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Ho mantenuta la promessa fatta
ai discendenti di Eleonora e sono tornato in Sardegna.Questa
volta mi sono prosaicamente servito dei mezzi posti a Piero, il mio più piccolo
figliuolo, che ho condotto meco in questo "secondo viaggio
e che si rallegrava di essere, per qualche giorno, sfuggito alle
grinfie dei professori dell'Istituto Tecnico, viene subito a
contatto con quello di disegno e prevede già una traversata
fortunosa. Infatti il Cagliari ha appena lasciato il porto che incominciamo a ballare maledettamente. La
moglie del professore, che ha già ingoiati vari specifici
contro il mal di mare, si ritira affrettatamente e ci è
facile immaginare, dal colore del volto, come gli specifici comincino
a fare il loro effetto. Altri passeggeri si recano sul ponte
ad ammirare, dicono, la luna, ma effettivamente sembra nutrino
una gran simpatia per i pesci ed intendano farli partecipare
alla loro cena. Anche il mio povero Piero non può resistere
a tanta piena di affetti e, dolorosamente, Già più non si sentono le risate degli studenti, maschi e femmine che scorrazzavano per le sale, nelle cabine e sul ponte. Uno di questi ha continuato per un po' a bevere sciampagna ed è poi andato a raccontare al Capitano che a lui, il mare, non ha fatto mai male, macchiando in pari tempo il candido panciotto del Capitano, che è così costretto, anche lui, a ritirarsi, almeno per quel po' di tempo necessario a cambiare sottovesta. A me davvero il mare non ha mai fatto male, ma a forza di vedere da tutti i lati fontane non precisamente versanti acqua di Colonia, sento anch'io una certa uggiolina allo stomaco che mi decide a recarmi, come gli altri compagni, a contemplare la luna. Molti si lamentano del mal di mare; la sensazione ch'io provo nell'esercizio della piscicultura è invece qualche cosa di dolce, direi quasi piacevole, capace di far dimenticare per un po' le noie e gli affanni terrestri ; sembra che l'anima, resa libera dalla greve spoglia del corpo mortale, si libri nell'etere imponderabile e inizi il viaggio per il Paradiso di Maometto. Ad ogni modo, come ogni cosa bella e mortale, passa anche la piacevole sensazione e vado a dormire nella mia cabina. È l'alba quando il postale
getta l'ancora nel golfo degli Aranci. Il
treno già pronto sulla gettata, ci conduce alla stazione
e di qui, dopo breve sosta, prosegue per Terranova. Qua la strada
ferrata, dal livello del mare, va gradatamente elevandosi sull'altipiano
degradante dei monti Limbara, ai piedi dei quali è posta
Tempio, l'antica capitale del Giudicato di Gallura. Poche altre
stazioni di secondaria importanza sono servite da questa linea
che, a Chilivani, si biforca proseguendo da un lato per Cagliari,
mentre l'altra biforcazione ci porta a Sassari. In quest'ultimo
tratto la strada diventa più pittoresca e più interessante.
Abbiamo intravisto qualche nuraghe che, con la sua massa cupa,
si staccava sul verde chiaro della tenera vegetazione dell' al- Di Sassari ci resta un ricordo confuso, che, nel nostro primo viaggio l'abbiamo appena attraversata in corsa. Eppure la Cattedrale merita un qualche studio, non per la sua facciata di un barocco del peggior gusto, ma per ciò che resta della primitiva struttura nella parte inferiore del Campanile e della ricostruzione gotico-aragonese nella parte absidale e nel fianco destro. L'interno è tutto deturpato dalle costruzioni e dai restauri eseguiti nel XVII secolo. In locali dipendenti dalla sagrestia si conservano alcuni quadri di non grande pregio, fra essi viene ammirata, dai fedeli, una Madonna della Pietà, lavoro di scuola Bolognese del XVII secolo. Chiesa ben più importante è quella di S. Maria di Betlemme,dipendente da un convento di monache e .situata in vicinanza della stazione ferroviaria. Essa è decorata di un' elegante e semplice facciata, opera del XIII secolo mentre che, all'interno, l'ornamentazione delle vòlte di varie cappelle è opera pregevole del XV secolo. Una delle chiavi di vòlta, di queste cappelle venne smontata, nel secolo passato, e si conserva nel vicino convento ; vi si vede rappresentata la Madonna col Figlio, ed è scultura ornamentale di non scarso valore. Sulla piazzetta ove sorge la chiesa, si vede una elegante fontana sormontata da un gruppo in bronzo del XIV secolo. Curiosa è la fontana del
Rosello, costruzione barocca del 1605, sormontata dalla statua
equestre di S. Gavino, patrono dellaparte settentrionale dell'isola.
Agli angoli di questa fonte esistevano, a quanto scrive il La
Marmora. alcune belle statue rappresentanti le quattro stagioni.
Esse erano alquanto malconce Nel palazzo del duca di Vallombrosa,
sede del Comune, si trovano riuniti alcuni quadri provenienti
da lasciti di privati e dalle chiese della città e dintorni.
In generale cose di ben scarso valore, eccezion fatta per un
trittico di Scuola Senese del XIII secolo, di una Madonna col
Figlio, opera firmata di Bartolomeo Vivarini, di un bel ritratto
di monaca, opera di Scuola Fiamminga del XV secolo, di un Cristo
in croce di Scuola Sarda pure del XV secolo, di un San Pietro
molto caratteristico di Scuola Napoletana e che forse potrebbesi
attribuire, senza tema di errare troppo nel battesimo, a Luca
Giordano ; la collezione comprende anche molti pseudo-Canaletti
e infine, forse il più interessante, un piccolo quadretto,
pur troppo in cattivissime Sassari, che ha visto recentemente demolita la pittoresca cinta delle sue mura intersecata da ben 36 torri tutte quadrate, una delle quali attribuita a Sor Branca Doria ; che ha visto demolire le sue porte e ultimissimamente anche il castello, costruito nel 1330 da Raimondo da Montepavone, primo luogotenente generale del Logudoro, ha, oggi, un bel giardino pubblico, bei palazzi e importanti fabbriche industriali. Fra queste, ebbi occasione di visitare la conceria di proprietà del cav. Gervasio Costa, presidente della locale Camera di Commercio. È uno stabilimento modello, vasto, ben disposto per ogni singola lavorazione, di una proprietà veramente eccezionale, (dato lo scopo cui serve. Avevo conosciuto il cav. Costa per mezzo eli uua lettera di presentazione del comm. Bondi, potei così, con i miei compagni, visitare tutto lo stabilimento e osservare l'interessante lavorazione della concia delle pelli, che vengono poi spedite sul continente, e specialmente in Toscana. Il cav. Costa, cortesissimo, ci fu di grande aiuto e intelligente compagno e guida, nelle nostre escursioni. Codrongianus e Torralba sono mèta della nostra prima escursione, che si compie in automobile, come quasi tutte le altre che intraprenderemo nell'isola, poiché, fortunatamente, buoni garages, buone macchine ed esperti conduttori, si trovano a Sassari e a Cagliari. Il parroco di Codrougianus, avvertito del nostro arrivo, dovrebbe averci trovata una guida per condurci a Saccargia, ma la guida è, al momento, introvabile e il parroco ci fa intanto gli onori di casa e ci offre rinfreschi e Pirichittos, dolci di specialità del paese. Ci fa vedere anche la chiesa che ha alcuni dipinti di Scuola Sarda e Bolognese ; specialmente interessante è il gran quadro di Scuola Sarda esistente nel coro. Tutte le opere d'arte esistenti nella chiesa, quantunque di ben scarso valore, si trovano inventariate su una tavola di marmo, infissa nel muro, presso l'altar maggiore e così visibile, in ogni momento, a tutti gli interessati. Finalmente la guida è trovata ; si aggiunge alla nostra comitiva un cortese e cólto frate predicatore che si trova a Codrongianus, per le prediche della Settimana Santa. La strada lunga e assolata, precipita nella ralle, in fondo alla quale già incominciamo a intravedere le rovine della famosa abbazia. Niente più rimane del convento, oltre a pochi muri franosi, ma la chiesa costruita nel 1115, a mari alternati di lava nera e pietra calcarea bianca, restaurata da poco tempo, ammirasi in tutto il suo splendore, quale la vollero gli architetti del secolo XII. È con la basilica della
Trinità di Saccargia, che si ha in Sardegna il primo monumento
sacro di pura architettura pisana.Una cronaca, poco posteriore
alla fondazione dell'Abbazia, narra come Costantino giudice di
Torres e sua moglie Marcusa, orbati dei figli, in un pellegrinaggio
alle varie chiese e monasteri del giudicato, si trovassero a
pernottare nella valle, ed ebbervi una La cronaca parla anche dei festeggiamenti
che furono fatti all'occasione della consacrazione dell'edificio
e dell'allegria di tutta la popolazione del Logoduro. Dalla reggia
di Torres si partì Costantino, che fu chiamato saggio
e valoroso, e la sua consorte Marcusa, attorniati dai personaggi
più cospicui della loro corte, da paggi, staffieri, ecc.
Il vescovo di Torres precedeva fra uno stuolo di sacerdoti e
di chierici : si erano aggiunti alla comitiva Gualfredo, arcivescovo
di Cagliari, il vescovo di Bosa, quelli di Torres, di Bisarcio,
di Sulci, di Castro e di Ploaghe. Alla imponente cavalcata fece
seguito, certo, una quantità innumerevole di popolo. Salmodiando
e cantando inni alla Tergine, la processione percorse, forse,
la stessa pittoresca Scala di Ciocca (Scala a chiocciola) che
noi abbiamo percorsa in automobile da Sassari, per poi attraversare
Campo Mela; non ebbe però bisogno di salire, come noi La chiesa, sfolgorante di luce, con il coro frescato d'ingenue rappresentazioni della Vita della Vergine e del Cristo, avrà risuonato dei canti dei pellegrini, i quali poi avranno trovato ristoro del lungo viaggio, e nelle dipendenze dell'abbazia, e nelle capanne costruite nella valle. Il portichetto, che precede la
chiesa, sembra sia di costruzione posteriore all' edificio. Per
quanto le sue linee si adattino armonicamente a quelle della
facciata, le forme decorative vi si vedono più evolute
e più geniali di quelle che si riscontrano nelle altre
parti della chiesa. Decorazioni animali e floreali, Conviene risalire la stessa malagevole strada per ritornare a Codrongianus ove ci aspetta l'automobile. Ma il parroco non ci lascia ripartire senza offrirci ancora « Pirichittos » e una buona tazza di caffè, che vien proprio opportuna a ristorarci dalle fatiche della nostra gita. Finalmente partiamo per Torralba.
Le rovine di una chiesa in prossimità di questo paese
non ci attirano troppo, perché nulla di più potrebbero
ormai insegnarci in fatto di architettura pisana trapiantata
nell'isola. È il nuraghe posto in prossimità della
stazione di Torralba, che desideriamo visitare. È certo
uno dei meglio conservati che si trovino nell'isola, e per questa
ragione, In noi più che l'amor dell'arte può il lungo digiuno, che senza troppo indugiare lo sguardo sul superilo monumento, attacchiamo le provviste portate da Sassari e specialmente un eccellente tonno proveniente dalla tonnara Caline, offertoci dall'ottimo cav. Costa. Il nuraghe Oes o Boes (dei buoi), come vien chiamato, è uno dei meglio conservati della Sardegna, almeno fra quelli che fin qui abbiamo potuto vedere.Esso è descritto dal La Marmora nel suo Viaggio in Sardegna, al quale rinvio i lettori, per quanto grandi differenze abbia dovuto riscontrare fra la descrizione suddetta e l'aspetto attuale del nuraghe. E composto da un gran cono principale
fiancheggiato da Sud-Est da un edificio formato dall'unione di
tre altri coni, due dei quali strettamente uniti fra di loro.
Il terzo è più staccato, ma è in comunicazione
con i due precedenti a mezzo di una larga terrazza sotto la quale
è posto il primo ingresso al monumento che prende, da
tutto questo assieme di costruzioni, Proseguendo in linea retta dall'apertura dalla quale siamo passati nel nuraghe, entriamo nel gran pozzo centrale, ingombro dalle macerie della vòlta. A destra dell'ingresso, in corrispondenza del corridoio di sinistra, v'è un piccolo incavo, forse inizio del corridoio che doveva dare accesso alla cavità inferiore.Un'altra escursione, sempre in automobile, perché il servizio ferroviario non è troppo comodo in Sardegna, ci ha portati a Macomer e Abbasanta. Scendendo anche questa volta la bella collina detta Scala di Ciocca, il cui calcare prende in alcuni punti aspetto di turriti castelli o di costruzioni ciclopiche, attraversiamo Campo Mela, rasentiamo il colle su cui sorge Codrongianus e quello di Florinas, per scendere giù a Torralba e Macorner. Prima di entrare in Campo Mela, da un ponte della strada provinciale, possiamo osservare un precipizio conosciuto sotto il nome di « Cane e Chervu ». Il precipizio si apre nella roccia
calcarea. Si racconta che un cervo inseguito da un cane si precipitò
con esso nell'orrido, che ha più di cento metri d'altezza,
trovandovi la morte.La collina chiamata Scala di Ciocca è
alta 316 metri. La strada, costruita dal maggior Cortonazzi,
seguì le tracce di una Una di queste tombe aveva a lato sei colonne in forma di Termini, tre lisce e tre con prominenze a guisa di mammelle. Si vollero così rappresentare, schematicamente, tre uomini e tre donne a guardia della sepoltura. Ma le colonne sono oggi abbattute, i sepolcri violati dai così detti cercatori di tesori, e le pietre, disperse, han servito, forse, a più moderne costruzioni. Anche il nuraghe di S. Barbara, a cono rotondo innalzantesi sopra un basamento quadrato, dicono sia abbastanza interessante. Noi non lo abbiamo visitato, perché troppo ci premeva arrivare per tempo al nuraghe Losa, posto nelle vicinanze di Abbasanta. Questo nuraghe è formato
da una grande costruzione centrale a due piani, di forma ovoidale,
avente la parre a Nord-Est molto più larga di quella a
Sud-Ovest, e di tre altri coni di minor dimensione posti a egual
distanza l'uno dall'altro. Due ai lati della parte inferiore
della costruzione centrale, l'altro a Sud-Est, quasi in faccia
alla porta d'ingresso dell'edificio principale. Questa porta
è adesso alta circa un metro e mezzo poiché ebbe
spezzata la pietra che l'architravava, e forma cosi. con l'antica
finestra, una sola apertura. Per essa si ha accesso a un primo
corridoio. A destra e a sinistra altri due corridoi immettono
a due celle. Di queste, quella di destra ha la vòlta intatta,
quella Di ritorno da Abbasanta abbiamo
cercato di arrampicarci alla chiesa di S. Pietro di Sorres, ma
la rottura della strada ce lo ha impedito. La chiesa di S. Pietro
di Sorres è costruita sullo stesso tipo di quella dell'abbazia
di Saccargia. La gita a Ploaghe è stata ancor più
sfortunata. Vi siamo capitati il mercoledì santo, nel
pomeriggio. Tutti erano occupati nel preparare la chiesa e le
case per la Pasqua. Nessuna donna ha voluto vestire il pittoresco
costume del paese, nessun uomo si è prestato a farci da
guida, perché si potesse, senza tema di smarrirci. arrivare
a una Tomba di Giganti posta a due o tre chilometri dal paese.
Neppure le esortazioni del parroco sono valse Questi ostacoli, ripetutisi in altre occasioni, ci hanno spinti ad abbandonare la parte settentrionale dell'isola prima dell'epoca stabilita e recarci a Cagliari per organizzare le altre gite nell'interno dell'isola e nell'Iglesiente. Nella giornata del Sabato Santo
giungiamo a Cagliari, prendendo alloggio alla Scala di Ferro.
È un albergo abbastanza buono, che a noi anzi pare buonissimo
in confronto all'albergo di Sassari e agli altri che abbiamo
potuto intravedere nelle prime nostre escursioni. Possiamo provvedere
a un bagno, reso ormai indispensabile. È nello stesso
albergo della Scala di Ferro che La nostra prima escursione ci porta
a Quarto S. Elena, villaggio posto presso la marina, e rinomato
per i suoi costumi. Ma i costumi.... furono. Ormai oggi non è
più possibile trovarne."Forse, avendo maggior tempo
disponibile e qualche relazione in paese, potrebbe darsi il caso
di trovarne traccia in fondo al canterano di qualche vecchia
zittella ; non sarebbe allora difficile indurre qualche ragazza
a indossare quelle vesti e a farsi fare la fotografia nel vecchio
costume del luogo. Ma in escursioni così affrettate il
caso solo può aiutare, e in questa circostanza il fato
non ci è stato benigno. D'altra parte fin dal 1858 il
La Marmora scriveva che quei costumi, che avevan fatto l'ammirazione
di E il La Marmora aggiunge «
I battelli a vapore che fanno il servizio postale fra Genova
e la Sardegna e che trasportano viaggiatori e mercanzie dal continente
nell'isola, è difficile che vi approdino senza sbarcare
qualche Visitiamo vari paesetti del Cagliaritano,
senza alcun frutto, almeno dal lato fotografico. A Monserrato
ci colpisce l'aspetto orientale della chiesa parrocchiale, costruzione
del XVII secolo.Giriamo attorno alle paludi che circondano Cagliari,
ricche pescherie e ottime riserve di caccia, rientriamo in Cagliari,
ove in compagnia del Dottor Aru, ispettore dei monumenti della L'esterno della chiesa di S. Domenico conserva ancora e nel grande arcone della facciata e nella cupola, molte caratteristiche dell'architettura del XIII secolo. Essa venne fondata da Frate Niccolo Forteguerri da Siena, inviato nel 1254 da papa Innocenzo IV quale Visitador y Reformador del clero e dei vescovi di Sardegna. La prima costruzione venne limitata alla chiesa e a due bracci del patio che ebbe le vòlte a crociera gotica, mentre gli altri due bracci ad arcate sovrapposte vennero aggiunte nel 1558 per liberalità di Filippo II re di Spagna. Tutte le decorazioni ornamentali di questo patio sono in pietra arenaria di Cagliari. La chiesa di S. Saturnino è
una delle poche costruzioni preromaniche esistenti in Sardegna.Originariamente
si suppone fosse un tempio dedicato a Pochi anni or sono furono eseguiti
degli scavi attorno alla chiesa. Vi si rinvennero tombe dei primi
tempi del cristianesimo ed anche qualche frammento di scultura
interessante, ma tutto venne abbandonato per la mancanza di fondi
e non è probabile che scavi o restauri possano esser in
breve tempo ripresi. Il giorno di Pasqua facciamo un'altra escursione
nei din- Non ci siamo forniti di provviste
a Cagliari perché siamo stati assicurati poterne trovare
a sufficienza a Pula. Invece, quando ci presentiamo alla modesta
e unica trattoria, del paese, ci sentiamo dire che in quel giorno
sono soltanto i poveri che mangiano e a noi ci viene rifiutato
anche il più piccolo tozzo di pane, del quale, in mancanza
di meglio, ci saremmo anche potuti accontentare. È necessario
perciò tornare presto a Cagliari. E ci spingiamo velocemente,
come lo stato delle strade lo consente, verso Nora. Presso la
chiesa di S. Efisio conviene lasciare l'automobile e inoltrarsi
a piedi fra le stoppie dell'altipiano sul quale sorgeva la città
romana. È nella chiesa, che La città sembra cominciasse subito al di là di quella specie d'istmo strettissimo, che ci conviene varcare affondando il piede nella rena, saltando cardi e rovi che ostacolano il cammino. Da questo lato Nora non può avere avuto che una sola porta.La città è quasi completamente scomparsa.Ai tempi del La Marmora pare si vedessero ancora abbastanza bene gli avanzi del teatro. A mia grande vergogna e per quanto abbia girato la penisoletta per lungo e per largo non li ho potuti scoprire e mi sono dovuto contentare di fotografare gli avanzi pittoreschi, ma di nessun valore archeologico, dell'acquedotto, non che di alcune rovine che si vedono discendere e inabissarsi nel mare. Poiché è saputo come Nora devastata, quasi completamente distrutta dai Saraceni, ebbe speranza di risorgere quando Barisene, figlio di Orlando, giudice di Cagliari, ne ebbe ordinata la ricostruzione in onore di Norina sua figlia. Già sul luogo eran giunti architetti e operai, quando un forte terremoto terminò di distruggere la città, mentre un maremoto ne inghiottiva la miglior parte. Dall'estremità meridionale
della penisoletta godesi di una bella veduta della costa, del
promontorio del Coltellazzo, dell'isola di S. Macario e delle
torri che guernivano questi luoghi, prime e spesso insufficienti
difese alle frequenti incursioni dei Tunisini. È il territorio
dell' Iglesiente che. adesso vogliamo visitare in rapida escursione.
Una linea ferroviaria conduce a Iglesias ed è La strada provinciale, al casello di Uta, prende contatto con la linea ferroviaria. Non ci siamo provveduti di carte stradali credendo che il nostro meccanico fosse abbastanza pratico della regione; egli piega, a destra per una via che presto diventa viottolo inoltrantesi per due o tre chilometri fra campi lavorati e che finisce davanti a un miserabile villaggio le cui case, a un sol piano, sono costruite con fango impastato di paglia e battuto. Questo genere di costruzione porta il nome di ladderi ed è comune a molti altri villaggi, che s'incontrano sulla strada d'Iglesias. Ci si assicura che queste case stiano ritte, screpolandosi, finché dura il bel tempo ; se poi sopravviene una stagione molto piovosa, sembra non raro il caso di vedere i muri ripiegarsi su se stessi, finché tutto si sfascia. Pochi abitanti, dalla fisionomia inebetita, ci si fanno incontro; domandiamo loro il nome del villaggio, non ci rispondono; domandiamo allora di sa chiesa e con la mano ci indicano la strada che dobbiamo seguire per arrivarci. Ma sa chiesa è una
capanna di fango e paglia come le case, ben differente dalla
bella chiesa pisana che dovremmo trovare a Uta. Finalmente riusciamo
a conoscere anche il nome del paese, Villaspeciosa, e ad avere
indicazioni per giungere senza nuovi intoppi al nostro destino.
Torniamo addietro per la strada già fatta, augurandoci
di non dover tornar più a Villaspeciosa; al casello di
Uta traversiamo il binario ferroviario e per altro viottolo,
simile a quello già percorso, dopo altri due o tre chilometri,
arriviamo finalmente al villaggio di Uta, che ha aspetto meno
disperato di Villaspeciosa. La chiesa sta in fondo al villaggio,
in direzione del mare, essa è circondata da un muro nel
quale è un cancello, che troviamo chiuso. Un ragazzo,
poco più che decenne, vispo ma lacero e sudicio, si offre
di andare a cercare la chiave, raccomandandosi per avere in compenso
un soldo che gli permetta di comprare un tozzo di pane. Egli
è realmente affamato; gli promettiamo una monetuzza ed
il ragazzo corre via contento, pispigliando come un passero e,
torna prestissimo con la chiave, avvisandoci non aver potuto
aver quella della chiesa, per l'assenza del prete. Ci limitiamo
a fare delle fotografie della bella abside circolare e del fianco,
una del fianco a sud, con la facciata tagliata dal muro costruito,
da questo lato, proprio a ridosso della chiesa. In tutte è
visibile, nel campanile, posto sopra la facciata, e sostituito
all'antico che era Incerta è l'origine di questa chiesa ; si vuole abbia appartenuto a un convento di Benedettini, anzi si può ancora osservare, nell'immediata sua vicinanza, qualche traccia di un edificio a corte e di un pozzo come appunto usavasi nei monasteri. L'interno della chiesa è a tre navate, le due laterali più basse, la centrale con le arcate poggianti su colonne, probabilmente tolte a costruzioni romane. Alle 11 siamo di nuovo in cammino per Siliqua. Abbiamo un biglietto di presentazione per l'ufficiale postale Ghisu, del quale ho conosciuto un figlio impiegato al Comune di Firenze. Siamo cordialmente ricevuti e ci viene offerto un rinfresco, ottimo moscato fabbricato dai Ghisu e dolci sardi. Intanto si cerca una guida, indispensabile per salire al Castello di Acquafredda. Unica curiosità di Siliqua
è un giardino, coltivato quasi tutto ad agrumi, posto
a poca distanza dal villaggio. È un esempio tipico di
divisibilità di possesso. È specialmente nel Campidano
che osservansi proprietà frazionate in modo quasi ridicolo
; i campi, le selve, le case sono divise fra i vari fratelli
in tanti Continuiamo a salire; neppure un
sentiero si offre alla nostra ascesa, solo le caprepotrebbero,
col loro saldo garretto e con la loro agilità, valicare,
senza inciampi, questi dirupi. Anche la guida perde per un momento
la buona direzione; ci ha condotti in un meandro inestricabile
di rovi ed olivastri e siam costretti a tornare sui nostri passi,
ad abbandonare provviste e materiale e tentare l'ascesa in altra
direzione. Finalmente arriviamo ai piedi del castello I tormenti, ai quali fu assoggettato
l'infelice, dovettero essere terribili poiché, storia,
leggende, poesie popolari, ne fanno oggetto di narrazione. Il
più infetto stambugio, nelle profondità della torre,
fu prigione del Gubetta che vi patì la fame e la sete;
egli ebbe poi le sue carni attanagliate da ferri roventi e infine,
attaccato per le gambe e per le braccia a quattro focosi cavalli,
il suo corpo fu orribilmente squarciato fra i dirupi del monte,
sul quale, imponente, pauroso, sorgeva il castello, le cui rovine
grandiose, incutono, ancora oggi, spavento ai pastori che vi
passano vicini a notte buia e ai quali pare udire sempre, nel Nuovi rinfreschi ci attendono in casa Ghisu, ove tutti si affaccendano nei preparativi per il battesimo di un neonato. Assisterei volentieri alla cerimonia, ma abbiamo il tempo contato e d'altra parte mi si assicura che essa non avrà niente di caratteristico. È già tardi quando ripartiamo per Igiesias, ma il nostro automobile compie il breve tragitto in pochi minuti, sicché, prima che annotti, oltre a provvedere al nostro alloggio, abbiamo potuto visitare la cattedrale, una buona parte della città e combinare quanto occorre per la gita a Monteponi. Iglesias Villa di chiesa
dal numero delle chiese che possedeva in confronto
al numero dei suoi abitanti e per le fraterie che vi pullulavano,
ha oggi un solo edifizio sacro degno di considerazione e questo
è la cattedrale, costruita nel XIII secolo dal famoso
conte Ugolino della Gherardesca. La Presso la porta della nostra bella
chiesa è un'iscrizione con lo stemma Gherardesca e l'indicazione
che la costruzione venne incominciata mentre il conte Ugolino
era potestà di Pisa, e cioè, fra l'ottobre 1285
e il luglio 1288. La facciata sola è quanto rimane dell'antica
costruzione. Nell' interno, al tetto Ho visitato la chiesa anche in
giorno festivo e mi vi son trattenuto durante la messa cantata
; ho visto popolani e signori nei costumi del paese, alcuni assai
ricchi, tutti molto pittoreschi. Inginocchiate sul nudo suolo
o sopra il pagliericcio d'una sedia, le donne tenevano in mano
una candeletta accesa, Iglesias era dominata da un castello chiamato dai Pisani Salvaterra, costruito nel 1325 da Berengario Carroz ; esso fu storicamente famoso per la difesa che vi fecero, nel 1354, le truppe aragonesi, contro l'esercito di Mariano d'Arborea. Di questo castello, dichiarato troppo tardi monumento nazionale, non mi è riuscito vedere che insisrmficanti rovine. Dedichiamo il giorno seguente alla
visita delle miniere di Monteponi. Vi siamo ricevuti dal personale
di direzione e dal direttore stesso comm. Ferraris, che si offre
di farci da guida ,nella miniera. Dalla bella palazzetta, nella
quale ha sede la direzione e l'amministrazione e dove ci è
dato osservare alcuni La laveria meccanica fu da noi visitata nel nostro primo viaggio; in essa il minerale, prima frantumato, vien liberato dalla terra con replicati lavaggi, sottoposto a una cernita e quindi all'azione di potenti magneti, che separano il ferro dalla calamina.Tralasciamo la visita ai pozzi e alle gallerie sotterranee dalle quali, mercé razionali impianti, viene estratto il minerale. Dobbiamo riconoscere la nostra poca competenza in materia e ricordare che lo scopo precipuo della nostra visita è quello di prendere un certo numero di fotografie, che possano far meglio conoscere, sul continente e all'estero, l'importanza di questa industria sarda. La visita ai pozzi ed alle gallerie, anche se fatta nel modo il più celere, occuperebbe la miglior parte del nostro tempo e lo scopo nostro verrebbe così, in gran parte, a mancare. Ci dirigiamo senz'altro agli scavi all'aperto : mentre saliamo il monte, dal lato di ponente, possiamo osservare la pittoresca vallata col monte di S. Giovanni, nel quale si apre la miniera omonima. Sotto di noi si svolge, in larghe volute, la strada provinciale che, biforcandosi al di là della miniera di S. Giovanni, conduce da un lato al Golfo di Porto Paglia, dall'altro a Sant'Antioco e per Teulada ritorna a Cagliari. Proseguiamo nel nostro cammino. Il comm. Ferraris ci ricorda intanto la storia della miniera. Monteponi, che anticamente chiamavasi Monte Paone e poi Monte Ponis vide, come Monte S. Giovanni, le sue viscere aperte fino dai tempi della dominazione Cartaginese.Le esplorazioni continuarono sotto i Romani, i Pisani e gli Spagnoli; alla fine del XVIII secolo la miniera era attivata per conto del governo, che ne ritraeva però un assai scarso beneficio. Sembra, ad esempio, che nel 1799 il reddito non fosse che di 2309 lire. La lavorazione, per conto del governo, continuò fino al 1850, sempre con risultati assai meschini. Infine la miniera venne affittata, per 30 anni, a una società genovese, per il canone annuo di 32 mila lire. Fu da quell'epoca che l'industria mineraria cominciò ad avere un discreto sviluppo in Sardegna. La società, facendo impianti
più razionali dei preesistenti, ottenne subito benefici
rilevanti producendo, per parecchi anni, più di diecimila
tonnellate di galena all'anno, del valore di oltre 2 milioni.
Dopo il 1880 la società acquistò la miniera, aumentando
il suo capitale. Così poterono essere eseguite opere della
maggiore importanza, quali la famosa galleria di scolo, ideata
dal Ferraris. che costò quasi 2 milioni, ma che liberò
completamente la miniera dalle acque, permettendo l'estrazione
del minerale, in qualunque località, anche sotto al livello
del mare. Nè meno importante fu l'impianto della laveria
e fonderia, l'installazione elettrica, e le istituzioni di previdenza,
quali : l'Ospe- Così, piacevolmente conversando e istruendoci, siamo arrivati quasi alla sommità del monte, ove furono iniziati gli scavi all'aperto distinti col nome di scavi Cungianus. È uno spettacolo indescrivibile: lo scavo, a forma d'imbuto, è circondato da rocce calcaree di aspetto imponente e di forme quanto mai originali. Il colossale imbuto va restringendosi lasciando scoperti larghi gradoni intagliati nella roccia a varie altezze. Viste così dall'alto, le squadre d'operai che vi lavorano, somigliano a legioni di formiche che si affatichino a trasportare la loro preda entro i formicai. Essi infatti appariscono e spariscono nelle gallerie dei vari ripiani, nelle quali viene istradato il minerale scavato. Nelle gallerie s'ingolfa il vento che fa mulinello nell'imbuto. Uomini e cose scompaiono nella polvere. Ma è polvere? La miniera sparisce ai nostri occhi attoniti per dar luogo a una visione altamente suggestiva; al suo posto si spalanca in tutta la sua terribilità l'inferno dantesco con i suoi scaglioni e le sue bolge, con i peccatori travolti nella bufera infernale immersi nel fumo, nel fuoco o nella pegola bollente. Nulla può ormai impressionarci
dopo la. terrificante visione: lo scavo Trastu con le antiche
escavazioni pisane, quello Moreschini e Floris, dalle rocce superbe,
ci sembrano, al confronto, opere meschine e di secondaria importanza.
La voce del commendatore Ferraris non è sufficiente a
richiamarci alla realtà delle cose; discendiamo come smemorati
il monte, senza pur ricordarci di raccogliere qualche frammento
di minerale, che Anche San'Antioco venne da noi
visitato nel nostro primo viaggio e vi facemmo preziose conoscenze,
che abbiamo opportunamente avvisate della nostra nuova escursione.
La strada che vi conduce, da Iglesias, è assai pittoresca;
finché restiamo nel territorio minerario incontriamo squadre
di A Siliqua, ad esempio, mi vien
detto esistere una miniera nella quale si trova, l'oro e che
ancora non è stata sfruttata per difficoltà tecniche
e difetto di capitali : qui, a Monteponi, il piombo è
mescolato all'argento, si trova il ferro, la calamina, in alcuni
luoghi il carbon fossile, in quelli più bassi, che adesso Una stretta lingua di terra divide
il golfo di Carloforte da quello più meridionale di Palmas;
su questa, passa la strada romana che metteva in comunicazione
la Sardegna con l'isola di Sant'Antioco. All'estremità,
presso Sant'Antioco, v'è un ponte i cui due archi lasciano
che le acque dei due golfi si mescolino, e permettono alle barche
di passare, ad alberi abbassati, da un Appena passato il ponte, a destra, in riva al mare si estendeva la città di Sulcis; qualche pietra isolata, è ormai quanto resta dell'antica città. Il La Marmora accenna ad alcuni muri identificandoli col tempio d'Iside e Serapide; ma anche di questi oggi non si ha più traccia; le antiche pietre han probabilmente servito a costruzioni ritenute più utili. L'origine di Sulcis sembra risalire a tempi molto remoti. Del periodo Cartaginese restano alcune interessanti edicole funebri che ho riprodotto nella prima parte del mio viaggio; dell'epoca romana alcune statue frammentate che si conservano, assieme alle prime, nel museo di Cagliari. Sant'Antioco costruita sulla collina,
già necropoli romana e pre-romana ; le grotte funerarie
scavate nel tufo trachitico vennero occupate dai più poveri
fra i primi coloni che vennero dall'Iglesiente. I discendenti
di questi occupano ancora la migliore fra le grotte delle quali
vantano il possesso e affittano le Non so dove ho letto, come, in sulla fine del '700; fosse invitato a Sant'Antioco un famoso predicatore, nella speranza che gli abitanti, convinti dalla calda parola del frate, cessassero da pratiche che avevano sapore d'idolatria. Ma la chiesa essendo restata deserta, un ammiratore del frate lo consigliò di recarsi a predicare al chiaro di luna. Detto fatto, una bella sera il frate fu condotto su di un rialto sotto al castello e là incominciò la sua predica. Adagio adagio, a due a tre, egli vide, con Terrore, sbucare dalle viscere della terra degli esseri che niente sembravano avere di umano. Il terreno all'intorno ne fu in breve formicolante. Al frate sarà sembrato assistere alla scena della risurrezione della carne, quale doveva aver vista, maestrevolmente affrescata dal .Siguorelli, sopra una parete del Duomo d'Orvieto, perché, preso da terrore, cessò dal predicare, lasciò l'improvvisato pergamo e a Sant'Antioco nessuno più lo rivide. Ricevuti dai signori Diana, i nostri antichi conoscenti, presentati al sindaco e al parroco, troviamo da per tutto, come al solito, le più cordiali accoglienze e facilitazioni per i nostri lavori che si limitano, quasi esclusivamente, a riprodurre uomini e donne nel costume caratteristico del paese. Gli uomini quasi tutti, portano la mastrucca, pelle di capra conciata e che adoprata, alternativamente, dalle due parti serve a : proteggere dal freddo, dall'umido e dai forti calori. Nulla di speciale ho potuto notare nei costumi delle donne. Mi ero recato in una stradetta assolata, lontana dal castello e dalle grotte, per cercare di una vecchietta che sapevo possedere un costume antico da sposo. Col naso in aria, tutto intento a riconoscere la casupola indicatami, inciampai in qualche cosa di duro, che riconobbi subito, con un certo raccapriccio, per uno scheletro pietrificato, che le piogge avevano posto allo scoperto. Il caso. a quanto seppi, non rimane isolato. O per necessità edilizie, o in seguito a piogge torrenziali, spesso e volentieri vengono in luce, più qua, più là, scheletri, accompagnati da monetuzze. vasi frantumati ed altre reliquie funebri. È così facile arguire come la necropoli romana e preromana, non occupasse soltanto la sommità del monticello, sul quale fu poi costruita S. Antioco, ma si estendesse fino al piano, forse fin quasi alle porte di Sulcis. Il materiale funebre trovato in queste occasioni è di ben scarso valore, mentre che di valore superiore è quello delle grotte, nelle quali, oltre a vasi figurati, non di eccellente lavoro, si trovano belli scarabei e numerose pietre incise delle quali si è arricchito il museo di Cagliari.Anche a me vengono offerte delle pietre incise e ne avrei volentieri acquistate alcune in ricordo della mia escursione, se, un attento esame, non mi avesse fatto riconoscere trattarsi di pezzi di vetro di nessun valore, falsificazioni veneziane del XVII secolo, sulle quali tentano speculare gli abitanti della penisola sulcitana. I pastori della penisola, come
quelli di altri luoghi della Sardegna, suonano uno strumento,
specie di flauto, chiamato launcddas, formato da tre canne, due
delle quali unite tra loro e l'altra legata alle prime da uno
spago. Queste canne sono, più o meno artisticamente, incise
a fuoco. Lo strumento, simile Il suonarlo apparisce abbastanza
difficile e faticoso ; le due canne unite debbono essere sorrette
dalla mano destra, mentre la sinistra tiene la cannula legata
con lo spago. Le dita che otturano, alternativamente, i fori
dei quali Sant'Antioco sembra essere un paese
abbastanza industrioso ; vi si tessono panni, tappeti, belle
coperte, bertule, tele, ecc. Ma la lavorazione più curiosa
è quella che si fa della pinna nobilis, che viene pescata
in grande abbondanza nel golfo e la cui appendice terminale (bisso),
formata di filamenti setacei, A S. Antioco si trovano circa 200 telai i quali abitualmente tessono orbacce, tovaglie, tappeti e bisaccie. Domina il paese un castello adesso diruto, segnalato alla storia per la difesa, che nel 1815, vi fecero gli abitanti dell'Isola contro i corsari tunisini. Gli improvvisati cannonieri, sotto gli ordini del Melis, combatterono eroicamente per ben 7 ore, finché i tunisini, essendo riusciti ad arrampicarsi sul tetto di una casetta adiacente al castello, vi saltarono dentro, impadronendosene. I difensori sopravvissuti furono tutti condotti in schiavitù, comprese alcune donne che avevano valorosamente contribuito alla resistenza. Nelle vicinanze di Sant'Antioco si trovano alcuni crateri di vulcani spenti. L'imbocco di essi è, in generale, formato da ampie caverne che si sprofondano nel suolo e che, per ora, non sono state esplorate. Questi crateri offrono larga messe di studio ai geologi. Vi ho raccolte numerose pietre e in tutte ho trovato curiose piante fossilizzate e specialmente felci arboree. Dalla strada provinciale che conduce
a Teulada, per una deviazione a sinistra, possiamo giungere al
villaggio di Tratalias, il quale possiede una bella chiesa
S. Maria costruita nella seconda metà del XII secolo,
quando i vescovi di Sulcis, poco sicuri nella loro sede per le
continue incursioni barbaresche, Ho la fortuna di poter riprodurre
alcuni costumi del villaggio; il barbiere in una delle più
caratteristiche strade del paese, un carro per il trasporto del
grano e, nell'orto di una casa, due donne mentre stanno sfornando
il pane, al quale han dato la forma di un cardo sfiorito. Non
è questa la sola località nella quale ho visto
dar forme originali al pane; ne ho osservate delle curiosis- Partiamo per Dolianova e Nuoro.
Arrivati al paesetto, che non è fra i più sudici
della Sardegna ci facciamo indicare la chiesa parrocchiale dedicata
a S. Pantaleo, patrono di Dolianova. L'edificio è assai
interessante, specialmente, per le sue forme costruttive identiche
quelle della Cattedrale di Cagliari e Sculture barbariche, simili a quello che si vedono in edifici sacri dell'Italia settentrionale, scolpite in arenaria, tolta dalle cave del paese, ornano la facciata ed il fianco dell'edificio. È probabile che esse siano dovute ad artista locale che può anche essersi ispirato a qualche scultura preistorica. La struttura della chiesa è invece dovuta certamente ad architetto pisano.Al lato della porta, che si apre sul fianco, è un'interessante tomba ad arcosolio, formata da un sarcofago romano, sul fianco del quale è scolpita l'arme del personaggio che vi fu racchiuso.La torre campanaria che si trova eretta a fianco della facciata forma una massa imponente, degna di nota. Nell'interno della chiesa si vedono quadri di scuola catalana e sarda del XV e XVI secolo, alcuni dei quali notevoli come composizione, buoni come disegno, di colorito brillante, che l'umidità dell'ambiente non è stata sufficiente ad alterare completamente. La strada provinciale si svolge in mezzo a vaste zone quasi prive di vegetazione e sale rapidamente a più di 500 metri. Arriviamo ad Isili quasi a mezzogiorno, ma troviamo la colazione già pronta a cura della famiglia Piras, con la quale sono da tempo in relazione epistolare. Dopo la colazione abbondante, alla
quale apparvero anche delle ottime trote cucinate all'uso sardo,
la famiglia Piras, cui si unì il dottor Corongiu, medico
del vicino reclusorio, ci condusse a visitare il paese che non
offre niente di particolarmente interessante, quindi a vedere,
nelle immediate vicinanze, il Proseguendo sulla strada provinciale,
per circa mezzo miglio, ed obliquando poi a destra, si presenta
una veduta oltremodo pittoresca e impressionante. Il monte è
qui aperto da un'ampia fenditura prodotta, probabilmente, da
un'ultima convulsione, che la Sardegna dovè subire non
appena i suoi vulcani furono spenti e la terra incominciava a
raffreddarsi. A metà circa del vallone, Apparirà invece completamente trasformato un altro luogo non meno pittoresco, che vediamo, in sull'alba del giorno seguente, partendo da Isili. A quattro o cinque chilometri da quella località, sulla sinistra della strada provinciale, vedesi un blocco calcareo, quasi completamente isolato, sul quale stanno le rovine di una piccola chiesetta, che fu dedicata a S. Sebastiano. Siamo giunti al limite estremo della regione che sarà convertita in bacino montano, col quale potrà essere irrigata una grande parte della Sardegna, restituendola alla sua prima fertilità. Quando le acque del Mannu saranno racchiuse in questo bacino, lo scoglio di S. Sebastiano diventerà un isolotto e sembrerà ancor più pittoresco di quello che non apparisca oggi agli occhi dei viandanti che, da Isili, si recano ai villaggi che stanno annidati, a mezza costa, sulla catena del Gennargentu. Siamo ad Aritzo, già a 800
m. sul livello del mare. Il piccolo villaggio, con le Le donne sarde, fin da bambine,
sono use portare in seno, brevi, scapolari o altri amuleti. Ma
tale uso vigeva, almeno fino a pochi anni fa, anche sul continente
e non soltanto fra le donne del popolo; quanto alla jettatura
o malocchio non è a ritenersi che il napoletano possa
dare dei punti al sardo? Il popolino sardo crede bensì
alla jettatura ma, lo posso affermare per scienza mia propria,
a Napoli e nel Napoletano non è soltanto il popolino che
vi crede ma anche gli appartenenti alle classi più elevate
della società, fino al più puro sangue aristocratico.
Ed ho conosciuto conti, marchesi e principi che credevano alla
jettatura ed ho assistito alle più gustose scenette precauzionali
necessarie, a quanto sembra, per sfuggire al malocchio e ad evitare
contatti Ma dell'Okru Malu, come vien chiamata in Sardegna la jettatura, dovevano temere anche i primi abitatori dell'isola. Infatti mentre oggi per scongiurare l'opera del jettatore portano addosso, come a Napoli, un corno di corallo, una mano che fa le corna, o una pietruzza tondeggiante, avente da un lato come un cerchietto e che è conosciuta col nome di occhio di S. Lucia, così al museo di Cagliari conservansi alcuni idoli portanti quattro occhi, rinvenuti in nuraghi e che ancor essi, affermasi, dovevano preservare dal malocchio. Eccoci a Tonara, 935 m. s. l. m.; la solita croce ci annunzia il vicino villaggio e ci serve d'indicazione a rallentare la corsa. La strada è sempre molto pittoresca. In basso, vedonsi, qua e là delle coltivazioni a grano e uliveti ; la quercia e il leccio dominano sulle alture dei contrafforti del Gennargentu. In alcuni punti, come presso la cantoniera S. Pietro, ove ci fermiamo per la colazione, la vallata che si apre davanti a noi, limitata dalla bella catena montuosa, si presenta di un effetto sorprendente. Siamo già ridiscesi a 802 metri s. l. m. Queste cantoniere, di recente costruzione, sono abbastanza pulite. I cantonieri hanno l'obbligo di alloggiare, per una notte, i viandanti e offrir loro una parca refezione. Noi abbiamo portato alcune provviste che vengono aumentate di un po' di pane, di uno squisito formaggio e di una coppia d'uova. Quando ridiscendiamo per riprendere la nostra strada, troviamo la famiglia del Cantoniere nell'atrio della casa, accoccolata attorno a un buon fuoco di quercioli, intenta al magro pasto in compagnia dell'agnelletto e dell' indispensabile maialino. Dopo S. Pietro la strada, sempre in buone condizioni, come quasi tutte le principali strade sarde, va discendendo fino a Nuoro (553 m. s. l. m.). A Isili abbiamo avute notizie,
per la prima volta, di latitanti che si sarebbero aggirati su
queste strade; ci assicurano però che non abbiamo niente
a temere perché non si tratta di vero e proprio brigantaggio,
ma bensì di individui che si son dati alla macchia dopo
aver compiuto una di quelle vendette che nella La fidanzata di uno dei fuggiaschi volle seguirlo e venne trovata morta di stenti in una capanna. Non si contarono più le mandrie sgarrettate, nè i danni fatti alla proprietà e fino alle case degli avversari, poste dentro l'abitato. Al momento del nostro passaggio, carabinieri e soldati davano la caccia ai latitanti i quali, ultima loro impresa, erano riusciti "a sottrarre alla custodia della benemerita arma, due piccoli bambini, appartenenti alla fazione nemica, trasportandoli, in ostaggio, sui monti e facendone sparire le tracce, come mai fossero esistiti. La latitanza cagionata da vendetta, è una piaga che, più o meno intensamente, ha sempre funestata la Sardegna; ma il brigantaggio vero e proprio non deve essere apparso nell'isola che a grandi intervalli, a guisa di morbo sporadico che non si sa dove viene, ma che affrontato abilmente e sottoposto a cure energiche riesce facile estinguere. Il La Marmora, che percorse la Sardegna in tutte le sue parti, in sulla prima metà del XIX sec., facendovi lunghe escursioni accompagnato, qualche volta, da un solo servo o da una guida, non ha mai incontrato briganti, giacché l'unica avventura brigantesca da lui notata nel suo Voyage en Sardaigne, è ben lungi dall'avere il carattere del vero brigantaggio. Il La Marmora si trovava alle falde
dell'Ortobene, il monte che si erge davanti a noi e che ho cercato
di riprodurre nella mattinata nebbiosa che trascorsi a Nuoro.
Voleva uccidere degli uccelli di una varietà che non si
trova che in questa valle, per inviarli a un ornitologo suo amico.
Aveva sparato uno o due, colpi, quando da un macchione sbucarono
4 o 5 ceffi barbuti che lo fermarono e lo condussero a una capanna
poco discosta ove gli fecero intendere che volevano 50 lire come
indennizzo per un porco ucciso, secondo loro, dal La Marmora.
Quanti dei nostri cacciatori, anche senza allontanarsi troppo
dai centri maggiormente abitati, non si son trovati in Interessante è la scena
del giuramento come vien narrata dall'autore, anche perché
è in uso ancor oggi nella Barbagia e gli vien sostituito
soltanto il giuramento sulle reliquie, che ha egual valore e
vien egualmente rispettato dai sardi, i quali non si fanno scrupolo,
invece, di dire il falso quando giurano sol- Venne scavato nel terreno, con le mani, un buco poco profondo della forma di una larga scodella, in mezzo vi furon posti due piccoli rami incrociati; il La Marmora fu fatto inginocchiare; venne obbligato a mettere la mano sopra la croce e giurare che non avrebbe mai rivelato ciò che gli era accaduto. Ma un'avventura veramente brigantesca
ci è stata narrata durante una delle nostre escursioni.
È avvenuta qualche diecina di anni fa, sulla strada da
Nuoro a Macomer, che dovremo percorrere fra poco, ed ha perciò
un qualche sapore opportunistico. Ne fu vittima un ufficiale
che distintosi in vari scontri contro i briganti e nelle trattative
per la costituzione di molti di essi, raccontava una sera, in
società, che a lui, per combatterli e assicurarli alla
giustizia, il frustino era più che sufficente. Ebbe a
recarsi a Nuoro in diligenza. Per chi non conosce le diligenze
sarde non ha che da immaginare una gran trappola divisa in due
scomparti, topi grossi e topi spiccioli; è difficile entrarvi,
quasi impossibile uscirne se non vi fate aiutare. I briganti
fermarono la diligenza, aiutarono, con i dovuti riguardi, l'ufficiale
a scendere A Nuoro. non vi è niente
d'interessante dal lato artistico ; bisognerebbe fare delle escursioni
nelle vicinanze, sull'Ortobene e nei monti d' Oliena, per trovare
paesaggi pittoreschi, foreste pressoché vergini e costumi
interessanti. Nelle vicinanze di Nuoro è un masso che
aveva una caratteristica singolare. Sa perda ballerina,
un enorme blocco granitico di 14 m. di larghezza per 2,50 d'altezza,
oscillava alla semplice pressione di un uomo. Ma oggi il masso
ha perduta la sua caratteristica e si riposa dopo aver ballato,
forse un I costumi del Nuorese sono assai belli, la sobrietà dei colori, specialmente per quelli maschili, li rende assai più distinti di quelli di altre regioni. L'avv. Cardia, al quale ci raccomandava la vecchia amicizia con mio fratello, non è in Nuoro; ma il figlio ci ha condotti all'alloggio che era stato preparato e ci ha fatto visitare il paese. Egli ha creduto sarebbe stato difficile indurre qualche Nuorese a lasciarsi fotografare, ma il mio segretario Sguanci, che mi ha accompagnato in tutti e due i viaggi, che sa dove il diavolo tiene la coda, ed è capace di trarsi d'impaccio in qualsiasi circostanza, pur di trovarsi su terraferma perché in mare la cosa cambia aspetto, ha potuto convincere un ricco proprietario del luogo a prestarsi a modello ed ha poi trovate due donnette abbastanza piacenti, che non saranno due sante, ma che, intanto, aderiscono assai cortesemente alle nostre richieste e si lasciano fotografare in tutte quelle posizioni che al sullodato Sguanci viene in mente di far loro prendere. L'ospitalità sarda è
proverbiale: Sa domu est minore, su coru est mannu, la
casa è piccola il cuore è grande, dice un proverbio
sardo, e dappertutto abbiamo infatti avute cordialissime accoglienze,
colazioni o quanto meno rinfreschi, anche da persone che non
avevamo avuto il piacere di conoscere prima del momento, da ricchi
signori come da poveri braccianti. A Nuoro la cosa si fa più
grave ; dopo avere dormito, mangiato, offerto da bere alle vecchie
e nuove conoscenze; dopo esserci permessi anche di criticare
i vini che l'albergatore ci forniva, dopo aver riempite le nostre
tasche di ottime arance, che ci possono essere utili nella escursione
Nuoro-Macomer-Iglesias, che stiamo per intraprendere, quando
arriva il momento di chiedere il conto sappiamo che tutto è
pagato e non valgono obiezioni nè proteste; non ci resta Fra le conoscenze fatte a Nuoro
notevole è quella di un artista, Antonio Ballero, professore
di disegno in quel Liceo. Ne visitai lo studio, vidi dei quadri
importanti, riproducenti costumi e cerimonie del Nuorese e ne
ebbi anche dei bozzetti che riproduco qui con piacere perché
appunto rappresentanti scene sarde molto caratteristiche. Fra
questi, oltre a un ballo sull'Ortobene, per la Festa del Redentore,
alla messa per impetrare la grazia della pioggia, vediamo rappresentata
una cucina sarda, dal focolare libero in La scena che si svolge nella cucina
nuorese è una specie di rito funebre So Dòlu.
Quando in una famiglia del popolo muore qualcuno dei suoi componenti,
come simbolo della vita cessata, vien subito spento il fuoco,
che, ordinariamente, è tenuto sempre acceso nell'ampio
focolare quadrato. Le donne in vesti di gala siedono, sopra stoie,
attorno ai tizzi spenti, e, per otto giorni di seguito, ricevono
le visite di condoglianza delle amiche; cono- Vi è chi ha scritto che
la Sardegna non ha fiori, altri, che in Sardegna non vi sono
artisti. I primi non avevan certo visitata la foresta di Millis
dagli aranci centenari, i cui milioni di fiori imbalsamano l'aria
fino a qualche chilometro di distanza, nè percorsa la
strada da Cagliari a Muravera dalle valli rosseggianti Oggi, nella rinascenza sarda si
annoverano anche artisti di non scarso valore. Oltre al Ballerò
di Nuoro, ho conosciuto a Cagliari lo scultore Ciusa, magnifica
tempra d' artista, che ad una recente esposizione a Firenze,
inviò una figura di giovane nudo, giacente, la quale si
ebbe, a ragione, la massima onorificenza, ed a Venezia, nel 1907,
un' altra statua «la madre dell'ucciso» La sala, forse troppo piccola per
la geniale concezione del Ciusa, sotto l'ultimo raggio del sole
morente, mi apparì in una gloria scintillante di rossi
e di azzurri punteggiati d'oro, mentre da quella calda tonalità
balzavan fuori quelle figure d'uomo che, a guisa di Cariatidi,
stanno a sorreggere il fregio e la volta della stanza. Sono figure
possenti, squisitamente modellate, di lavo- E di altri artisti ho sentito lodar
l'opera in Sardegna, senza però aver avuto l'occasione
di conoscerli o di vedere cosa da loro eseguita, degna della
fama alla quale è assurta l'arte italiana contemporanea.
I quaranta chilometri che separano Nuoro da Macomer sono presto
percorsi, sembra che la strada sia poco frequentata; non v'incontriamo
nè barrocci, nè diligenze, solo alcuni proprietari
di Tanche, nel costume nuorese, montati su vispi cavallini
sardi che s'imbizzarriscono al passaggio dell'automobile, s'impennano,
saltano sui ciglioni della strada, mantenendosi sempre saldi
sui loro garretti d'acciaio, come saldo sta in arcione il cavaliere,
che sembra formare un corpo solo col suo bucefalo. I terreni sono, in questa regione, pochissimo coltivati, scarsi i villaggi; il più importante che incontriamo è quello di Silanus dominato da un nuraghe non molto grande, di forma conica assai allungata e discretamente conservato. Nelle vicinanze di Birori presso la Tanca Sa Marchesa sembra esista una tomba di giganti, abbastanza ben conservata. Nessuno sa indicarcela e il cielo, che va oscurandosi e ci minaccia di una burrasca, consiglia a proseguire, senza indugio, verso Oristano. Non appena oltrepassata Abbasanta
si aprono le cateratte celesti; il tempo necessario ad alzare
la cappotta dell'automobile è sufficiente, perché
ci inzuppiamo fino alle midolla delle ossa. C'involtiamo nelle
coperte fino agli occhi ; l'acqua cade così violentemente
che, nonostante l'automobile cammini a un passo moderato, non
ci è possibile vedere niente del paesaggio che do- Cerchiamo alloggio. In piazza Roma,
dove si tiene anche il mercato, è un vasto edificio che
mi dicono essere stato costruito apposta per uso di albergo.
Dio buono, se fosse vero, dove è che ha studiato quell'architetto?
Il vasto quadrato è diviso regolarmente da quattro corridoi
che s'intersecano; stanze E il servizio vi è in relazione. Alla mattina chiedo un altro asciugamano e me ne vedo portar uno che all'apparenza lascia alquanto a desiderare. Domando se non vi è niente di più pulito e mi viene risposto che di quello si era servito soltanto il nostro chauffeur! Non parlerò di altri luoghi che da noi vengon chiamati comodi. Il Sardo sembra non dare nessuna importanza a certe necessità della vita, noi, probabilmente, ce ne diamo troppa. È forse per questo che il mio piccolo ragazzo, pur non molto dedito alla scuola e agli studi, interrogato un giorno da un nostro anfitrione se gli sarebbe piaciuto restar ancora in Sardegna; rispose secco secco : preferisco tornare a scuola! Eppure come è suggestiva
questa Sardegna, con i suoi severi paesaggi, con i monumenti
enigmatici, quanto e più della sfinge egiziana, giacchè
questa ha ormai rivelato il suo segreto e quelli, benché
aperti ad ogni investigazione, non lo riveleranno mai completamente;
con le sue belle catene montuose e le coste frangiate e le valli
fiorite e le selve impenetrabili: quanto amerei restarvi Non si conoscono le origini di Oristano o di Aristanus, come fu anche chiamata questa città, sede dei giudici di Arborea. Il Fara scrive che il giudice Orzocco da Zori. abbandonando Tharros, nel 1070, trasportò ad Oristano la sede del giudicato. La città fin dal XII sec. ebbe una cinta fortificata, ma le due torri, che le davano un aspetto così caratteristìco, non furono inalzate che alla fine del XIII sec. Una di queste, detta di S. Cristoforo o Porta Manna, nonostante alcune recenti deturpazioni, si conserva abbastanza bene. È solo a deplorarsi che, dalla parte che guarda la città, sia stato costruito, fra le due testate, un informe muro, mentre già la torre era aperta, come quella del Castello di Cagliari. Da un'iscrizione posta nella torre si rileva che essa venne fatta costruire nel 1290 da Mariano, visconte di Basso e giudice d'Arborea. Dell'altra torre, chiamata Porta a Mare, che, insieme a un bastione di forma rotonda faceva parte delle fortificazioni costruite dal giudice Mariano, non restano che pochi muri crollanti. Il monumento più importante
di Oristano è la Cattedrale della quale si hanno notizie
fino dal XIII sec.; essa venne modificata nel XVIII sec. e ampliata
nella prima metà del sec. XIX su disegni del Cominotti.
Oggi della primitiva chiesa medioevale non si conservano che
alcuni frammenti nella facciata, mentre la parte inferiore della
torre campanaria, deve ascriversi al XIV sec. Di quest'epoca
sono pure alcune cappelle erette sotto l'influenza delle costruzioni
gotico-aragonesi accolte favorevolmente anche in quelle provincie
che, come il giudicato d'Arborea, erano sottratte al dominio
dei re d'Aragona. Fra queste cappelle la più geniale,
per lo svolgimento della decorazione dei peducci, che con eleganti
motivi di archetti e colonnine sostengono i muri Della più antica chiesa si ritrovano anche traccie nella parte absidale e nella cappella del battistero, oggi restituita nel pristino stato. Nell'archivio capitolare si conservano i due battenti in bronzo dell'antico portale. Sono formati da due belle teste leonine, attorno alle quali stanno due iscrizioni ornamentali, che danno esauriente notizia sull'origine di questa chiesa, affermando che il tempio venne costruito dall'arcivescovo Torgotorio e da Mariano giudice d'Arborea nell'anno 1228. Vicino al duomo è la chiesa di S.Francesco. Ancor essa conserva qualche particolare della trecentesca costruzione e, all' interno, una statuetta di un vescovo, opera di Nino Pisano. Non mi fu possibile eseguirne la fotografia perché nella chiesa si facevano grandi funzioni religiose che sarebbero durate tre giorni. Sulla piazza del Municipio s'inalza una statua a Eleonora d'Arborea, opera, non troppo lodevole, del fiorentino Magni. Un sobborgo di Oristano, traversato
dalla via dei Figuli, è tutto abitato Un' altra specialità di
Oristano sono gli amaretti e di questi ho potuto mangiarne degli
eccellenti, in grazia alla cortesia dei Canonici del Duomo, che
vollero farmene dono. A qualche chilometro da Oristano vicino
al mare, presso gli stagni che portano la malaria, ma che son
pure; per le ricche pe- Nessun documento può informarci
sulla costruzione di questa chiesa; ragioni stilistiche dimostrerebbero
essa fosse stata inalzata in epoca non posteriore al XIII sec.
Alla stessa epoca si suole assegnare la costruzione della cripta,
che io però oserei ritenere di data assai anteriore, riportandola
al VI o VII sec. Ma è ormai tempo che rientriamo nella nostra terra. Per quanto mi dispiaccia abbandonare, forse per sempre, una regione che appena appena incomincio a conoscere, molteplici doveri mi richiamano imperiosamente sul continente ed occorre affrettarsi e obbedire alla necessità. Divoriamo la strada che ci riconduce
a Cagliari e appena appena possiamo notarne le bellezze naturali
e i pochi monumenti, interessanti l'arte e la storia, che vi
si incontrano. L' automobile è bensì il migliore
mezzo di viaggio, ma occorre servirsene con discrezione senza
di che, troppo spesso, si verifica Ecco Sardara e il Castello di Monreale, mentovato già nel 1324; esso domina l'ubertoso pianoro che da Uras si estende fino a S. Gavino. Ecco Sanluri, il cui Castello, posto al confine, fra i giudicati di Arborea e di Cagliari, fu teatro di sanguinose lotte fra gli ultimi giudici Nazionali e il Governo Aragonese, e testimone della clamorosa sconfitta che gli Aragonesi vi ebbero da Eleonora d'Arborea. Nella Cattedrale barocca di Sanluri, troverà posto, fra breve, il magnifico polittico che si sta adesso restaurando nel museo di Cagliari. E di nuovo eccoci nel Campidano Cagliaritano, ormai tornato ad arricchirsi di magnifici vigneti e di belle coltivazioni. I villaggi si fanno adesso più vicini, le case, apparentemente, più pulite e più attraenti. A Cagliari non abbiamo ragione di far più lunga sosta, il tempo di preparare i nostri bagagli, di salutare le vecchie e nuove conoscenze e poi via, in treno, per tornare ad imbarcarci al Golfo degli Aranci. Il mare calmissimo, sotto un magnifico
cielo stellato, ci promette una traversata ben differente da
quella che ci condusse nell'isola. Il Capitano Buffino, comandante
del Caprera, quegli che, col suo aiuto, mi permise di compiere
l'imprudente escursione nell'estuario della Maddalena, mi riconosce
e ci accoglie con la massima cortesia e con lui e con un capitano
dei bersaglieri, proveniente dalla Maddalena, piacevolmente conversando,
pas- Il Capitano dei bersaglieri, che per molto tempo si occupò del reclutamento alla Maddalena, ci racconta vari aneddoti che starebbero a dimostrare come possa esser ritenuta erronea l'opinione di alcune distinte personalità Sarde, essere cioè il Governo Italiano colpevole dei molti mali che affliggono la Sardegna, la quale, se lasciata a se stessa, sarebbe ormai molto innanzi nella via del progresso e della rigenerazione. Il Sardo, invece, è per
natura apatico e niente farebbe per migliorare le sue condizioni,
se non vi fosse energicamente spinto. Il Governo Italiano ha
fatto poco per la Sardegna, quel poco che ha fatto non ha dato
tutti quei resultati che i Sardi se ne potevano aspettare, perché
le varie imprese non sono state, condotte con quell'energia e
razionalità che sarebbero state necessario e i Senza voler mancare di riverenza
al mio vecchio professore e amico, all'illustre e compianto prof.
Mantegazza, penso inviare il mio ultimo omaggio alla terra che
si allontana e che mi ha ospitato così benignamente, chiudendo
il mio povero scritto con le parole che egli inserì in
un libricciuolo sulla Sardegna pubblicato ormai da ben 45 anni
ma che rispecchia ancora, in ... "L'amante del bello
trova in Sardegna paesaggi svariatissimi; coste dentellate, come
le foglie delle mimose ; vergini foreste, pianure e stagni; colli
e vere Alpi dove il granito mostra i più bei fianchi ch'io
m'abbia veduti al mondo. Costumi pittoreschi, intatti da più
secoli; tipi umani profondamente scolpiti: poesia popolare, passioni
calde; rozze e ardenti nature, poco o nulla mutate dagli attriti
sociali, ne lisciate dalla pialla della moda francese; scene
della natura geologica e umana quale è difficile trovare
altrove e ai tempi
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