MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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La fotografia come simbolo del mondo
(storia, sociologia, estetica)
di Alfredo De Paz

Ed. CLUEB - Bologna

 

 



Risulterebbe piuttosto impegnativo cercare di elaborare un saggio che racchiuda gli avvicendamenti stilistici della fotografia senza l’ausilio di un vero e proprio metodo di analisi critica. In effetti Alfredo De Paz (docente di Metodologia della Critica e Sociologia dell’arte all’Università di Bologna) risolve questo gap facendo ampio uso dell’esperienza che gli appartiene.
Si procede quindi per gradi divisi in sette parti: 1) Le origini. Fenomenologia, storia, sociologia; 2) Aspetti del rapporto arte-fotografia…; 3) La fotografia sociale; 4) Forme del reportage; 5) la lotta per l’autonomia estetica…; 6) La cultura del “fotogramma”; 7) fotografia e scienze umane. Procedendo in questo senso si riesce a ricostruire un excursus storico del rivoluzionario mezzo tecnico, “inventato” da Daguerre e in un certo qual modo perfezionato da Talbot, senza correre il rischio di perdersi nei vari movimenti “satelliti” magari da considerarsi per certi versi minori.

Non si tratta quindi di sondare "tout court" la fotografia, ma di individuare le tappe più significative di un nuovo mezzo espressivo che ha riscontrato numerosi impedimenti “sociali” per garantirsi un posto nell’olimpo delle arti. Il testo è ricco di apporti filosofici e critici che ben si integrano con la tematica incentrata dall’autore e con le illustrazioni inserite. Analizzando l’ambientazione storica che ha determinato il rapido diffondersi della “scrittura della luce” (è del 1839 il termine photography ed è stato coniato da sir John William Herschel) in qualità di alternativa al ritratto (gli stessi pittori si dovettero adeguare alla realizzazione di opere più minute e con tempi di esecuzione più rapida) prima come vero e proprio mezzo artistico, in seguito si nota una serie di interrogativi illuminanti su cosa possa considerarsi arte. Di particolare effetto risulta proprio la sentenza emessa il 4 luglio 1862 dal procuratore generale Rousselle –convinto dalle brillanti tesi proposte dall’avvocato Marie- che dichiara la fotografia una ARTE, e quindi da quel giorno sarebbe stata protetta dagli stessi statuti che governavano le altre arti. Il problema di un riconoscimento della fotografia come vero e proprio mezzo espressivo fu per certi versi portato alla luce dai pittori del tempo che in certa misura accettavano il dagherrotipo come un utile mezzo per elaborare al meglio le inquadrature pittoriche se si pensa all’ausilio indiretto dello stesso Delacroix o al più incisivo utilizzo di Courbet e compagni, forse se ne comprende meglio le ragioni. De Paz affronta il mondo fotografico estrapolando dal cilindro l’importanza sociale e di denuncia che il mezzo ha avuto nel corso della sua breve ma rapida storia, puntando il dito verso tutti quei maestri che hanno fatto del “reportage” una bandiera da issare senza ripensamenti. Tutto il pezzo critico dedicato ai vari Steinchen, Sander, Arbus, Modotti o Heartfield serve da introduzione ai maestri Atjet, Brassai, Cartier-Bresson, Kertesz e Brand…veri e propri sociologi dell’immagine nonché indiscussi artisti del sentimento. Il passo verso l’analisi dei “fotografi eroi”, ovvero di quei missionari del reportage, sembra inevitabile e breve: ecco infatti comparire Weegee (vi consiglio di documentarvi sulle sue opere) , Robert Capa e Solomon.

Al di là delle analisi dei vari “ismi” fotografici appare necessaria una consistente appendice sull’importanza del mezzo a livello umano e scientifico; De Paz non si risparmia neppure in questo senso e ci dona le note critiche di W. Benjamin e di R. Barthes veri e propri “filosofi” della fotografia. In conclusione non mi resta che ribadire che l’ampia presenza di immagini aiuta a capire le differenti sottolineature dei diversi maestri, come anche la miglioria tecnica che nel corso degli anni il mezzo ha avuto.

 


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