GIOVANNI TORE

INTORNO AD UN «TORCIERE» BRONZEO DI TIPO CIPRIOTA DA SAN VERO MILIS (S'URAKI) - ORISTANO

 

E’ il recupero, avvenuto alcuni anni fa, circa una decina, su dati d'archivio, di un pezzo noto praticamente con una indicazione non esatta già dagli inizi del secolo. Dopo il Patroni la prima menzione di questo è un riferimento che viene fatto dal Pais nel 1911 all'appena scoperto consimile «torciere» (poi chiariremo il valore di questo termine) proveniente da Serri , dicendo che ne esisteva un altro nel museo di Cagliari che proveniva da Sulci(1). L 'indicazione era sbagliata: si trattava, invece, molto probabilmente, di questo di San Vero Milis . I dati di archivio in origine, prima di questa ricerca che io condussi circa quattordici anni, fa, davano come unica indicazione San Vero Milis e la collezione Caput, acquistata alla fine del secolo, di cui però potei fortunosamente recuperare nell'archivio(2) la documentazione. In una relazione è detto che il pezzo viene dal nuraghe di San Vero Milis. poiché l'unico nuraghe della zona che conservi questo termine, senza essere accompagnato da un altro determinativo (cioè il solo termine usato per «nuraghe» in tutta l'area) è quello di S'Uraki, attualmente in corso di scavo a circa un chilometro e mezzo dal paese, ne deriva la sicurezza dell'attribuzione ad esso. Il monumento non è ricordato sino al 1935, non ostante un vasto varco nell'antemurale, ad Ovest, faccia pensare a manomissioni antiche e si abbia notizia, in paese, di scavi per recupero di elementi da costruzione e per la fattura di mattoni crudi in loco. Successivamente, si ha un'ampia relazione del prof. Lilliu che diresse gli scavi del '48 e poi gli ultimi scavi di cui ho dato notizia(3).

      Probabilmente in questo torno di tempo tra l'acquisizione del reperto al Museo Nazionale Archeologico di Cagliari e la costituzione della collezione Caput (2a metà del XIX secolo?) si situa questo ritrovamento. Per quale motivo questo elemento è importante e perché lo si vuole riportare a questo preciso dato topografico? È una classe di materiali che ha una larghissima diffusione, a partire da Cipro, e si connota, molto probabilmente, con una specifica funzione, anche in diversi ambiti, per quei dati che abbiamo, qualora se ne possa disporre in termini chiari di uso. Si introdurrebbe un po', anche se fuori contesto di riferimento, di nuovo quest'indicazione, che ieri proponeva l'amico Morel(4), di «gusto», in quanto questi reperti, per la Sardegna, provengono quasi esclusivamente da contesti non fenici . Sono quindi oggetti che sono stati proposti o adattati o richiesti a/o da un ambito locale. Un ambito locale che, almeno per un caso, ci dà un riferimento molto preciso di possibile funzione d'uso, che, come dato interessante, torna con quella che era poi la funzione originaria nelle zone di produzione. Cioè siamo in presenza di un manufatto detto comunemente «torciere»,ma legato, invece, a un'altra funzione (che ha un interessante precedente che in questa sede vorrei proporre): cioè di supporto di tipo particolare denominato, per la presenza di questo motivo a corolle rovesciate, «a corolle pendenti» (secondo la definizione di circa 50 anni fa di Blinkenberg)(5), che riproducono sostanzialmente fiori di loto. Quindi abbiamo un dato di carattere largamente usuale in tutto l' Antico Oriente e il Vicino Oriente che si colle-ga con ambito di tipo rituale. In effetti, la documentazione iconografica che abbiamo, mostra chiaramente nei sigilli e in alcuni rilievi che si tratta di un supporto per bruciare incensi. Dalle poche rappresentazioni che abbiamo si vede chiaramente che sorreggono un recipiente o un elemento da cui partono delle fiamme. Quindi il termine più corretto dovrebbe essere «timiateria» o «bruciaprofumi», o «bruciaincensi» come in effetti nella letteratura più accorta si sta definendo con più correttezza il termine(6). Si tratta, quindi, di supporti di carattere decorativo e funzionale, legati ad ambiti molto precisi,per quello che sappiamo di Cipro, con provenienza nota da necropoli e da ! santuari(7).

Il tipo poi, di per se stesso, ha un'antichissima tradizione che si ri-i connota, e questo è interessante perché conferma la funzione di supporto, a un elemento che chiaramente, come funzione architettonica, serve a sorreggere, cioè a capitelli di colonne. Infatti l'elemento compare utilizzato in grandi capitelli di Samaria ed era probabilmente lo stesso motivo che compare nelle descrizioni bibliche nelle due colonne che erano antistanti al tempio di Salomone a Gerusalemme che, come si sa, è di influsso fenicio(8). Ci sono altri dati. Normalmente si trova anche come elemento decorativo di mobili(9) in ambito assiro piuttosto antico. Già il Lehmann-Haupt richiamava come riferimento l'Urartu dove, in effetti, compare questo tipo di candelabro. Tenendo conto che la maggiore specifica condizione per cui l'Urartu ha questa grande diffusione culturale nel Vicino Oriente e anche in ambiti più lontani, l'essere terra di produttori e esimi facitori di oggetti in bronzo, si chiarisce anche questa possibile paternità. Comunque, il motivo, a parte la possibile ascendenza urartea, è diffuso in tutto il Vicino Oriente, a partire dalla Palestina fino alla Siria(10).

I dati portano a datazioni alte attorno al IX secolo per la presenza del motivo, però, le tipologie sono varie. La tipologia più antica, secondo una classificazione proposta da Almagro Gorbea circa quattordici anni fa(11), si riconnette esplicitamente alla conformazione della base di questo supporto che nel caso di quello da San Vero Milis e di quello da S. Vittoria di Serri, ha il tipico tubo di congiungimento cavo di forma cilindrica. Questa dovrebbe essere la forma più tarda. Le forme più antiche, per quello che sappiamo, invece presentavano una forma di tipo svasato, a tromba, e con la parte superiore sagomata con un capitello (viene chiamato capitello) e una specie di sagomatura di tipo campaniforme, secondo la definizione che ne dà l'Almagro Gorbea. Da tener presente che l'Almagro Gorbea (che è estremamente documentato e, possiamo dire, fondamentale come inquadramento) si è basato, però, solo sui reperti di cui ha potuto disporre anche se con una documentazione ampia. Oggi questa documentazione è ancora più ampia di quella che viene presentata nel '74, che è l'anno di edizione di questa classificazione e comporta una notevole varietà di tipi. I tipi fondamentali si raggruppano in forme che propriamente si possono definire, secondo una classificazione dell'Almagro Gorbea, A e B.

Il tipo A è il precedente con questa particolare base; il tipo H, con diverse suddivisioni che derivano dal numero delle corolle (si va da una a tre), dovrebbe essere leggermente più tardo. Infatti, se si osservano i dati a disposizione più ampi, vediamo che la forma più antica effettivamente dovrebbe essere la A. Questa forma (quella del tipo B, attestata in Sardegna) compare praticamente in un uso già affermato attorno alla fine dell'VIII secolo grazie allo scavo nella necropoli reale di Salamina condotto dal Karageorgis(12) negli anni 60. Qual è il significato della presenza di questo elemento in Sardegna? Per ambito e per possibilità di confronti come datazione, più che alla presenza stabile di un insediamento di genti fenicie, preferiamo vederlo in una fase di contatto ancora abbastanza alta. Questo perché? Perché la Sardegna, a parte un frammento di Tadasuni, che è stato citato per la prima volta da Lilliu(13), e il frammento scoperto a Serri nel 1909(14), abbiamo un solo esempio inedito (di cui ho fatto un breve cenno), che viene da un contesto sicuramente fenicio.

Molti anni fa nel corso di una ricerca nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari, trovai un ulteriore tipo di candelabro (o supporto che dir si voglia), che presenta, però, solo la parte superiore che ha la caratteristica ghiera sagomata con tre foglie pendenti lanceolate e il cerchietto che ha la funzione di sostenere l'oggetto contenente, evidentemente, il combustibile o quello che era necessario per delle cerimonie di tipo rituale. In un caso, almeno, a Cipro(16), si ha l'associazione, in modelli non in bronzo, di questo con lampade, lampade con la tipica conformazione a tubo nella parte inferiore che serviva per introdurre tale parte apicale sotto stante nel cerchietto a cui sono saldate le tre foglie pendenti e determinarne la possibilità di maggiore stabilità. Comunque sia, ammettendo le due ipotesi d'uso, va notato che i sigilli e la documentazione di tipo più spiccatamente cultuale, sacrale, hanno sempre un riferimento col fuoco(17), ed è una tradizione molto antica. Questo è un dato molto interessante perché compare anche in stele che si possono definire di ambito praticamente punico come quelle trovate in Sicilia a Lilibeo e pubblicate dalla Bisi, recentemente(18). Quindi abbiamo praticamente una continuazione d'uso (che è amplissima) di un elemento che si può spiegare solamente come legato ad ambito rituale e sacrale (per cui se ne motiverebbe questa ininterrotta durata). Ed è interessante che sulle stele compare praticamente l'elemento a doppia e tripla corolla, mentre manca quello ad una corolla che probabilmente invece è il più antico. Quindi le stele documentano la perpetuazione e l'irrigidimento del modello di maggior voga nel periodo antecedente alla formazione stessa di questo tipo iconografico. Grosso modo fra l'VIII e il VII sec. a.C. dovrebbe stabilizzarsi la massima diffusione di questi tipi e più o meno a questa età si potrebbero riportare sia questo che l'altro di San Vero Milis, cioè probabilmente alla fine dell'VIlI, vale a dire in tempi di sutura fra quella che si chiama la precolonizzazione e la colonizzazione, momenti proprio di incipiente o avvenuta fondazione di centri urbani fenici.

Se esaminiamo i siti in cui sono stati trovati, cioè Serri e questo di San Vero Milis e l'altro che viene da Tadasuni , purtroppo da un ripostiglio di cui non si hanno dati tali da poter definire con precisione contesto e datazione (anche se io presumo, per il poco che si sa dei materiali trovati -sono materiali bronzei- che si tratti di un ripostiglio nuragico), penso che possa essere un periodo coevo per tutti e tre, comunque non di molto più tardo dell'ambito a cui si vuole riferire questo pezzo di San Vero Milis.

Il pezzo di Bithia si presenta differenziato nella parte superiore(19) e ha, come unico riferimento, un pezzo praticamente non studiato che attualmente è al Louvre(20) e un altro più noto di cui si ha un riferimento di datazione e che è stato trovato a Ghajn Qajjet, in una tomba, a Malta, negli anni cinquanta dal Baldacchino(21). La datazione si basava su presenza di ceramica corinzia che era ritenuta anteriore quanto meno al VI sec. a.C. e probabilmente è più antica per quello che sappiamo da un riesame di questi materiali. La tomba aveva avuto, però, due periodi d'uso, quindi si tendeva a legare il materiale più antico con questo particolare tipo di elemento. L 'esemplare di Bithia probabilmente è non del tipo B, anche se manca la possibilità di vedere la parte sottostante che è quella che dà criteri di classificazione nell' Almagro Gorbea, ma doveva appartenere probabilmente a un tipo più vicino al tipo A, cioè con questo probabile supporto svasato in quanto nel modello presente a Parigi (che è completo) questa sagoma presenta questo dato di carattere tipologico.

Come abbiamo visto, abbiamo solo contesti nuragici, tranne per questo che proviene da Bithia. Potei identificare la notizia sulla base di un bigliettino che era all'interno. Purtroppo, non detti mai la notizia ufficiale perché nella stanza che conteneva questo materiale vi erano reperti di varia provenienza e, in genere, io ritengo che la prudenza non è mai troppa. Ripensandoci a distanza di anni, penso oggi si possa affermarlo più recisamente, perché quello che allora vagamente si poteva presupporre, cioè la presenza di un contesto più arcaico di Bithia, oggi è stato attestato. lo stesso me ne sono occupato alcuni anni fa pubblicando una tomba con materiale misto col collega Gras(22). È ampiamente documentata la possibilità dell'esistenza di una ne-cropoli fenicia della prima metà o attorno, almeno, al periodo di transizione tra prima e seconda metà del VII sec. a.C.(23). A Bithia, probabilmente, questo «torciere» appartiene a quella fase. Ed è interessante che si connoti di nuovo in ambito funerario. Il biglietto dava provenienza sicuramente da tomba.

L 'altro elemento interessante di cui io accenno solamente è che quando fu acquisito il torciere di S. Vero Milis nella relazione viene fatta menzione della presenza di una lettera nella parte alta del supporto. L’esame autoptico che io condussi allora e anche le fotografie che feci fare praticamente non danno niente. Il disegnino che viene fornito nella relazione (e che è abbastanza discutibile), dà una specie di forma di «lambda» o «y» rovesciata(24) e chiaramente non serviva a gran che per la identificazione dell'alfabeto usato. Potrebbe essere benissimo una trasposizione culturale di chi vide l'oggetto. Quindi su questo dato (a meno che non si faccia un esame con infrarossi) penso che sia molto difficile pronunciarsi perché il pezzo deve essere stato restaurato più volte e la parte superiore presenta tutta una serie di incisioni e di altri graffi che potrebbero anche indicare semplicemente quelle che sono le vicissitudini di conservazione in qualsiasi museo quando il pezzo supera, come in questo caso, abbondantemente quasi l'ottantina d'anni di permanenza nel museo. Il dato sarebbe interessante se ci fosse una lettera, ovviamente, ma do solo la notizia a livello d'informazione.

La pertinenza di questi tre elementi a un ambito nuragico ci riconduce anche alla funzione. La funzione, in ambito fenicio, è tipica di ambienti elevati. Normalmente è legata a necropoli reali ed è interessante notare che l'uso permane anche al di là della tipologia e della cronologia proposta per questo tipo. In effetti abbiamo un arco che va dalla fine dell'VIII sec. a.C. per Salamina, alla tomba di Tabnit e di Sidone che è databile alla metà del V sec. a.C.(25). È interessante notare che l'elemento di congiunzione non è solo la similarità del pezzo, ma evidentemente una persistenza d'uso di un elemento rituale ed in ambito reale.  Il che connota che siamo in presenza di quelli che in altro sito e in altro ambiente correttamente il Cristofani, per elementi di scambio etruschi (26), chiama oggetti di pregio o di lusso. È questa la categoria a cui credo si possa riportare agevolmente questo oggetto.

Perché lo troviamo in Occidente? Fu dato già (non tanto per S'Uraki, di cui ignoriamo il contesto, ma che io credo sia similare come funzione) per quello di Serri, il riferimento come elemento che si trovava nella capanna del santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, identificata come luogo di riunione e in cui erano presenti anche elementi di tipo cultuale. Quindi abbiamo una funzione che potrebbe essere, a differenza di quella iniziale, che si pensò utilitaristica (praticamente di portalampada o comunque di supporto per illuminazione), invece di un oggetto legato ad un ambito di tipo cultuale o comunque a qualche forma di rituale che ci sfugge. In effetti, queste capanne circolari con grado ne interno presentano, in genere, elementi abitualmente inerenti al culto, come si è visto in questi ultimi anni(27). Cito rapidamente sia il betilino di Barumini che la torre nuragica, di estremo interesse, trovata a Palmavera ed edita dal collega Moravetti. Esse ci presentano un ambito in cui probabilmente le connotazioni non sono esclusivamente funzionali ed io dubiterei, per questo pezzo, una cosa del genere. Del resto, tutte le altre connotazioni in cui si trova questo elemento, anche nella Spagna(28) con un uso molto lungo che arriva fino al V sec. a.C., danno normalmente elementi di questo tipo. Per il mondo fenicio è sicura l'attribuzione ad un ambito di rituali connessi a ceti elevati.

Un problema apparentemente, diciamo, non pertinente a questo, ma che mi ha colpito, e che sostanzialmente c'è un riferimento più antico ad un uso del genere in ambito nuragico e che è interessante, anche questo come  «portato dall'esterno». Se si pensa sostanzialmente alla struttura, alla funzione di quest'elemento, si può individuare una certa ipotesi di lavoro in questa sede ed è interessante notare una cesura. Questo entra in uso quando l'altro scompare; c'è un riferimento funzionale ad un altro elemento che è diffuso in Sardegna e che anche per esso ha un chiaro ambito di riferimento cipriota, che è stato studiato in tempi recenti, e credo anche in modo eccellente, dalla collega Lo Schiavo(29). Infatti, con funzione di supporti, per altro anch'essi riccamente decorati, vi sono i tripodi, di cui si richiama, non a caso, la pertinenza cipriota, chiaramente con un ambito diverso da un punto di vista di qualificazione culturale e anche di ambito cronologico.

Qua siamo già in una fase fenicia, li probabilmente siamo in una fase precedente. Quin-di abbiamo a che fare con una continuità d'uso sul mercato specifico, che è quello sardo, che mi sembra sia interessante rilevare, almeno a livello di ipotesi di lavoro, perché in effetti questi si presentano nel momento in cui gli altri scompaiono. È interessante notare questa pertinenza. Per gli altri, purtroppo, non abbiamo riferimenti precisi e l'ambito di carattere religioso e sacrale è diverso. Uno di quelli che ha più sicura e maggiore valenza è quello trovato nella grotta di Santadi, la grotta Su Benatzu, il cui ambito cultuale è sicuro(30). Quindi abbiamo un riferimento: oggetti pregiati, oggetti con una connotazione in origine già elevata e il loro trasporto a richiesta e collocazione in ambiti apparentemente similari. È chiaro che dal punto di vista di indagine socio logica è molto rischioso e pericoloso individuare una stretta connessione fra ambito fenicio e ambito protosardo perché noi non conosciamo con chiarezza i rituali specifici dell'uno e dell'altro, però è interessante cogliere che c'è un parallelo possibile a livello funzionale. E quindi spiega il perché di questa presenza.

L 'altro riferimento che si può porre è dell'orizzonte culturale che si è dato. Perché proprio l'VIII sec. a.C.? Questa forma effettivamente è oscillante: arriva tranquillamente al VI sec. a.C. e forse anche al V sec. a.C. in Spagna e anche per alcuni dei «torcieri» di Cipro, che vengono dagli scavi del Palma di Cesnola, dai primi editori(31) vengono dati orizzonti fra il VII sec. a.C. ed il VI sec. a.C. Anche il Dikaios(32), che ha pubblicato alcuni elementi similari a questo, dà una datazione più bassa. A parte il fatto che si potrebbe trattare di una continuazione d'uso evidentemente legata al rituale che si perpetua (ed è possibile), potrebbe essere una fase, a livello di ipotesi, di rituale di discesa: da classi aristocratiche o addirittura da famiglie reali a coloro che poi sostituiscono mano amano questa funzione e ne conservano i simboli. È un processo abbastanza comune, come linea di ipotesi ovviamente, perché qui andrebbe dimostrato. E questo, però, possiamo leggere, a mio parere, più agevolmente, prima di tutto con la pertinenza dell'unico sicuro, che è quello di Serri(33). Il secondo elemento è il fatto che l'altro sicuro (quello di Bithia), è di ambiente fenicio urbano e di diverso tipo e più tardo. E poi il  fatto che tutti e tre i siti che restituiscono delle forme similari li possiamo ascrivere a contesti nuragici.

Esaminiamo brevemente i tre esemplari. Solo quello da S. Vero Milis è completo, anche se, come per tutti gli altri, non si conserva l'elemento di sostegno che, laddove riscontrabile, era in legno. Nell'esemplare di S. Vittoria di Serri manca la sommità e, a differenza del precedente, questa non doveva essere fissata e non saldata, come potrebbero indicare i quattro fori circolari pervii della base di sezione circolare.

 Essa, come la parte mediana ed il tubo cilindrico di congiunzione all'elemento di sostegno, si presenta affatto simile nei due esemplari: stesso numero di corolle, di petali, stesso fusto ottagonale. Anche l'altezza, per le parti conservate comuni, è sostanzialmente simile, 16 cm. per il primo, 16,1 per il secondo. Il frammento da Tadasuni, pertinente alla parte superiore di un con simile elemento (o comunque assai vicino tipologicamente: h. cm. 6,1), può avvicinarsi ai precedenti per il fusto ottagonale e la corolla ad otto petali, differenziandosene per la soluzione del passaggio dal motivo a corolla alla base di sezione circolare, qui più alta e massiccia, quasi cilindrica, con motivo a tre nervature orizzontali parallele, a coppia, inferiore e superiormente, contro le due dei due primi esemplari. La pertinenza dei primi due al tipo B3 dell' Almagro Gorbea è affatto sostenibile. Per la frammentarietà del terzo potrebbe essere postulabile (anche se non si può escludere del tutto un tipo B2: a due corolle; il B1 parrebbe escludersi per il tipo di fusto ottagonale). Tale sostanziale unitarietà porta a considerare plausibile, insieme ai comuni riferimenti (per quanto ricostruibile) degli ambiti di ritrovamento, una datazione non oltre la prima metà o al massimo agli inizi del secolo VII a.C. (come termine più alto di attardamento) se, non più puntualmente, la fine o la seconda metà del secolo precedente.

Per la provenienza non è da escludersi la mediazione di uno scalo costiero, presumibilmente sul golfo d'Oristano (Tharros?). Si tratta di opere di alto artigianato la cui presenza sostanzialmente risulta maggiormente esplicabile in una voga che si connette correttamente con quell'ambito che chiamiamo Orientalizzante e di fatto fuori dalla Fenicia esso compare sempre esclusivamente o in ambiti orientalizzanti o in ambiti che derivano da questi.

     L' origine di tale tipo di supporti si sostiene sia Cipro(34) per la sua maggiore diffusione negli ambienti conosciuti, a Cipro, però non possiamo sapere se il luogo di origine sia Cipro. È possibile, ma data la larghezza di questa diffusione, può darsi che sia una specializzazione che si è prodotta a Cipro e per i contatti che Cipro ha in Occidente tendiamo ad identificarla con questa matrice. Per questo ho proposto il termine «di tipo cipriota» non «cipriota», chè fin che non si potranno fare delle analisi (che credo non siano mai state fatte per questo tipo di manufatti per esteso), mi sembra che sia discutibile un'affermazione così netta. Diciamo che conduce a Cipro. Ma non si può definirlo tout court come esclusivamente cipriota. Necessita una maggiore e più fondata attestazione. La connotazione di questo fine VIII secolo mi sembra più corretta su un piano storico e su un piano di lettura anche degli scambi in quanto credo sia una delle fasi di maggiore sviluppo di prodotti di lusso di questo genere. Purtroppo al di fuori di questi ambiti, abbiamo un solo caso,che è un prodotto simile, da Caere, un vecchio scavo degli inizi del secolo scorso che purtroppo non dà dati sicuri, però anche in questo caso la provenienza da Caere(35) e il riferimento normalmente di datazione alta, anche se non vengono dati i contesti, configurerebbe piu o meno nella stessa situazione, cioè elementi emergenti nella scala sociale e quindi riferimento a carattere ideologico a prodotti di lusso, di spicco, già tradizionalmente individuati come elementi con tale funzione che mi pare meglio si aggradi, per i dati che abbiamo, a questo. L 'altro elemento sono i contesti dove si possono leggere o dove si ha un minimo di riferimento. Per quello che riguarda Serri è stato sostenuto l'abbassamento di questo contesto addirittura a contesti di VII sec. a.C., come propose Santoni(36) alcuni anni fa in un lavoro sui MEFRA.

      Io stesso allora tendevo, per uno: studio esclusivamente tipologico, a non ritenere impossibile che di per se stesso il pezzo si potesse abbassare come datazione (rimane in uso anche più tardi). Per ora, in un contesto più ampio di dati e di informazioni che possiamo avere su quello che è la situazione della Sardegna in questo periodo, non mi sembra che si possa, in quel contesto, per Serri dare una datazione così bassa. Almeno non credo che si possa superare la soglia della metà del VII sec. a.C. come datazione estremamente ribassista. Per quello che riguarda S'Uraki, i dati che abbiamo del monumento, per ora, danno un arco amplissimo, praticamente sembra che il monumento non abbia avuto interruzioni d'uso dalla sua prima funzione fino ad età romana. naturalmente con differenti fasi di utilizzo. Ovviamente, la fase culturale nuragica (chiaramente, non in epoca storica) si deve pensare continuata, anzi è possibile anche per la presenza di questo torciere faccia pensare anche a uno schema similare già proposto per altri ambiti e codificato recentemente dal prof. Lilliu(37), a una fase in cui il monumento non assume più tali valenze specificamente militari e assume invece praticamente il riferimento a epicentro, sede o comunque immagine di potere, a cui ben si connetterebbe il riferimento fastoso e ricco e, tutto sommato, esotico, di tali materiali di provenienza orientale.

(*) Desidero ringraziare il Soprintendente Archeologo per le Province di Cagliari e Oristano, prof. Ferruccio Barreca, per la consueta liberalità con cui ha favorito la ricerca alla base della presente nota e l'amico e collega dr. Giovanni Ugas alla cui pertinace e affettuosa insistenza si deve l'anticipazione, in questa sede, di una più ampia ricerca in corso e la dott.ssa Gabriella Lai per la paziente, ma tenace opera di segreteria.

 

Scheda

Supporto bronzeo a triplo ordine di corolle rovesciate.

Da S. Vero Milis, regione su Pardu, loc. s'Uraki. Già collezione Caput. Acquisito dal Museo Archeologico nazionale (CA) in data 16. VIII. 1890: inv. 22.932.

H. max. cm. 26.

      Sommità sagomata da tre elementi verticali saldati ad uno circolare ad anello, di sezione triangolare, superiormente in forma di foglie pendenti, con l'apice rivolto all'interno, sorgenti da una base a piattello circolare, saldata alla parte mediana composta da un elemento superiore di sezione circolare e tre in forma di corolla rovesciata con otto petali ciascuno; parte inferiore in  forma cilindrica, cava, con funzione di tubo di congiunzione per l'elemento di sostegno.

Il terzo elemento è unito ad i tre precedenti, formanti la parte mediana, da un fusto ottagonale. La parte inferiore, inoltre, presenta tre nervature orizzontali parallele, a coppia, inferiormente e superiormente. Le due corolle inferiori sono sovrastate da un elemento piano, di perimetro circolare, con breve gradino a spigolo vivo di congiunzione al fusto ottagonale. La prima, superiormente, si salda alla svasatura sotto stante l' elemento superiore di sezione circolare. Questo, in basso, presenta due piccole nervature orizzontali parallele, di cui una ben evidenziata, l'altra risultante dallo spigolo d'incontro della svasatura sotto stante con la parte inferiore dell'elemento di sezione circolare.

Superiormente, la parte esterna della base a piattello circolare mostra una nervatura consimile. Tracce di corrosione. Danneggiati alcuni petali ed il tubo di congiunzione, patina verdognola.

 

BIBLIOGRAFIA:

PATRONI 1904, col. 235, nota 1;

PAIS 1911, p. 119;

TARAMELLI 1911, pp. 309-310;

TARAMELLI 1914, p. 79;

TARAMELLI 1914a, col. 423;

TARAMELLI 1915, p. 324;

BLINCKENBERG 1931, p. 208;

LILLIU 1944, col. 394, nota 10;

LILLIU 1944a, p. 335;

GJERSTAD 1948, p. 399, nota 15;

LILLIU 1948, p. 9;

BALDACCHINO 1953, p. 38;

PESCE 1961, p. 95, fig. 88;

PESCE-BARRECA (s.d.), p. 10;

BARRECA 1964, p. 182, Tavv. 32,33;

LILLIU 1966, p. 372;

MOSCATI 1968, pp. 61, 62, 63, 178, Tav. 98;

CECCHINI 1969, p. 88;

BARRECA 1971, p. II;

MOSCATI 1972, pp. 401, 441,442, 444;

LILLIU 1973, p. 302, note 156 e 159;

TORE 1973, p. 171;

ALMAGRO GORBEA 1974, p. 48, n. 9;

BARRECA 1979 (2A. ediz.), p. 199, Tav. III;

TORE 1980, p. 489;

TORE 1980a, p. 246, fig. 261;

BARRECA 1981, pp. 355, 410, fjg. 416;

TORE 1981, pp. 276 (nota 34), 292;

TORE 1981a, p. 23;

LILLIU 1982, p. 154, fig. 178, p. 131;

BARRECA 1985, p. 319, fig. 5.

 

NOTE

(1)    Cfr. infra la scheda, Bibliografia: erroneamente indicato da Sulci. Primo accenno,  però, in PATRONI 1904, col. 235, nota I: «altro da S. Vero Milis, nell'agro di Tharros, al Museo di Cagliari».

(2)    Archivio Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano.

(3)    Cfr. TORE 1984; ToRE 1984, pp. 188-190, ivi bibliografia antecedente.

(4)    Cfr. in questi stessi Atti la relazione di J. P. MOREL.

(5)    BUNCKENBERG 1931, p. 208.

(6)    ALMAGRO GORBEA 1974.

(7)    Santuari: PALMA DI CESNOLA 1887, p. 9; KARAGHEORGHIS 1977, pp. 39-41.

(8)    ALBRIGHT 1942.

(9)    LEHMANN-HAUPT 1929, p. 220.

(10)  LILLIU 1944, p. 335.

(11)  ALMAGRO GORBEA 1974.

(12)  KARAGHEORGHIS 1977, p. 41, nota 2.

(13)  LILLIU 1948, p. 9, nota 8.

(14)  LILLIU 1944, p. 335, nota 116.

(15)  TORE 1981a, p. 23, nota 75. Cfr. infra, da Bithia, individuazione dello scrivente neL 1971.

(16)  KARAGHEORGHIS 1977, p. 40.

(17)  TORE 1980, p. 246, fig. 264.

(18)  BISI 1968, pp. 227-234.

(19)  Era in frammenti ed è stato restaurato. È conservato nei depositi del Museo Archeologico Nazionale. Si conserva bene la sola sommità. H. max. residua cm. 11. Un biglietto riportava: «Trincea VI. Bithia, tomba punica. Tripode in bronzo». Si tratta degli scavi 1934.

(20) AM 378. Cortesia Mme Annie Coubet. Da Kourion, tomba XV.

(21) BALDACCHINO 1953, pp. 37-38, fig. 6, Plate XIII, a. Per la datazione ibidem, p. 39. Più alta in BISI 1970, p. 166, VII sec. a.C.

(22) TORE-GRAS 1976.

(23) BARRECA 1982, p. 181.

(24) Cartella 5, Cagliari 28 giugno 1890: «...nonché il candelabro, che oltre all'essere forse unico riscontro con quelli trovati in Cipro, presenta dippiù la singolare importanza di un carattere inciso nella parte interna del piede». La relazione è accompagnata da un disegnino che, secondo le indicazioni diffuse dal PALMA,DI CESNOLA (cfr. la nota 7), era erroneamente capovolto. Nel Registro d'inventario del Museo (Anni 1884-1900, foglio 34), inv. 22.932, la lettera viene identificata come «lettera cipriota rispondente alla vocale u».Tale identificazione corrisponde a quella della tabella a p. 16 di PALMA DI CESNOLA 1887.

(25) ALMAGRO GORBEA 1974, p. 51, nota 65.

(26) CRISTOFANI 1978, pp. 39 ss.

(27) LILLIU 1982, pp. 134-135; MORAVETTt 1980, pp. 68 ss.

(28) ALMAGRO GORBEA 1974, pp. 51 SS.; LOPEZ PALOMO 1981, p. 284.

(29) Lo SCHIAVO 1985, pp. 258, 265 ss. (figg. 21-22; 23-25).

(30) LILLIU 1973.

(31) BLINCKENBERG 1931, pp. 207 ss.

(32) DIKAIOS 1961, p. 122.

(33) TARAMELU 1914a, colI. 408 ss., 422-24, fig. 117.

(34) Per la annotazione che segue cfr. (pur riferita a diverse categorie) MOSCATI 1974, p. 57. Per una possibile fattura in loco, a Tharros, dei due «torcieri» da S. Vero Milis e da S. Vittoria di Serri: BARRECA 1979, p. 199. Sull'Orientalizzante cfr. BISI, 1984.

(35) ALMAGRO GORBEA 1974, p. 50, nota 50.

(36) SANTONI 1977, p. 453, nota 24.

(37) LILLIU 1972, pp. 138-142; TORE 1984, p. 711, nota 9.

 

 

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

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