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GUSSAGO. Una fotografia del «comandante» Ernesto Che Guevara ed un quadro raffigurante Pietro Marchina detto «Palì», comunista gussaghese, nonché, soprattutto, uomo della Resistenza del comune franciacortino, sono stati portati sul banco degli imputati dalla Lega Nord, in partcolare da Fabio Rolfi e Lucia Lazzari, nellultimo consiglio comunale. I due consiglieri comunali hanno infatti presentato uninterpellanza con cui chiedevano al sindaco gussaghese, Bruno Marchina, di provvedere alla rimozione della fotografia raffigurante il guerrigliero sudamericano «divenuto simbolo di movimenti comunisti di tutto il mondo», appesa nellufficio anagrafe del Comune, oltre che del quadro affisso in sala giunta raffigurante «lanno di fondazione del partito comunista italiano di Brescia». Altrimenti «si è in contrasto con il principio di imparzialità - ha dichiarato il consigliere Rolfi - che dovrebbe caratterizzare unistituzione pubblica, quindi di tutti», mentre si dovrebbe garantire che gli uffici pubblici «non vengano utilizzati per una subliminale attività di propaganda politica da parte di chicchessia». Allinterpellanza il sindaco ha risposto con pacatezza affermando che non si può fare una «caccia alle streghe» in merito a queste due raffigurazioni, perché «non si può attribuire una valenza ideologica e propagandistica a cose che invece non ne hanno assolutamente». «Esistono addirittura magliette con leffigie di Ernesto Che Guevara - ha continuato il primo cittadino - e non per questo chi le indossa necessariamente fa propaganda al comunismo». La fotografia inoltre sarebbe stata appesa da una decina danni da un impiegato che ormai non lavora più nellufficio, ed è un ritaglio di giornale senza alcuna scritta inneggiante al guerrigliero sudamericano. Peraltro accanto a questa è esposta una foto della Juventus di 15 anni fa: «Cosa potrebbero dire i tifosi granata o milanisti?» Quanto al quadro della sala giunta, lopera è dellartista gussaghese Adriano Grasso Caprioli, che la donò alla precedente amministrazione e raffigura la fucilazione di Pietro Marchina e della figlia, mentre sullo sfondo sventolano delle bandiere rosse con la falce e martello. (d.z.)
II famoso poster
di Ernesto "Che" Guevara: Feltrinelli "Quel bugiardo di Korda: Lo scrittore cubano Cabrera Infante ha ricostruito la vera storia per "El Pais":
MADRID - La foto più
memorabile del ventesimo secolo, il ritratto del "Che"
stampato su milioni di poster e magliette, non è il frutto
del genio artistico del suo autore, Alberto Korda: era semplicemente
una foto di gruppo, nella quale Ernesto Guevara non appariva
neppure in primo piano. Furono Giangiacomo Feltrinelli e Valerio
Riva, durante un viaggio all'Avana per concordare un'autobiografia
di Fidel Castro che non vide mai la luce, a cogliere l'espressione
grave del Che" e a chiedere al fotografo (morto tre mesi
fa a Parigi) di isolarla. La rivelazione è dello scrittore
cubano Guillermo Cabrerà Infante che, in una lunga ricostruzione
pubblicata su El Pais, sostiene che Korda ha raccontato menzogne
lungo tutto il corso della sua vita. Una, la più grossa,
è quella di aver scattato due foto del "Che"
("una orizzontale d'altra verticale", ha sempre detto)
in quella giornata del 1960. In realtà Korda era andato
a fotografare Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, cosa che
fece su incarico dello stesso Cabrera Infante, che allora dirigeva
il settimanale letterario Lunes de Revolución.
"Mi scusi
la domanda: suo marito ha fatto il fotografo?". E' in questo
modo che Josep Vicent Monzò, responsabile del dipartimento
di fotografia dell'Istituto Valenciano di Arte Moderna (IVAM),
si è rivolto ad Aleida March, vedova del Che, quando fece
la sua conoscenza all'Avana nel 1998. Insieme ad Antoni Paricio
e a Manuel Munoz, gli altri due commissari dell'esposizione "Ernesto
Che Guevara fotografo", Monzò si è recato
a Cuba per organizzare la mostra per il centenario di quel periodo
che in Spagna è conosciuto come "disastro del 1898"
mentre a Cuba viene denominato con l'appellativo di "Guerra
d'Indipendenza". Raccontava ieri Monzò, nelle sale
del monastero di San Miquel dels Reis, sede dell'esposizione
che durerà fino agli ultimi di marzo, "Noi tre sapevamo
che il Che si era dedicato alla fotografia, tuttavia ignoravamo
fino a che punto. Nelle sue biografie compare appena qualche
raro riferimento al suo lavoro di fotografo, una professione
alla quale si dedicò per parecchi anni. Il Che infatti
si guadagnava la vita come fotografo ambulante nei parchi e nei
giardini di Città del Messico o come giornalista accreditato
da un'agenzia argentina durante i Giochi Panamericani del 1955,
che si svolsero ugualmente nella capitale messicana." (traduzione: redazione Mufo)
il talento fotografico di Che Guevara oggi a Valencia una mostra inedita in Europa "Sono stato fotografo prima che comandante": Ernesto Che Guevara confessava in questo modo la sua passione per la fotografia ad alcuni giornalisti del The New York Times che raggiunsero la Sierra Maestra negli anni '50 per intervistarlo. Una mostra inedita in Europa di 120 fotografie riprese dal leader rivoluzionario, che si inaugura oggi presso la Biblioteca Valenciana, mostra un aspetto poco conosciuto di uno dei maggiori miti del XX secolo e rivela che Che Guevara è stato qualcosa di più di un semplice appassionato della fotografia. Suo figlio Camilo, nato nel 1962, ha raccontato ieri l'entusiasmo di suo padre per la macchina fotografica. A partire dai tempi di quando era uno studente che viaggiava attraverso vari paesi sudamericani e fino a quando divenne Ministro dell'Industria, e in questa veste visitatore illustre in vari paesi socialisti; dal momento in cui lavorava, nel 1955, come fotografo ambulante nelle strade di Città del Messico, fino alle immagini delle fabbriche cubane degli anni del fervore rivoluzionario, Ernesto Che Guevara (Rosario, Argentina, 1928 - La Higuera, Bolivia, 1967) percorse le vie del mondo con un fucile in un braccio e una macchina fotografica nell'altro. Non è stato un caso,quindi, che tra i suoi effetti personali ritrovati nella borsa quando venne abbattuto dalle fucilate dei soldati boliviani si trovassero vari rullini fotografici. "Mio padre divenne un fotografo sia per la sua sensibilità artistica sia per l'opportunità che gli assicurava questa professione di avvicinare la gente": malgrado i capelli corti e la barba rasata, Camilo Guevara - che deve il suo nome di battesimo a Camilo Cienfuegos- svela nei tratti somatici la sua discendenza dall'icona del rivoluzionario più famoso degli ultimi decenni, frutto del matrimonio con Aleida March. Nato a Cuba
nel 1962, Camilo Guevara era appena un bambino quando morì
suo padre.Benchè sembri un paradosso, Camilo è
una persona riservata e non ama essere fotografato o firmare
i cataloghi dell'esposizione di fotografie di suo padre: "Mia
madre aveva una mentalità contadina e noi quattro fratelli
siamo stati educati a sviluppare la nostra propria personalità,
senza soggiacere all'influenza permanente della figura di nostro
padre". Tuttavia, questo avvocato corpulento e gioviale,
che ha lavorato negli organismi peschieri di Cuba e che adesso
si dedica esclusivamente al Centro di Studi Che Guevara, non
può frenare l'emozione quando osserva la fotografia di
quando era un bambino e commenta: "A scuola mi trattavano
come tutti gli altri alunni, ma era inevitabile che mi impressionasse
vedere esposte nel collegio le lettere che mio padre mi spediva".
Dal suo profondo disprezzo per qualsiasi forma di feticismo,
Camilo Guevara cerca di spiegare la persistenza del mito del
Che presso le nuove generazioni del XXI secolo, la proliferazione
di tatuaggi, poster e immagini che riproducono un'infinità
di volte quegli occhi penetranti e le folte sopracciglia che
incorniciavano una barba incolta e una capigliatura ondulata
e corvina. Insomma, un'immagine che ha sedotto svariate generazioni
di ribelli e anticonformisti. "La gente - commenta il figlio
del Che - ha bisogno di riconoscersi in figure come quella di
mio padre, così pure che nessuno è mai riuscito
a trovare una macchia, nonostante il fatto che molti abbiano
cercato di infangare la sua memoria". Eliade Acosta, direttore
della Biblioteca Nazionale Josè Martì - l'ente
che patrocina la mostra insieme al Comune di Valencia e al Centro
di Studi Che Guevara - ci narra un aneddoto esemplare di quell'epoca.
Mentre Jean Paul Sartre in compagnia di Fidel Castro percorreva
le strade dell'Avana nei primi tempi della Rivoluzione, impressionato
dalla quantità di petizioni e richieste della gente nei
confronti del leader cubano, gli domandò:"E se dovessero
chiederle la luna?", al che Fidel rispose:"Vuol dire
che ne avrebbero veramente bisogno". (traduzione: redazione Mufo)
HO, con alcune
fotografie, un rapporto d'amore molto particolare. Mi piace narrarle,
raccontarle. C'e una mezza dozzina di foto che racconto a più
riprese nel corso degli anni, e ogni tanto qualcuno scopre la
foto che gli ho raccontato e mi guarda con un misto di rimprovero
e di sospetto. Sono una foto
di Cartier-Bresson a Parigi, un paio di foto di Robert Capa a
Barcellona, una foto del mio amico Javier Bauluz in Ruanda 50
anni dopo e una foto de L'Avana nel '59. Quest'ultima mostra
un guajiro, un contadino cubano, con un cappello di paglia sfilacciato,
che ha come coccarda una bandiera cubana, arrampicato in cima
ad un enorme, enorme, gigantesco lampione. Sotto di lui si raccoglie
una folla, ma il fotografo lo guarda di fronte, anche se da lontano.
Credo di ricordare che quell'uomo ha i baffi, la camicia aperta,
che lascia intravedere la canottiera, e sta fumando. Nella memoria
è un vecchio. E nessuno potrà mai spiegarmi razionalmente
come è salito e si è seduto in cima a quel palo.
La foto riguarda la rivoluzione in fermento e 1'uomo che, serenamente,
fumando in cima al lampione, la fa sua. Dentro e fuori. Stranamente,
alcuni anni dopo, avrebbero fatto 1'immagine e la storia della
fase piu duramente romantica della rivoluzione cubana. E quando
un giornalista gli chiederà se erano consapevoli che in
qualche modo stavano creando 1'iconografia, i simboli mondiali
del riconoscimento emotivo della rivoluzione, Korda e i suoi
colleghi risponderanno di no, che non è così, che
non è vero niente, che stavano semplicemente raccontando
una storia. Inevitabilmente la rivoluzione si mostra anche come
festa e Korda registra il "Cristo rumbero", Camilo
Cienfuegos, che entra con i suoi cavalieri armati a L'Avana,
in mezzo al giubilo e alla baldoria. II realismo rumbero e festaiolo
come contrapposto alle simulazioni dell'iperrealismo o allo scenario
fraudolento e facilone del realismo socialista compresi i ritocchi.
Le foto di Korda che colgono quello spirito sono molte: la rivoluzione
nel baseball e il Che senza canottiera. Dobbiamo in gran parte
a questa generazione di fotografi la desacralizzazione dell'idea
della rivoluzione. Ad essi e al Che.
(traduzione diLuis E. Moriones)
Si ribella l' autore della "foto del secolo" "NON USATE IL MIO CHE PER VENDERE VODKA" Alberto Korda, il fotografo cubano che 40 anni fa scattò la celeberrima immagine di Guevara, ora pretende i diritti "Non ci ho mai preso un solo dollaro ma adesso basta. Abbinare la sua immagine all' alcol è un oltraggio: era astemio" LONDRA - Questa volta, dopo un silenzio durato oltre quarant' anni, il vecchio Korda si è proprio infuriato. Ha saputo che il "Che", il mitico Guevara, avrebbe fatto da testimonial per una nota marca di vodka. Non lui in persona, ovviamente. Ma la sua foto. La più famosa, quella che ha fatto il giro del mondo, che ha trasformato il viso bello e tenebroso del comandante cubano in un' icona dei rivoluzionari di tutti i tempi. "Sono io l' autore di quell' immagine", ha spiegato al quotidiano inglese "Guardian" Alberto Diaz Gutierrez, meglio noto come Alberto Korda, cubano, 71 anni compiuti da poco. "Non ci ho mai preso un solo dollaro. Nessuno, mai, mi ha pagato i diritti. Per me, bastava l' idea che grazie ad una foto carpita in un momento particolare, avevo reso immortale il comandante Che Guevara. Ma adesso, basta", soggiunge, "se farà da cornice alla vodka Smirnoff pretenderò i diritti d' autore". Ma quello che fa più infuriare il fotografo cubano è l' idea che la foto-simbolo di Guevara sia associata ad una marca di liquori. "Usare la sua immagine per la vodka è un oltraggio al suo nome e alla sua memoria", spiega Korda, "lui non ha mai bevuto alcolici, era astemio e il bere non può essere legato alla sua immortale figura". Alberto Korda ha titolo e merito per lanciare questa insolita campagna di risarcimento. Fu lui, il 5 marzo del 1960, a scattare la foto che ritrae il comandante Ernesto "Che" Guevara: giovane, i lunghi capelli corvini che gli scendevano quasi sulle spalle, coperti dal classico basco nero con la stella gialla, barba e baffi che gli incorniciavano il viso già segnato dall' impegno politico e militare di quegli anni. Come prova, il fotografo ha fornito l' originale di quello scatto, ormai ingiallito, rimasto nei cassetti del suo studio. E anche il negativo. "Era prevista una cerimonia", ricorda Korda, "per commemorare la morte di un centinaio di belgi. Facevano parte dell' equipaggio di una nave che stava trasportando un carico di armi a Cuba. Il mercantile fu assaltato e gli uomini uccisi dalle forze antirivoluzionarie, appoggiate dai marines statunitensi. Io fui incaricato di coprire l' avvenimento. Erano presenti, tra gli altri, anche Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Il Che", ricorda ancora Korda, "era in piedi, nella fila dietro a Fidel Castro, sul palco. Si notava appena. Poi, dopo un po' , si spostò in avanti e quando la cerimonia era ormai finita si mise a parlare con Castro. Colsi il suo sguardo e il suo look così semplice ma così efficace. Feci un solo scatto. Poi ripresi gli altri partecipanti". Il fotografo tornò nel suo laboratorio e sviluppò i rullini che aveva utilizzato. Ma il giornale che gli aveva affidato il servizio era interessato soprattutto alle immagini di Fidel Castro. Korda rimase invece colpito dalla foto del Che e decise di tenerla per sè. Ne stampò una copia e l' appese nel suo studio. Sette anni dopo, ormai ingiallita dalle tante sigarette e sigari fumati, quell' immagine attirò l' attenzione di un editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli. Il fotografo ricevette una lettera da un alto ufficiale dell' amministrazione cubana. Gli chiedeva notizie di quell' istantanea e lo pregava di farne una copia. Korda aderì alla richiesta e consegnò a Feltrinelli due esemplari. Non volle nulla in cambio. Pochi mesi dopo, Ernesto "Che" Guevara veniva ucciso in Bolivia. Il suo nome, la sua storia e soprattutto la sua misteriosa fine, fecero il giro del mondo. Guevara divenne un simbolo per intere generazioni alle prese con un cambiamento epocale. Il primo, vero eroe-martire della rivoluzione. Scoppiò il maggio francese, poi quello italiano. Guevara era un mito nel ' 68 e lo sarebbe stato per moltissimi anni. Feltrinelli fiutò l' affare. Tirò fuori quella foto che venne comprata, riprodotta, adattata, stampata. Ovunque. Su manifesti, magliette, tazzine, adesivi, quadri. Un successo clamoroso. "Non ce l' ho con l' editore", spiega oggi, "grazie a lui, Guevara è stato reso immortale. Sono contento di aver dato questo contributo al comandante. Ma usare la sua immagine per una industria di liquori è veramente offensivo. Il Che è stato un esempio e noi seguiamo il suo esempio per difendere i diritti dell' uomo nel mondo. Non i mercanti di liquori. Se utilizzeranno quella foto, questa volta chiederò i diritti d' autore".
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