I risultati dell’esperienza: una prima valutazione

 

Maria Letizia PELUSO

 

 

Per noi insegnanti la valutazione degli esiti di un percorso formativo non può prescindere da un’attenta analisi dei risultati ottenuti, che preveda prove strutturate dalle quali dedurre il grado di acquisizione delle conoscenze e delle competenze da parte degli alunni. Ritengo, tuttavia, che non sia questa la sede per riferire dettagliatamente delle verifiche condotte in ciascuna classe o gruppo che ha partecipato all’iniziativa, piuttosto ritengo possa essere utile per una corretta lettura del lavoro svolto mettere in risalto come la metodologia adottata sia stata adeguata al raggiungimento degli obiettivi.

Innanzitutto, la differenziazione dei percorsi, dettata dall’età degli alunni coinvolti, ha consentito la trattazione di più argomenti, che pur con ottiche diverse, hanno portato ad una ricostruzione globale della storia, della cultura e delle caratteristiche sociali di Viggiano in epoche diverse.

Il progetto ha tenuto conto della continuità fra la scuola materna, la scuola elementare e la scuola media, differenziando le strategie didattiche con cui le finalità sono state perseguite.

Ciò che ha accomunato i tre ordini di scuola, comunque, è stato l’allestimento delle sale del museo poichè tutti hanno contribuito al reperimento degli oggetti esposti, dai quali, di volta in volta, si è risaliti al contesto originario di appartenenza.

La sistemazione delle sale, nella maniera in cui attualmente appaiono al visitatore, è stata dettata, infatti, proprio dall’intento di rendere fruibile al massimo per i bambini una realtà così lontana da loro, nella quale potessero, in qualche modo, calarsi per rivivere con il supporto dell’immaginazione momenti di vita che fanno parte della loro storia e di chiunque altro appartiene alla comunità.

 

Mi piace annoverare tra gli obiettivi raggiunti quello di aver sottratto al deperimento ed alla perdita definitiva oggetti che, altrimenti, avrebbero potuto non essere più disponibili a causa  dell’usura  provocata dal trascorrere del tempo e dell’incuria.

Significativo, a tal proposito, il ritrovamento di una “col’na” (contenitore per il trasporto della paglia a dorso di asino), e  in condizioni fatiscenti di abbandono. Questo oggetto giaceva in pezzi, ai piedi di un covone di fieno, quasi irriconoscibile, quando il proprietario, che cercava di assecondare la nostra richiesta di “pezzi da esporre nel museo”, lo indicò, spiegandocene l’originaria funzione ed esprimendo le sue titubanze circa un suo recupero funzionale. Lo prendemmo, dietro l’insistenza dei bambini, che lo trovavano interessante e lo affidammo nelle mani dell’allora custode del Convento, il quale, improvvisatosi restauratore e utilizzando i ricordi dell’infanzia, lo ricostruì consentendone l’esposizione.

 

Nonostante alcune discrepanze cronologiche e malgrado la convivenza nel medesimo ambiente di oggetti appartenenti ad epoche diverse, la ricostruzione del contesto di appartenenza, che doveva servire a noi insegnanti per scopi puramente didattici è riuscito a rendere più vivi i ricordi. Quelli che possono essere considerati artifizi espositivi sono stati dettati esclusivamente dal desiderio di mediare, comunque, un messaggio e di veicolare la conoscenza della civiltà contadina, anche in assenza di testimonianze e reperti datati.

 

Verificare e valutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati non è stato, dunque, un mero adempimento burocratico, svolto nell’ambito dei consigli di classe, ma è stato un momento di riflessione globale sul grado di coinvolgimento ottenuto e sulla qualità del lavoro svolto.

Anche le manifestazioni conclusive del percorso, realizzate durante ciascun anno scolastico, hanno contribuito a far emergere la validità dell’idea ed hanno segnato, con la sempre maggiore partecipazione da parte degli alunni e dell’intera comunità locale, il successo dell’iniziativa.

Man mano che i viggianesi venivano a conoscenza del lavoro della scuola, offrivano anche spontaneamente il loro apporto. In un primo momento, noi insegnanti, avevamo avuto la sensazione che alcuni ci offrissero, senza porre particolari condizioni, gli oggetti abbandonati per anni in depositi e cantine quasi “per fare pulizia”, per liberarsi di residui ingombranti ed inutili. Oggi dobbiamo verificare il fenomeno contrario, vale a dire, della richiesta di restituzione degli oggetti “prestati” al museo, in nome dei ricordi di famiglia o di un presunto, improbabile, utilizzo. Siamo tentati di pensare che se ciò accade è perché, con il nostro lavoro, siamo riusciti a valorizzare il patrimonio appartenente alla cultura locale e a suscitare l’interesse di una comunità che, quantomeno, è diventata consapevole di possedere “ricordi” importanti.

 

Il nostro può essere considerato un caso “emblematico”, unico in Basilicata e forse tra i pochi in Italia. Ciò è quanto è stato sostenuto dal prof. Ferdinando Mirizzi, nel convegno “La scuola alla riscoperta della storia e delle tradizioni viggianesi”, organizzato nell’ambito del progetto, nel giugno del 2003, e ribadito nell’introduzione alla pubblicazione del catalogo “Musei e collezioni etnografiche in Basilicata”: ‹‹Una situazione che merita attenzione è, poi, quella di Viggiano, dove l’Amministrazione comunale nel 2000 ha affidato l’incarico per l’allestimento di un Museo delle Tradizioni Locali, senza disporre allora di alcuna collezione oggettuale, all’Istituto scolastico comprensivo attivo nel paese e nella contrada di S.Salvatore. La progettazione curricolare delle attività didattiche, che ha investito tutti e tre gli ordini scolastici dell’Istituto (scuola materna, elementare e media) è diventata perciò il progetto per la realizzazione del museo, con il coinvolgimento degli alunni e, attraverso essi, delle famiglie per un’attività di raccolta, documentazione e rappresentazione della vita del passato ispirata a criteri marcatamente riflessivi, con il ricorso a tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento consuete nel lavoro scolastico. Gli alunni hanno così assunto su di sé, attraverso al ricerca, le procedure didattiche e le diverse forme di simulazione adottate, l’esperienza di un mondo temporalmente altro, sviluppando un programma di appropriazione progressiva di modi e stili di vita riferibili al passato della loro comunità di appartenenza. E direi che tale percorso risulta alla fine più rilevante rispetto all’obiettivo, comunque raggiunto, di un allestimento che, secondo modalità ricorrenti, punta soprattutto alla rappresentazione dei lavori connessi alla dimensione agro-pastorale, dell’artigianato urbano, della vita domestica, degli usi e delle credenze locali, dei giochi infantili e, tratto specifico della storia culturale di Viggiano, della tradizione costituita dai musicanti girovaghi ››.

 

L’esperienza vissuta durante i tre anni di svolgimento del progetto, dunque, per gli alunni è stata l’occasione per rendersi protagonisti di un evento unico, per gli insegnanti  motivo di arricchimento professionale ed umano, per la comunità di Viggiano l’opportunità di riappropriarsi delle tradizioni e della memoria storica e culturale attraverso le nuove generazioni, le quali dovranno poi esserne i custodi e i trasmettitori.

Ritenendo di fondamentale importanza non interrompere la collaborazione tra la scuola e l’Ente locale, l’Istituto ha consegnato ufficialmente all’Amministrazione comunale ed alla comunità tutta il “Museo” chiedendo, inoltre, che, successivamente, possa essere affidato a personale specializzato nell’allestimento, che potrà prenderlo in consegna per sistemare, nella maniera più opportuna, il materiale presente nelle sale, salvaguardando l’impostazione didattica e conservando il lavoro di ricerca e ricostruzione effettuato dagli alunni che si sono alternati nei tre anni di attività.

In questa maniera, si auspica che i ragazzi possano continuare ad essere fruitori consapevoli ed attivi dello spazio museale, ma anche lasciare, di volta in volta, il loro contributo per l’arricchimento del patrimonio culturale della nostra comunità, facendo da tramite fra essa e la scuola.

L’antropologo E.V. Alliegro in un saggio relativo alla museografia ottocentesca ha scritto: ‹‹Nei musei antropologici dell’Ottocento, nelle sale espositive e nei laboratori ottocenteschi si aggirano spiriti e spettri, si scorgono voci e si percepiscono ombre. Non sono quelle dei popoli “primitivi” là rappresentati. Per incontrarli bisogna andare altrove. Gli spettri e le voci sono piuttosto quelli degli antropologi che in quegli anni concepirono quella determinata antropologia. I musei dell’Ottocento ci parlano soprattutto di loro››.

Senza voler peccare di presunzione, voglio concludere dicendo che, forse inconsapevolmente, noi insegnanti abbiamo voluto lasciare traccia del lavoro scolastico nell’impostazione dell’allestimento proprio perché, anche dopo le necessarie correzioni e l’indispensabile ristrutturazione del museo, possano sempre “aleggiare” nelle sale “gli spettri e le voci”, quelli degli educatori.

Noi non abbiamo potuto mettere da parte, in nessuna fase dello svolgimento del progetto, il nostro compito di “facilitatori dell’apprendimento”, ma la spinta didattica, tuttavia, non è stata la sola: essa si è associata alla passione per le tradizioni, all’amore per il nostro paese e, soprattutto, al desiderio di comunicare ai giovani un messaggio convinto, al fine di non disperdere un patrimonio di inestimabile valore.