Pagine Personali di  Gilberto Nignoli  - Ricordi dalla Pazzia (frammenti..)


Difficile permanenza in famiglia  (1)

                                                                                   [1980-88 ,....] 
E' un fatto abbastanza assodato ..

C'è il fatto molto frequente che i pazzi se la prendono con i familiari e tentano in parecchie maniere di rompere i legami con la famiglia(1), e questo, una volta toltisi il paraocchi pazzia=malattia e dando quindi un minimo di credito a noi pazzi, dovrebbe già di per sé bastare a far ritenere che il ritorno e poi la permanenza nella famiglia di partenza per chi ha fatto un salto nella pazzia, non sia un'operazione sempre giusta. Può essere però che il pazzo -io pazzo l'ho fatto- si sia montato la testa e la decisione di andarsene sia più un colpo di testa, un tentativo di andar via, di cambiare, che un'autentica impossibilità a permanere nella vecchia famiglia. Anche questo desiderio / tentativo di cambiare, di andarsene é legittimo e andrebbe dunque ugualmente rispettato. 
Ma sono motivi 'normali'; però ci sono motivi più forti 'speciali' di noi pazzi: perché ci sono fatti interni alla famiglia, difficilmente rilevabili da osservatori esterni, che rendono molto difficoltosa la permanenza di un 'pazzo' all'interno e che costituiscono la base autentica, forte, di molti dei tentativi d'allontanamento o comunque di rottura, di liti furibonde apparentemente senza motivo. Questi fatti giacciono spesso purtroppo nell'ambito dei sensi acuiti della/dalla pazzia e non sono quindi ritenuti molto validi dagli osservatori esterni. Però per noi pazzi sono validissimi.
Ne racconto, di questi motivi di incompatibilità di vita in famiglia, casi di ordinaria - sempre 'strana' per osservatori esterni - pazzia, se riuscirò a superare il tabù che non permette di sciorinare cose familiari, un paio:
 

spersonalizzarmi in presenza di mio padre

Per un lungo periodo di tempo, all'incirca un paio d'anni, non potevo stare in presenza di mio padre senza sentirmi spersonalizzato nella ragazza di cui ero innamorato in quel momento (Lorenza). Come ho descritto altrove (vedi....) la spersonalizzazione per me consisteva nel recitare mio malgrado, cioè forzosamente, senza volerlo, la parte di una persona da me ben conosciuta, nel caso in questione appunto tale ragazza. 
Rammento ai lettori che questo recitare è più forte di quel che ritengo sia l'impersonare un personaggio per un attore di professione, perchè non solo assumevo, sentivo di assumere, gli stessi modi del porgersi e del parlare di Lorenza, ma addirittura mi sentivo lei nel viso, talvolta nel corpo, quasi sempre mi sembrava anche di 'guardare con i suoi occhi', proprio come se avessi le stesse palpebre e la stessa vista dell'esterno di lei. 
Ma il punto è che questa spersonalizzazione in tale ragazza era forzosa, non potevo farne a meno se ero in presenza di mio padre. Se invece mio padre non era presente, tale spersonalizzazione in Lorenza avveniva molto più raramente. Ed ero arrivato al convincimento che questo era dovuto al fatto che mio padre sarebbe stato molto contento che io avessi portato a casa questa ragazza come moglie, per avere lei intorno per casa e non solo me e mia madre.

In effetti da spersonalizzato in Lorenza l'interazione con mio padre la vivevo come se mi stesse facendo se non la corte dei complimenti ad una donna giovane da parte di un anziano ed ero una donna giovane molto irritata da questa quasi-corte tanto più perché il convivere assieme all'anziano era subito, si approfittava della situazione di vivere assieme.

Avevo escogitato degli accorgimenti per evitare questa spersonalizzazione, come girarmi da un'altra parte, pensare ad altro. Ma bastava che mio padre mi rivolgesse la parola - specialmente se con un minimo di polemica nella voce- che subito diventavo lei inviperita a rispondergli e dovevo fare sforzi enormi per non farlo, sforzi che non sempre ero disposto a fare. Un altro modo più efficiente di evitare la spersonalizzazione era spersonalizzarmi volontariamente prima che arrivasse mio padre, di solito a pranzo e a cena, in qualche personaggio meno pericoloso, così che l'interazione non diventasse subito aspramente polemica; tanto più che mio padre sembrava contento che io diventassi quella lei polemica. Avevo escogitato - in lunghi pensamenti - che un'altra ragazza che conoscevo, di carattere molto diverso, sarebbe potuta andare bene. E così fu, infatti; però dovevo fare uno sforzo di concentrazione per 'essere' lei, quest'altra ragazza, sia inizialmente che durante la compresenza con mio padre ; dovevo cambiare posto a tavola, parlare di determinati argomenti e così via.., perché altrimenti perdevo -o almeno ritenevo che l'avrei persa, non ricordo bene- l'impersonare quest'altra ragazza. Mio padre ne risultava un pò seccato, avrebbe preferito la polemica con quella di prima, mentre questa lo teneva a distanza.

Chiaramente però questa situazione non andava bene. Io ero innervosito abbastanza da questo fatto. Tanto più che i miei genitori mi chiedevano se stavo male di nuovo (intendendo pazzia) e perché non mi facessi una cura, o addirittura non mi ricoverassi in clinica per qualche settimana.. . Perciò evitavo il più possibile di tornare a pranzo a casa. Anzi mi diedi da fare per andare via e trasferimi in un'altra città. Come dopo un certo tempo riuscii a fare.

[Per completezza, se non racconterò meglio altrove, debbo aggiungere che con questo trasferimento non risolsi tutti i problemi, perché nella città lontana non riuscii ad evitare (vedi...) di non tanto spersonalizzarmi quanto immaginarmi continuamente - senza poterlo evitare - di avere sempre vicino un amico che lasciai nella città d'origine. Cioè il cambiare residenza ridusse una pazzia ma ne creò un'altra. Forse avrei dovuto non al..   .... ]
 

impossibilità a mangiare in presenza di mia madre per pizzichio alle mani

Invece in presenza di mia madre mi era quasi sempre difficile mangiare a pranzo e a cena per un altro fenomeno che i medici chiamerebbero psicosomatico. Questo fenomeno prendeva di regola la forma di pizzichio alle mani, ma un pizzichio selettivo. Per esempio se tentavo di mangiare una determinata pietanza, preparata da mia madre, che era lì presente, un notevole pizzichio alle mani mi rendeva difficile tenere la forchetta; cosa che invece non avveniva, lo stesso giorno lo stesso pasto, con altre pietanze. Avrei dovuto quindi mangiare certe cose e non altre, senza riuscire a giustificare di fronte ai miei genitori lì presenti il rifiuto di alcune. C'è da specificare che in quel periodo disegnavo e dipingevo e avevo come regola che se ad un certo momento tenendo in mano un determinato pennello con un certo colore, le dita che tenevano il pennello cominciavano a pizzicarmi, smettevo con quel colore: cambiavo colore o talvolta tipo di pennello o smettevo quel lavoro: il pizzichio infatti scompariva subito. 

Il pizzichio alle mani era dunque un segnale di errore ben fermo e anche nel caso della forchetta avrei dovuto non mangiare. Però se lo facevo, se non mangiavo quella pietanza, mia madre si arrabbiava e usciva fuori che stavo di nuovo male [intendendo pazzia] e avrei dovuto fare una cura! Avrei potuto trasgredire questo segnale di pizzichio, come in effetti spesso facevo, perché non è che mi venisse l'orticaria alle dita. Però lo ritenevo - e ritengo tuttora - sbagliato e mi chiedevo perché mai questi tabù alimentari. Se mangiavo con la mano sinistra il pizzichio spesso scompariva; ugualmente talvolta se cambiavo posto a tavola. Ovviamente non era un mangiare tranquillo per me e non c'era molta tranquillità in famiglia, perchè al solito i miei genitori uscivano fuori a dire che stavo di nuovo male (intendendendo ovviamente pazzia) e che mi facessi una cura, peggiorandomi ancor più l'umore già fortemente irritato.

Alle volte le mie manovre di riuscire a mangiare senza trasgredire la sensazione di pizzichio - mi pare di ricordare che oltre a quel che ho sopra ricordato spostassi gli oggetti in tavola, cambiassi piatto o bicchiere, fino ad andare a mangiare in un'altra stanza, che funzionava quasi sempre ma mi attirava le ire di mio padre, per il non rispetto della consuetudine-rito di mangiare tutti insieme -, queste mie manovre non riuscivano e provavo effettivamente il supplizio di Tantalo: di aver fame, un piatto davanti con una pietanza che mi piaceva, ma non poter mangiare senza trasgredire il sesto senso (il pizzichio alle mani) e il rispetto di me stesso, delle mie convinzioni sul pizzichio. E se trasgredivo la sensazione, succedeva abbastanza spesso che i sapori mi cambiassero in bocca fino a sopraggiungere una nausea improvvisa e non potessi proprio mangiare. E me ne andavo senza mangiare. A volte, il più delle volte, mangiavo trasgredendo le sensazione ma mi arrabbiavo molto con me stesso e con mia madre, che ero ormai giunto a ritenere colpevole di non sapere o volere preparare un mangiare a me adatto. Guardando bene, riuscivo a trovare che avesse messo nella pietanza qualcosa, un'erba del tipo basilico che a me non piaceva ma che secondo lei era un 'odore' che andava messo. E così mi arrabbiavo per questo.

Per completezza del resoconto specifico che non mi successe mai di spersonalizzarmi, cioè di sentirmi un altro, come nei casi precedentemente narrati che avvenivano quando c'era anche mio padre presente, nel mangiare quando ero solo con mia madre.
 

Comunque questo problema cominciò quando pranzavo con i miei genitori e tornava a ripresentarsi ogni volta che tornavo da loro. Mi formai la convinzione che il mangiare, le pietanze, avessero un valore simbolico corrispondente a situazioni esterne, a mie particolari relazioni personali esterne. 
Che queste pietanze preparatami da mia madre non andassero bene era dovuto al fatto che corrispondevano a dover subire/sorbire situazioni esterne che non mi andavano bene, che forse in una maniera magica, pur senza rendersene conto coscientemente, mia madre mi voleva ciononostante propinare. Cercavo di spiegarmi del perché di tale sensazione urticante proibente: se io avessi mangiato tali pietanze, forse era come accettare le corrispondenti situazioni esterne di vita rappresentate simbolicamente dalle pietanze. Quando andavo in giro fuori in quei tempi mi lasciavo guidare per dove andare, cosa fare, dal sesto senso; facevo fare all'incoscio delle scelte, scelte forse collegate, corrispondenti alle pietanze mangiate, ragionavo; che se erano sbagliate, mi avrebbero portato a sbagli. Mi pare una volta che nel mio studio di pittore a D*, feci un quadro che secondo la mia intuizione-speranza mi avrebbe migliorato la vita finalmente, come rappresentasse un nuovo programma di vita; tornato a casa dai miei genitori a pranzo, una pietanza che di solito mangiavo tranquillamente non riuscii proprio a mangiarla per forti sensazioni contrarie. Pensai, mi pare di ricordare, che con la nuova situazione inaugurata da questo quadro quella vecchia pietanza andava esclusa; con arrabbiatura di mia madre. E' in questo senso che ritenevo mia madre mi volesse bloccare su vecchie situazioni o forzare a decisioni inconsapevoli scelte da lei, in questo senso di simboli sbagliati le pietanze erano 'magicamente' sbagliate.  Magicamente nel senso che avrebbe cambiato i miei schemi interni, che quando fossi andato in giro fuori affidandomi al sesto senso, di conseguenza del mangiato, dei simboli associati, avrei fatto scelte più favorevoli a lei che a me.

Anche incominciavo in quei tempi a pensare ad erbe medicinali. Fu in quei giorni che ebbi una breve visione di Lorenza che curava una piccola scottatura di una sua amica masticando una foglia di una coccia di verdura che aveva per arredamento. Qualche mese dopo mi preparai una minestra curativa che fece effettivamente scomparire le emorroidi di cui soffrivo. Quindi le intuizioni-sensazioni di cosa mangiare se giusto o sbagliato avevano senso - erano fondamentalmente giuste (però questo lo posso asserire col senno di poi, in quei giorni erano un mistero !).
 

Ora, a distanza di anni, non ho cambiato sostanzialmente idea su questa ipotesi del valore simbolico delle pietanze, corrispondenti a situazioni esterne immangiabili(2), per quanto l'ipotesi magica non è strettamente necessaria: è il fatto stesso del vivere con i genitori che mi rendeva difficoltose le altre relazioni od un mio diverso divenire. Ma soprattutto gli affetti, il buon umore nella famiglia , l'accettazione empatica reciproca, sono/erano definitivamente tramontati; proprio come in una famiglia deteriorata.

Effettivamente io mi comportavo, anzi vivevo proprio come se fossi già sposato con Lorenza (che invece stava con un altro) e volessi andare di casa fuori, via dalla vecchia famiglia. A parte questa fantasia pazzesca, gli affetti erano comunque deteriorati e questo pesa, qualunque spiegazione si dia, pazzesca o no. Dovevo andarmene e basta.
 

Con mia madre la lotta su cose simboliche andò avanti per anni su molte cose, non solo sulle pietanze, su molti oggetti. In particolare ricordo un vaso di ciclamini rosa chiaro, che lei voleva assolutamente tenere nella sala dove spesso stavo. Secondo me quei ciclamini rappresentavano proprio Lorenza, aveva un abito di quel colore, anche la sua pelle di quel colore, però Lorenza pochi mesi prima si era messa a convivere con un altro.. ! Io non volevo quindi quel vaso di ciclamini, molto vistoso e festoso, vicino a me. Il metterlo fuori della finestra però mi attirava subito l'accusa di essere di nuovo impazzito.
 

Comunque da questi casi, che furono poi i principali per quanto riguardò le mie personali difficoltà familiari, dovrebbe chiaramente risultare la difficoltà a permanere nella famiglia. A meno che, al solito, non si neghi validità a tali stati, sentimenti, sensazioni dicendo che è perché uno è malato che prova tali sensazioni. Sostenere cioè la solita manfrina che è una malattia da curare, non autentiche motivate repulsioni! Quest'ipotesi della malattia purtroppo giustifica sempre tutto! Ma è proprio questa accusa sempre pronta dietro lo spigolo, di essere pazzo/malato, un altro motivo, probabilmente proprio il principale, per farci arrabbiare e litigare in famiglia. Dal nostro punto di vista al massimo ci eravamo montati la testa; sperato in avvenimenti, relazioni, che poi non si sono verificati. Affar nostro. La malattia a noi non ci risulta. Ma con il sospetto sempre dietro l'angolo e subito che esce fuori, di non essere affidabili, di essere malati, pazzi ! , la fiducia viene irrimediabilmente a mancare! Ci si chiude in umore tetro, giornate e giornate, a rimuginare difficili tentativi di andare via a stare per proprio conto, o a rinunciare anche a questi rimuginamenti.
 

Per completezza dei fatti debbo specificare che il prudere delle dita si manifestò anche in seguito, quando andai via dalla mia famiglia di origine (o dal frequentarla regolarmente) e stetti per lungo tempo da solo.

Appunto anche quando abitavo da solo mi successe per un certo periodo che mi prudevano le dita mentre mangiavo, quindi a stretto rigore non potrei incolpare la presenza di mia madre, proprio mia madre quindi, e non altro per questo fenomeno (come invece feci).

In tali casi, quando mangiavo da solo, superai l'handicap del prudere cambiando pietanza, non mangiandola. Alle volte bastava cambiare tipo di forchetta; c'era una forchetta che mi piaceva come estetica ma non potevo quasi usare affatto mentre un'altra, di forma antipatica mi ricordava Dario, era meno ostica. Avvolgere il manico delle posate in un foglio di plastica quasi sempre risolveva il problema.

Alcune volte fotografai le portate che non riuscivo a mangiare, ripromettendomi di fare uno studio in seguito in proposito. Altre volte ne feci dei disegni; sicuramente resta un quadretto con mi pare due carciofi e una carota in una scodella cilindrica di vetro.

                                                 Gilberto Nignoli        (versione giugno 00).

Note: 
1. Al solito qui ci vorrebbero dei dati statistici autorevoli che non posseggo ma che non ci sono nemmeno a tutt'oggi, stante il fatto che la sicumera pazzia=malattia preclude altre ricerche oltre quelle mediche, ricerche di tipo sociologico che andrebbero invece fatte e da competenti. Posso solo assicurare che oltre il 60% dei pazzi che conosco, una ventina, ha tentato di andarsene e se l'è presa con la famiglia, un alto 20% litiga continuamente con i familiari, il restante 20% non si lamenta e non so. In tutti i casi comunque il problema economico, il costo dell'abitazione soprattutto, è soverchiante.

2. Vedi interpretazione dell'opera d'arte dello scultore torinese: 'dar da mangiare foglie' vedi ...:


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