dal fatto che l’immaginazione di tutti, e in particolare dei pittori, era stata impressionata dalle esplosioni nucleari, le quali non hanno confini, fondono tutto alla loro elevata temperatura. Da ciò derivò l’Espressionismo in cui nulla era distinguibile, tutto si consumava in un unico fuoco. Ma, come abbiamo visto, all’alba degli anni 60’ tutto cambiò, allontanato il terrore di una guerra atomica e cresciuta l’approvazione per la tecnologia, vista come dispensiera d’abbondanza e ricchezza, s’innescò il fenomeno del boom industriale e del connesso consumismo. A questo punto, diveniva inutile “l’aggressione” alle cose da parte degli artisti; era meglio ritirarsi e lasciarsi penetrare dalla forza del progresso, rappresentata dagli oggetti prodotti in gran numero dall’industrialismo rinnovato. Colui che riuscì a rappresentare, nel migliore dei modi, questo mutamento repentino fu Roy Lichtenstein (New York, 1923), infatti, con lui gli oggetti penetrano, si stampano da protagonisti, nelle tele dell’artista. Ma, ad essere rappresentati, non sono gli oggetti appartenenti ad uno stato di natura, ma quelli usciti dal ciclo produttivo dell’uomo, definiti oggetti-cultura, oggetti non”trovati” o “raccolti”, ma volutamente fabbricati per soddisfare fabbisogni di massa, le merci appunto. Proprio da qui giunge il connotato "popolare" di quest’arte, inteso non in senso di degradazione, ma poiché si serviva di oggetti-merce, “popular” appunto, dalla cui abbreviazione degli inglesi divenne POP. Obiettivo di quest’arte era dunque quello di esaltare l’oggetto industriale (trascurato dall’arte), estraniandolo dal proprio ambiente al fine di farci notare la sua esistenza, concentrando su di esso la nostra attenzione. La tecnica usata era quella dello straniamento ottenuta attraverso il ricorso a diverse tecniche tutte atte a decontestualizzare gli oggetti all’interno di una composizione artistica, in modo da giungere, mediante la loro libera associazione, ad un significato inedito. All’interno della pop-art ebbe successo il combine-paintings cioè ricombinazioni di cose vere con la pittura. Gli autentici rappresentanti della pop-art sono stati Oldenburg, Warhol e il suddetto Liechtenstein, il primo prendeva le forme della vita, le isolava, le ingrandiva e ne studiava i dettagli, il secondo rappresentava divi e politici del tempo come Marilyn Monroe o Nixon,l’ultimo affrontò l’intero mondo della mercificazione. Di fatti, una prima affermazione di questi si compie attraverso i prodotti alimentari, come le carni, nei supermercati, impacchettate nella plastica al pari di qualsiasi altro prodotto confezionato ed ancora tutti gli altri prodotti esposti negli stessi supermercati, materiale elettrico, bombolette spray, articoli sportivi ecc., alla fine, quando poi la scena era già preparata ed addobbata, si dedicò al protagonista: l’essere umano. Anche per l’uomo era di scena la pubblicità, tuttavia lo riguardava anche un’altra forma di consumo, la narrazione di storie sentimentali, infatti, in quegli anni si consumava tanta stampa rosa, pagine e pagine di immagini tracciate con linee larghe, flessuose e sintetiche rotte dal levarsi dei fumetti, nuvolette che scandivano frasi stereotipate, che scorrevano in sequenza. Intervenendo su un materiale del genere, Liechtenstein, si fece forte di un nuovo strumento di “straniamento”: ingigantiva su tele di ampio formato una singola casella di una “storia”, arrestando il flusso mediante l’effetto del blocco. Anche in Europa si diffuse rapidamente questo fenomeno, tuttavia andò trasformandosi in varie tendenze che sconfinavano in altre (Nuovo realismo). Tra gli italiani coinvolti troviamo Mimmo Rotella, Valerio Adamo ed Enrico.

Joan Baez e Bob Dylan in concerto

Ma la contestazione non si esauriva a quei modelli culturali che investivano le forme d’arte, quelle letterarie e morali, giacché riuscì a trovare nella musica un’ulteriore canale di diffusione, sicuramente più incisivo. Il modello musicale che si sviluppava in contemporanea alla beat generation fu il rock’n’roll, un tipo di musica bianca, che interpretava il senso di inquietitudine, di protesta e di ribellismo dell’epoca. Esso si proponeva come un veicolo antitradizionalista e anticonformista, che voleva mettere al bando la musica melodica e sentimentalista e produrre un nuovo sound provocatorio. Con questo genere quindi si arrivava ad un punto in cui libertà in musica, nei costumi e libertà sessuale si fondevano prepotentemente, fra i maggiori interpreti ricordiamo Bill Haley e Elvis Presley. Al movimento della beat faceva seguito quello degli Hippie, ”figli dei fiori”, particolarmente presente durante gli anni della guerra del Vietnam. I maggiori interpreti del pacifismo e della solidarietà tra i popoli sono stati Joan Baez e Bob Dylan, di cui bisogna necessariamente citare la sua “Blowing in the wind”.

BLOWING IN THE WIND

How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

-Analisi testuale-

Il testo presenta una struttura del 3+1: tre strofe, all’interno delle quali sono presenti rispettivamente tre domande (di tipo riflessivo) cui l’autore propone “un’unica soluzione”(“the answer my friend, is blowing…..)

L’opera si apre con una sorta di “contestazione” nei confronti dell’uomo che nonostante il suo evolvesi in 2000 anni di civiltà, non ha ancora preso coscienza di se stesso; ancora va errando senza meta. Infatti, la seconda domanda della prima strofa, attraverso la metafora della colomba bianca (white dove), indica questa condizione in cui l’uomo non riesce a trovar
pace (“before she sleeps in the sand”-posarsi sulla spiaggia-).

Con la terza domanda anticipa quello che sarà il tema della successiva strofa: le armi che riportano al crudele pensiero della guerra. Essa, infatti, con le sue esplosioni “oscura”, ”appanna” il cielo, quindi quanto ancora dovrà aspettare l’uomo prima di poter vedere la luce del sole…? (“How many times must a man look up before he can see the sky?” –sky=cielo=sole=Luce di libertà-)

Con le successive due domande viene invece fatto un chiaro appello all’indifferenza dell’uomo che con l’infamia e la crudeltà della “macchina della guerra” non si ferma neppure di fronte all’innocenza dei bambini e delle donne (“how many ears must one man have bifore he can hear people cry?
Yes, and how many deaths will it take till he knows that too many people
have died?”).

Nella terza strofa si termina con la riflessione sulla guerra, che con la sua forza “abbatte” persino le montagne[“How many years can a mountain exist before it’s washed to the sea”]
(chiara allusione alla potenza nucleare) e si continua con una riflessione dell’uomo che si sente ingabbiato da questa vita, che non gli permette di sentirsi libero (How many years can
some paople exist before they’re allowed to be free?) ….Terminando infine con una frase di contestazione: fin quando si pretenderà che l’uomo non prenda coscienza di tutto ciò.

A tutti questi interrogativi vi è una sola risposta espressa dal ritornello (“the answer, my friend is blowin’ in the wind, the answer is blowin’in the wind”); essa è un chiaro segno d’impotenza dell’uomo, che non riesce a dare una spiegazione a tale condizione, e nello stesso tempo cenno d’ottimismo poiché a tutte queste domande, tuttavia una risposta esiste ed è
nel “vento”, aspetta solo di essere colta. Inoltre è presente nel testo, e precisamente nel ritornello, la parola chiave: ”Mio amico”; il poeta si rivolge all’intera umanità in termini di fratellanza di fronte ad una situazione che ci accomuna tutti.

Nel complesso si presenta come una canzone molto espressiva poiché riesce a racchiudere in tre strofe un insieme di tematiche, valori e speranze che hanno segnato un’epoca: quella degli anni 60’.