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Ruolo della corioamniosite nella patogenesi del parto pretermine e dell'outcome del neonato
Giuseppe Buonocore (1), Paolo Toti (2)
Università degli Studi di Siena
(1)Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione,
(2)Istituto di Anatomia e Istologia Patologica

La nascita di un feto prima del termine dell'età gestazionale comporta il non completo sviluppo di vari organi ed apparati e rende estremamente difficile nel periodo neonatale l'adattamento alle mutate condizioni di vita extrauterina. Le complicazioni cliniche della prematurità sono conosciute ma la possibilità di controllarle e di prevenirle è ancora oggetto di studi data la complessità dei fattori patogenetici che ne sono alla base.

Il miglioramento della qualità dell'assistenza ai neonati pretermine ne ha drasticamente ridotto la mortalità ma la morbilità rimane ancora sensibilmente elevata (si pensi ai tassi di incidenza delle paralisi cerebrali, stabili a livelli del 6-8 % nella popolazione con peso < 2500 grammi) nonostante i progressi di questi ultimi anni.

Queste considerazioni di ordine epidemiologico rendono altamente suggestiva l'ipotesi che la morbilità dei neonati di bassa epoca gestazionale possa essere fortemente influenzata da fattori contingenti di tipo ostetrico. L'evidenza sperimentale che la somministrazione di tossine batteriche in modelli animali invariabilmente esiti in aborto o nell'innesco del parto e la nota associazione tra infezione materna (pielonefriti, polmoniti) e parto pretermine o aborto sottendono un probabile rapporto di causalità tra infezione materna e genesi del parto pretermine.

Nel complesso le infezioni gravidiche materne a sede extrauterina, grazie alle moderne possibilità di diagnosi e trattamento, inficiano solo marginalmente la prognosi del feto e del neonato. Pertanto l'attenzione di ostetrici e neonatologi si è rivolta al ruolo delle infezioni intrauterine. Sul piano fisiopatologico le infezioni intrauterine possono esser classificate come infezioni extra-amniotiche e intraamniotiche a seconda della localizzazione dei microorganismi.

Con il termine “Corioamniosite” (CA) si fa riferimento alla colonizzazione da parte di microorganismi patogeni della placenta, della decidua, delle membrane e del liquido amniotico in presenza di reazione infiammatoria (infiltrazione di polimorfonucleati) e di positività degli esami colturali allestiti sul liquido amniotico o su tessuti amniocoriali.. Il termine “Corioamniosite clinica” fa riferimento alla sindrome clinica derivante dalla localizzazione dei patogeni che si estrinseca con febbre e dolore localizzato; in realtà solo il 30-35% delle donne con corioamniosite istologica ha anche una corioamniosite clinica rendendo pertanto difficile il riconoscimento di questa condizione e l'adeguata gestione della madre ed eventualmente del neonato.

Attualmente, l'unico sistema diagnostico unanimemente riconosciuto e accettato come sensibile ed accurato per la corioamniosite è l'esame istologico della placenta. La presenza di infiltrato infiammatorio acuto nella decidua, nella placenta, nelle membrane, nel cordone ombelicale (granulociti neutrofili polimorfonucleati) rappresenta il dato morfologico caratteristico. Ad oggi numerosi studi hanno evidenziato che la corioamniosite è associata in maniera statisticamente significativa a numerose condizioni morbose (minaccia d'aborto, rottura prematura delle membrane, parto pretermine) che possono compromettere il benessere feto-neonatale. La corioamniosite è un importante fattore di rischio per numerose patologie del neonato, quali sepsi, malattia delle membrane ialine, displasia broncopolmonare, emorragia intraventricolare, leucomalacia periventricolare, enterocolite necrotizzante.

La corioamniosite può essere considerata un modello di sindrome da risposta infiammatoria fetale. Associate a corioamniosite, sono state infatti riportate modificazioni nella composizione del liquido amniotico ed umorali nel neonato così come modificazioni morfologiche del sistema emolinfopoietico sia nel neonato sia nel feto. Recenti lavori suggeriscono che l'incremento del Macrophage Migration Inhibiting Factor (MIF), costituente fisiologico del liquido amniotico, potrebbe contribuire agli eventi che determinano il travaglio. E' stato stimato che circa il 36% dei casi di parto prematuro associato a rottura di membrane inferiore a un'ora mostra vasculite fetale. Infezione fetale può avvenire anche senza rottura delle membrane, poichè i germi possono colonizzare il liquido amniotico e raggiungere il feto attraverso la cute e le mucose del tratto respiratorio e digestivo. I batteri possono infettare il feto anche per via ematica, penetrando la circolazione fetale attraverso i capillari dei villi, i grossi vasi della superficie placentare fetale, i vasi del cordone ombelicale.

Sono stati proposti diversi parametri istopatologici per graduare la corioamniosite, basati sulla identificazione dei diversi compartimenti placentari dove è presente infiltrato infiammatorio, cioè la decidua (deciduite), le membrane (amniosite), il compartimento placentare materno (lacune vascolari tra i villi, intervillosite), l'interno dei villi (villite acuta), la parete dei grossi vasi della superficie placentare fetale (corionite) e la parete dei vasi del cordone ombelicale (funisite).
Nostri recenti studi si sono proposti di correlare i vari aspetti istopatologici degli annessi fetali interessati dalla corioamniosite con il quadro clinico neonatale. Abbiamo dimostrato che esiste un'associazione statisticamente significativa tra ridotte dimensioni del timo ed una pregressa corioamniosite. Dati preliminari sembrerebbero individuare dei rapporti significativi tra corioamniosite e:

Di recente abbiamo segnalato una possibile associazione tra infezione intrauterina e danno cerebrale. E' stato infatti osservato che nei feti affetti da micropoligiria, affezione di origine sconosciuta, sono costantemente presenti i segni di lesioni infiammatorie gravi placentari caratteristiche della corioamniosite.
Inoltre dalla nostra casistica risulta che l'infezione intrauterina dimostrata dalle lesioni placentari si associa a maggiore frequenza e gravità della pneeumopatia cronica del pretermine e della sindrome da stress respiratorio. In accordo con le esperienze sperimentali, l'ipotesi secondo cui l'infezione è capace di provocare emorragie cerebrali, apoptosi, necrosi e alterazioni della sostanza bianca via mediatori dell'infiammazione quali IL-1b, IL6, e TNFa, sembra attualmente confermata da indagini condotte anche nel nostro laboratorio.

Questi risultati costituiscono un grosso passo in avanti nella via della possibile prevenzione sia del parto pretermine che della sofferenza cerebrale.


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