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(storia, sociologia, estetica) di Alfredo De Paz
Non si tratta quindi di sondare "tout court" la fotografia, ma di individuare le tappe più significative di un nuovo mezzo espressivo che ha riscontrato numerosi impedimenti sociali per garantirsi un posto nellolimpo delle arti. Il testo è ricco di apporti filosofici e critici che ben si integrano con la tematica incentrata dallautore e con le illustrazioni inserite. Analizzando lambientazione storica che ha determinato il rapido diffondersi della scrittura della luce (è del 1839 il termine photography ed è stato coniato da sir John William Herschel) in qualità di alternativa al ritratto (gli stessi pittori si dovettero adeguare alla realizzazione di opere più minute e con tempi di esecuzione più rapida) prima come vero e proprio mezzo artistico, in seguito si nota una serie di interrogativi illuminanti su cosa possa considerarsi arte. Di particolare effetto risulta proprio la sentenza emessa il 4 luglio 1862 dal procuratore generale Rousselle convinto dalle brillanti tesi proposte dallavvocato Marie- che dichiara la fotografia una ARTE, e quindi da quel giorno sarebbe stata protetta dagli stessi statuti che governavano le altre arti. Il problema di un riconoscimento della fotografia come vero e proprio mezzo espressivo fu per certi versi portato alla luce dai pittori del tempo che in certa misura accettavano il dagherrotipo come un utile mezzo per elaborare al meglio le inquadrature pittoriche se si pensa allausilio indiretto dello stesso Delacroix o al più incisivo utilizzo di Courbet e compagni, forse se ne comprende meglio le ragioni. De Paz affronta il mondo fotografico estrapolando dal cilindro limportanza sociale e di denuncia che il mezzo ha avuto nel corso della sua breve ma rapida storia, puntando il dito verso tutti quei maestri che hanno fatto del reportage una bandiera da issare senza ripensamenti. Tutto il pezzo critico dedicato ai vari Steinchen, Sander, Arbus, Modotti o Heartfield serve da introduzione ai maestri Atjet, Brassai, Cartier-Bresson, Kertesz e Brand veri e propri sociologi dellimmagine nonché indiscussi artisti del sentimento. Il passo verso lanalisi dei fotografi eroi, ovvero di quei missionari del reportage, sembra inevitabile e breve: ecco infatti comparire Weegee (vi consiglio di documentarvi sulle sue opere) , Robert Capa e Solomon. Al di là delle analisi dei vari ismi fotografici appare necessaria una consistente appendice sullimportanza del mezzo a livello umano e scientifico; De Paz non si risparmia neppure in questo senso e ci dona le note critiche di W. Benjamin e di R. Barthes veri e propri filosofi della fotografia. In conclusione non mi resta che ribadire che lampia presenza di immagini aiuta a capire le differenti sottolineature dei diversi maestri, come anche la miglioria tecnica che nel corso degli anni il mezzo ha avuto. |
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