MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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Il ritratto

R.Canzani, c.1880


Il periodo di tempo che intercorse nel decennio tra il 1860 e '70 vide proliferare anche in Sardegna il numero degli studi fotografici e il delinearsi più netto e sicuro della figura del fotografo professionista. Ciò si deve soprattutto alla diffusione sempre maggiore del "ritratto", un genere che, dopo aver superato le difficoltà principalmente di carattere tecnico che ne avevano condizionato il successo agli albori della nuova arte, andava imponendosi anche in Sardegna come il prodotto fotografico per eccellenza, grazie alla sua facile commerciabilità che prometteva un ulteriore e rapido sviluppo.

Anni prima i pionieri Massimiliano Vigna e Claudio Porraz avevano entrambi tentato di impiantare un laboratorio professionale per i ritratti in dagherrotipia, ma il dagherrotipo, a causa del costo elevato dei materiali e nella sua qualità di prodotto unico e irripetibile, non avrebbe mai potuto raggiungere quella diffusione popolare che successivamente ebbe la fotografia stampata su carta. Ne conseguì che una volta esaurite le richieste di ritratti da parte della ristretta cerchia di nobili e benestanti facoltosi venne anche meno la ragione sociale d'esistenza degli stessi fotografi. Invece alle soglie degli anni '60, con l'introduzione anche nell'isola di nuovi procedimenti di stampa e il perfezionamento degli strumenti di ripresa, alla cui evoluzione, per inciso, collaborò anche Delessert, la fotografia di ritratto divenne un prodotto finalmente accessibile alla maggior parte degli strati sociali.

I primi studi fotografici vennero aperti a Sassari, dal francese Mailland, e dal tedesco Kurner; a Cagliari, invece, con alterne fortune, al laboratorio di Giovanni Luppi seguì quello di Eugenio Aruj che, dopo la morte del padre Raffaele, tentò la strada del professionismo fotografico. Successivamente vennero aperti gli studi del tedesco W.D.Mattern, dell'ex-farmacista Giuseppe L.Cocco, di Agostino Lai Rodriguez e di Perfetto Samonati, oltre a questi fotografi, diciamo così, stanziali, vi era una nutrita schiera di fotografi itineranti che offrivano i loro servigi soprattutto nelle zone interne, dove esercitavano spesso in occasione delle feste paesane o delle affollate giornate di mercato. Con i ritratti fotografici e con la loro raccolta, custodita spesso in preziosi album familiari, si perpetuò per certi versi la tradizione delle gallerie nobiliari, alle cui pareti facevano bella mostra i grandi ritratti ad olio degli avi, che rappresentavano l'immagine storica del casato. Ma anche la miniatura su avorio, considerata in genere un'arte "minore", rappresentò per i fotografi ritrattisti un modello da imitare; spesso, anzi, come nel caso di Eugenio Aruj, fotografi ritrattisti avevano in precedenza esercitato la professione del pittore miniaturista.

Ormai i prezzi dei ritratti fotografici divennero facilmente accessibili anche alle famiglie della media e piccola borghesia, le quali perciò potevano aspirare ad avere una piccola galleria di ritratti dei componenti il nucleo familiare. Finalmente veniva data loro la possibilità di testimoniare con poca spesa e in modo immediato la propria storia e la propria partecipazione alle sorti e alle vicende della società cittadina o paesana, a cui col proprio lavoro maggiormente avevano contribuito e dalla quale nelle epoche precedenti erano state emarginate davanti al tribunale della storia. Al pari di molte altre scoperte e invenzioni di questo periodo storico, anche la fotografia pareva avere intrinsecamente inglobati i germi del progresso civile e di una maggiore democrazia, che portava vasti strati della popolazione a competere per la prima volta con le classi dominanti, non solo sul terreno economico, ma anche nell'elaborazione di codici comportamentali e di mode culturali i cui modelli fino ad allora erano stati proposti dalla nobiltà e dall'alta borghesia, che poi ne avevano imposto la concreta attuazione. Se da una parte la fotografia ritrattistica testimoniava l'appartenenza ad una determinata classe, o il desiderio di appartenervi, come è reso evidente in molte fotografie dall'ostentazione di arredamenti, oggetti e soprammobili il cui significato era chiaro ed inequivocabile, dall'altra garantiva, pur nell'omogeneità e nella standardizzazione iconografica quella resa dei tratti distintivi propri di ciascun individuo, il che, oltre a lusingare il naturale amor proprio alimentava il desiderio di affermazione sociale della nascente borghesia.

I fotografi sfruttarono molto bene queste esigenze di rappresentanza e il bisogno della classe borghese di uniformarsi ai modelli precostituiti che meglio potevano corrispondere al loro bisogno di identificazione in coloro che, detenendo il potere, incarnavano i pregi e le virtù dell'uomo di successo. Spesso anzi erano proprio i fotografi a suggerire e a fornire i modelli da imitare attraverso la vendita dei ritratti di principi, regnanti e ogni sorta di personaggi famosi, insomma la parte svolta odiernamente dalla maggior parte dei giornali, anche quelli reputati più "seri". Nella seconda metà dell'Ottocento si andò sempre più delineando l'importanza dello studio fotografico di Agostino Lai Rodriguez che rimarrà in attività fino alla fine del secolo, costituendo così un modello e un punto di riferimento fondamentale per tutti gli altri fotografi professionisti.

A contrastare l'egemonia del modesto mercato della fotografia artistica a Lai-Rodriguez ci provò Giuseppe L. Cocco, il quale però fu costretto a cambiare mestiere dopo pochi anni. Comunque Cocco, partecipando alle Esposizioni di Vienna del 1873 e di Parigi del 1878, e pubblicando nel 1876 due interessanti saggi, "Il collodio secco" e la "Iodurazione del collodio a base etilammonica",sulla "Rivista Fotografica Universale" del Montagna, dimostrò più di ogni altro la volontà di spezzare l'isolamento provinciale attraverso la sperimentazione di nuove tecniche che, però, non valsero a salvare la sua attività commerciale. Dopo gli anni '80 la fotografia di ritratto acquisì anche in Sardegna quelle caratteristiche di diffusione di massa che la contraddistinguono ancora, la conseguenza fu l'apertura di nuovi studi e laboratori o l'ampliamento dei precedenti.

Tra quelli più importanti si possono citare quelli di E.Mauri, R.Canzani e Nissim, a cui si aggiunsero quelli di Tarasconi, Fadda, Niola, Pellegrini e Valentin a Cagliari, e di Borro, Zonini, Lori e Tuninetti a Sassari.

 

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