BREVI CENNI
DELLA STORIA
(Cagliari)
Con particolare riguardo ad un compendio degli studi e delle
ricerche, sin qui eseguiti, riguardanti
la monetazione e le zecche di emissione della Sardegna e specificamente le
coniazioni delle zecche di Bonaria e Castello, in quel di Cagliari, dal 1324 al
1813.
STORIA DEL COLLE DI BONARIA
E DELL’ORIGINE DELLO STATO ITALIANO
Struttura geologica e
primi insediamenti umani nell’isola
Origine della città di
Cagliari
Nascita del Regno di
Sardegna e Corsica
Sbarco nell’isola del corpo
di spedizione Aragonese
Firma della pace e nuova forma
giuridica del Regno
Instaurazione del
sistema monetario sardo
Nascita del Regno di
Spagna e modifica del titolo del Regno di Sardegna
Assegnazione del Regno
ai Savoia
LA MONETAZIONE IN SARDEGNA DAL IV SECOLO A.C. AL 1813
Origini degli scambi
commerciali
Località
dove erano situate le Zecche della Sardegna:
Origini della circolazione
monetaria
La monetazione durante:
L’età Cartaginese –
Punica (300 – 216 a.C.)
L’età Romana (238 a.C. –
176 d.C.)
L’età Bizantina (551 –
fine secolo X)
Diritto di battere moneta
e prime emissioni
Doppia monetazione sarda –
piemontese
Cessazione della zecca di
Cagliari
I nomi con i quali i
Cagliaritani chiamarono le nuove monete del Regno d’Italia
Potere d’acquisto della
lira sarda agli inizi del XIX secolo
Ubicazione della zecca
di Castello
Elenco
delle monete coniate dalle zecche di Bonaria e Castello:
Monete
attribuite alla zecca di Cagliari:
Età Bizantina (551 – fine
secolo X)
Monete di probabile
attribuzione alla Sardegna
BREVE STORIA DEL SANTUARIO DI N.S. DI BONARIA
Il colle ove sorgono il
Santuario e la Basilica di Bonaria
Leggenda della statua
della Madonna
Perché tanta attenzione e soprattutto perché la
“Storia” si interessa del Colle di Bonaria dove oggi si trovano il Santuario e
la Basilica di N.S. di Bonaria Patrona della Sardegna e protettrice dei
marinai, il cimitero monumentale e l’omonimo ed elegante quartiere della città
di Cagliari? Ma perché su questo colle si sono svolti nei secoli scorsi
avvenimenti di tale importanza politica, economica e religiosa che hanno
determinato il destino dell’Isola e anche del nostro Paese, tanto da indurre
Francesco Alziator ad affermare che “in
nessun punto della città come sul colle di Bonaria si è fatta la storia”.
Gli eventi di cui
sopra si possono riassumere in tre capitoli:
Percorso storico del colle di Bonaria e
origine dello stato Italiano;
la monetazione e le zecche di emissione
della Sardegna e, in modo particolare, le coniazioni delle zecche di Cagliari
(Bonaria e Castello) dal 1324 al 1813;
breve storia del Santuario e della Basilica di Bonaria.
A tutto ciò sono anche personalmente
interessato perchè sono un “bonarino” in quanto a Bonaria ci sono nato, nel
1924, di fronte all’attuale fiera campionaria della Sardegna, in una casa a un
piano e precisamente all’angolo tra il viale Armando Diaz - già allora alberato
con pini d’alto fusto - e la via Aosta, e dove ho trascorso l’infanzia e buona
parte della mia esistenza.
Di seguito vengono
descritti, succintamente, gli avvenimenti storici oggetto di questa monografia.
PERCORSO
STORICO
DEL COLLE DI BONARIA
La Sardegna è una delle terre più
antiche d’Europa e la seconda isola del Mediterraneo (oltre 24.000 Kmq). Essa
forma con la Corsica un sistema a sè non avendo comunanza di origine né con le
Alpi né con gli Appennini.
La sua struttura
geologica fra le più complesse e il suo paesaggio così vario e mutevole
hanno indotto lo scrittore Marcello Serra a definire la Sardegna “un continente
in proporzioni ridotte”.
L’isola è abitata da antichissime genti
come dimostrano recenti studi e ricerche che hanno consentito il ritrovamento
di fossili di umanoidi (oreopithecus) che Jean Marie Cordy della facoltà di
geomorfologia dell’Università di Liegi, in collaborazione con ricercatori della
Università di Sassari, non ha dubbi di fare risalire quei fossili a otto milioni
di anni fa; il che sarebbe da annoverarsi fra le più antiche testimonianze
esistenti al mondo.
Con
un salto di milioni di anni si arriva alla anch’essa remota civiltà
nuragica (dal 2000 a.C. al 500 a.C. circa) sulla quale la scienza ufficiale
non è ancora riuscita a fare piena luce. La espressione più evidente di questo
periodo sono i gustosissimi e vivi bronzetti, ed i resti di oltre 10.000
nuraghi; imponenti edifici megalitici tronco-conici sparsi in tutta l’isola.
Dopo queste premesse di carattere generale
soffermiamoci ad una zona specifica dell’isola e precisamente al sud, ove si
sono svolti gli avvenimenti storici che interessano questa monografia, cioè del
colle di Bonaria in quel di Cagliari.
Incerta è l’origine di
Cagliari, perché anteriore ai tempi storici è l’antica Karales fenicia; ma
si hanno elementi per credere che i Fenici, impossessatisi della Sardegna al
tempo della fondazione di Cartagine, si siano limitati ad accrescere la città
già preesistente. Della storia di Cagliari si hanno notizie frammentarie sino
all’epoca dei Cartaginesi, ai quali nel 238 a. C. i Romani la tolsero e così
divenne la romana Calaris.
Il colle di Bonaria è
uno dei (sette?) colli che fanno parte integrante della città di Cagliari, ed è
anche il nome di un suo elegante quartiere. In questo colle si sono svolti nei
secoli scorsi avvenimenti talmente importanti che hanno contribuito a
determinare il destino dell’isola e del Paese. Come questo sia avvenuto lo
racconta la storia.
Tralasciamo le epoche più remote come
l’era fenicio-punica-romana e medioevale e soffermiamoci sul XIII secolo. Il 4 (o il 6?) aprile 1297 papa Bonifacio VIII tolse ai
Pisani per darlo in feudo a Giacomo II d’Aragona (1291 - 1327) il Regnum Sardiniae et Corsicae, creato motu proprio dallo stesso papa.
Dopo una lunga
preparazione il 13 giugno 1323 l’infante Alfonso d’Aragona sbarca nel golfo di
Palma, sulla costa sulcitana con un imponente corpo di spedizione di navi,
uomini e cavalli per prendere possesso del nuovo regno. La conquista dell’isola
sembrava facile ma non fu così. Una serie di piccole guerre locali interesserà
tutta la regione sino alla fine del secolo. In pratica il trecento fu
attraversato dagli eventi di una guerra endemica; “una guerra dei cento anni in
scala ridotta”, ha detto uno storico catalano.
L’infante Alfonso dopo lo sbarco cinse
d’assedio prima Villa di Chiesa (Iglesias), che riuscì a resistere sino al 7
febbraio dell’anno successivo. Presa la città gli invasori investirono il
Campidano e quindi assediarono Cagliari; più propriamente il Castello. Di
fronte ad esso, sul colle di Bonaria, gli aragonesi fecero erigere una rocca,
cinta di mura, in pratica una nuova città che ebbe in sei mesi una popolazione
di seimila uomini.
A tale proposito, Francesco Alziator, considerato uno dei più importanti cultori contemporanei di etnografia per i contributi apportati nel campo delle tradizioni popolari sarde e catalane, scrive, in uno dei suoi “pezzi” su Cagliari, riferito a quel periodo:
“La collina di Bonaria fu a lungo oggetto di ricerca, a
cominciare da quell’impareggiabile Alberto La Marmora e soprattutto dai geologi
secondo i quali si trattava di una zona estremamente interessante perchè
comprendeva una breccia ossifera del quaternario continentale.
Ormai, dell’altura di Monreale ben poco resta, perfino il
nome è sparito, sopravvive solo sui libri e su qualche vecchia carta
topografica. Quella collina infatti era l’osservatorio di Alfonso d’Aragona
durante l’assedio di Cagliari. Alfonso, a quei tempi, veramente non era re, ma
solo infante. I sardi però, videro le cose con la lente d’ingrandimento e
chiamarono monte una collina e re un principe e così venne fuori “Monreale”, e
“Grutta de su Rei” fu detta la grande cavità, ora in parte murata, davanti alla
Basilica, dove, secondo la leggenda, nel 1324, si sarebbe sistemato Alfonso nei
primi tempi dello sbarco.
Certo in nessun punto della città come sul colle di Bonaria
si è fatta la storia.”
Il 19 giugno 1324, un anno dopo lo sbarco nell’isola, un martedì, sotto una tenda d’assedio sul colle di Bonaria, fu firmata la pace fra il Comune di Pisa e la Corona d’Aragona in guerra per la conquista dei territori oltremarini pisani nell’isola i quali non rappresentavano tutta la Sardegna ma solo una parte di essa, e cioè: il Campidano, la Gallura e il Logudoro.
I cronisti delle due parti: Zurita per
gli Aragonesi, Villani e Tronci per i Pisani, ci hanno narrato con ricchezza di
particolari, in pagine famose, gli avvenimenti di quel tormentato 1324. Di quei
giorni tutto è scomparso e nessuna traccia è rimasta neppure delle mura che
cingevano la cittadella dell’Infante Alfonso.
Con la firma del trattato di pace i
vincitori cambiarono la condizione giuridica dell’ex entità sardo-pisana da subordinata in assoluta, al fine di
aggregare questi nuovi territori con specifica fisionomia istituzionale alla
Corona d’Aragona rappresentata dalle leggi monarchiche. Quindi,
nel 1324 fu creato uno Stato ex novo: il Regno
di Sardegna e Corsica. Tutto questo è affermato da una Carta Reale Diplomatica
dell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona, pubblicata nel 1952 da
Antonio Arribas Palau nel suo volume “La conquista de Cerdeña por Jaime II de
Aragòn”.
SE NE DEDUCE CHE L’ATTUALE STATO ITALIANO EBBE ORIGINE IN
SARDEGNA, SUL COLLE DI BONARIA IN QUEL DI CAGLIARI, IL 19 GIUGNO 1324, UN
MARTEDI’, SOTTO UNA TENDA D’ASSEDIO.
Fin
dall’inizio il Regno ebbe come emblema concesso dalla Corona d’Aragona, lo
scudo con quattro teste di moro inquartate in croce rossa in campo bianco o
argento, che compare per la prima volta in uno stemmario belga del 1370/86 con
i mori senza bende. I quattro mori sono un antico simbolo
aragonese che celebrava la vittoria di Alcoraz nel 1096 contro i saraceni.
Successivamente i mori furono rappresentati con le bende sulla fronte o con la
corona sul capo - come nelle insegne originarie del Regno d’Aragona - e,
talvolta, con le bende sugli occhi e tutto ciò, si pensa, per cattiva
impressione grafica nel periodo della stampa mobile. E, così, lo stemma rimase
a rappresentare il Regno in tutte le bandiere, stendardi e labari statali,
caricato dopo il 1720 dell’aquila Sabauda, fino all’assunzione, il 23 marzo
1848, del tricolore verde - bianco - rosso e lo stemma di Casa Savoia nel
Risorgimento.
Per
completare gli strumenti formali di statualità del nuovo Regno, Giacomo II
d’Aragona instaura un sistema monetario sardo basato sulla lira sarda, dando anche il diritto di battere moneta con proprie
zecche isolane.
Malgrado il trattato di pace firmato
nel 1324 la situazione politica nell’isola precipitò nuovamente e ripresero le
ostilità che si conclusero definitivamente il 9 giugno del 1326. Dopo che il
Castello fu tolto ai Pisani esso fu ripopolato dagli aragonesi che
abbandonarono la rocca di Bonaria.
Il diritto di
abitare nel Castello fu concesso solo ai Catalani, agli Aragonesi, ai Valenzani
e ai Maiorchini. I Sardi, come gli stranieri, dovevano lasciare prima che si
facesse notte il Castello, sotto pena di essere buttati giù dalle mura. La
consuetudine, che mirava ad una tutela del Castello, rimase in uso sino ai
tempi di Carlo V (1516 - 1556).
In seguito
all’unione personale tra Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia (detti
i re Cattolici) nacque la Corona di
Spagna. Il 15 gennaio 1479, cioè quando fu messo in pratica l’accordo
chiamato Concordia di Segovia,
l’originario Regno di Sardegna e Corsica,
che da più di un secolo faceva parte della Corona d’Aragona, fu scempiato nel
titolo e chiamato solo Regno di Sardegna.
(La Corsica scompare perché l’isola
non fu mai conquistata dagli Aragonesi).
Dalla fine del quattrocento fino a
tutto il seicento, l’isola divenne un regno periferico di un impero mondiale i
cui interessi gravitavano non più nel Mediterraneo ma in Atlantico. Chiusa in
se stessa, fu sfiorata appena dai principali eventi della storia europea e
assunse il carattere di isola dimenticata e misteriosa. Nel 1720 si conclude il periodo di dominio
dell’isola da parte Aragonese e Spagnola, durato per circa quattrocento anni,
dal 1323 al 1720.
Nel 1713, col
trattato di Utrecht fu sancita la separazione tra Spagna e Impero. La Sardegna
fu assegnata all’Austria la quale, in virtù del trattato di Londra del 2 agosto
1718 e del successivo trattato dell’Aia del 1720, consegnò l’isola, il 4 agosto
1720, al nuovo re Vittorio Amedeo II di Savoia.
Il nuovo regno diventò da imperfetto a perfetto attribuendogli la summa
potestas, cioè la facoltà di stipulare trattati internazionali. Il regno si
italianizzò. Si procedette ad una vasta azione riformatrice nei limiti del trattato
di Londra il quale imponeva al sovrano di conservare e rispettare le
istituzioni e la struttura politico - amministrativa precedenti.
E’ forse il caso di ricordare che il regno ebbe pure, in epoca tarda, un inno nazionale: S’hinnu Sardu Nationale, che fu eseguito per la prima volta nel Teatro Civico di Cagliari il 20 febbraio 1844.
Il
testo dell’inno recita:
Conservet
Deus su Re
Salvet su
Regnu Sardu
Et gloria a’
s’istendardu
Concedat
de’su Re.
Fu eseguito l’ultima
volta ufficialmente nel 1937 dal coro della Cappella Sistina, diretto da
Lorenzo Perosi, per espresso desiderio di Vittorio Emanuele III. In periodo
contemporaneo, che prolunga all’oggi la statualità sarda, è stato suonato dalla
banda dei Carabinieri al Quirinale il 29 maggio 1991 in omaggio all’origine sassarese del presidente Francesco Cossiga. Infine, è stato
eseguito al momento delle sue dimissioni da Capo dello Stato il 28 aprile 1992.
Per concludere, gli avvenimenti
descritti più sopra consentono d’affermare che l’attuale Stato Italiano è nato
in Sardegna e precisamente il 19 giugno 1324, sotto una tenda d’assedio sul
Colle di Bonaria, nei pressi di Cagliari. Inizialmente fu chiamato “Regno di Sardegna e Corsica” fino al 1475, cioè quando con le nozze di
Ferdinando II e Isabella e la conseguente nascita della Corona di Spagna il
titolo originario diventò “Regno di
Sardegna”; nel 1861 “Regno d’Italia”
fino al 1946, poi “Repubblica Italiana” fino ad oggi.[1]
LA MONETAZIONE IN SARDEGNA
DAL IV SECOLO a.C. AL 1813
Vi sono tanti modi per tracciare il profilo storico, economico e sociale di una regione. Uno, abbastanza efficace, è quello di basarsi sulle sue monetazioni: è la moneta infatti non solo un mezzo di scambio o documento economico, ma anche un simbolo dello Stato emittente.
All’originario
scambio delle merci che era il modo abituale delle trattazioni commerciali fece
seguito la monetazione vera e propria la quale via via, nel corso dei secoli,
segna le vicende storiche, economiche e sociali, ma anche religiose e culturali
dei diversi tempi in cui vengono coniate e utilizzate.
Quello delle monete è un aspetto della nostra Isola non troppo conosciuto, al di fuori della cerchia ristretta degli studiosi e dei collezionisti. Tracciare una sintesi delle monetazioni succedutesi nella Sardegna nel corso dei secoli è cosa ardua; altrettanto problematica è l’attribuzione di queste a zecche sarde.
La Sardegna non ha mai avuto una
monetazione autonoma e le emissioni battute nell’isola sono sempre state
coniate sotto l’influenza o sotto il dominio di Stati stranieri.
L’origine della sua monetazione è
cronologicamente posteriore di circa due secoli a quelle delle colonie greche
della Sicilia e della Magna Grecia. La prima coniazione di monete nell’isola
risale al 300 a.C. ed è legata alla dominazione punica. Essa si protrarrà sino
al 216 a C. e gli studi sin qui eseguiti non hanno ancora consentito di
stabilire e localizzare le città dell’isola ove fossero situate le zecche di
emissione.
Di quelle di cui si ha certezza e che riguardano
periodi successivi, si descrive qui di seguito un breve profilo storico.
Zecca di Cagliari E’ stata la prima e la più
importante dell’isola. Gli storici hanno ormai accettato la sua esistenza a
partire dal 217 a.C., attribuendogli l’emissione delle monete sardo-romane sino
al 27 a. C. anno in cui vide la luce la moneta sardo-romana per eccellenza nota
col nome di Sardus Pater.
Gli sono attribuite anche le
emissioni risalenti all’epoca Bizantina, dal 668 al 720.
Dopo alcuni secoli la zecca di
Cagliari riprese l’attività sotto il dominio Aragonese, nel 1339, cui fece
seguito quello Spagnolo sino al 1720, anno di passaggio dell’isola ai Savoia.
L’attività della zecca cessò definitivamente nel 1813.
Zecca di Bonaria
Si può dire che è stata la prima zecca di
Cagliari dell’epoca Aragonese giacché nacque ed esercitò fra il 1323 e il 1326,
durante l’assedio di Castello da parte degli Aragonesi. Vi furono coniati nel
1324 i due tipi di Alfonsino emessi
in onore dell’infante Alfonso d’Aragona.
Zecca di Iglesias Quella di Villa di Chiesa (Iglesias) è la prima zecca medioevale della
Sardegna, nata in seguito a particolari eventi storici e agevolata, durante la
sua attività, dalla immediata vicinanza alle miniere d’argento.
Instaurata nel breve periodo
dell’età Pisana in cui Guelfo e Lotto (figli del Conte Ugolino) erano padroni
della città, nel 1289, continuò la sua attività durante la successiva
dominazione aragonese, fino a circa il 1370.
Zecca di Sassari Fra
il 1410 ed il 1417 Guglielmo di Narbona ha il dominio della città col titolo di
Giudice d’Arborea e fece coniare due monetine: la patacchina e il minuto.
Nel 1421 Sassari viene
annessa alla Corona d’Aragona e Alfonso V° (1416-1458) autorizza l’apertura di
una zecca ove si conia l’unica moneta di questo periodo, il minuto.
Zecca di Alghero La città di Alghero, roccaforte
degli aragonesi in Sardegna sin dal tempo di Pietro IV d’Aragona (1336-1387),
ha coniato, durante i regni di Alfonso V il Magnanimo (1416-1458) e
dell’imperatore Carlo V (1516-1556), monete minute di rame.
Data la caratteristica delle
monete non si può parlare di una zecca reale vera e propria, bensì di una zecca
a carattere locale.
Zecca di Bosa Questa zecca, che rappresenta una novità è
autorizzata da Giovanni II° d’Aragona (1458-1479) a coniare un minuto il quale ha corso legale soltanto
nella città e nel territorio di Bosa.
Qui di seguito viene riportato un compendio
storico-documentativo della monetazione in Sardegna scaturito dalla lettura dei
“testi” elencati alla fine di questa monografia.
ORIGINI DELLA MONETAZIONE NELL’ISOLA
Le attuali conoscenze fanno pensare che fino
al IV° secolo a.C. la circolazione monetaria nell’Isola
fosse pressoché nulla. Non è però escluso che ancora prima delle frequentazioni
dei Fenici si fosse giunti ad intendere il metallo più pregiato del tempo, e
cioè il bronzo, come qualcosa che aveva un preciso valore intrinseco e che
quindi, in base a prestabiliti rapporti di peso e lavoro, poteva anche essere
usato come strumento di “pagamento” nell’acquisto di determinate merci. Sotto
questo profilo possono avere valore di “moneta” i grossi pezzi di bronzo dalla
forma approssimativa di un rettangolo leggermente schiacciato ai lati che,
sulla base della loro forma, si pensa dovessero avere un valore equivalente a
quello di una pelle conciata di bue. (Un esemplare di questo lingotto trovasi
presso il Museo Archeologico di Ozieri - pesa 27,300 chili e risale al 1200
a.C.). La presenza di questi lingotti dimostra perciò che anche in Sardegna veniva
usato, negli scambi commerciali, questo tipo di moneta primordiale.
Una vera e propria circolazione monetaria
nell’isola comincia col diffondersi, a partire dal V secolo a.C., delle
coniazioni puniche e siculo - puniche, con una netta prevalenza di monete di
bronzo. I ritrovamenti in terra sarda di monete del tipo sopra descritte sono
tanto numerosi e cospicui che hanno fatto sorgere il dubbio che esse siano
state coniate anche in Sardegna; non si hanno però dati scientifici per poterlo
affermare con certezza. La prima coniazione di monete nell’isola avviene
intorno al 300 a.C. Essa fu copiosa e si protrasse sino al 216 a.C. quando
vedono la luce gli ultimi due tipi monetali che ricalcano moduli figurativi già
esistenti nell’area greco-punica. Appartiene a questa serie lo splendido e raro
statere d’oro, primo e unico esempio
di numerale aureo di tutta la monetazione sardo-punica.
Fanno seguito - dal 238 a C. - le
emissioni sardo-romane le quali interessano un periodo di poco più di due
secoli.
Sono circa 25 le monete sinora
considerate di conio sardo. Esistono tuttora delle incertezze da parte degli
studiosi riguardo il problema della individuazione delle emissioni del periodo
romano da attribuire alla Sardegna.
La moneta sardo-romana per eccellenza è
certamente quella nota con il nome di Sardus
Pater. Essa risale al periodo 38-27 a.C. ed è stata coniata in
interminabili varietà di pesi (da 1,45 grammi a 2, 3, 4, 5 e così via sino ad
alcuni esemplari che sfiorano i 10 grammi) moduli e stili.
L’attribuzione alla Sardegna di alcune
serie monetali romane coniate alla fine del III° secolo a.C., durante la
Repubblica, è basata soprattutto sul fatto che alcuni bronzi sono riconiati su
monete sardo-puniche. La prima di queste serie è quella recante la lettera “C”,
che molti studiosi leggono come l’iniziale di Caralis, dove doveva essere in
attività una zecca.
La circolazione monetaria durante la
dominazione vandalica (circa 456 - 534 d.C.) non è stata finora oggetto di
particolare attenzione da parte degli studiosi, sia per la scarsa
documentazione, sia soprattutto perchè i ritrovamenti di monete sono così
sporadici da non consentire ancora di stabilire se in quel periodo funzionasse
nell’isola una zecca. Le poche monete riferibili a quegli anni rinvenute
nell’isola sono in maggior parte di tipo barbarico;
cioè monete di bronzo molto piccole (nummi) dal conio rozzo e approssimativo.
Nel lungo periodo che va dal 534 al 668 le
monete circolanti nell’isola sono emesse da zecche bizantine non sarde. Sotto
Costantino IV (668-685) entra in funzione una zecca sarda: è molto probabile
che si trovasse a Cagliari, che era il centro politico, culturale ed economico
più importante della Sardegna e quindi la città più idonea ad ospitare una
officina monetaria imperiale. Con Leone III (717-720) cessa nell’isola la
coniazione di monete a nome degli imperatori bizantini e hanno inizio le
incursioni arabe lungo le coste ed il conseguente progressivo esodo da parte
dei bizantini. Trascorreranno più di tre secoli prima che in Sardegna le monete
tornino a circolare con una certa regolarità, sostituendosi al baratto,
diventato di uso comune in un così lungo periodo di isolamento e di abbandono.
A parte sono elencate le monete coniate dai Bizantini in Sardegna e attribuite
alla zecca di Cagliari.
Negli ultimi due secoli del primo
Millennio la Sardegna si trova isolata rispetto al potere centrale di Bisanzio
e sempre più esposta alle incursioni degli Arabi. Nascono così i Giudicati,
presenza assolutamente originale nella storia della Sardegna, difficilmente
considerabili come veri Stati nell’accezione istituzionale moderna. Non
risultano ritrovamenti di monete risalenti all’epoca giudicale. Non si può però
non ricordare che nei sette anni (1410-1417) in cui ha il dominio di Sassari
Guglielmo di Narbona col titolo di Giudice d’Arborea, furono coniate a Sassari
due monetine: la patacchina e il minuto, di metallo povero e di
dimensioni molto piccole.
Seguì, dopo molte vicissitudini, la
dominazione Pisana (1016 - 1323) e nacque la zecca di Villa di Chiesa
(l’attuale Iglesias) dove vennero coniate le uniche due monete medioevali
sarde.
Quando gli aragonesi si impossessarono
dell’isola, prese forma istituzionale il Regno
di Sardegna e Corsica al quale vengono concessi, da parte di Giacomo II
d’Aragona (1291-1327), benefici e privilegi fra i quali lo ius cudendi, cioè il diritto di battere moneta propria.
Di tale diritto si avvale Alfonso d’Aragona, figlio di Giacomo II, subito dopo
avere sconfitto i Pisani. Ha così inizio nel 1324 la monetazione
sardo-aragonese con l’emissione di due esemplari chiamati alfonsino minuto e alfonsino
d’argento; essi vengono chiamati alfonsini
in onore appunto dell’infante Alfonso. L’alfonsino
minuto ha il valore di un denaro che
a sua volta genera una propria lira - in questo caso la lira sarda - ed è la base di quasi tutti i sistemi monetari
dell’Europa occidentale e rappresenta il valore-base del nuovo sistema
monetario messo a punto dal re aragonese per la Sardegna. Tale sistema, con
alcune varianti, si protrarrà per 400 anni sino all’età Sabauda.
Zecca di Bonaria Circa l’ubicazione delle zecche che
provvedettero a detta emissione, un recente studio del numismatico barcellonese
M. Crusafont i Sabater, suffragato da una precisa documentazione, ha dimostrato
che l’alfonsino d’argento veniva coniato a Villa di Chiesa (Iglesias), mentre l’alfonsino minuto, di cui esistono due tipi, veniva coniato a Bonaire
(l’attuale Bonaria), sul colle che oggi fa parte integrante della città di
Cagliari.
QUINDI IL COLLE DI BONARIA
E’ IL LUOGO OVE NACQUE
LA PRIMA ZECCA DI CAGLIARI
DELL’ETA’ ARAGONESE - SPAGNOLA.
Di
questi due tipi di alfonsini minuti
la zecca di Bonaria arrivò a coniarne in un solo anno più di 1.500.000
esemplari! E’ bene ricordare che allora, fra il 1323 e il 1326, durante
l’assedio di Castello, gli Aragonesi costruirono sul colle di Bonaria una città
fortificata, una rocca cinta di mura, che ebbe una popolazione di seimila
uomini. Dopo la resa dei Pisani, avvenuta il 9 giugno 1326, gli aragonesi
entrarono definitivamente in Castello dove si stabilirono, abbandonando la
rocca di Bonaria che rimase spopolata. E’ quindi ragionevole ritenere che con
l’occasione vi fu trasferita anche la zecca; infatti da allora si parlò
soltanto della zecca di Castello e non più di Bonaria.
Zecca di Castello Il diritto di zecca venne concesso alla
città di Cagliari da Giacomo II d’Aragona con Diploma Regio del 25 (o del 27)
agosto 1327, quando, cioè, era in piena attività la zecca di Iglesias e quindi
non era particolarmente sentita la necessità di aprirne una nuova; cosicchè la
città di Cagliari solo nominalmente potè annoverare questo privilegio.
Dell’attività di questa zecca si parla
per la prima volta nel 1338, quando Pietro IV il Cerimonioso (1336-1387) con
una sua Prammatica del 6 gennaio 1338 ordina che “nel Castello di Cagliari venga battuta moneta aurea chiamata Alfonsino
d’oro”.
La battitura di questa moneta venne
iniziata poco dopo, indi sospesa e poi ripresa nel luglio del 1339. Si può
comunque dire che l’alfonsino d’oro è stato effettivamente coniato
durante il periodo intercorso fra il 6 gennaio ed il luglio 1339. Purtroppo non
si conosce, sinora, alcun esemplare di questa moneta aurea.
Nel 1387, regnando Giovanni I°
(1387-1396), la zecca riprese l’attività con l’emissione di un alfonsino minuto leggermente svalutato
rispetto a quelli circolanti in quell’epoca.
Dopo di che la zecca di Cagliari resta
inattiva per altri cinquant’anni circa, e cioè sino all’avvento di Alfonso V
detto il Magnanimo (1416-1458) il quale con decreto 27 gennaio 1442 autorizza
ad emettere reali d’argento. Da
notare che per la prima volta una moneta sardo-aragonese viene chiamata reale (PEZZA in dialetto).
Sotto Ferdinando II il cattolico (1479
- 1516) vede la luce una nuova moneta chiamata cagliarese, emessa dalla zecca di Cagliari diventata nel frattempo
la più importante dell’isola, confermandosi “zecca reale” o “zecca del Regno di
Sardegna”.
Questa moneta avrà fortuna: tutte le
monete minute che si batteranno d’ora in poi sia nella zecca di Cagliari che in
quella di Torino avranno questo nome, che troveremo ancora in una moneta di
Vittorio Emanuele I di Savoia, nel 1813!
Con Ferdinando II si chiude il periodo
catalano (1297-1516) e le coniazioni sardo-aragonesi lasciano il posto a quelle
dell’età spagnola (1516-1718) scaturita dalle nozze fra Ferdinando II d’Aragona
(il Cattolico) e Isabella di Castiglia.
L’età più propriamente spagnola della storia sarda si estende per quasi
duecentocinquant’anni: dall’ascesa al trono di Ferdinando e Isabella (1479)
alla fine della guerra di successione spagnola (1713-1720).
Già a partire dal 1520 l’imperatore
Carlo V (1516-1556) fece coniare tutta una serie monetale a suo nome, che
sostituiva di fatto le vecchie monete dei precedenti re aragonesi.
La zecca principale di Carlo V è quella
di Cagliari dove viene coniata la prima moneta aurea della
serie sardo-aragonese-spagnola a noi pervenuta: lo scudo d’oro. Esso è equiparato ad altri scudi circolanti in Italia,
Spagna e Francia.
Verso la fine del regno di Filippo II
(1556-1598), nell’ultimo decennio del XVI secolo, durante la grave crisi economica
che investe gran parte dell’Europa, fanno la loro apparizione i maltagliati.
Si chiamano così le monete ricavate
coniando una nuova impronta su una vecchia moneta col risultato di esemplari
talvolta illeggibili. Per le monete sarde di questo tipo vengono generalmente
usati vecchi e brutti esemplari già maltagliati provenienti dalla Spagna e
dalle colonie spagnole d’America. In quegli anni l’usanza di coniare i maltagliati non riguarda soltanto la
Sardegna ma in generale tutte le terre dell’impero spagnolo, dalla Spagna a
Milano, dalle Fiandre a Napoli e alle colonie d’America.
A tutto questo si aggiunge la
falsificazione da parte dei privati di monete di piccolo taglio che, iniziata
in proporzioni modeste sotto Filippo II si diffonde sempre più sino a ridurre
l’erario pubblico a mal partito. I falsari producono a pieno ritmo e alcuni di
essi, per non cadere nelle mani della giustizia, se ne vanno a lavorare nella vicina Corsica; di là
portano poi in Sardegna le monete false e le immettono in circolazione.
Dopo circa ottant’anni, nel 1668, sotto
il re Carlo II (1665-1700), viene attuata l’attesa riforma che consiste
nell’emettere nuove monete di buona lega e bello stile, e nel ritiro di tutta
la moneta falsa circolante. L’operazione ha successo e dal 1671 cessa in
Sardegna la coniazione dei maltagliati,
cosa che invece si protrae ancora per decenni in altre parti d’Europa.
Nel 1701 nella zecca di Cagliari si
conia, a nome di Filippo V (1700-1719) uno scudo
d’oro, cosa che ormai non accadeva da quasi due secoli, e cioè dai tempi di
Carlo V imperatore. Questa moneta viene coniata per diversi anni in numero
ragguardevole ed ebbe una certa diffusione anche fuori dalla Sardegna.
Infine anche Carlo III (1708-1718) -
che diverrà imperatore d’Austria col titolo di Carlo VI - inserisce fra le
emissioni che portano il suo nome uno scudo
d’oro che sarà coniato per cinque
anni (dal 1710 al 1714).
Con Carlo III di Spagna si chiude la
lunga serie monetale dei sovrani spagnoli
che aveva avuto inizio nel 1516 con Carlo V.
Fa seguito l’età Sabauda (1720-1842). I
Savoia lasciano immutato il sistema monetario sardo basato
sulla lira sarda instaurato quattro
secoli prima da Giacomo II d’Aragona. Infatti le prime monete coniate (non in
Sardegna) da Vittorio Amedeo II (1724) sono i tre cagliaresi e il cagliarese di
rame, cui fanno seguito (1727) due monete d’argento da un reale e da mezzo reale:
le quattro monete non sono altro che i vecchi nominali del periodo spagnolo.
Nel Regno di Sardegna si ha quindi una doppia monetazione, quella sarda e quella piemontese, che
obbliga, tra territori di uno stesso Stato (isola e terraferma), ad un cambio
della moneta in base ad un preciso tariffario, quasi si trattasse di due Stati
differenti.
Con Vittorio Amedeo III di Savoia
(1773-1796) dopo un’interruzione di molti decenni riprese l’attività della
zecca di Cagliari. Essa ebbe inizio il 6 febbraio 1793 con l’emissione di 1
reale, cui fecero seguito altri esemplari regnando Carlo Emanuele IV (1796-1802)
e Vittorio Emanuele I° (1802-1821).
Infine sempre con Vittorio Emanuele I°
venne battuta a Cagliari nel 1813 una moneta da 3 cagliaresi che non si coniava
dal 1741, cioè da oltre settant’anni, pur essendo, la stessa, la moneta
spicciola di più largo uso in Sardegna. Di questa moneta sono stati coniati
50.000 esemplari e resta l’unica di tutta la serie monetale sarda medioevale e
moderna a non presentare alcuna legenda, né al diritto né al rovescio.
Con l’emissione della
moneta da 3 cagliaresi si chiude definitivamente l’attività della zecca di
Cagliari, così come si chiude la storia della monetazione più propriamente
“sarda”.
Durante il regno di Carlo Alberto
(1831-1849) circolavano ancora le vecchie monete tagliate sul sistema monetario
sardo. Esse ebbero corso legale fino al 1864, anno in cui vennero sostituite
con le monete decimali del nuovo Regno d’Italia.
E’ interessante
conoscere con quali nomi il popolo e soprattutto gli abitanti di Cagliari e del
Campidano, continuerà a chiamare, fino alla metà di questo secolo, i tagli più
usati delle nuove monete:
5
lire |
iscudu |
1
lira |
francu |
½
lira o 50 centesimi |
pezza |
25
centesimi |
mesu
pezza |
10
centesimi |
su
soddu |
5
centesimi |
tres
arrealis |
1
centesimo |
arreali |
Il Piras nel suo libro Le monete della Sardegna fa conoscere il potere d’acquisto della moneta in circolazione agli inizi
del secolo scorso. Si ritiene interessante trascrivere integralmente quanto
egli dice a pagine 255 di detto libro:
“Nel 1812
la zecca di Cagliari batte i nuovi reali a nome di Vittorio Emanuele I°.
Quattro di queste monete, vale a dire una lira sarda, costituivano allora la
paga giornaliera di un operaio qualificato. Un manovale comune guadagnava la
metà. A una donna di servizio, oltre il vitto e l’alloggio, si davano 20 reali
(5 lire sarde) al mese. La stessa paga riceveva un garzone di bottega. Con un
reale si comprava un chilo di buona carne di manzo (era forse questa, tra gli
alimentari, la voce più a buon mercato) o un chilo scarso di pasta, o mezzo
chilo di formaggio sardo (il parmigiano costava sei volte tanto!) o dieci uova,
o un litro d’olio, o due litri abbondanti di vino. Il pane era caro, costava
quanto la carne. Per un paio di scarpe comuni da uomo occorrevano 16 reali,
quindi otto giorni di lavoro di un manovale, o quattro di un muratore; il
doppio occorreva per un cappello a falde di tipo corrente. La sola confezione
di un abito da uomo costava 24 reali; 10 quella di un abito semplice da donna;
ma un abito di lusso, compresi i tessuti, poteva costare fino a 1.500 reali. In
un ristorante della Marina, a Cagliari, si faceva un buon pranzo con 5 reali.” [2]
Circa l’ubicazione
della zecca di Cagliari non si hanno notizie precise, ma in un documento del
1626 si accenna ad una “casetta dove
anticamente si batteva moneta” situata alle spalle della fontana di San
Pancrazio e del monastero della Concezione. Sembra però che nell’ultimo periodo
della loro dominazione gli spagnoli abbiano trasferito la zecca in un locale
presso la Torre dell’Elefante.
Fanno seguito i prospetti contenenti
l’elenco delle monete coniate presso le zecche di Cagliari (Bonaria e
Castello), nonché l’elenco di quelle monete di probabile attribuzione alla
Sardegna.
Qui di seguito si elencano le monete
coniate dalle zecche di Bonaria e Castello (Cagliari), durante gli oltre 400
anni (dal 1297 al 1718) di dominazione Aragonese e Spagnola e i 120 anni (dal
1720 al 1842) dell’epoca Sabauda.
1 |
Giacomo II°
d’Aragona |
1291-1327 |
alfonsino minuto[3] |
mistura |
2 |
Giovanni I°
d’Aragona |
1387-1396 |
alfonsino minuto |
mistura |
3 |
Martino I°
d’Aragona |
1396-1410 |
picciolo |
mistura |
4 |
Alfonso V°
d’Aragona |
1416-1458 |
alfonsino d’argento
(o reale) |
argento |
5 |
|
|
mezzo alfonsino d’argento (o mezzo reale) |
argento |
6 |
|
|
denaro reale |
mistura |
7 |
|
|
alfonsino minuto |
mistura |
8 |
|
|
picciolo |
mistura |
9 |
Giovanni II°
d’Aragona |
1458-1479 |
reale minuto |
mistura |
10 |
Ferdinando II° d’Aragona |
1479-1516 |
reale |
argento |
11 |
|
|
reale (con effige
del re) |
argento |
12 |
|
|
mezzo reale |
argento |
13 |
|
|
reale minuto |
mistura |
14 |
|
|
cagliarese |
mistura |
15 |
|
|
due cagliaresi |
mistura |
16 |
Carlo V° imperatore |
1516-1556 |
scudo d’oro |
oro |
17 |
|
|
3 reali |
argento |
18 |
|
|
2 reali |
argento |
19 |
|
|
reale |
argento |
20 |
|
|
cagliarese |
mistura |
21 |
Filippo II° di
Spagna |
1556-1598 |
10 reali |
argento |
22 |
|
|
5 reali |
argento |
23 |
|
|
3 reali |
argento |
24 |
|
|
2,5 reali |
argento |
25 |
|
|
2 reali |
argento |
26 |
|
|
reale |
argento |
27 |
|
|
3 cagliaresi |
mistura |
28 |
|
|
cagliarese |
mistura |
29 |
Filippo III° di
Spagna |
1598-1621 |
5 reali |
argento |
30 |
|
|
6 cagliaresi (soldo) |
mistura |
31 |
|
|
3 cagliaresi |
mistura |
32 |
|
|
cagliarese |
mistura |
33 |
Filippo IV di
Spagna |
1621-1665 |
10 reali |
argento |
34 |
|
|
5 reali |
argento |
35 |
|
|
2,5 reali |
argento |
36 |
|
|
reale |
argento |
37 |
|
|
soldo |
mistura |
38 |
|
|
3 cagliaresi |
mistura |
39 |
|
|
2 cagliaresi |
mistura |
40 |
|
|
cagliarese |
mistura |
41 |
Carlo
II° di Spagna |
1665-1700 |
10
reali (maltagliato) |
argento |
42 |
|
|
5
reali |
argento |
43 |
|
|
2,5
reali |
argento |
44 |
|
|
reale |
argento |
45 |
|
|
½
reale |
argento |
46 |
|
|
3
cagliaresi |
rame |
47 |
|
|
cagliarese |
rame |
48 |
Filippo V° di
Spagna |
1700-1719 |
scudo d’oro |
oro |
49 |
|
|
2,5 reali |
argento |
50 |
Carlo III°, poi VI
imperatore |
1708-1718 |
scudo d’oro |
oro |
51 |
|
|
2,5 reali |
argento |
52 |
|
|
3 cagliaresi |
rame |
53 |
|
|
cagliarese |
rame |
54 |
Vittorio Amedeo
III° di Savoia |
1773-1796 |
reale (pezza) |
mistura |
55 |
Carlo Emanuele IV°
di Savoia |
1796-1802 |
reale |
mistura |
56 |
Vittorio Emanuele
I° di Savoia |
1802-1821 |
reale |
mistura |
57 |
|
|
3 cagliaresi |
rame |
Nell’elenco di cui
sopra non è stata inserita la 58^ moneta – alfonsino
d’oro – coniata nel Castello di
Cagliari nel 1339, per volere di Pietro IV d’Aragona (1336-1387), perché,
sinora, non ci è pervenuto alcun esemplare di questa moneta.
ETA’
BIZANTINA (551- fine sec. X)
MONETE CONIATE IN SARDEGNA
E ATTRIBUITE ALLA ZECCA DI CAGLIARI
1 |
Costantino IV° |
668-685 |
solido |
oro |
2 |
|
|
tremisse |
oro |
3 |
|
|
follis |
rame |
4 |
Giustiniano II° (primo regno) |
685-695 |
solido |
oro |
5 |
|
|
follis |
rame |
6 |
|
|
mezzo follis |
rame |
7 |
Leonzio III° |
695-698 |
tremisse |
oro |
8 |
|
|
mezzo follis |
rame |
9 |
Tiberio III° |
698-705 |
solido |
oro |
10 |
|
|
tremisse |
oro |
11 |
|
|
mezzo follis |
rame |
12 |
Giustiniano II° (II° regno) |
705-711 |
solido |
oro |
13 |
|
|
tremisse |
oro |
14 |
Artemio Anastasio
II° |
713-715 |
solido |
oro |
15 |
|
|
tremisse |
oro |
16 |
|
|
mezzo follis |
rame |
17 |
Teodosio III° |
716 |
solido |
oro |
18 |
|
|
tremisse |
oro |
19 |
Leone III° |
717-720 |
solido |
oro |
20 |
|
|
tremisse |
oro |
L’esistenza
di altri tremissi di provenienza
sarda, coniati regolarmente su imitazione delle ultime monete di Leone III°,
pare dimostrare che, ancora per qualche tempo dopo il 720, ci sia stata in
Sardegna una certa attività monetaria.
MONETE DI PROBABILE
ATTRIBUZIONE ALLA SARDEGNA
1. |
Zecca incerta della
Magna Grecia (VI-V sec. a.C.) |
didracma |
argento |
2. |
Zecca incerta della
Magna Grecia (VI-V sec. a.C.) |
diobolo |
argento |
3. |
Zecca incerta della
Magna Grecia (VI-V sec. a.C.) |
triemitartemorion |
argento |
4. |
Zecca di Taormina (III° sec. a.C.) |
bronzo |
bronzo |
5. |
Zecca punica
incerta (241-238 a. C.) |
grande o medio
bronzo |
bronzo |
6. |
Zecca punica
incerta (241-238 a. C.) |
piccolo bronzo |
bronzo |
7. |
Zecca punica incerta
(241-238 a. C.) |
piccolo bronzo |
bronzo |
BREVE STORIA
DEL SANTUARIO DI N. S. DI BONARIA
Come si sa, la zona
sulla quale sorgono il Santuario e la Basilica di Bonaria e le sue adiacenze
furono abitati fin dai tempi molto antichi. Già era stata necropoli pagana e,
probabilmente, come tutte le alture, luogo di culto punico e forse anche
protosardo. Bonaria è uno dei più antichi rioni della città; più antico del
Castello.
Bonaria è un nome che ha fatto molta
strada fino ad approdare in Argentina e diventare quello della capitale.
Infatti l’attuale Buenos Aires deriva dall’essere stata la città dedicata dal
fondatore (1535) don Pedro de Mendoza, alla Madonna di “Buon’aria”. Nè lo hanno
scordato i Catalani. In pieno “Casco antiguo” di Barcellona vi è tuttora la
“Calle de Bonaire”.
Il Santuario, che
appartiene ai Frati Mercedari, fu edificato tra il 1323 ed il 1326 dai
Catalano-Aragonesi, sotto il Regno di Giacomo II° d’Aragona, sul colle
cinto di mura che costituiva, in quel tempo, il quartiere generale
dell’esercito guidato dall’infante Alfonso d’Aragona, durante l’assedio al
Castello di Cagliari, allora sotto la dominazione pisana. Il Santuario ed il
convento rappresentano il più antico esempio di architettura religiosa
gotico-catalana nell’isola. Dell’antico complesso è ancora oggi visibile la
parte absidale con la torre campanaria.
Di epoca più recente è invece la
Basilica, la cui prima costruzione risale al XVIII secolo e che fu completata
soltanto nel 1956.
All’interno del Santuario è conservata
la statua lignea della Madonna di Bonaria alla quale è legata un’antica leggenda. Nel 1370, durante la navigazione dalla Spagna verso
l’Italia, l’equipaggio di una nave fu costretto, a causa di una tempesta, a
gettare in mare tutto il suo carico, compresa una cassa contenente la statua
della Madonna. Proprio in quel momento la tempesta di placò e l’equipaggio fu
salvo. La cassa approdata sulla riva del mare ai piedi del colle - dove oggi
una colonnina ricorda il punto del miracoloso approdo - fu trovata dai frati
Mercedari e portata al Santuario. Si racconta che la statua sistemata
provvisoriamente in luoghi diversi all’interno della chiesa, veniva ritrovata
sistematicamente, con grande meraviglia e stupore da parte dei padri mercedari,
nell’altare maggiore ove ancora oggi è situata.
Dopo l’approdo della Vergine, non vi fu
sovrano di Spagna o di Savoia che non salisse il colle del miracolo a rendere
omaggio a Maria. D’altronde, Bonaria è
stata sempre testimone del passaggio di grandi personaggi: in quelle acque,
dall’8 all’11 luglio del 1270, sostarono San Luigi re di Francia, il re di
Navarra, i conti di Potiers, di Fiandra, di Bretagna ed il fior fiore della
nobiltà francese che si dirigevano, crociati, in Terra Santa.
La Madonna di Bonaria è stata eletta
protettrice dei naviganti e dei marinai, nonchè Patrona della Sardegna ed è
molto venerata dai sardi tanto che il Santuario è meta di numerosi
pellegrinaggi da parte dei fedeli. La prima domenica di luglio si celebra con
larga partecipazione di folla, una festa con riti religiosi durante la quale il
Simulacro viene portato in processione a mare.
Annesso
al Santuario esiste un interessantissimo museo che conserva antichi arredi
sacri e tantissimi ex-voto offerti dai fedeli alla Madonna. Esso, nel suo
genere, si pone senz’altro tra i più importanti di tutta Italia. Il museo degli
ex-voto di Bonaria è situato in uno dei dodici cisternoni che costituivano in
passato il rifornimento d’acqua della grossa popolazione conventuale.
Di esso Francesco Alziator scrive: ”Per la verità, quelle pareti di grotta che
isolano dal mondo circostante, annegando le cose nel silenzio, contribuiscono a
dare al luogo una tonalità un po’ sepolcrale che crea una singolare atmosfera
carica di quel potenziale emotivo che è in ogni disperata invocazione
all’Eterno”.
Sin dall’alba della vita, l’uomo ha
cercato di forzare la volontà degli dei promettendo ad essi doni se avessero
concesso grazie. Questo processo, che è alla base degli ex-voto, sopravvive
anche nelle religioni monoteistiche e nella stessa Genesi. I famosi bronzetti
nuragici altro non sono che ex-voto ed in certe elaboratissime fogge di pane
che si prepara in Sardegna per le feste c’è l’evidente discendenza di antichi
ex-voto.
Questi di Bonaria sono in larga parte
ex-voto di scampati al naufragio o alla schiavitù in terra d’Africa; non
mancano offerte di sovrani e di gente dal nome illustre come le corone d’oro
offerte, nel febbraio 1818, da Vittorio Emanuele I° e da Maria Teresa.
Paramenti, ostensori, calici e reliquiari preziosi, dono di principi e prelati.
C’è anche una luccicante grossa ancora d’argento offerta dalla regina
Margherita di Savoia in occasione della spedizione polare di Luigi degli
Abruzzi.
Come raccolta navale, il Museo di Bonaria è di importanza davvero eccezionale per la rarità di taluni pezzi. Le miniature navali costituiscono una delle più importanti antologie di storia della navigazione. Meritano menzione una galea d’avorio del secolo XIV e un’altra in argento di data incerta.
Il Museo presenta infine una inattesa
curiosità: alcuni cadaveri mummificati appartenenti, a quanto si sa, a Martino
Alagon, sua moglie Isabella di Requiseng e ai loro familiari. Esiste infatti un
atto del 23 ottobre 1604 con il quale, per milleottocento lire sarde, Isabella
di Requiseng acquista il diritto di sepoltura per la sua famiglia nel Santuario
di Bonaria.
Merita una visita anche il Cimitero
monumentale dove hanno pace vicino ai Cagliaritani, i dimenticati morti della
necropoli dei tardi tempi di Roma e dei primi cristiani nonchè i morti di
Alfonso d’Aragona che perirono durante l’assedio di Castello. Quelle antiche
tombe che stanno (o che stavano) sul lato orientale della scala dinanzi alla
Basilica, nessuno le protegge né tanto meno se ne cura la municipalità
cagliaritana che ha riservato loro la più assoluta indifferenza.[4]
Natalino
Ridolfini
Via
Pessina, 36
09125
Cagliari
e-mail
natalinorid@tiscalinet.it
[1] - F. Casula, Conversazioni sulla storia, ed. L’Unione Sarda, 20/XI/1997;
- E. Piras, Le monete della Sardegna, ed. Fondazione del Banco di Sardegna, 1996;
- F. Floris, Breve storia della sardegna, ed. Tascabili Economici Newton, aprile 1997;
- AA.VV., Enciclopedia Motta;
[2] - E. Piras, Le monete della Sardegna dal IV secolo a.C. al 1842, Ed. Fondazione Banco di Sardegna, 1996;
- A. Boscolo, Profilo storico della città di Cagliari, Ed. Della Torre, luglio 1981;
- F. Floris, Breve storia della Sardegna, Ed. Tascabili Economici Newton, aprile 1997;
- M. Sollai, Monete coniate in Sardegna (1289-1813), Ed. Gallizzi, Sassari, 1977;
- D. J. Arce, La Spagna in Sardegna, ed. T.E.A., Cagliari 1982;
- E. Birocchi, Zecche e monete della Sardegna nei periodi di dominazione aragonese – spagnola, ed 3T, Cagliari.
[3] di questa moneta ne esistono due tipi e furono coniati dalla zecca di Bonaria
[4] - Sardegna on line, Vivi Cagliari, Magazine;
- F. Alziator, L’elefante sulla torre – itinerario cagliaritano, Ed. 3T, Cagliari, 1982
- D.J. Arce, La Spagna in Sardegna, ed T.E.A, Cagliari 1982.