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Joan Fontcuberta

Archeologia della memoria

***Galleria delle foto di J.Ortiz Echagüe

J. Ortiz Echagüe Processione - 1910

 

 

Un antico manuale sulle tecniche di scrittura raccomandava di iniziare un saggio con qualche citazione ripresa da un'enciclopedia o con un insieme di dati eclatanti: in questo modo si catturava l'attenzione del lettore, invogliandolo a penetrare all'interno della narrazione. La versione aggiornata di questo stratagemma ci potrebbeindurre oggi a navigare in Internet: che poi è proprio quello che ho cercato di fare. Infatti, attraverso l'utilizzo dei vari motori di ricerca ho raccolto tutte le informazioni possibili su Josè Ortiz Echagüe. Non vi dico qual è stata la mia sorpresa di fronte all'esiguità del risultato! E' difficile, e persino intrigante, cercare di comprendere i motivi per i quali il fotografo spagnolo con maggior fama internazionale - soprattutto durante la prima metà del secolo - e la cui opera è la più monumentale per quanto riguarda l'antropologia, l'architettura e il paesaggio, nella rete meriti appena qualche rara menzione: giusto quella di alcune librerie commerciali che offrono i suoi libri; tuttavia nulla di particolarmente rilevante.

Da un punto di vista personale, e se mi è concesso per nulla accademico, Ortiz Echagüe rappresenta il maestro che ha insegnato ad osservare il paesaggio iberico. Quante volte, attraversando la Castilla, quando il sole declina e i raggi risplendono penetranti, si ha la sorprendente sensazione di trovarsi in una delle sue fotografie? O davanti la contemplazione di quelle nubi, così tanto tipiche di Echagüe, che egli utilizzava come sfondo ai castelli quale motivo di contrasto per aumentare l'effetto drammatico. Come può essere che uno come lui, che in qualche modo ha brevettato da un punto di vista fotografico un certo tipo di nuvole - o che per lo meno ne ha impresso l'orma nella mia memoria percettiva - possa passare inavvertito negli archivi elettronici universali? Si potrebbe obiettare che la presenza in Internet non sia di per sé una garanzia neppure lontanamente attendibile da un punto di vista scientifico dell'importanza di un artista. Tuttavia dobbiamo necessariamente considerarla indicativa di una determinata situazione: quella cioè dell'invisibilità.

Mi propongo allora, dietro il pretesto di indagare le ragioni della scarsa visibilità di Ortiz Echagüe, di tratteggiare sinteticamente le caratteristiche e il contesto della sua opera. In fondo si tratta di azzardare un'ipotesi, e cioè che è proprio l'insieme e la confluenza di tante qualità a conferire alla sua opera una così intensa singolaritá, cosí come, allo stesso tempo, provocano un rifiuto altrettanto deciso, poiché non è possibile inquadrarla nei modelli convenzionali della storia della fotografia né nei valori dell'arte e della cultura che sono attualmente in auge in Spagna. Il primo degli elementi di inadeguatezza agli schemi storiografici imperanti consiste nella sovrapposizione degli intenti documentaristici all'interno dei canoni pittorialisti. Il pittorialismo in fotografia non rappresenta tanto un movimento, quanto un'attitudine o, meglio ancora, un'essenza. L'evoluzione dell'espressione fotografica é stata tracciata da storici e critici nell'alternanza di punti di vista ora "puristi", ora "pittorialisti"; posizioni che allo stesso tempo hanno dato luogo a numerose sfumature, promuovendo differenti etichette e scuole. Cerchiamo di spiegare in modo conciso: il "purismo" postula il fatto che la creazione fotografica si debba circoscrivere all'interno di un'estetica "genuina", determinata dalla natura tecnica dello strumento ed evitando di assumere in prestito espedienti tipici di altri linguaggi (ad es.:della pittura);invece il "pittorialismo" dá prioritá alla libertá formale e all'espressivitá artistica al di lá di qualsiasi condizionamento di natura tecnica.


Bisogna tuttavia riconoscere, nonostante tutto, che un certo tipo di "pittorialismo" convenzionale ricercava ossessivamente quella libertá espressiva nelle modalitá dell'arte visiva del passato, la quale conservava, tra l'altro, un piú alto prestigio nella tradizione artistica, come la pittura, l'incisione o altri strumenti di stampa. Al di là del mimetismo pittorico, certi autori soggiacevano alla repulsione di fronte alla freddezza e spersonalizzazione della fotografia di carattere documentario o commerciale, o alla trivializzazione estetica imposta dalla massa proliferante dei fotoamatori. Si puó affermare che, sostanzialmente, il pittorialismo anticipasse la reazione contro i supposti effetti disumanizzanti della scienza, della tecnologia e dell'industrializzazione. Insomma, si rivendicava una creazione fotografica intesa come pratica di libertá da opporre ad un tipo di fotografia funzionale e servilmente documentaria, cosí come di fronte al genere di fotografia banale e di consumo di massa, si contrapponeva la nobiltá e la dignitá dei procedimenti artigianali. I pittorialisti erano borghesi illuminati e ammiratori della cultura classica, che cercavano l'ispirazione nell'esaltazione bucolica della natura e della vita rurale. Non deve quindi sorprenderci se tutto il pittorialismo piú classico, compreso quello di Ortiz Echagüe, abbia sofferto il disprezzo di chi ha tracciato le direttrici di interpretazione della storia della fotografia cosí come é stata definita negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale.

Dovrebbero essere distinte, in ogni caso, varie correnti di pittorialismo: il protopittorialismo dell'epoca vittoriana (con autori come Rejjlander, Robinson, Cameron); il pittorialismo propriamente detto, quello maturo di fine secolo (Demanchy, Kúhn, la Photo-secessione); e, infine, un tardopittorialismo che si sovrappone alle avanguardie degli anni '20/'30 e che continua a svilupparsi persino nel dopoguerra (Mortensen, Misonne, Keighley). In questa linea di continuitá la posizione di Stieglitz segna un punto di rottura poiché, come San Paolo sulla via di Damasco, egli fece la sua conversione al purismo dopo essere stato un seguace della fede pittorialista, trascinando con sé tutto il gruppo secessionista di New York. Il purismo divenne allora l'espressione formale delle aspirazioni della modernitá nei confronti della fotografia. da quel momento, il pittorialismo é stato relegato in un binario morto o considerato un errore di rotta. I tardopittorialisti, in particolar modo, vengono considerati alla stregua di una mera eccentricitá storica che solamente il postmodernismo é riuscito in parte a riabilitare, non deve sorprendere pertanto che uno dei tratti che li accomuna sia stata giustamente la rinuncia ad accettare la loro condizione di fotografi pittorialisti.

In ogni caso é necessario precisare che in Ortiz Echagüe convivono due autori: quello delle fotografie stampate sui libri ( piú documentario); e quello delle eccellenti tirature al carbone (piú pittorialista). Naturalmente é impossibile separarli, tuttavia alcuni aspetti del secondo comportano ulteriori aggravanti. Il fatto che i pittorialisti si esercitassero con scenari allegorici, col nudo classico o nella natura morta sullo stile delle vanitas barocche, corrisponde perfettamente ad una logica aprioristica comunemente diffusa. Tuttavia ci appaiono sconcertanti quando desiderano porre la macchina fotografica al servizio dell'etnografia. Chissá, forse semplicemente perché l'abitudine ci ha predisposto ad altre aspettative. Sará che le particolaritá nei pigmenti interferiscono nella corretta descrizione delle genti e dei luoghi? I magnifici originali di Ortiz Echagüe tolgono forse vigore alle informazioni che contengono le immagini? É ovvio che non é cosí. Accade soltanto che il genere documentario abbia imposto alcune severe leggi la cui disobbedienza suole essere castigata con l'ostracismo.

Invece, al contrario, dovremmo essere capaci di accogliere favorevolmente l'unione della sensibilitá con la precisione scientifica. In realtá vi sono state esperienze che hanno preceduto quella di Ortiz Echagüe. Ad esempio quella di Edward S. Curtis, il quale era un fotografo di successo nei cenacoli pittorialisti di Seattle, la capitale dello stato di Waschington. Egli nel 1900 si recó a visitare la riserva indiana dei Crow nel Montana; il contatto con la cultura dei nativi gli causó un tale impatto che decise di dedicare il resto della sua esistenza alla documentazione dei tipi, degli indumenti e dei costumi degli indiani del Nordamerica, prima che la civiltá dei bianchi ne assimilasse completamente la cultura e la distruggesse. Tra il 1907 e il 1934 riuscí a pubblicare 20 volumi della serie The North American Indian, inventariando le diverse tribú degli antichi abitanti del paese. Le immagini tendono ad idealizzare la figura del "nobile selvaggio", condannato a scomparire di fronte all'incalzare del progresso. Come gli antropologi dell'Ottocento, Curtis sublima un rimorso collettivo, presentando romanticamente sia il loro paesaggio che i personaggi; in qualche maniera negando loro il diritto di evolversi al fine di preservarli dalla contaminazione: le riprese fotografiche in cui appaiono automobili o altri oggetti di produzione industriale vengono ritoccate; i personaggi ritratti sono invitati ad indossare colllane e motivi ornamentali "genuini", che vengono trasmessi da un modello all'altro, la sistemazione dei gruppi e le pose per i ritratti sono meticolosamente studiate, mentre si aumenta il contrasto dei cieli che vengono rappresentati in modo drammatico.

Tutta la retorica visiva concorre ad accentuare il carattere pittoresco di una realtá perenne, per la quale ormai il tempo non trascorre piú. Il fotografo si converte in un archeologo nostalgico di ció che é stato perduto e, scavando nelle vecchie culture, quello che scopre di piú autentico é la vera finalitá della sua fatica: ossia, come scrisse Foucault "l'archeologia é un'arte, non perché trascriva l'impronta di ció che é avvenuto, bensí perché la traccia che ci offre é tale che ci consente di liberarci dal passato". Neppure l'indagine archeologica di Ortiz Echagüe rimane immune da questa ambivalenza. Nel farci ascoltare gli echi silenziosi della vita e della memoria, le sue immagini ci conducono sulla via dell'immaginazione. Fino a che punto la staticitá e la teatralizzazione non sono altro che metafore di un tempo morto? Non é forse l'eccesso di perfezione la chiave per intendere quel mondo irreale, fatto di personaggi imbalsamati e di paesaggi da diorama di museo? Tutta la fotografia comporta implicitamente la promessa di un cambiamento, mentre l'opera di Ortiz Echagüe equivale ad un omaggio postumo, o ad una terra di nessuno nell'ottica foucaltiana, tra il documento e il monumento, tra le vestigia e il simbolo.Nel combinare pittorialismo e documentazione si disvela l'inganno di quella pretesa obiettivitá che ha rappresentato un imperativo metodologico delle scienze sociali e dei suoi procedimenti di osservazione e di catalogazione.

Vi é sempre stata una certa polemica in riferimento all'etica del fotografo documentarista: deve egli limitarsi ad essere un testimone fedele della realtá? O ció risulta praticamente impossibile poiché qualsiasi rispecchiamento della realtá presuppone una visione soggettiva e pertanto una simulazione? L'adozione del pittorialismo rende meno irritante la risposta; tuttavia anche dopo esserci chiariti sul fatto che tanto l'estetica convenzionalmente documentaria (ergo purista), come quella pittorialista pongono in essere una mera operazione cosmetica, continuiamo a confrontarci col medesimo vecchio problema: ossia ció che, in effetti, fa il fotografo é di inventare un mondo e rendere piú verosimili i suoi sogni. La sfida che concretamente i fotografi devono affrontare é quella di riuscire ad essere coscienti di questa responsabilitá, della libertá e del peso che essa comporta. In fotografia osservare equivale a creare, vedere a credere, mostrare a dimostrare. In definitiva Ortiz Echagüe, con la sensibilitá dei suoi tempi, non fece niente di piú di quello che fotografi odierni, come Cristina García Rodero, stanno rifacendo con la medesima sensibilitá: far rivivere una Spagna evanescente, rovistare nell'inconscio storico e nei fantasmi della gente. Insomma la creazione fotografica della realtá fittizia della collettivitá. L'aspetto paradossale é che difficilmente il fotografo é consapevole della sua invenzione, allora si acceca nel mostrare la trasparenza del suo sguardo. Probabilmente é convinto di aver rispettato le condizioni naturali di ciascun contesto e di essersi limitato a trascriverle.

Egli o i suoi ammiratori si infastidiscono quando si mostra loro che tutta la fotografia é interpretazione, che persino il guru Cartier-Bresson "costruiva" in un modo o nell'altro e sue istantanee, malgrado le sue risolute dichiarazioni, poiché in arte le teorie servono affinché si possano disattendere. Per fotografi come Ortiz Echagüe il problema - dissimulato - non era assolutamente la conquista della verosimiglianza, quanto quella di riuscire a confezionare ciascun lavoro in forma di poesia. Per quanti ammiccamenti venissero fatti allo stile tradizionale della fotografia di reportages, la missione della sua opera consisteva anzitutto nell'innescare una poderosa emozione plastica. Un altro dei fattori che influirono negativamente su Ortiz Echagüe si doveva al fatto che gli toccó vivere in un paese sbagliato e in un'epoca convulsa. Spesso viene etichettato come il rappresentante fotografico della generazione del '98 e lo si paragona a Zuloaga. Ma il '98 é un movimento eminentemente letterario e, secondo Andrés Trapiello, la Spagna che interessa agli scrittori é la Spagna di Cervantes: "Quanto piú vecchia, maggiormente nuova; quanto piú morta, maggiormente viva; quanto piú lontana, tanto piú incomparabilmente vicina". Tutti quanti loro (quelli del '98), vivificarono il mito della rigenerazione del passato e del "costumbrismo" popolare, a costo di chiudere gli occhi di fronte al contesto sociale. Diceva Ortega che quando Baroja decise di romanzare l'esistenza dei vagabondi, a malapena ne esistevano ancora in Spagna.

La cosa certa é che Ortiz Echagüe si propose di salvaguardare i personaggi tipici della Spagna, i suoi costumi, le tradizioni, il folclore, le ritualitá della religione, i paesaggi e i suoi monumenti; ossia, un patrimonio astratto contrapposto alla realtá storica. Oggigiorno molte delle sue immagini possono essere lette come lo sforzo di ricostruire l'identitá ispanica. Da questo punto di vista anche molti suoi coetanei condivisero la medesima ossessione di rifugiarsi nel passato, nel pittoresco, in un mondo senza conflitti, in una idillica Arcadia riesumata; era questa una tendenza che sorse non necessariamente per avallare i paradigmi iconografici della generazione del '98, ma che tuttavia coincideva con essa nei suoi obiettivi di fondo. La figura di Ortiz Echagüe emerge, contrariamente a quella dei suoi compagni pittorialisti spagnoli, per le sue capacitá concettuali e di indagine sistematica. Paradossalmente il pittorialismo di Ortiz Echagüe, pur negando la freddezza scientifica, pure si sposa col rigore del suo metodo: egli conferma la regola secondo la quale ogni autentico artista progredisce attraverso le sue proprie contraddizioni. L'Ortiz Echagüe documentario recupera atteggiamenti della tendenza analitica preconizzata da Marey e della sistematicitá tassonomica. Il Positivismo e la cultura tecnico-scientifica favorirono l'adozione di sistemi di registrazione e classificazione che ora vengono perfezionati nell'illustrazione di atlanti, collezioni e archivi. La fotografia si converte cosí in uno strumento di mediazione scientifica.

Verso la fine dell'Ottocento, Francis Galton conió la parola "eugenetica" per designare l'applicazione delle leggi biologiche dell'ereditá al perfezionamento della specie umana. Galton intraprese un approfondito studio del viso umano e della struttura del cranio che gli permise di formulare una controversa teoria sul perfezionamento razziale. Illustró con grossolane schede i tipi sociali archetipici: il criminale, l'ufficiale, il maestro, l'operaio, il contadino, etc... L'ipotetica possibilitá di identificare e catalogare tutti gli aspetti della personalitá umana avrebbero dovuto condurre alla formulazione dell'identitá dell'essere umano perfetto. Per un altro verso, riducendo a tipologie le caratteristiche somatiche degli individui sarebbe stato possibile enucleare modelli costanti sia in riferimento alla loro condizione sociale (stato, professione, etc...), quanto alle loro qualitá morali. Un cosiddetto delinquente sarebbe stato cosí rivelato, secondo Galton, dalla sua fisionomia. Questo darwinismo sociale avrebbe impregnato l'ideologia dei grandi nazionalismi europei, i quali si sarebbero alimentati promuovendo la constatazione visiva di questo tipo di teorie.

Ortiz Echagüe inverte l'approccio di Galton; egli non parte dal generale, come faceva l'inglese, per inferire alcuni dati particolari, bensí eleva alcuni modelli alle categorie di archetipi, dando statura monumentale al rematore basco, al pastore soriano o al barbiere del Rif. La poeticizzazione dell'asepsi scientifica sovrintende la realizzazione di numerosi progetti fotografici nel periodo compreso tra le due guerre, e in Germania soprattutto, laddove si era inaugurata la tradizione degli atlanti antropologici attraverso la pubblicazione dell'album di Carl W. Dammann, "Anthropologisch - Ethnologisches Album in Photographien"(1873/1876). Nelle successive edizioni di questa monumentale opera venivano descritte le differenze e le similitudini tra vari gruppi indigeni d'Europa, d'Asia, d'America e d'Africa, mischiando fotografie realizzate espressamente per ricerche antropologiche con foto "esotiche" fatte espressamente in studio per il consumo popolare.

Col passare del tempo la rigiditá tassonomica si va attenuando, mentre migliora anche la qualitá fotografica e l'articolazione narrativa che si fa piú sofisticata da un punto di vista ideologico ed estetico. Sigilla degnamente questa tradizione la vasta opera pubblicata da Erna Lendvai - Dircksen, che probabilmente serví da guida alla tetralogia di Echagüe. La collana editoriale Das deutsche Volksgesicht (denominata Das germanische Volksgesicht dal 1942) incominció le pubblicazioni nel 1930, un anno dopo la comparsa anche in Germania di "Spanische Köpfe" (che avrebbe dato luogo tre anni dopo alla versione spagnola intitolata "España: tipos y trajes". Ciascun volume di Erna Lendvai - Dircksen veniva dedicato ad una differente regione e avevava un marcato accento populista; i ritratti dei personaggi popolari vengono intervallati ai paesaggi rustici o alle scene di vecchi mestieri artigianali. Il risultato evoca un canto alla vitalitá della gente semplice, alla bellezza dei luoghi esclusivi in cui vive, alla loro creativitá che viene perpetuata attraverso le generazioni. Lendvai - Dircksen ci presenta il volto di un popolo tedesco felice, lavoratore e rispettosamente sottomesso, a differenza del volto angustiato della "societá" tedesca cosí come era stato mostrato da Sander nel 1929 in "Antlitz der Zeit". É possibile peró che "Spanische Köpfe" abbia voluto situarsi in uno stadio intermedio. L'opera di Ortiz Echagüe si colloca, in fondo, all'incrocio di cosí tante convergenze che risulta impossibile omologarla nei parametri accademici a nostra disposizione.

Dal punto di vista di noi spettatori é evidente che intesse due discorsi che si sovrappongono. Da un lato ci propone una lettura estetica che ci porta a godere in modo immediato le raffinate immagini, ad ammirare la maestria delle qualitá formali e tecniche, a immergerci nella sua simulazione epica. Dall'altro lato, una seconda lettura, piú analitica ma non per questo meno affascinante, ci costringe a confrontarci con scomode questioni sulla nostra identitá e storia, sulle politiche della rappresentazione, sul dogmatismo autoritario delle avanguardie, sulla fragilitá dei discorsi culturali, artisti e scientifici dominanti. Tra l'agiografia di tempo fa e l'oblio di oggi, la fotografia spagnola (iniziamo con Ortiz Echagüe, ma continuiamo poi col resto) richiede con urgenza un ripensamento critico, pur senza ciechi appassionamenti, cercando di trarre profitto da ció che é stato.

 

Fine

Traduzione redazione MUFO (M.Rombi-G.Andrès)

Ringraziamo Joan Fontcuberta per la cortese disponibilità - Gennaio 2002

 
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