MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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Roma


"Mario Schifano Tutto"
Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea

Fino al 31 Marzo 2002

 

M.Schifano - Grande scultura equestre - 1980

 

Presentiamo qui la mostra di un grande artista, che oltre a rinnovare profondamente l'arte contemporanea, nella sua ossessiva ricerca di nuove forme espressive ha contribuito decisivamente ad una più approfondita analisi della fotografia e del suo ruolo nell'odierna civiltà dell'immagine.

Trenta opere scelte con cura per mostrare 'Mario Schifano tutto'. All'artista, ricordato dalla vedova Monica ''uomo seducente, affascinante ma insopportabile'', scomparso nel 1998 e' dedicata la mostra presso la Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea, frutto del lavoro della vedova Monica De Bei Schifano e Barbara Tosi che tra seimila opere hanno scelto i trenta lavori piu' rappresentativi della sua poetica. ''Lontana dai 'falsi' e dentro la piena vitalita' del suo 'vero' universo creativo - spiega Barbara Tosi - la mostra comprende opere di Schifano che sono parte irrinunciabile della cultura del trentennio '60-'90 in Italia, scelte al fine di far conoscere il lato 'affettivo, personale dell'artista, quello meno conosciuto.
''Un progetto al quale Mario teneva particolarmente e che non pote' realizzare - precisa ancora la moglie e madre dell'unico figlio, Marco - Dovete realizzare una mostra di qualità moderna e virtuale con pochi quadri dentro stanze oscure e tante proiezioni. Proiettate immagini su pubblico -ci suggeriva- con i suoni, le parole, le musiche gli oggetti, le mie colonne sonore...'''.
Dopo l'inaugurazione di stasera alle ore 19 alla presenza del sindaco di Roma, Walter Veltroni, la mostra apre venerdi' 7 dicembre proponendo al pubblico, fino al 31 marzo, un percorso poliedrico articolato in tre sezioni. Immagini video di Schifano al lavoro nel suo studio tra colori e materiali fanno da anticamera ad opere inedite appartenenti perlopiu' a collezioni private.
"Sono lavori - spiega il critico Fulvio Abbate - che ricreano con genio, sregolatezza e ironia le immagini molteplici mediate ed assemblate dal mezzo tecnologico e 'disanimate' dal tubo catodico. Ne sono un esempio i mortiferi schermi soggetto delle quattro tele di smalto e acrilico preparate a computer dal titolo 'Musa ausiliaria', una catartica rappresentazione del nostro presente, segno di una continuita' che dalle muse metafisiche di De Chirico prosegue un discorso sull'arte, la realta', la vita''.
Assieme ad Abbate fanno parte del comitato scientifico che ha collaborato alla realizzazione della mostra Alberto Boatto, Achille Bonito Oliva, Enrico Ghezzi, Furio Colombo, Gerard Georges Lemaire ed Ettore Rosboch.
In occasione della mostra romana (il catalogo e' edito da Electa), e' stato realizzato il film documentario, acquistato da Mediatrade e Rai International, ''Mario Schifano Tutto'' diretto da Luca Ronchi e prodotto da Pietro Valsecchi e Camilla Nesbitt.

(Adnkronos)


 

Propaganda - 1962

 


Siamo lieti che questa mostra ci offra l'occasione di parlare, a quasi tre anni dalla sua scomparsa, dell'opera di Schifano, infatti egli ha lasciato un segno chiaro e forte in tutta la cultura italiana della seconda metà del Novecento. Siamo anzi convinti che la sua arte, a differenza di quella di tanti celebrati personaggi passati repentinamente nell'oblio, riverbererà a lungo nel corso del terzo millennio. Una delle possibili ragioni riposa non solamente nella qualità della sua arte, ma nel suo stesso modo di essere artista, e artista della contemporaneità, anzi suo interprete assoluto, genio e sregolatezza applicati alla moderna civiltà industriale. Originato dal boom economico dei gloriosi anni sessanta, nel clima fecondo della Pop art e con un occhio di riguardo alla produzione di Burri, egli è stato un nomade infaticabile, titanico e insaziabile della sperimentazione del linguaggio, delle tecniche e degli Strumenti artistici.
Durante i primissimi anni sessanta, la sua opera è caratterizzata dalla produzione di severi monocromi astratti, schermi quasi neutri ove l'artista proietta le sue tensioni; è attraverso questi primi lavori che l'artista individua alcuni elementi costanti di tutta la sua produzione successiva, come le sgocciolature di pittura e l'assunzione della cornice a elemento strutturale. Schifano assume il paesaggio urbano quale punto di riferimento obbligato della sua arte; infatti è la città con la sua segnaletica, col suo ritmo aggressivo e inglobante dal punto di vista visivo, dominata com'è dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità in primo luogo, a catturare il suo interesse. L'evoluzione del suo discorso prosegue con la scoperta della storia, attraverso la citazione, e del bisogno di un suo recupero nel presente. Inoltre, altro elemento fondamentale della sua poetica, la consapevolezza sempre più acuta che la realtà non è più quella che abbiamo sotto gli occhi, ma che essa ormai, nella civiltà di massa, è il prodotto virtuale dei mass-media, della fotografia e della televisione. Egli pare sapere che il mondo che ha vissuto con il proprio corpo è sempre una parte troppo piccola rispetto alle terre su cui potrà mettere i piedi, e che entrerà più mondo nella sua stanza attraverso il televisore, internet o il computer di quanto non gli sia possibile percorrere uscendo di casa... la realtà è la televisione, l'unico en plein air possibile.
Per quanto riguarda le tecniche e gli strumenti artistici, si ha l'uso innovativo di colori industriali, come smalti ed acrilici, spesso spremuti, quest'ultimi, direttamente dal tubetto in un amalgama denso e pastoso di colori puri, usati anche come substrato materico delle immagini e delle forme, dispiegate dal gesto veloce e sicuro della mano dell'artista; ma Schifano è un profondo innovatore anche di altri linguaggi, come quello fotografico, televisivo e cinematografico, che ha utilizzato con un costante atteggiamento di sperimentazione, alla ricerca continua e inafaticabile di nuove forme e codici della comunicazione artistica.

Redazione MUFO



 

Futurismo rivisitato - 1965


Note biografiche

Mario Schifano nasce a Homs, in Libia, il 20 settembre 1934. Nell'immediato secondo dopoguerra la sua famiglia si trasferisce a Roma, dove, abbandonata ben presto la scuola, il giovane Schifano dapprima lavora come commesso e in seguito collabo-ra con il padre, archeologo restauratore al Museo Etrusco di Valle Giulia. Inizialmente si occupa del restauro dei vasi, poi passa a disegnare planimetrie di tombe, ma quest'attività lo interessa poco e ben presto l'abbandona. Comincia nel frattempo a dipingere.
I suoi debutti sono all'interno della cultura informale con tele ad alto spessore materico, solcate da un'accorta gestualità e segnate anche da qualche sgocciolatura. Con opere di questo genere inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria Ap-pia Antica di Roma. È comunque in occasione della mostra che tiene l'anno successivo alla Galleria La Salita in compagnia di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, che la critica comincia a interessarsi del suo lavoro. La pittura di Schifano nel volgere di pochi anni è mutata radicalmente. Abbandonata l'esperienza informale, ora dipinge quadri monocromi, delle grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore, tattile, superficiale, sgocciolante.
Il dipinto diventa "schermo", punto di partenza, spazio di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre, lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica, quali il marchio della Esso o della Coca-Cola.
Nel 1961 ottiene il Premio Lissone per la sezione "Giovane pittura internazionale" e tiene una personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. L'anno successivo è negli Stati Uniti; conosce la Pop Art, resta colpito dall'opera di Dine e Kline ed espone alla Sidney Janis Gallery di New York nella mostra Thè New Realist. Ritoma negli States sul finire del 1963, dopo aver allestito personali a Roma, Parigi e Milano, e vi rimane per la prima metà dell'anno seguente, quando viene invitato alla Biennale di Venezia. Sono di questo periodo i paesaggi anemici, una serie di tele in cui il mondo naturale viene evocato sul filo della memoria attraverso frammenti, particolari, scritte allusive.
L'artista opera ora per cicli tematici e verso la fine del 1964 accentua quell'interesse verso la rivisitazione della storia dell'arte che lo porterà, l'anno successivo, ai notissimi pezzi dedicati al Futurismo. È ancora una volta un'immagine tratta dai mezzi di comunicazione di massa, un'immagine appartenente alla memoria collettiva, quindi usurata, consumata, l'immagine fotografica del gruppo storico futurista a Parigi, a sollecitare Schifano, il quale sottolinea l'affiorare del ricordo di questa foto riducendo le figure a sagome senza volto e opera un distanziamento "velando" il ritratto con dei pannelli colorati di perspex. Nello stesso 1965, anno in cui partecipa alle Biennali di San Marino e di San Paolo del Brasile, realizza Io sono infantile, un'opera legata alle illustrazioni destinate all'infanzia, che rappresenta pure il ritorno - tutto mentale - a una dimensione temporale lontana, eppure sempre presente nell'artista.
Si occupano in questa fase del lavoro di Schifano tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise. Quest'ultimo, presentando la personale allo Studio Marconi di Milano sotto forma di dialogo fra due anonimi personaggi, descrive Schifano "come un piccolo puma di cui non si sospetta la muscolatura e lo scatto".
Sempre allo Studio Marconi presenta nel 1967 il lungometraggio Anna Carini visia in agosto dalle farfalle, cui farà seguito la trilogia di film composta da Satellite, Umano non umano, Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani. Le sue prime esperienze cinematografiche risalgono comunque al 1964 e risultano in perfetta sintonia con l'attenzione critica che Schifano presta all'ininterrotto flusso di immagini prodotto dalla nostra civiltà tecnologica in cui il reale viene continuamente sostituito dal suo "doppio", sia esso fotografico o televisivo o cinematografico. Pure la predilezione dell'artista per l'uso di colori di produzione industriale (smalti, vernici alla nitro, ecc.), si spiega con il "senso di contemporaneità" che Schifano sempre manifesta.
Fra 1966 e 1967 realizza le serie Ossigeno ossigeno, Oasi, Compagni, compagni. Quest'ultima emblema-tizza il preciso impegno che condurrà Schifano, in questi anni tormentati, a una crisi ideologica e d'identità tale da portarlo a dichiarare di abbandonare la pittura.
Agli inizi degli anni Settanta comincia a riportare delle immagini televisive direttamente su tela emulsionata, isolandole dal ritmo narrativo delle sequenze cui appartengono e riproponendole con tocchi di colore alla nitro in funzione estraniante. Dapprima è il materiale raccolto negli Stati Uniti durante i sopralluoghi per la progettazione del film, mai realizzato, Laboratorio umano a essere oggetto di rielaborazione, poi il patrimonio di immagini che quotidianamente trasmettono le nostre stazioni televisive. L'immagine televisiva è fatua, evanescente, immateriale, di veloce consumo; trasferita sulla tela e trasformata dall'intervento dell'artista, che in questo modo se ne appropria, acquista una stabile valenza e tutt'altro significato. Nel 1971 partecipa alla mostra Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960-70, curata da Achille Bollito Oliva; in seguito tiene personali a Roma, a Parma, a Torino e a Napoli ed è presente alla X Quadriennale di Roma e a Contemporanea, rassegna allestita nel parcheggio di Villa Borghese, sempre a Roma e ancora a cura di Bonito Oliva.
Nel 1974 l'Università di Parma gli dedica una vasta antologica di circa 100 opere che consentono, per la prima volta, di leggere per intero la sua avventura pittorica e di definirne le linee portanti. Ma la critica s'avvede m misura ridotta di questo significativo evento, abituata a cogliere e porre in evidenza uno Schifano protagonista della scena artistica e non già a dimensionarlo secondo un excursus storico. E l'artista in questo momento è in effetti meno presente sul palcoscenico dell'arte, dibattuto ancora fra tanti dubbi ideologici ed esistenziali che interferiscono ovviamente pure sulle sue capacità creative. Non a caso questo particolare momento coincide con i d'après, lavori di ripensamento in cui Schifano rifa Magritte, De Chirico, Boccioni, Picabia, Cézanne. E rifa anche se stesso, ripetendo i quadri che ha dipinto nel corso degli anni Sessanta.
Nel 1976 partecipa alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Bologna alla mostra Europa / America, l'astrazione determinata 1960-76;due anni dopo è invitato nuovamente alla Biennale di Venezia e presenta alla Tartaruga di Roma Capolavoro sconosciuto, rielaborazione del noto omonimo racconto di Balzac. Intanto, sul finire del decennio, l'artista ritrova il piacere della pittura e con tecnica consumata e sapienza gestuale appronta le serie Al mare e Quadri equestri.
Diverse sue opere sono in mostra nel 1979 al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Nel 1980 viene invitato da Maurizio Calvesi alla mostra Arte e critica 1980, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma, e l'anno successivo è tra i pochissimi artisti selezio-
nati da Germano Celant per Identité italienne, mostra organizzata al Centre George Pompidou di Parigi.
Sempre del 1981 sono il gruppo di dipinti raccolti sotto il titolo Cosme-si, cui seguono i cicli Architettura, Biplano, Orlo botanico. È ancora presente alla Biennale di Venezia sia nel 1982 che nel 1984, anno in cui espone al Palazzo delle Prigioni Vecchie della stessa città veneta il ciclo Naturale sconosciuto presentato da Alain Cueff. L'attenzione per il naturale del resto caratterizza tutta l'attuale ricerca di Schifano, come dimostrano le sue successive esposizioni, fra le quali ricordiamo le personali alla Tour Fromage di Aosta e alla Galerie Maeght di Parigi (1988).
Paesaggi, gigli d'acqua, campi di grano, movimenti del mare, distese di sabbia sono ricreati, reinventati, filtrati attraverso ricordi, pulsioni, sensazioni, affioramenti del profondo, sequenze d'immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità, dai rotocalchi, e si configurano pertanto come geografie della memoria. La materia cromatica è ricca, eppure tutta di superficie. La pittura, impregnata di gestualità, si espande, cresce su se stessa, vive di una interna energia, conquista lo spazio con le sue lussureggianti preziosità cromatiche.
Nel 1989, anno in cui è presente alla rassegna Arte italiana nel XX secolo organizzata dalla Royal Academy di Londra, tiene personali al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione d'arte Contemporanea di Ferrara, dove, sotto il titolo Inventario con anima e senz'anima, raccoglie una serie di tele che rappresentano la summa della sua ricerca in ambito naturalistico. Quest'ultima mostra diverrà poi itinerante, toccando diverse città italiane, per giungere infine in Francia, al Centro d'Art Contemporain di Saint Priest (1992).
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della sua riapertura (1990), gli allestisce una rassegna, intitolata Divulgare, con un consistente numero di opere di grande formato realizzate per l'occasione. Tré anni dopo presenta in diverse gallerie italiane il ciclo Reperti, dedicato agli animali del mondo preistorico, tema i cui primi esemplari erano già comparsi nella personale da Maeght.
Nel 1994 è presente alla mostra Thè Italian Metamorphosis, 1943-1968, organizzata dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York e trasferita l'anno seguente alla Trien-
naie di Milano e al Kunstmuseum Wolfsburg.
Nel 1996 Schifano rende un omaggio alla sua Musa ausiliario,, ovvero alla televisione intesa quale flusso continuo di immagmi in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzate della nostra epoca. L'artista ha attivato un sito Internet, attraverso il quale si relaziona al mondo. Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapolare dea programmi televisivi dei singoli fotogrammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece, interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ulteriormente di senso. Allestisce con una quarantina di tele di questo genere e un migliaio di fotografie ritoccate a mano, una grande mostra che è stata ospitata dapprima presso la Fondazione Memorial da America Latina di San Paolo del Brasile (1996), poi presso il Museo di Belle Arti di Buenos Aires (1997); nel corso del 1998 sarà presentata alla Fondazione Wifredo Lam dell'Avana e a Città del Messico. Durante un suo viaggio in Brasile compie un happening all'interno di una favela di Rio de Janeiro.
Nel 1997, in occasione del settimo centenario della edificazione di Santa Croce a Firenze, Schifano ottiene il Premio San Giorgio di Donatelle per aver realizzato le vetrate policrome collocate nella cripta della Basilica. Nello stesso anno cura gli allestimenti scenografici del carnevale di Roma. Muore a Roma il 26 gennaio 1998.



Compagni, compagni - 1968


 

Goffredo Parise
Intervista a Mario Schifano

(presentazione al catalogo della mostra, Studio Marconi, Milano 1965)

 

A. Senta, mi parli un po' di Mario Schifano e dei suoi quadri.
B. Sono la stessa cosa. Mario Schifano e i suoi quadri. Dunque guardi i quadri e conoscerà Schifano.

A. Allora, facciamo così: io guardo i quadri e lei mi parla di Schifano. In questo modo, anziché ricostruire in un tempo successivo la figura del pittore, questa si farà, per così dire, da sé, a mano a mano che io guarderò i quadri. Ora, purtroppo lei dovrà usare le parole, cioè la metafora, mentre io, con molta minor fatica, userò lo sguardo. Vedremo fino a che punto la parola può correre parallela all'immagine. Insemina, alla fine saprò tutto dell'opera, per quanto mi è dato di ricevere per mezzo della mia sensibilità ottica, e saprò (vedremo che cosa) di Schifano grazie alla parola. D'accordo?
B. D'accordo.

A. Mi fermo e guardo questo quadro dal titolo Suicidio n. 1. Lei parli.
B. Vede, per parlare di Schifano sono costretto a fare un po' di anatomia. Le parlerò cioè del suo corpo (in riposo e in movimento) e lei, simultaneamente, applicherà, farà coincidere, o meglio stabilirà una equivalenza di spazio tra quanto le apparirà dalle mie parole e i quadri che vede. Alla fine l'anatomia sarà anatomia comparata e applicata. Va bene?

A. Benissimo.
B. Dunque, Schifano è un uomo di trent'anni, di tipo sommariamente mediterraneo se non arabo. In riposo il suo corpo, alto circa un metro e settanta, del peso di cinquantacin-que chili, visto da angolazioni e distanze diverse, rivela innanzitutto un languore felino, innocente e attonito. Come un piccolo puma di cui non si sospetta la muscolatura e lo scatto. Ho detto attonito, mi sente? Attonito è parola che si riferisce anche al quadro che lei sta guardando. Visto in movimento (cioè appena gli arti si sciolgono nel moto) il languore scompare e diventa leggerezza, ritmo e souplesse. Nel suo insieme di statica, dinamica e fonia, il corpo ha l'impronta nitida e al tempo stesso misteriosa dell'eleganza. Ora l'eleganza, come ogni pura forma, è del tutto priva di contenuti ideologici. Possiede tuttavia il mistero proprio dell'eleganza che è il suo contenuto stesso e che si esprime, per cosi dire, da sé.

A. Scusi se la interrompo: quanto lei va dicendo si attaglia molto bene alla fattura, alla qualità pittorica, all'ampiezza e al respiro del segno nel quadro che sto guardando: non però al suo titolo che presuppone un contenuto. L'eleganza, la rapidità, la souplesse, anche la "felinità" si vedono subito, anzi si fanno vedere al primo colpo d'occhio. Ma un suicidio...
B.Eppure, se lei guarda bene, questo è proprio un suicidio. Del suicidio, cioè dell'atto evocato dal titolo, ha la nostalgia suggerita dagli elementi narrati (il parapetto, la pianta immota, il cielo immoto, vuoto e profondo). Dovrebbe essere un quadro tragico, in realtà è un quadro non solo felice, ma poetico e, appunto,elegante. In altre parole il pittore pensa al suicidio come a una sorta di estasi estetica. Se lei mi ascoltasse...

A. Infinite scuse per l'interruzione. L'ascolto.
B. Una natura elegante tende sempre alla gelosa conservazione dell'elemento che la nutre e si espone raramente al contatto con la multiforme, violenta e pregnante realtà. La vera eleganza è anche timida. Ma quando si mostra lo fa con candore fulmineo, come, per completare e conchiudere la metafora del puma, Nureiev quando attraversa il palcoscenico con un salto acrobatico. Timidezza, auto conservazione, scatto, non vanno disgiunti tuttavia da altre componenti (tortissime) che sono l'esibizione e il narcisismo.

A. Si riferisce forse a questo quadro dal titolo Un'impronta umana nel mio lavoro, dal '60 al '65?
B. In parte, in parte.

A. Mi pare che queste ultime parole rappresentino assai bene questo quadro, che però possiede, oltre l'eleganza e la timidezza (narcisistica e felina) due altre qualità molto belle.
B. Cioè?

A. Il candore infantile e la favola.
B. Giustissimo. Comincia a conoscere un po' di Schifano?

A. Un po'. Eccoci davanti a un quadro intitolato Alfa. È un incidente d'auto. Perché Alfa?
B. Perché Goffredo Parise?

A.Un amico morto, forse?
B. No, sono io. Perciò non le posso parlare di questo quadro. Gli sono affezionato e con l'affetto non si fa anatomia.

A. Naturale. Guardiamo allora questo: Spazio.
B. Le parlavo della lievità della "massa", Schifano, nello spazio. Questa lievità, cioè la quasi assenza di peso dovuta appunto alla sua particolare dinamica (ambulatoria), non poteva non essergli utile per questo quadro. Infatti noi vediamo una parte dell'astronauta e della capsula spaziale che si fondono, grazie alla rapida e appena accennata stesura del colore (un solo colore) in un'unica zona frastagliata, altamente decorativa. Questo quadro non è diverso, mettiamo, da un Balenciaga, e potrebbe intitolarsi (mondanamente) Cocktail spaziale. Perché dunque il pittore si serve dell'idea spaziale? Per dare appunto spazio e allo stesso tempo per togliere ogni sospetto di staticità alla decorazione. Così un Balenciaga per esprimersi ha bisogno di essere indossato, di essere visto nell'aria e di muoversi.

A. Lei passa dall'anatomia all'alta moda, di punto in bianco. Va bene la metafora, che accetto, ma parliamo di un pittore, non di un sarto.
B.Ho voluto fare una breve puntata nell'alta moda per rivestire di una certa frivolezza l'anatomia di Schifano (ma anche della sua pittura). Oltretutto non c'è alcuno scandalo che questa mostra sia anche un defilé.

A. È vero, ha molto charme. Mi dica: Schifano è buono o cattivo?
B.Non è ne buono ne cattivo. È innanzitutto un vero pittore.

A. Allora è simpatico o antipatico?
B. Molto simpatico, nonostante l'abuso del termine.

A. Perché?
B. Perché possiede il dono di comunicare ed esprimersi immediatamente e simultaneamente. Non usando schermi tra la sua apparenza e la sua assenza, come lei vede dai quadri e dal modo come sono dipinti, cioè, in definitiva, mostrandosi, è naturalmente simpatico.

A. È anche intelligente?
B. L'intelligenza di capire la vita nella sua immediatezza. La sua è un'intelligenza artistica, fortemente istintiva, intuitiva. Inoltre, non vorrei ripetermi ma lo faccio ugualmente, la sua intelligenza dipende anch'essa dalla sua eleganza che, non dimentichiamolo, è l'elemento primo e massimo di Schifano.

A. Lei ha fatto il ritratto di una persona in perfetta armonia con se stessa.
B.Be', sì.

A. Devo ammettere che l'armonia appare in tutti i quadri che ho visto. Ma senta, chi c'è alle nostre spalle?
B. Provi a indovinare.

A. Ma sì, ma certo, è Schifano."

 

FINE

 


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