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Roma
"Mario Schifano Tutto"
Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea
Fino al 31 Marzo 2002
M.Schifano - Grande scultura equestre
- 1980
Presentiamo qui la mostra
di un grande artista, che oltre a rinnovare profondamente l'arte
contemporanea, nella sua ossessiva ricerca di nuove forme espressive
ha contribuito decisivamente ad una più approfondita analisi
della fotografia e del suo ruolo nell'odierna civiltà
dell'immagine.
Trenta opere scelte con cura
per mostrare 'Mario Schifano tutto'. All'artista, ricordato dalla
vedova Monica ''uomo seducente, affascinante ma insopportabile'',
scomparso nel 1998 e' dedicata la mostra presso la Galleria Comunale
d'Arte Moderna e Contemporanea, frutto del lavoro della vedova
Monica De Bei Schifano e Barbara Tosi che tra seimila opere hanno
scelto i trenta lavori piu' rappresentativi della sua poetica.
''Lontana dai 'falsi' e dentro la piena vitalita' del suo 'vero'
universo creativo - spiega Barbara Tosi - la mostra comprende
opere di Schifano che sono parte irrinunciabile della cultura
del trentennio '60-'90 in Italia, scelte al fine di far conoscere
il lato 'affettivo, personale dell'artista, quello meno conosciuto.
''Un progetto al quale Mario teneva particolarmente e che non
pote' realizzare - precisa ancora la moglie e madre dell'unico
figlio, Marco - Dovete realizzare una mostra di qualità
moderna e virtuale con pochi quadri dentro stanze oscure e tante
proiezioni. Proiettate immagini su pubblico -ci suggeriva- con
i suoni, le parole, le musiche gli oggetti, le mie colonne sonore...'''.
Dopo l'inaugurazione di stasera alle ore 19 alla presenza del
sindaco di Roma, Walter Veltroni, la mostra apre venerdi' 7 dicembre
proponendo al pubblico, fino al 31 marzo, un percorso poliedrico
articolato in tre sezioni. Immagini video di Schifano al lavoro
nel suo studio tra colori e materiali fanno da anticamera ad
opere inedite appartenenti perlopiu' a collezioni private.
"Sono lavori - spiega il critico Fulvio Abbate - che ricreano
con genio, sregolatezza e ironia le immagini molteplici mediate
ed assemblate dal mezzo tecnologico e 'disanimate' dal tubo catodico.
Ne sono un esempio i mortiferi schermi soggetto delle quattro
tele di smalto e acrilico preparate a computer dal titolo 'Musa
ausiliaria', una catartica rappresentazione del nostro presente,
segno di una continuita' che dalle muse metafisiche di De Chirico
prosegue un discorso sull'arte, la realta', la vita''.
Assieme ad Abbate fanno parte del comitato scientifico che ha
collaborato alla realizzazione della mostra Alberto Boatto, Achille
Bonito Oliva, Enrico Ghezzi, Furio Colombo, Gerard Georges Lemaire
ed Ettore Rosboch.
In occasione della mostra romana (il catalogo e' edito da Electa),
e' stato realizzato il film documentario, acquistato da Mediatrade
e Rai International, ''Mario Schifano Tutto'' diretto da Luca
Ronchi e prodotto da Pietro Valsecchi e Camilla Nesbitt.
(Adnkronos)
Propaganda - 1962
Siamo lieti che questa mostra
ci offra l'occasione di parlare, a quasi tre anni dalla sua scomparsa,
dell'opera di Schifano, infatti egli ha lasciato un segno chiaro
e forte in tutta la cultura italiana della seconda metà
del Novecento. Siamo anzi convinti che la sua arte, a differenza
di quella di tanti celebrati personaggi passati repentinamente
nell'oblio, riverbererà a lungo nel corso del terzo millennio.
Una delle possibili ragioni riposa non solamente nella qualità
della sua arte, ma nel suo stesso modo di essere artista, e artista
della contemporaneità, anzi suo interprete assoluto, genio
e sregolatezza applicati alla moderna civiltà industriale.
Originato dal boom economico dei gloriosi anni sessanta, nel
clima fecondo della Pop art e con un occhio di riguardo alla
produzione di Burri, egli è stato un nomade infaticabile,
titanico e insaziabile della sperimentazione del linguaggio,
delle tecniche e degli Strumenti artistici.
Durante i primissimi anni sessanta, la sua opera è caratterizzata
dalla produzione di severi monocromi astratti, schermi quasi
neutri ove l'artista proietta le sue tensioni; è attraverso
questi primi lavori che l'artista individua alcuni elementi costanti
di tutta la sua produzione successiva, come le sgocciolature
di pittura e l'assunzione della cornice a elemento strutturale.
Schifano assume il paesaggio urbano quale punto di riferimento
obbligato della sua arte; infatti è la città con
la sua segnaletica, col suo ritmo aggressivo e inglobante dal
punto di vista visivo, dominata com'è dai mezzi di comunicazione
di massa, dalla pubblicità in primo luogo, a catturare
il suo interesse. L'evoluzione del suo discorso prosegue con
la scoperta della storia, attraverso la citazione, e del bisogno
di un suo recupero nel presente. Inoltre, altro elemento fondamentale
della sua poetica, la consapevolezza sempre più acuta
che la realtà non è più quella che abbiamo
sotto gli occhi, ma che essa ormai, nella civiltà di massa,
è il prodotto virtuale dei mass-media, della fotografia
e della televisione. Egli pare sapere che il mondo che ha vissuto
con il proprio corpo è sempre una parte troppo piccola
rispetto alle terre su cui potrà mettere i piedi, e che
entrerà più mondo nella sua stanza attraverso il
televisore, internet o il computer di quanto non gli sia possibile
percorrere uscendo di casa... la realtà è la televisione,
l'unico en plein air possibile.
Per quanto riguarda le tecniche e gli strumenti artistici, si
ha l'uso innovativo di colori industriali, come smalti ed acrilici,
spesso spremuti, quest'ultimi, direttamente dal tubetto in un
amalgama denso e pastoso di colori puri, usati anche come substrato
materico delle immagini e delle forme, dispiegate dal gesto veloce
e sicuro della mano dell'artista; ma Schifano è un profondo
innovatore anche di altri linguaggi, come quello fotografico,
televisivo e cinematografico, che ha utilizzato con un costante
atteggiamento di sperimentazione, alla ricerca continua e inafaticabile
di nuove forme e codici della comunicazione artistica.
Redazione MUFO
Futurismo rivisitato - 1965
Note biografiche
Mario Schifano nasce a Homs,
in Libia, il 20 settembre 1934. Nell'immediato secondo dopoguerra
la sua famiglia si trasferisce a Roma, dove, abbandonata ben
presto la scuola, il giovane Schifano dapprima lavora come commesso
e in seguito collabo-ra con il padre, archeologo restauratore
al Museo Etrusco di Valle Giulia. Inizialmente si occupa del
restauro dei vasi, poi passa a disegnare planimetrie di tombe,
ma quest'attività lo interessa poco e ben presto l'abbandona.
Comincia nel frattempo a dipingere.
I suoi debutti sono all'interno della cultura informale con tele
ad alto spessore materico, solcate da un'accorta gestualità
e segnate anche da qualche sgocciolatura. Con opere di questo
genere inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria
Ap-pia Antica di Roma. È comunque in occasione della mostra
che tiene l'anno successivo alla Galleria La Salita in compagnia
di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, che la critica comincia
a interessarsi del suo lavoro. La pittura di Schifano nel volgere
di pochi anni è mutata radicalmente. Abbandonata l'esperienza
informale, ora dipinge quadri monocromi, delle grandi carte incollate
su tela e ricoperte di un solo colore, tattile, superficiale,
sgocciolante.
Il dipinto diventa "schermo", punto di partenza, spazio
di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre,
lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica,
quali il marchio della Esso o della Coca-Cola.
Nel 1961 ottiene il Premio Lissone per la sezione "Giovane
pittura internazionale" e tiene una personale alla Galleria
La Tartaruga di Roma. L'anno successivo è negli Stati
Uniti; conosce la Pop Art, resta colpito dall'opera di Dine e
Kline ed espone alla Sidney Janis Gallery di New York nella mostra
Thè New Realist. Ritoma negli States sul finire del 1963,
dopo aver allestito personali a Roma, Parigi e Milano, e vi rimane
per la prima metà dell'anno seguente, quando viene invitato
alla Biennale di Venezia. Sono di questo periodo i paesaggi anemici,
una serie di tele in cui il mondo naturale viene evocato sul
filo della memoria attraverso frammenti, particolari, scritte
allusive.
L'artista opera ora per cicli tematici e verso la fine del 1964
accentua quell'interesse verso la rivisitazione della storia
dell'arte che lo porterà, l'anno successivo, ai notissimi
pezzi dedicati al Futurismo. È ancora una volta un'immagine
tratta dai mezzi di comunicazione di massa, un'immagine appartenente
alla memoria collettiva, quindi usurata, consumata, l'immagine
fotografica del gruppo storico futurista a Parigi, a sollecitare
Schifano, il quale sottolinea l'affiorare del ricordo di questa
foto riducendo le figure a sagome senza volto e opera un distanziamento
"velando" il ritratto con dei pannelli colorati di
perspex. Nello stesso 1965, anno in cui partecipa alle Biennali
di San Marino e di San Paolo del Brasile, realizza Io sono infantile,
un'opera legata alle illustrazioni destinate all'infanzia, che
rappresenta pure il ritorno - tutto mentale - a una dimensione
temporale lontana, eppure sempre presente nell'artista.
Si occupano in questa fase del lavoro di Schifano tanto critici
attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto,
quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise.
Quest'ultimo, presentando la personale allo Studio Marconi di
Milano sotto forma di dialogo fra due anonimi personaggi, descrive
Schifano "come un piccolo puma di cui non si sospetta la
muscolatura e lo scatto".
Sempre allo Studio Marconi presenta nel 1967 il lungometraggio
Anna Carini visia in agosto dalle farfalle, cui farà seguito
la trilogia di film composta da Satellite, Umano non umano, Trapianto,
consunzione e morte di Franco Brocani. Le sue prime esperienze
cinematografiche risalgono comunque al 1964 e risultano in perfetta
sintonia con l'attenzione critica che Schifano presta all'ininterrotto
flusso di immagini prodotto dalla nostra civiltà tecnologica
in cui il reale viene continuamente sostituito dal suo "doppio",
sia esso fotografico o televisivo o cinematografico. Pure la
predilezione dell'artista per l'uso di colori di produzione industriale
(smalti, vernici alla nitro, ecc.), si spiega con il "senso
di contemporaneità" che Schifano sempre manifesta.
Fra 1966 e 1967 realizza le serie Ossigeno ossigeno, Oasi, Compagni,
compagni. Quest'ultima emblema-tizza il preciso impegno che condurrà
Schifano, in questi anni tormentati, a una crisi ideologica e
d'identità tale da portarlo a dichiarare di abbandonare
la pittura.
Agli inizi degli anni Settanta comincia a riportare delle immagini
televisive direttamente su tela emulsionata, isolandole dal ritmo
narrativo delle sequenze cui appartengono e riproponendole con
tocchi di colore alla nitro in funzione estraniante. Dapprima
è il materiale raccolto negli Stati Uniti durante i sopralluoghi
per la progettazione del film, mai realizzato, Laboratorio umano
a essere oggetto di rielaborazione, poi il patrimonio di immagini
che quotidianamente trasmettono le nostre stazioni televisive.
L'immagine televisiva è fatua, evanescente, immateriale,
di veloce consumo; trasferita sulla tela e trasformata dall'intervento
dell'artista, che in questo modo se ne appropria, acquista una
stabile valenza e tutt'altro significato. Nel 1971 partecipa
alla mostra Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960-70,
curata da Achille Bollito Oliva; in seguito tiene personali a
Roma, a Parma, a Torino e a Napoli ed è presente alla
X Quadriennale di Roma e a Contemporanea, rassegna allestita
nel parcheggio di Villa Borghese, sempre a Roma e ancora a cura
di Bonito Oliva.
Nel 1974 l'Università di Parma gli dedica una vasta antologica
di circa 100 opere che consentono, per la prima volta, di leggere
per intero la sua avventura pittorica e di definirne le linee
portanti. Ma la critica s'avvede m misura ridotta di questo significativo
evento, abituata a cogliere e porre in evidenza uno Schifano
protagonista della scena artistica e non già a dimensionarlo
secondo un excursus storico. E l'artista in questo momento è
in effetti meno presente sul palcoscenico dell'arte, dibattuto
ancora fra tanti dubbi ideologici ed esistenziali che interferiscono
ovviamente pure sulle sue capacità creative. Non a caso
questo particolare momento coincide con i d'après, lavori
di ripensamento in cui Schifano rifa Magritte, De Chirico, Boccioni,
Picabia, Cézanne. E rifa anche se stesso, ripetendo i
quadri che ha dipinto nel corso degli anni Sessanta.
Nel 1976 partecipa alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di
Bologna alla mostra Europa / America, l'astrazione determinata
1960-76;due anni dopo è invitato nuovamente alla Biennale
di Venezia e presenta alla Tartaruga di Roma Capolavoro sconosciuto,
rielaborazione del noto omonimo racconto di Balzac. Intanto,
sul finire del decennio, l'artista ritrova il piacere della pittura
e con tecnica consumata e sapienza gestuale appronta le serie
Al mare e Quadri equestri.
Diverse sue opere sono in mostra nel 1979 al Palazzo dei Diamanti
di Ferrara. Nel 1980 viene invitato da Maurizio Calvesi alla
mostra Arte e critica 1980, allestita al Palazzo delle Esposizioni
di Roma, e l'anno successivo è tra i pochissimi artisti
selezio-
nati da Germano Celant per Identité italienne, mostra
organizzata al Centre George Pompidou di Parigi.
Sempre del 1981 sono il gruppo di dipinti raccolti sotto il titolo
Cosme-si, cui seguono i cicli Architettura, Biplano, Orlo botanico.
È ancora presente alla Biennale di Venezia sia nel 1982
che nel 1984, anno in cui espone al Palazzo delle Prigioni Vecchie
della stessa città veneta il ciclo Naturale sconosciuto
presentato da Alain Cueff. L'attenzione per il naturale del resto
caratterizza tutta l'attuale ricerca di Schifano, come dimostrano
le sue successive esposizioni, fra le quali ricordiamo le personali
alla Tour Fromage di Aosta e alla Galerie Maeght di Parigi (1988).
Paesaggi, gigli d'acqua, campi di grano, movimenti del mare,
distese di sabbia sono ricreati, reinventati, filtrati attraverso
ricordi, pulsioni, sensazioni, affioramenti del profondo, sequenze
d'immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità,
dai rotocalchi, e si configurano pertanto come geografie della
memoria. La materia cromatica è ricca, eppure tutta di
superficie. La pittura, impregnata di gestualità, si espande,
cresce su se stessa, vive di una interna energia, conquista lo
spazio con le sue lussureggianti preziosità cromatiche.
Nel 1989, anno in cui è presente alla rassegna Arte italiana
nel XX secolo organizzata dalla Royal Academy di Londra, tiene
personali al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione
d'arte Contemporanea di Ferrara, dove, sotto il titolo Inventario
con anima e senz'anima, raccoglie una serie di tele che rappresentano
la summa della sua ricerca in ambito naturalistico. Quest'ultima
mostra diverrà poi itinerante, toccando diverse città
italiane, per giungere infine in Francia, al Centro d'Art Contemporain
di Saint Priest (1992).
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della sua
riapertura (1990), gli allestisce una rassegna, intitolata Divulgare,
con un consistente numero di opere di grande formato realizzate
per l'occasione. Tré anni dopo presenta in diverse gallerie
italiane il ciclo Reperti, dedicato agli animali del mondo preistorico,
tema i cui primi esemplari erano già comparsi nella personale
da Maeght.
Nel 1994 è presente alla mostra Thè Italian Metamorphosis,
1943-1968, organizzata dal Solomon R. Guggenheim Museum di New
York e trasferita l'anno seguente alla Trien-
naie di Milano e al Kunstmuseum Wolfsburg.
Nel 1996 Schifano rende un omaggio alla sua Musa ausiliario,,
ovvero alla televisione intesa quale flusso continuo di immagmi
in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzate
della nostra epoca. L'artista ha attivato un sito Internet, attraverso
il quale si relaziona al mondo. Se alla fine degli anni Sessanta
si limitava a estrapolare dea programmi televisivi dei singoli
fotogrammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora,
invece, interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ulteriormente
di senso. Allestisce con una quarantina di tele di questo genere
e un migliaio di fotografie ritoccate a mano, una grande mostra
che è stata ospitata dapprima presso la Fondazione Memorial
da America Latina di San Paolo del Brasile (1996), poi presso
il Museo di Belle Arti di Buenos Aires (1997); nel corso del
1998 sarà presentata alla Fondazione Wifredo Lam dell'Avana
e a Città del Messico. Durante un suo viaggio in Brasile
compie un happening all'interno di una favela di Rio de Janeiro.
Nel 1997, in occasione del settimo centenario della edificazione
di Santa Croce a Firenze, Schifano ottiene il Premio San Giorgio
di Donatelle per aver realizzato le vetrate policrome collocate
nella cripta della Basilica. Nello stesso anno cura gli allestimenti
scenografici del carnevale di Roma. Muore a Roma il 26 gennaio
1998.
Compagni, compagni - 1968
Goffredo Parise
Intervista a Mario Schifano
(presentazione al catalogo della mostra, Studio Marconi, Milano
1965)
A. Senta, mi parli un
po' di Mario Schifano e dei suoi quadri.
B. Sono la stessa cosa. Mario Schifano e i suoi quadri. Dunque
guardi i quadri e conoscerà Schifano.
A. Allora, facciamo così:
io guardo i quadri e lei mi parla di Schifano. In questo modo,
anziché ricostruire in un tempo successivo la figura del
pittore, questa si farà, per così dire, da sé,
a mano a mano che io guarderò i quadri. Ora, purtroppo
lei dovrà usare le parole, cioè la metafora, mentre
io, con molta minor fatica, userò lo sguardo. Vedremo
fino a che punto la parola può correre parallela all'immagine.
Insemina, alla fine saprò tutto dell'opera, per quanto
mi è dato di ricevere per mezzo della mia sensibilità
ottica, e saprò (vedremo che cosa) di Schifano grazie
alla parola. D'accordo?
B. D'accordo.
A. Mi fermo e guardo questo
quadro dal titolo Suicidio n. 1. Lei parli.
B. Vede, per parlare di Schifano sono costretto a fare un po'
di anatomia. Le parlerò cioè del suo corpo (in
riposo e in movimento) e lei, simultaneamente, applicherà,
farà coincidere, o meglio stabilirà una equivalenza
di spazio tra quanto le apparirà dalle mie parole e i
quadri che vede. Alla fine l'anatomia sarà anatomia comparata
e applicata. Va bene?
A. Benissimo.
B. Dunque, Schifano è un uomo di trent'anni, di tipo sommariamente
mediterraneo se non arabo. In riposo il suo corpo, alto circa
un metro e settanta, del peso di cinquantacin-que chili, visto
da angolazioni e distanze diverse, rivela innanzitutto un languore
felino, innocente e attonito. Come un piccolo puma di cui non
si sospetta la muscolatura e lo scatto. Ho detto attonito, mi
sente? Attonito è parola che si riferisce anche al quadro
che lei sta guardando. Visto in movimento (cioè appena
gli arti si sciolgono nel moto) il languore scompare e diventa
leggerezza, ritmo e souplesse. Nel suo insieme di statica, dinamica
e fonia, il corpo ha l'impronta nitida e al tempo stesso misteriosa
dell'eleganza. Ora l'eleganza, come ogni pura forma, è
del tutto priva di contenuti ideologici. Possiede tuttavia il
mistero proprio dell'eleganza che è il suo contenuto stesso
e che si esprime, per cosi dire, da sé.
A. Scusi se la interrompo:
quanto lei va dicendo si attaglia molto bene alla fattura, alla
qualità pittorica, all'ampiezza e al respiro del segno
nel quadro che sto guardando: non però al suo titolo che
presuppone un contenuto. L'eleganza, la rapidità, la souplesse,
anche la "felinità" si vedono subito, anzi si
fanno vedere al primo colpo d'occhio. Ma un suicidio...
B.Eppure, se lei guarda bene, questo è proprio un suicidio.
Del suicidio, cioè dell'atto evocato dal titolo, ha la
nostalgia suggerita dagli elementi narrati (il parapetto, la
pianta immota, il cielo immoto, vuoto e profondo). Dovrebbe essere
un quadro tragico, in realtà è un quadro non solo
felice, ma poetico e, appunto,elegante. In altre parole il pittore
pensa al suicidio come a una sorta di estasi estetica. Se lei
mi ascoltasse...
A. Infinite scuse per
l'interruzione. L'ascolto.
B. Una natura elegante tende sempre alla gelosa conservazione
dell'elemento che la nutre e si espone raramente al contatto
con la multiforme, violenta e pregnante realtà. La vera
eleganza è anche timida. Ma quando si mostra lo fa con
candore fulmineo, come, per completare e conchiudere la metafora
del puma, Nureiev quando attraversa il palcoscenico con un salto
acrobatico. Timidezza, auto conservazione, scatto, non vanno
disgiunti tuttavia da altre componenti (tortissime) che sono
l'esibizione e il narcisismo.
A. Si riferisce forse
a questo quadro dal titolo Un'impronta umana nel mio lavoro,
dal '60 al '65?
B. In parte, in parte.
A. Mi pare che queste
ultime parole rappresentino assai bene questo quadro, che però
possiede, oltre l'eleganza e la timidezza (narcisistica e felina)
due altre qualità molto belle.
B. Cioè?
A. Il candore infantile
e la favola.
B. Giustissimo. Comincia a conoscere un po' di Schifano?
A. Un po'. Eccoci davanti
a un quadro intitolato Alfa. È un incidente d'auto. Perché
Alfa?
B. Perché Goffredo Parise?
A.Un amico morto, forse?
B. No, sono io. Perciò non le posso parlare di questo
quadro. Gli sono affezionato e con l'affetto non si fa anatomia.
A. Naturale. Guardiamo
allora questo: Spazio.
B. Le parlavo della lievità della "massa", Schifano,
nello spazio. Questa lievità, cioè la quasi assenza
di peso dovuta appunto alla sua particolare dinamica (ambulatoria),
non poteva non essergli utile per questo quadro. Infatti noi
vediamo una parte dell'astronauta e della capsula spaziale che
si fondono, grazie alla rapida e appena accennata stesura del
colore (un solo colore) in un'unica zona frastagliata, altamente
decorativa. Questo quadro non è diverso, mettiamo, da
un Balenciaga, e potrebbe intitolarsi (mondanamente) Cocktail
spaziale. Perché dunque il pittore si serve dell'idea
spaziale? Per dare appunto spazio e allo stesso tempo per togliere
ogni sospetto di staticità alla decorazione. Così
un Balenciaga per esprimersi ha bisogno di essere indossato,
di essere visto nell'aria e di muoversi.
A. Lei passa dall'anatomia
all'alta moda, di punto in bianco. Va bene la metafora, che accetto,
ma parliamo di un pittore, non di un sarto.
B.Ho voluto fare una breve puntata nell'alta moda per rivestire
di una certa frivolezza l'anatomia di Schifano (ma anche della
sua pittura). Oltretutto non c'è alcuno scandalo che questa
mostra sia anche un defilé.
A. È vero, ha molto
charme. Mi dica: Schifano è buono o cattivo?
B.Non è ne buono ne cattivo. È innanzitutto un
vero pittore.
A. Allora è simpatico
o antipatico?
B. Molto simpatico, nonostante l'abuso del termine.
A. Perché?
B. Perché possiede il dono di comunicare ed esprimersi
immediatamente e simultaneamente. Non usando schermi tra la sua
apparenza e la sua assenza, come lei vede dai quadri e dal modo
come sono dipinti, cioè, in definitiva, mostrandosi, è
naturalmente simpatico.
A. È anche intelligente?
B. L'intelligenza di capire la vita nella sua immediatezza. La
sua è un'intelligenza artistica, fortemente istintiva,
intuitiva. Inoltre, non vorrei ripetermi ma lo faccio ugualmente,
la sua intelligenza dipende anch'essa dalla sua eleganza che,
non dimentichiamolo, è l'elemento primo e massimo di Schifano.
A. Lei ha fatto il ritratto
di una persona in perfetta armonia con se stessa.
B.Be', sì.
A. Devo ammettere che
l'armonia appare in tutti i quadri che ho visto. Ma senta, chi
c'è alle nostre spalle?
B. Provi a indovinare.
A. Ma sì, ma certo,
è Schifano."
FINE
Tutti morti - 1970
Paesaggio TV - 1970
Paesaggio TV - 1970
Ora esatta - 1970 |
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