MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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Giornale di Brescia

Sabato 1 dicembre 2001

 

 

 

GUSSAGO. Una fotografia del «comandante» Ernesto Che Guevara ed un quadro raffigurante Pietro Marchina detto «Palì», comunista gussaghese, nonché, soprattutto, uomo della Resistenza del comune franciacortino, sono stati portati sul banco degli imputati dalla Lega Nord, in partcolare da Fabio Rolfi e Lucia Lazzari, nell’ultimo consiglio comunale. I due consiglieri comunali hanno infatti presentato un’interpellanza con cui chiedevano al sindaco gussaghese, Bruno Marchina, di provvedere alla rimozione della fotografia raffigurante il guerrigliero sudamericano «divenuto simbolo di movimenti comunisti di tutto il mondo», appesa nell’ufficio anagrafe del Comune, oltre che del quadro affisso in sala giunta raffigurante «l’anno di fondazione del partito comunista italiano di Brescia». Altrimenti «si è in contrasto con il principio di imparzialità - ha dichiarato il consigliere Rolfi - che dovrebbe caratterizzare un’istituzione pubblica, quindi di tutti», mentre si dovrebbe garantire che gli uffici pubblici «non vengano utilizzati per una subliminale attività di propaganda politica da parte di chicchessia». All’interpellanza il sindaco ha risposto con pacatezza affermando che non si può fare una «caccia alle streghe» in merito a queste due raffigurazioni, perché «non si può attribuire una valenza ideologica e propagandistica a cose che invece non ne hanno assolutamente». «Esistono addirittura magliette con l’effigie di Ernesto Che Guevara - ha continuato il primo cittadino - e non per questo chi le indossa necessariamente fa propaganda al comunismo». La fotografia inoltre sarebbe stata appesa da una decina d’anni da un impiegato che ormai non lavora più nell’ufficio, ed è un ritaglio di giornale senza alcuna scritta inneggiante al guerrigliero sudamericano. Peraltro accanto a questa è esposta una foto della Juventus di 15 anni fa: «Cosa potrebbero dire i tifosi granata o milanisti?» Quanto al quadro della sala giunta, l’opera è dell’artista gussaghese Adriano Grasso Caprioli, che la donò alla precedente amministrazione e raffigura la fucilazione di Pietro Marchina e della figlia, mentre sullo sfondo sventolano delle bandiere rosse con la falce e martello. (d.z.)

 


Che Guevara - La Repubblica 10-9-2001

 

LA POLEMICA


II famoso poster di Ernesto "Che" Guevara:
"Fu Feltrinelli ad ingrandire un particolare da una foto di gruppo"




Feltrinelli "Quel bugiardo di Korda:

non è suo il poster del Che"

Lo scrittore cubano Cabrera Infante ha ricostruito la vera storia per "El Pais":

 

MADRID - La foto più memorabile del ventesimo secolo, il ritratto del "Che" stampato su milioni di poster e magliette, non è il frutto del genio artistico del suo autore, Alberto Korda: era semplicemente una foto di gruppo, nella quale Ernesto Guevara non appariva neppure in primo piano. Furono Giangiacomo Feltrinelli e Valerio Riva, durante un viaggio all'Avana per concordare un'autobiografia di Fidel Castro che non vide mai la luce, a cogliere l'espressione grave del Che" e a chiedere al fotografo (morto tre mesi fa a Parigi) di isolarla. La rivelazione è dello scrittore cubano Guillermo Cabrerà Infante che, in una lunga ricostruzione pubblicata su El Pais, sostiene che Korda ha raccontato menzogne lungo tutto il corso della sua vita. Una, la più grossa, è quella di aver scattato due foto del "Che" ("una orizzontale d'altra verticale", ha sempre detto) in quella giornata del 1960. In realtà Korda era andato a fotografare Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, cosa che fece su incarico dello stesso Cabrera Infante, che allora dirigeva il settimanale letterario Lunes de Revolución.
Quella foto fu pubblicata, e anche lì appariva il "Che" sullo sfondo. Korda ha invece sempre accusato Carlos Franqui, allora direttore del quotidiano Revoluciòn e da tantissimi anni in esilio, di avergli censurato l'immagine di Guevara. La versione di Cabrera Infante è confermata a Repubblica dall'unico protagonista ancora in vita di quella vicenda, Valerio Riva, che tra l'altro smentisce il fotografo anche su un altro punto:"Ha sempre detto che Feltrinelli si portò via la foto senza pagargli nulla. Non è vero, selezionammo noi quell'immagine e la pagammo duecento dollari". (a.o.)

 


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El Paìs - 15 aprile 2001

Che Guevara fotografo

"Mi scusi la domanda: suo marito ha fatto il fotografo?"

 

autoritratto di Che Guevara - 1965

 

M.A.V. - Valencia

"Mi scusi la domanda: suo marito ha fatto il fotografo?". E' in questo modo che Josep Vicent Monzò, responsabile del dipartimento di fotografia dell'Istituto Valenciano di Arte Moderna (IVAM), si è rivolto ad Aleida March, vedova del Che, quando fece la sua conoscenza all'Avana nel 1998. Insieme ad Antoni Paricio e a Manuel Munoz, gli altri due commissari dell'esposizione "Ernesto Che Guevara fotografo", Monzò si è recato a Cuba per organizzare la mostra per il centenario di quel periodo che in Spagna è conosciuto come "disastro del 1898" mentre a Cuba viene denominato con l'appellativo di "Guerra d'Indipendenza". Raccontava ieri Monzò, nelle sale del monastero di San Miquel dels Reis, sede dell'esposizione che durerà fino agli ultimi di marzo, "Noi tre sapevamo che il Che si era dedicato alla fotografia, tuttavia ignoravamo fino a che punto. Nelle sue biografie compare appena qualche raro riferimento al suo lavoro di fotografo, una professione alla quale si dedicò per parecchi anni. Il Che infatti si guadagnava la vita come fotografo ambulante nei parchi e nei giardini di Città del Messico o come giornalista accreditato da un'agenzia argentina durante i Giochi Panamericani del 1955, che si svolsero ugualmente nella capitale messicana."
Nelle lettere che inviava ai suoi genitori, il giovane Che si mostrava felice di riuscire a guadagnare i soldi sufficienti per l'acquisto di una nuova macchina fotografica. Autodidatta di formazione, il Che doveva la sua attività di fotografo alla passione per la fotografia che nutriva il padre. Sempre con la macchina fotografica in spalla, l'inquieto studente di medicina viaggiò attraverso vari paesi sudamericani, che descrisse poi nei suoi diari e nelle sue fotografie. Messico, Guatemala, Perù, Cuba o l'Argentina servirono come sfondo all'insaziabile curiosità del Che. La scrittura e l'immagine sono due diverse forme di captare, sentire e analizzare una realtà. Questo atteggiamento lo porta, in quegli anni '50, da una vita bohemien e da avventuriero ad un impegno di carattere politico rivoluzionario. Egli soleva ripetere "Non posso fare una fotografia senza il consenso della gente" L'amicizia che sorse tra i familiari del Che ed i tre commissari dell'esposizione che oggi verrà inaugurata a Valencia, consentì di classificare, restaurare e studiare un migliaio circa di negativi che per la prima volta possono essere visti al di fuori di Cuba. Circa duecento immagini, la maggior parte di esse inedite, compongono il catalogo dell'esposizione e 120 di esse sono esposte da oggi nel monastero rinascimentale di Sant Miquel dels Reis, sede della Biblioteca Valenciana, che dopo essere stato un convento per lungo tempo divenne carcere dei repubblicani dopo la conclusione della Guerra civile. I commissari della mostra negano di essere accecati dalla passione per la figura del Che quando sottolineano il fatto che i visitatori rimarranno stupiti di fronte all'opera di un grande fotografo: "Non si tratta di esporre fotografie curiose o famigliari riprese da un personaggio famoso, bensì di presentare la visione di un artista: anche se non portassero la firma di Ernesto Che Guevara, le fotografie in mostra sarebbero sempre di qualità eccezionale".

(traduzione: redazione Mufo)

 


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El Paìs - 19 aprile 2001

 

Un'esposizione di 120 immagini svela
il talento fotografico di Che Guevara

Camilo Guevara nella sede della Biblioteca Valenciana durante l'inaugurazione della mostra

 

Camilo, figlio del dirigente rivoluzionario, inaugura
oggi a Valencia una mostra inedita in Europa

Miguel Angel Villena, Valencia

"Sono stato fotografo prima che comandante": Ernesto Che Guevara confessava in questo modo la sua passione per la fotografia ad alcuni giornalisti del The New York Times che raggiunsero la Sierra Maestra negli anni '50 per intervistarlo. Una mostra inedita in Europa di 120 fotografie riprese dal leader rivoluzionario, che si inaugura oggi presso la Biblioteca Valenciana, mostra un aspetto poco conosciuto di uno dei maggiori miti del XX secolo e rivela che Che Guevara è stato qualcosa di più di un semplice appassionato della fotografia. Suo figlio Camilo, nato nel 1962, ha raccontato ieri l'entusiasmo di suo padre per la macchina fotografica.

A partire dai tempi di quando era uno studente che viaggiava attraverso vari paesi sudamericani e fino a quando divenne Ministro dell'Industria, e in questa veste visitatore illustre in vari paesi socialisti; dal momento in cui lavorava, nel 1955, come fotografo ambulante nelle strade di Città del Messico, fino alle immagini delle fabbriche cubane degli anni del fervore rivoluzionario, Ernesto Che Guevara (Rosario, Argentina, 1928 - La Higuera, Bolivia, 1967) percorse le vie del mondo con un fucile in un braccio e una macchina fotografica nell'altro. Non è stato un caso,quindi, che tra i suoi effetti personali ritrovati nella borsa quando venne abbattuto dalle fucilate dei soldati boliviani si trovassero vari rullini fotografici. "Mio padre divenne un fotografo sia per la sua sensibilità artistica sia per l'opportunità che gli assicurava questa professione di avvicinare la gente": malgrado i capelli corti e la barba rasata, Camilo Guevara - che deve il suo nome di battesimo a Camilo Cienfuegos- svela nei tratti somatici la sua discendenza dall'icona del rivoluzionario più famoso degli ultimi decenni, frutto del matrimonio con Aleida March.

Nato a Cuba nel 1962, Camilo Guevara era appena un bambino quando morì suo padre.Benchè sembri un paradosso, Camilo è una persona riservata e non ama essere fotografato o firmare i cataloghi dell'esposizione di fotografie di suo padre: "Mia madre aveva una mentalità contadina e noi quattro fratelli siamo stati educati a sviluppare la nostra propria personalità, senza soggiacere all'influenza permanente della figura di nostro padre". Tuttavia, questo avvocato corpulento e gioviale, che ha lavorato negli organismi peschieri di Cuba e che adesso si dedica esclusivamente al Centro di Studi Che Guevara, non può frenare l'emozione quando osserva la fotografia di quando era un bambino e commenta: "A scuola mi trattavano come tutti gli altri alunni, ma era inevitabile che mi impressionasse vedere esposte nel collegio le lettere che mio padre mi spediva". Dal suo profondo disprezzo per qualsiasi forma di feticismo, Camilo Guevara cerca di spiegare la persistenza del mito del Che presso le nuove generazioni del XXI secolo, la proliferazione di tatuaggi, poster e immagini che riproducono un'infinità di volte quegli occhi penetranti e le folte sopracciglia che incorniciavano una barba incolta e una capigliatura ondulata e corvina. Insomma, un'immagine che ha sedotto svariate generazioni di ribelli e anticonformisti. "La gente - commenta il figlio del Che - ha bisogno di riconoscersi in figure come quella di mio padre, così pure che nessuno è mai riuscito a trovare una macchia, nonostante il fatto che molti abbiano cercato di infangare la sua memoria". Eliade Acosta, direttore della Biblioteca Nazionale Josè Martì - l'ente che patrocina la mostra insieme al Comune di Valencia e al Centro di Studi Che Guevara - ci narra un aneddoto esemplare di quell'epoca. Mentre Jean Paul Sartre in compagnia di Fidel Castro percorreva le strade dell'Avana nei primi tempi della Rivoluzione, impressionato dalla quantità di petizioni e richieste della gente nei confronti del leader cubano, gli domandò:"E se dovessero chiederle la luna?", al che Fidel rispose:"Vuol dire che ne avrebbero veramente bisogno".
Camilo Guevara non cerca di eludere le domande di carattere politico, malgrado l'esposizione valenciana - che comprende 120 fotografie dagli inizi degli anni '50 fino alla morte sopraggiunta nel 1967 - non intenda indagare l'aspetto politico del grande rivoluzionario, peraltro ben conosciuto e dibattuto, bensì il disconosciuto lavoro artistico: "E' più difficile gestire una Rivoluzione che farla - assicura Camilo- benchè le nuove generazioni cubane siano coscienti del fatto che le grandi trasformazioni hanno bisogno di essere plasmate giorno dopo giorno; per questo sono imprescindibili modelli come quello di mio padre, ossia di persone che sono state coerenti e fedeli al proprio ideale, che si sono impegnate e sacrificate per gli altri fino all'estremo".

(traduzione: redazione Mufo)

 


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La Repubblica - 27 maggio 2001

Quella foto rubata al Che

Di IGNACIO PACO TAIBO II

HO, con alcune fotografie, un rapporto d'amore molto particolare. Mi piace narrarle, raccontarle. C'e una mezza dozzina di foto che racconto a più riprese nel corso degli anni, e ogni tanto qualcuno scopre la foto che gli ho raccontato e mi guarda con un misto di rimprovero e di sospetto.
Dire che ci sono foto che valgono più di mille parole è una frase facile, ma io credo, piuttosto, che vi siano foto che meritano mille buone parole. Alcune in particolare, a forza di raccontarle, sono rimaste nella mia memoria in versioni diverse. Sono fotografie che adoro, senza le quali non potrei amare il secolo XX come lo amo, senza le quali la fiducia negli esseri umani che mi sostiene giorno per giorno si dissolverebbe negli acidi al vetriolo della quotidianità.

Sono una foto di Cartier-Bresson a Parigi, un paio di foto di Robert Capa a Barcellona, una foto del mio amico Javier Bauluz in Ruanda 50 anni dopo e una foto de L'Avana nel '59. Quest'ultima mostra un guajiro, un contadino cubano, con un cappello di paglia sfilacciato, che ha come coccarda una bandiera cubana, arrampicato in cima ad un enorme, enorme, gigantesco lampione. Sotto di lui si raccoglie una folla, ma il fotografo lo guarda di fronte, anche se da lontano. Credo di ricordare che quell'uomo ha i baffi, la camicia aperta, che lascia intravedere la canottiera, e sta fumando. Nella memoria è un vecchio. E nessuno potrà mai spiegarmi razionalmente come è salito e si è seduto in cima a quel palo. La foto riguarda la rivoluzione in fermento e 1'uomo che, serenamente, fumando in cima al lampione, la fa sua. Dentro e fuori.
Quando la Alliance Francaise organizzò in Messico una mostra fotografica del cubano Alberto Korda, scomparso 1'altro ieri, mi chiesero di presentarlo in pubblico. Pensando che quella foto che ricordavo dell'uomo sul fanale fosse sua, accettai. Quella foto: la foto. Volevo inoltre contribuire a sciogliere un malinteso.
Perchè Korda era molto di più della foto del Che riprodotta milioni di volte in tutto il mondo. Autore della fotografia che è stata probabilmente riprodotta piu volte nella storia dell'umanità, Alberto Diaz, Korda (pseudonimo adottato in gioventù in onore ai cineasti ungheresi), è ad essa legato indissolubilmente nel bene e nel male. Quest'altra storia è stata raccontata molte volte e Korda stesso 1'ha ripetuta in numerose interviste: 1960, quattro marzo, mentre Ernesto Guevara si dirige verso il Banco Nacional de Cuba, che casualmente presiedeva, avviene 1'esplosione del La Coubre, una nave francese con un carico di 70 tonnellate di armi belghe. II Che, nell'udire la terribile denotazione, devia verso il molo dell'Arsenale. E una tremenda sciagura, ci sono 75 morti e circa 200 feriti. Collabora nelle opere di soccorso. II dubbio pervade tutti, incidente o sabotaggio? II fotografo Gilberto Ante, di "Verde Olivo", lo trova mentre salva i feriti, ma il Che, infuriato, gli proibisce di fare fotografie. Gli sembra un'impudicizia essere oggetto di curiosità in un incidente.
II giorno dopo, si celebra il funerale delle vittime. A un isolato di distanza dal cimitero di Colon, nella strada 23, si innalza una tribuna coperta con una bandiera cubana listata a lutto. Gli animi sono esaltati. Da quella tribuna, Fidel pronuncerà per la prima volta la consegna "Patria o Muerte". II fotografo Alberto Korda, del giornale "Revoluciòn", va scorrendo con la lente da 90 millimetri della sua Leica i personaggi della tribuna e si trova al secohdo passaggio il Che che avanza su uno dei lati. II gesto dell'argentino lo sorprende e scatta due volte. "Trovarmelo nell'inquadratura della macchina fotografica, con quell'espressione, mi fa quasi fare un sobbalzo. Intuitivamente schiaccio l'otturatore". Alberto Granado avrebbe detto a Korda, poco dopo, che quel giorno il Che aveva una faccia che se vedeva uno yankee se lo mangiava vivo; ma non è questo ciò che si mostra nella foto.
Nel negativo appare un uomo non identificato, sul lato destro della foto, e le foglie di una palma a sinistra; abilmente, Korda sopprime gli elementi che distraggono e si concentra sul volto,un'immagine molto particolare, il volto teso, il sopracciglio sinistro lievemente alzato, il basco con la Stella, il giaccone di capretto stretto al collo, il vento che gli agita i capelli. Korda sa di avere una grande fotografia. Stranamente, il redattore fotografico di "Revoluciòn" non sceglierà quella foto ma altre e la fotografia del Che non sarà pubblicata sui giornali. Anni dopo, 1'editore italiano Giangiacomo Feltrinelli vedrà la foto appesa a una parete della casa di Korda e gliene chiederà una copia. Korda gliela regala. Alla morte del Che, Feltrinelli decide di farne un poster. Decine di mi-gliaia di copie e poi milioni di esemplari si diffondono in tutto il mondo. E' 1'immagine più conosciuta del Che, quella simbolica, che inonderà muri, copertine di libri,riviste,coperte,cartelloni,t-shirt. Quella che affronterà la foto distribuita dai militari boliviani del Che morto sul tavolo del-1'ospedale di Malta in un duello simbolico e non per questo meno potente.
Ma Alberto Diaz è molto di più di quella foto. A trent'anni, è un grande fotografo di moda che ha intrapreso questa carriera perchè voleva fotografare la sua fidanzata Yolanda con una macchinetta Kodak quasi d'antiquariato. E' brillante, espressivo, potente quanto Avedon e improvvisamente si trova davanti una rivoluzione e si trasforma in fotoreporter. Paradossalmente, e nella velocità della fotografia giornalistica, nelle condizioni professionalmente difficili di una rivoluzione, sotto la pressione di un'informazione immediata, che una generazione di brillanti fotografi matura, e strana-mente lo fa intorno al quotidiano "Revoluciòn", organo del 26 Luglio, diretto a quell'epoca da Carlos Franqui. Sono molto lontani dai rigidi modelli di stampa della burocrazia socialista, molto lontani dal funzionalismo delle agenzie statunitensi, molto vicini da un punto di vista politico ed estetico all'esperimento della Magnum nel ventennio precedente.

Stranamente, alcuni anni dopo, avrebbero fatto 1'immagine e la storia della fase piu duramente romantica della rivoluzione cubana. E quando un giornalista gli chiederà se erano consapevoli che in qualche modo stavano creando 1'iconografia, i simboli mondiali del riconoscimento emotivo della rivoluzione, Korda e i suoi colleghi risponderanno di no, che non è così, che non è vero niente, che stavano semplicemente raccontando una storia. Inevitabilmente la rivoluzione si mostra anche come festa e Korda registra il "Cristo rumbero", Camilo Cienfuegos, che entra con i suoi cavalieri armati a L'Avana, in mezzo al giubilo e alla baldoria. II realismo rumbero e festaiolo come contrapposto alle simulazioni dell'iperrealismo o allo scenario fraudolento e facilone del realismo socialista compresi i ritocchi. Le foto di Korda che colgono quello spirito sono molte: la rivoluzione nel baseball e il Che senza canottiera. Dobbiamo in gran parte a questa generazione di fotografi la desacralizzazione dell'idea della rivoluzione. Ad essi e al Che.
Torno alla mia foto preferita, all'uomo su quell'enorme lampione. E' vero, è di Korda, l'ha intitolata "Il don Chisciotte del lampione", quel guajiro in mezzo alla folla, molti metri al di sopra di essa, seduto in alto. E' più giovane di quel che dicevo. II cappello di paglia non è sfilacciato. Come è arrivato lassu? Come loscoprì Korda? Da dove lo ritrasse? In America Latina, la rivoluzione ha una componente kafkiana, il realismo kafkiano abita con noi. Senza di essa, moriremmo di noia e di se-rietà. E nella foto questo si concentra. Spiega tutto: la rivoluzione come il duplice spazio del noi e dell'io. Dove vado? Che c'entro con tutto questo? E' mia e me la gioco.
Quando Korda, barbuto, molto cubano, ascoltò in un salone dell'Alliance Francaise la mia versione dei fatti, mi prese per mano e mi tirò per andare insieme verso la mostra. Davanti alla foto del don Chisciotte del lampione ci vennero le lacrime agli occhi, ci abbracciammo.
- Cazzo, come la raccontano bene gli scrittori.
- La raccontano meglio i fotografi.

 

(traduzione diLuis E. Moriones)

 


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fotografie di Raul Corrales

14 settembre 1959

 


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La Repubblica - 8 agosto 2000


Si ribella l' autore della "foto del secolo"


"NON USATE IL MIO CHE PER VENDERE VODKA"

Alberto Korda, il fotografo cubano che 40 anni fa scattò la celeberrima immagine di Guevara, ora pretende i diritti "Non ci ho mai preso un solo dollaro ma adesso basta. Abbinare la sua immagine all' alcol è un oltraggio: era astemio"

LONDRA - Questa volta, dopo un silenzio durato oltre quarant' anni, il vecchio Korda si è proprio infuriato. Ha saputo che il "Che", il mitico Guevara, avrebbe fatto da testimonial per una nota marca di vodka. Non lui in persona, ovviamente. Ma la sua foto. La più famosa, quella che ha fatto il giro del mondo, che ha trasformato il viso bello e tenebroso del comandante cubano in un' icona dei rivoluzionari di tutti i tempi. "Sono io l' autore di quell' immagine", ha spiegato al quotidiano inglese "Guardian" Alberto Diaz Gutierrez, meglio noto come Alberto Korda, cubano, 71 anni compiuti da poco. "Non ci ho mai preso un solo dollaro. Nessuno, mai, mi ha pagato i diritti. Per me, bastava l' idea che grazie ad una foto carpita in un momento particolare, avevo reso immortale il comandante Che Guevara. Ma adesso, basta", soggiunge, "se farà da cornice alla vodka Smirnoff pretenderò i diritti d' autore". Ma quello che fa più infuriare il fotografo cubano è l' idea che la foto-simbolo di Guevara sia associata ad una marca di liquori. "Usare la sua immagine per la vodka è un oltraggio al suo nome e alla sua memoria", spiega Korda, "lui non ha mai bevuto alcolici, era astemio e il bere non può essere legato alla sua immortale figura". Alberto Korda ha titolo e merito per lanciare questa insolita campagna di risarcimento. Fu lui, il 5 marzo del 1960, a scattare la foto che ritrae il comandante Ernesto "Che" Guevara: giovane, i lunghi capelli corvini che gli scendevano quasi sulle spalle, coperti dal classico basco nero con la stella gialla, barba e baffi che gli incorniciavano il viso già segnato dall' impegno politico e militare di quegli anni. Come prova, il fotografo ha fornito l' originale di quello scatto, ormai ingiallito, rimasto nei cassetti del suo studio. E anche il negativo. "Era prevista una cerimonia", ricorda Korda, "per commemorare la morte di un centinaio di belgi. Facevano parte dell' equipaggio di una nave che stava trasportando un carico di armi a Cuba. Il mercantile fu assaltato e gli uomini uccisi dalle forze antirivoluzionarie, appoggiate dai marines statunitensi. Io fui incaricato di coprire l' avvenimento. Erano presenti, tra gli altri, anche Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Il Che", ricorda ancora Korda, "era in piedi, nella fila dietro a Fidel Castro, sul palco. Si notava appena. Poi, dopo un po' , si spostò in avanti e quando la cerimonia era ormai finita si mise a parlare con Castro. Colsi il suo sguardo e il suo look così semplice ma così efficace. Feci un solo scatto. Poi ripresi gli altri partecipanti". Il fotografo tornò nel suo laboratorio e sviluppò i rullini che aveva utilizzato. Ma il giornale che gli aveva affidato il servizio era interessato soprattutto alle immagini di Fidel Castro. Korda rimase invece colpito dalla foto del Che e decise di tenerla per sè. Ne stampò una copia e l' appese nel suo studio. Sette anni dopo, ormai ingiallita dalle tante sigarette e sigari fumati, quell' immagine attirò l' attenzione di un editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli. Il fotografo ricevette una lettera da un alto ufficiale dell' amministrazione cubana. Gli chiedeva notizie di quell' istantanea e lo pregava di farne una copia. Korda aderì alla richiesta e consegnò a Feltrinelli due esemplari. Non volle nulla in cambio. Pochi mesi dopo, Ernesto "Che" Guevara veniva ucciso in Bolivia. Il suo nome, la sua storia e soprattutto la sua misteriosa fine, fecero il giro del mondo. Guevara divenne un simbolo per intere generazioni alle prese con un cambiamento epocale. Il primo, vero eroe-martire della rivoluzione. Scoppiò il maggio francese, poi quello italiano. Guevara era un mito nel ' 68 e lo sarebbe stato per moltissimi anni. Feltrinelli fiutò l' affare. Tirò fuori quella foto che venne comprata, riprodotta, adattata, stampata. Ovunque. Su manifesti, magliette, tazzine, adesivi, quadri. Un successo clamoroso. "Non ce l' ho con l' editore", spiega oggi, "grazie a lui, Guevara è stato reso immortale. Sono contento di aver dato questo contributo al comandante. Ma usare la sua immagine per una industria di liquori è veramente offensivo. Il Che è stato un esempio e noi seguiamo il suo esempio per difendere i diritti dell' uomo nel mondo. Non i mercanti di liquori. Se utilizzeranno quella foto, questa volta chiederò i diritti d' autore".

 

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