MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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La fotografia e le sue caratteristiche documentarie

 

V.Besso, Ferrovie sarde, 1886


 

Mentre sino agli anni '70 l'attività dei fotografi professionisti si esauriva praticamente nell' esecuzione e nella stampa dei ritratti fotografici, dopo questa data l'impiego della fotografia crebbe fino a far emergere tutte le sue peculiari possibilità espressive e documentarie. Si ebbero così i primi veri e propri reportages di tipo industriale, realizzati spesso con finalità promozionali. Dedicati alla documentazione dei costumi e del folclore sardo sono invece le fotografie di Adolphe Peuchet che girò la Sardegna cercando di cogliere nel volto dei suoi abitanti e nelle fogge dei tradizionali abbigliamenti lo spirito mitico di un'isola considerata spesso sospesa nel vuoto di un tempo passato. Sempre dedicate alla documentazione del folclore sono anche le molte fotografie realizzate appositamente da numerosi professionisti isolani come Aruj, Lai-Rodriguez, Cocco, Mauri, Canzani e Ximenes, per citare soltanto i più famosi.

La diffusione di questo genere dovette avere un certo successo e aprì successivamente la strada alla cartolina postale illustrata. Un altro campo di applicazione fu quello della documentazione di luoghi e monumenti famosi, come ad esempio il servizio che il fotografo romano Canè eseguì per documentare i luoghi dove visse Garibaldi nell'isola di Caprera subito dopo la sua scomparsa.

Venne documentata inoltre la costruzione di ferrovie, di ponti, di strade ed edifici; non meno importante il ruolo che la fotografie assunse all'interno dei corpi di polizia nel suo ruolo di archiviazione e delazione, modificando profondamente i sistemi di identificazione fino allora adottati. Anche in Sardegna perciò, seppure in ritardo rispetto al continente, si scoprì una committenza pronta a recepire le novità che la fotografia poteva offrire nella sua ampia e flessibile gamma di impieghi. Ma la cosa che maggiormente attirò le attenzione della fotografia documentaria furono le miniere, che dalla seconda metà dell'Ottocento e fin verso la prima metà del Novecento costituirono l'unica, grande industria della Sardegna.

Lo sviluppo delle miniere era progredito enormemente da quando, nel 1848, fu estesa alla Sardegna una legge che stabiliva la distinzione tra la proprietà privata del suolo da quella del sottosuolo, il quale diveniva così patrimonio dello Stato, e di cui questo soltanto poteva accordare le concessioni per l'attività estrattiva. L'estrazione delle materie prime, soprattutto nei primi decenni, non comportava grandi difficoltà, né costi troppo elevati per la lavorazione, infatti per parecchi anni si continuò a lavorare in molti giacimenti i filoni a cielo aperto, ancora numerosi alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.

In questo modo furono possibili per le società concessionarie delle miniere enormi guadagni che presero la via del Piemonte soprattutto, ma anche della Francia, dell'Inghilterra e del Belgio, paesi ben attrezzati di fonderie e di impianti per la lavorazione, i quali trovavano perciò conveniente, nonostante la distanza geografica degli stabilimenti, l'estrazione dei minerali grezzi in Sardegna. Era inevitabile che il grande interesse suscitato dalle miniere dovesse stimolare il desiderio di una documentazione visiva dei luoghi che avevano permesso il verificarsi in vaste regioni prima praticamente desertiche di uno dei maggiori sconvolgimenti che il paesaggio sardo abbia mai subito nella sua storia. La fotografia, tecnica industriale dell'immagine, si poneva così al servizio della grande industria estrattiva per affiancarla e sostenerla nel suo successo, per promuoverla, adularla e riceverne di riflesso i suoi benefici; in un rapporto di osmosi le polveri d'argento estratte dai monti del Sarrabus rappresentavano l'elemento base di quelle stesse stampe fotografiche che le documentavano.

Veniva in questo modo a conchiudersi tutto un ciclo in cui l'industria produceva da sé medesima i modi di rappresentazione visiva più consoni alle esigenze della società di massa che l'industria stessa aveva creato. Oltre a fotografie sparse e di difficile attribuzione, sono almeno tre gli album fotografici di un certo interesse. Il primo è quello degli ingegneri francesi Petin e Gaudet, concessionari delle miniere di Assemini e Capoterra, composto da una serie di fotografie di paesaggi delle miniere e degli stabilimenti di lavorazione annessi che venne esposto alla Prima Esposizione Sarda del 1871. La seconda raccolta è quella dell'ing. Ferrari , comprendente venti fotografie realizzate nel 1875 nelle miniere di Gennamari e Ingurtosu, presso le quali l'autore svolgeva la professione di ingegnere chimico.

L'altra raccolta fotografica sulle miniere sarde è stata realizzata da Vittorio Besso , probabilmente nel 1886, quando venne in Sardegna per eseguire un lavoro su commissione che consisteva nel documentare la realizzazione di alcune linee delle Ferrovie Concesse Sarde, composto da 36 fotografie ed eseguito per gli ingegneri Alfredo Cottrau e Giovanni Marsaglia concessionari della linea ferroviaria. Nel catalogo del 1893 vengono elencate altre 38 fotografie del formato 30x40 eseguite a Monteponi, vicino ad Iglesias, una delle miniere più grandi ed importanti della Sardegna.

 

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