David

Vita, stile e opere ( testo)
Opere (immagini)

 

 

 

STILE, OPERE E VITA A ROMA

Aveva già 26 anni il David quando, dopo numerose e sfortunate prove, riuscì a vincere nel 1774, il concorso del pensionato per recarsi a Roma. Ed a Roma si trasferì l'anno successivo insieme al Vien, suo maestro, divenuto frattanto direttore dell'Accademia di Francia nella città papale.
Chi conosce i quadri del David anteriori al 1775 sa che essi non hanno nulla a che fare con le opere successive al Giuramento degli Orazi. Il David in quelle pitture dipinge in una maniera equivalente, tanto per intenderci, a quella di un batoniano, con in più, se si vuole, quella grazia o graziosità che a lui deriva dall'aver seguito inizialmente l'ammaestramento, oltre che del Vien, del Boucher. Il suo Combattimento di Marte e Minerva dipinto nel 1771, oggi al Louvre, è un quadro convenzionalissimo con tanto di svolazzi, tendaggi, gale e vapori.
Ma giunto a Roma avviene nel David un fenomeno simile a quello avvenuto (quattro anni più tardi) nel Canova: i pittori che l'interessano di più non sono né quelli della Donus Aurea neroniana o delle Nozze Aldobrandine, né Michelangelo, quanto i vigorosi seicentisti nostrani: Caravaggio, Guercino, Domenichino, Pietro da Cortona, e soprattutto i francesi Valentin e Poussin, attraverso il quale ultimo egli risale a Raffaello.
Tuttavia anche il David viene presto colto da quella passione archeologica da cui gli artisti italiani sembravano, per la loro stessa atavica consuetudine con gli antichi marmi, quasi del tutto immuni. Allora per consiglio di Giraud e del Quatremère de Quincy si pone a ricercare, studiare e copiare a disegno un gran numero di sculture antiche. Anzi, messi da parte colori e pennelli, a Roma riprende a studiare da capo, come un principiante; vuole rifarsi, dimenticare quanto già conosce e sente di esser gravato da troppe convenzioni. Durante il suo soggiorno romano il David riempì dodici volumi di disegni. Di essi, due volumi sono al Louvre e testimoniano la dura volontà e la ferrea disciplina cui si sottopose in quei cinque anni di vita romana.
Il Winckelmann, il Mengs, avevano detto che la pura bellezza era nelle sculture greche e che per divenire buoni pittori era necessario soprattutto studiare la statuaria antica per arrivare alla purezza di contorni e che il colore è elemento di distrazione. Il David segue quell'ammaestramento, ma si avverte che il suo interesse è di altra natura. Quelle statue e le immagini di quei rilievi a lui interessano non tanto per la bellezza che in essi è racchiusa quanto perché gli offrono lo spunto necessario a varcare i limiti di un mondo da lui fino ad allora sognato e nel quale gli eroi che popolano le Vite di Plutarco, avevano dato le più mirabili prove di eccelse virtù.
Più che la bellezza dei marmi, gli interessa la forza e la grandezza morale dei personaggi le cui immagini l'arte classica ci ha tramandato. E' un atteggiamento profondamente romantico del suo spirito.
A Roma il David dipinse pochissimo, ma quando nel 1780, l'anno in cui, dopo aver compiuto un breve soggiorno anche a Napoli, tornò in Francia, ebbe l'incarico di dipingere un quadro per il lazzaretto di Marsiglia con S.Rocco che intercede presso la Vergine per la guarigione degli appestati, fece un'opera che non è più francese ma che non può dirsi neanche del tutto italiana. E così per le tele successive dipinte in Francia, prima del 1784, anno in cui fu creato membro dell'Accademia Reale, e nel quale decise di tornarsene a Roma. Tuttavia, per intendere meglio le sue incertezze stilistiche di quel periodo, è opportuno anche rammentare come nel 1781 egli ultimasse il ritratto del conte Potoki a cavallo. Un ritratto cominciato a Napoli e nel quale è evidente lo spunto dal quadro del Rubens visto in casa Doria d'Angri a Napoli stessa e di cui vi è un ricordo anche in un suo disegno del Louvre.
Nel 1784 dunque, il David decide di tornare da Parigi a Roma. Ha pensato di dipingere un grande quadro nel quale, in un certo modo, condensare il frutto delle sue esperienze e dei suoi studi romani che frattanto, negli ultimi quattro anni trascorsi in Francia, s'erano come decantati nell'animo suo. E' il Giuramento degli Orazi. Un quadro meditato, studiato in ogni particolare prima della partenza ma che egli sente che non può dipingere che sulle rive del Tevere, in quell'ambiente saturo di gloriose memorie, sotto quel cielo, ove, durante il suo lungo soggiorno, gli era parso di aver sentito ancora aleggiare gli spiriti degli antichi eroi.
D'altronde, in quei quattro anni fra l'80 e l'84 anche a Roma l'ambiente s'era venuto gradualmente modificando, e gli orientamenti che in Francia si sintetizzavano nel grande spirito di Diderot, esortante nelle sue opere ad una più alta vita morale, ad una più chiara evidenza e semplicità espressiva, avevano finito col dare i loro frutti. Nell'84, da oltre un anno il Canova era già intento a modellare il suo monumento dei SS. apostoli per papa Clemente XIV, ed eruditi, archeologi, filosofi, poeti italiani e stranieri, soprattutto stranieri, affollavano la piccola Roma papale d'allora. Una città di centomila abitanti appena, e tuttavia un centro vivissimo di cultura, nel quale si respirava un'atmosfera vibrante di esaltazione per le memorie e l'arte degli antichi.
David giunge questa volta a Roma non più come un povero studente che ha finalmente raggiunto il pensionato. Il successo ha già coronato il suo lavoro; ha una moglie ricca, figlia di un saggio mercante, fiducioso nelle capacità del genero ormai illustre; essa lo accompagna, e lo accompagnano anche tre allievi Germain Dronais, Jean-Baptiste Joseph Wicar e il Debret, e due servi.
A Roma si sistema in uno studio in Piazza del Popolo, ancora non trasformata dal genio del Valadier. e subito comincia a lavorare.
Il David si sa, non ha l'immaginazione facile, né Ia fantasia sbrigliata.
Per realizzare un'idea ha quasi sempre bisogno di uno spunto, di un suggerimento, di una sollecitazione. Può trattarsi d'una immagine segnata in un antico cammeo, in un rilievo classico, in una statua, in una medaglia, in un quadro.
Nel Giuramento degli Orazi il gesto dei tre fratelli è ispirato a quello del littore di destra nel Ratto delle Sabine del Poussin; da lì è nato il quadro. Ma il David è un lavoratore metodico: in lui la volontà e l'intelligenza guidano l'estro e la mano. Disegnata tutta la tela, il pittore, aiutato dal Dronais, si mette a lavorare attorno alla figura del padre degli Orazi e la porta a compimento così come la si vede oggi. E poi avanti: un brano, una figura per volta, come facevano i pittori del primo Cinquecento in Toscana, avendo sempre negli occhi l'immagine del quadro finito. E cosi per undici mesi fino al compimento della sua tela. Un'opera altamente programmatica, un vero atto di fede. Il precetto Winckelmaniano e mengsiano di un disegno che segni con acutezza i puri contorni delle immagini in una scena ispirata ad un rilievo antico è pienamente attuato; come è chiara la relazione con il Poussin nella composizione, nel colore e nella vigorosa distribuzione delle ombre e delle luci. Ma nel gruppo delle donne certa marmorea chiarezza di toni ci richiama anche il Domenichino, mentre l'elementare prospettiva dell'ambiente e la nudità dell'architettura denunciano deliberati propositi antibarocchi e il disprezzo per tutto ciò che in pittura può essere decorazione.
Si considerino ora, a confronto di questa tela, quelle contemporanee dipinte a Roma per i soffitti della quadreria e della Villa dei Borghese e subito s'intenderà il valore profondamente diverso che qui assume lo stesso ricordo dell'antichità classica anche se in quelle tele viene continuamente adombrato.
Nessuna concessione alla piacevolezza, niente smancerie, niente bellurie. Tutto è netto, chiaro, limpido, marmoreo. Più che un'azione qui è espressa un'idea eroica, una forte, nuova interpretazione del mondo antico quale appunto era nel pensiero e nelle opere del Diderot. E sentiamo che l'emozione è contenuta da una ferrea volontà perché le immagini, private esse stesse d'ogni preciso intento imitativo della realtà, assurgano, come nell'arte degli antichi, a dignità di tipo.
Un quadro certo meno bello di tanti altri che allora si dipingevano nella vecchia maniera, ma che esprime con fortissima eloquenza il concetto di un mondo diverso e lontano, prima esaltato nella coscienza e nel pensiero dei filosofi, e ora, per mezzo suo, del David, con nuovi accenti rivelato.
A Roma il successo del quadro fu enorme. Una vera folla visitò lo studiò del pittore e vi portavano fasci di fiori. Il vecchio Batoni, rappresentante dell'antica tradizione, volle pur esso consacrare la gloria del giovane francese. Perfino il Papa, incuriosito, chiese di veder l'opera famosa. Troppo tardi; il quadro era già stato spedito a Parigi ove, malgrado l'avversione del mondo accademico (al Salon fu esposto in alto, alla terza fila) si rinnovò il gran successo romano.
Il David, dipinto il Giuramento degli Orazi, partì da Roma; tuttavia lasciò agli artisti romani, con il ricordo dell'opera sua, soprattutto l'esempio di una disciplina e di una maniera nel disegnare la quale subito ebbe larghissimo seguito. Una maniera di disegnare a precisi contorni che definiscono le masse plastiche con tratti netti, acuti, rigorosissimi, ed anche la facoltà di interpretare con nuovi accenti la tipologia degli uomini del suo tempo, che egli seppe fare assomigliare agli antichi eroi.
In questo senso l'azione del David a Roma fu veramente decisiva, come anche fu decisivo il suo esempio di coloritore che s'avvale di una intensa gamma cromatica seicentesca per rivestire composizioni di gusto classicheggiante, collegandosi con ciò direttamente all'altro grande francese che un secolo e mezzo prima aveva operato ben più lungamente a Roma: Nicola Poussin.

Le sue maggiori Opere:

--------------Paride ed Elena--------------------------Il ratto delle sabine--------------------------.

------I littori restiutiscono a Bruto i corpi dei figli--------------Il giuramento degli Orazi--------

--------------Morte di Marat------------------------------Incoronazione di Napoleone-----------

 

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