etica eretica
SVILUPPO SOSTENIBILE
Luca Musumeci

Di sviluppo sostenibile si parla molto e spesso a sproposito. Forse bisognerebbe parlarne di meno e approfondire maggiormente la conoscenza dei concetti che stanno alla base di questa espressione che non sono né ovvi né banali e che hanno una lunga storia alle spalle.

I primi che si preoccuparono pubblicamente delle problematiche ambientali dello sviluppo furono i fondatori del Club di Roma (1968); il primo rapporto che pubblicarono fece scalpore e scatenò un dibattito amplissimo: si intitolava Limits to Growth[1], in italiano I limiti dello sviluppo e fu curato dal MIT (Massachusetts Institute of Technology).
Nel 1980 gli USA pubblicarono un documento ufficiale molto importante richiesto dal Presidente Carter, il Global 2000. Questo trattava dei mutamenti dell’ambiente, delle risorse naturali e della popolazione mondiale entro l’anno 2000.
I due documenti segnarono una svolta nella storia della sensibilizzazione alla protezione dell’ambiente.

Il lancio ufficiale del termine sviluppo sostenibile è invece avvenuto nel rapporto della Commissione Internazionale Indipendente su ambiente e sviluppo del 1987 (il cosiddetto Rapporto Brundtland) e, in maniera più incisiva, nella grande Conferenza ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro[2] nel 1992 (anche se già nella Conferenza ONU di Stoccolma del 1972 viene affrontato il problema). A Rio viene definito sviluppo sostenibile quello sviluppo che dovrebbe soddisfare le necessità di chi oggi vive sul pianeta, senza mettere a rischio la possibilità di soddisfare quelle delle generazioni future[3].
Agenda 21 è il documento ufficiale sulla sostenibilità approvato a Rio, la cui attuazione nel mondo viene monitorata da un’apposita commissione delle Nazioni Unite. È un documento fondamentale, la base su cui costruire le politiche di sviluppo dei prossimi decenni. Viene preso in considerazione non solo a livello globale ma anche a livello locale; il capitolo 28 infatti si rivolge alle singole comunità affinché si dotino di una versione locale di Agenda 21 e la mettano in pratica.

Sempre nel 1992 tre degli autori del rapporto I limiti dello sviluppo pubblicarono un nuovo libro nell’ambito del quale rivisitarono il modello mondiale, venti anni dopo la sua elaborazione. Si tratta di Dennis e Donella Meadows e di Jorgen Randers ed il loro volume è intitolato Oltre i limiti dello sviluppo.
Gli autori riassumono le loro conclusioni in tre punti:
l’impiego di molte risorse e la produzione di molti tipi di inquinanti da parte dell’umanità hanno già superato i tassi fisicamente sostenibili. In assenza di significative riduzioni dei flussi, vi sarà un declino incontrollato della produzione industriale, del consumo di energia e della produzione di alimenti pro-capite;
questo declino non è inevitabile. Per non incorrervi sono necessari due cambiamenti: un cambiamento delle politiche e dei modi di agire; il secondo un drastico e veloce aumento dell’efficienza con la quale materiali ed energia vengono usati;
una società sostenibile è, dal punto di vista tecnico ed economico, ancora possibile e potrebbe essere più desiderabile di quella attuale.

Nel gennaio 1996 vennero pubblicati in Germania i risultati di una vasta ricerca condotta dall’”Istituto di Wuppertal per il clima, l’ambiente e l’energia” diretto da Wolfgang Sachs che aveva l’ambizione di indicare strade concrete per la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile. Lo studio, partendo dalla situazione tedesca, indica la strada che si potrebbe percorrere per soddisfare le esigenze della sostenibilità globale. In Italia il libro, modificato e adattato, è apparso col titolo Futuro sostenibile (editrice EMI).
Uno dei presupposti ispiranti il lavoro si basa sul principio che il modello di produzione e di consumo che ha assicurato ai paesi del mondo un alto livello di benessere ha utilizzato la natura e i popoli del sud del mondo come fonte di risorse e di lavoro a buon mercato. Questo sfruttamento ha innescato un processo di deterioramento ambientale che compromette il grado di vivibilità dell’intera umanità.
Sempre secondo il Wuppertal, se si vuole arrivare a tenere a bada i disastri ambientali si deve arrivare a una collaborazione fra nord e sud del mondo. Per i paesi ricchi, il primo passo in questa direzione consiste nell’accettare una progressiva riduzione del consumo di materie prime. Insieme a questo bisogna mirare all’indipendenza economica e tecnologica dei popoli del sud.
Dal punto di vista degli studiosi del Wuppertal, il concetto di sviluppo sostenibile poggia su tre elementi costitutivi:

  1. la giustizia internazionale
  2. la preservazione dell’ambiente
  3. la ricostituzione di un sistema ecologico che impone dei limiti all’espansione delle merci.
Per seguire questa strada si propongono (per la Germania) obiettivi concreti raggiungibili entro il 2010: riduzione del 25% del consumo di combustibili fossili e del 100% del nucleare, aumento del 3,5% della produzione di energie rinnovabili, diminuzione del 25% dell’uso di materie prime non rinnovabili e così via. Oltre a questo vengono richieste l’eliminazione dell’uso di antiparassitari in agricoltura e di tutte le tecnologie inquinanti sostituibili.
Queste indicazioni sono accompagnate anche da una serie di suggerimenti, di idee guida, che prendono spunto da documentate attività e sperimentazioni pilota. Vengono approfonditi temi come le infrastrutture intelligenti, le nuove tecnologie, un nuovo tipo di politica economica indirizzata alla salvaguardia dell’ambiente, ma anche un relativamente nuovo concetto di vita (“vivere bene invece che avere molto”), la trasformazione delle città, la giustizia internazionale.

Sempre dall’Istituto Wuppertal e dal Club di Roma viene un’altra pubblicazione molto interessante. Si tratta di Fattore 4, un’indicazione di una delle vie per arrivare alla sostenibilità: un aumento della produttività delle risorse (di almeno 4 volte l’attuale). La rivoluzione dell’efficienza descritta è realizzabile e conveniente anche dal punto di vista economico. Da questa rivoluzione se ne avvantaggerebbero molto anche i Paesi in via di sviluppo (oltre PVS).
Secondo gli autori sono 4 i motivi principali a favore di questa rivoluzione dell’efficienza:

  1. Migliora la qualità della vita
  2. Diminuisce l’inquinamento
  3. Porta a una convenienza economica
  4. I soldi risparmiati si possono utilizzare per altre cose (soprattutto nei PVS)
Il libro punta a stimolare cambiamenti pratici nella vita di tutti i giorni ma non nasconde le difficoltà. La prima parte del libro sono 50 esempi per il fattore 4; tra questi, 20 casi di produttività energetica quadruplicata, 20 casi di produttività dei materiali quadruplicata e 10 casi di quadruplicazione della produttività nel settore dei trasporti.

Un esempio portato è quello del Rocky Mountain Institute (RMI). Nelle Montagne Rocciose, vicino ad Aspen, a 2200 m sul livello del mare c’è una fattoria solare- passiva: è il RMI. La temperatura esterna può scendere fino a –44°C e solo 52 giorni all’anno la temperatura supera gli 0°C. Mentre fuori c’è neve, all’interno maturano banane e aranci e fiorisce il gelsomino..
La cosa sorprendente è che la casa non ha un sistema di riscaldamento convenzionale. L’energia è ottenuta dal sole con sistemi passivi. Le superfinestre captano l’energia del sole; esse isolano 6-10 volte più del normale, lasciano entrare quasi tutta la luce e l’energia solare ma impediscono praticamente qualsiasi fuoriuscita di calore.
Le pareti e il tetto sono isolati in maniera molto efficiente. Questo impianto così innovativo tra l’altro costa meno di uno normale… Poi ci sono installazioni per ridurre il consumo dell’acqua, il costo del suo riscaldamento, e il consumo di energia per usi domestici.
La bolletta elettrica mensile è inferiore alla piccola cifra che il RMI riceve ogni tre mesi dalla società fornitrice di energia elettrica poiché il RMI le riversa l’energia elettrica prodotta con il proprio sistema solare fotovoltaico. La luce che arriva dall’esterno rappresenta il 95% della luce necessaria e le lampade sono comunque ad alta efficienza.
In generale i risparmi energetici non solo coprono le spese aggiuntive ma in circa 50 anni avranno finanziato l’intero edificio.

Dall’inizio degli anni ’90 ha cominciato a diffondersi la consapevolezza che il controllo delle sostanze inquinanti è, dal punto di vista ecologico, del tutto insufficiente e cioè, al di là dei danni specifici prodotti da quelle sostanze, il problema cruciale sono la quantità di energia utilizzata e di materiali rimossi.
Ecco quattro regole molte volte citate dai grandi studiosi della materia[4]:

  1. L’utilizzo di una risorsa rinnovabile non può essere più rapido del suo ritmo di rinnovamento
  2. L’emissione di materiali non può essere maggiore della capacità di assorbimento dell’ambiente
  3. L’utilizzo di risorse non rinnovabili deve essere ridotto al minimo; esse devono venire utilizzate solo nella misura in cui viene creato un sostituto fisico di equivalente livello funzionale sotto forma di risorse rinnovabili
  4. Il tempo degli interventi umani deve essere in rapporto equilibrato col tempo dei processi naturali, sia dei processi di decomposizione dei rifiuti che dei ritmi di rigenerazione delle materie prime rinnovabili o degli ecosistemi.
Negli anni sono andati delineandosi due concetti di sostenibilità. La sostenibilità debole parte dal concetto di sostituibilità della natura; chi sostiene questa tesi afferma che alle generazioni future viene consegnato un “pacchetto di benessere”, composto di una somma costante o crescente di capitale materiale e naturale. In caso di danneggiamento dei fondamenti naturali della vita (in termini economici: un capitale naturale decrescente) la sostenibilità verrebbe raggiunta attraverso un aumentato valore reale dei beni e prodotti.
Una seconda posizione di molti economisti sta avendo sempre più consensi: essi ribattono alla prima che sostituire il benessere fornito dalla natura con capitale materiale è possibile solo in parte e che è necessario evitare almeno i danni ambientali irreversibili; il concetto chiave della loro tesi è quello del mantenimento di un capitale naturale costante per le generazioni future.

Il tema del rapporto fra economia e ambiente è stato sviluppato da diversi soggetti (ecologi ma anche economisti) già da parecchi anni.
In un libro del 1978 L.Brown[5] scriveva: “Il deterioramento dei sistemi biologici non è un problema secondario che interessa soltanto agli ecologi. Il nostro sistema economico dipende dai sistemi biologici della terra. Tutto ciò che minaccia la vitalità di questi sistemi rappresenta un deterioramento delle prospettive dell’umanità…”.

Oggi l’economia si trova davanti a una grande sfida: quella di delineare e applicare una strategia di sostenibilità concreta dei modelli di sviluppo, a livello delle teorie economiche, della politica economica e della prassi degli operatori. Questo tema è stato analizzato da poco da D.M.Roodman (del Worldwatch Institute) in La ricchezza naturale delle nazioni – come orientare il mercato a favore dell’ambiente[6]. Questa interessante pubblicazione analizza i correttivi che si possono apportare ai processi economici per evitare l’esternalizzazione dei danni ambientali e per indirizzare l’economia in percorsi più sostenibili per l’ambiente e per la società stessa.
Innanzitutto viene svolta un’analisi dei cosiddetti sussidi perversi. Molti sussidi governativi incidono in maniera molto negativa sull’ambiente e quindi sulla stessa economia (per es. quelli all’industria carbonifera in Germania). I finanziamenti perversi si indirizzano particolarmente in 5 settori:

  1. agricoltura
  2. combustibili fossili
  3. trasporti
  4. acqua
  5. pesca
Questi sussidi favoriscono l’inquinamento o il depauperamento delle risorse naturali. Se invece andassero a prodotti e processi sostenibili si potrebbe senz’altro attivare un circolo virtuoso per la società, l’ambiente e le generazioni future.
Un altro aspetto fondamentale di cui tratta il libro riguarda la cosiddetta riforma fiscale ecologica. Il Worldwatch si occupa da tempo di questo problema. L’innalzamento progressivo delle imposte sui prodotti inquinanti dovrebbe essere bilanciato da una diminuzione di altre imposte e soprattutto dovrebbe essere affiancato dallo sviluppo di processi e prodotti sostitutivi a impatto ambientale ridotto o, se possibile, nullo.
In sintesi una politica economica “ambientale” dovrebbe: Una politica economica così fatta porterebbe il mercato a cambiare decisamente rotta. Se i governi cominciassero a investire qualche energia nell’indirizzare il mercato verso le nuove tecnologie e nel trascinare l’economia lontano dalla strada della distruzione ambientale, il resto del processo risulterebbe assai più facile (e forse più veloce e meno costoso di quanto può sembrare in apparenza).

Di sviluppo sostenibile bisognerebbe parlare molto più a fondo.
Fondamentale è lo studio di indicatori che traducano il concetto in termini pratici, che siano strumenti di pianificazione e quindi di scelta tra opzioni alternative e che, infine, siano strumenti di valutazione del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.
Fondamentale è anche lo sviluppo di strumenti che riescano a valutare la variazione delle risorse naturali: è il caso della contabilità ambientale, strumento essenziale per poter valutare l’efficacia e l’efficienza delle politiche ambientali.
Essa diventerà molto importante nei prossimi anni anche grazie ad una legge[7] che, dal 2004, obbligherà le amministrazioni locali e lo stato a fornirsi di una contabilità ambientale parallelamente a quella classica.
Importante sarà anche pensare a una seria politica demografica: controllare la crescita della popolazione mondiale sarà necessario anche se comunque non sufficiente a ridurre i consumi di risorse e la produzione di rifiuti.

La sostenibilità è un processo multidimensionale che richiede approcci complessi e multidisciplinari. I settori principali che avranno a che fare con questa problematica sono quelli dell’energia, dell’industria, dei trasporti, del turismo e del settore primario (agricoltura, foreste, materie prime). In ognuno di questi settori, oltre all’identificazione di nuovi obiettivi e metodi, c’è un grosso lavoro da fare in quanto a ricerca, progettazione, sperimentazione, comunicazione e formazione. Attorno a questi problemi dovranno lavorare l’Università e la Ricerca, l’Amministrazione pubblica, l’Industria, le istituzioni finanziarie, le Associazioni di categoria e tutti quelli che in qualche modo si interessano di un settore specifico.

Evitare di banalizzare il concetto di sviluppo sostenibile è il primo passo che gli amministratori (ma anche la gente comune) devono fare.
Attorno al concetto di sostenibilità devono crearsi tutta una serie di strumenti e politiche totalmente nuovi e diversi da quelli esistenti fino ad oggi (tra i quali anche una riforma della modalità di valutazione degli investimenti che includa a pieno titolo gli impatti ambientali) ma servirà anche la capacità di far passare più o meno velocemente una nuova cultura, un nuovo modo di pensare, di progettare, di pianificare, di scegliere e di valutare. Questo dipenderà anche dalla capacità del sistema scolastico e formativo di approfondire seriamente queste tematiche e di inserirle nello studio delle varie materie.

POSTILLA:
Crescita sostenibile è una vera contraddizione in termini, infatti nessun processo che sia materiale può avere una crescita infinita. Uso sostenibile si può applicare alle cosiddette risorse rinnovabili, consentendo un utilizzo a un livello non superiore alla loro capacità di rinnovamento.
Sviluppo sostenibile. Secondo alcuni autori[8] i punti fermi nel concetto di sviluppo sono:

  1. La globalità, cioè la presa in considerazione dell’insieme delle problematiche economiche, sociali e ambientali mondiali
  2. La finalizzazione, vale a dire l’avere un orizzonte etico
  3. La partecipazione democratica al processo decisionale.
Pur non essendoci una definizione univoca, per sviluppo si può quindi intendere un processo di cambiamento della qualità della vita giudicato positivamente dalla società[9].
Partendo da queste considerazioni, sviluppo deve essere inteso non come sinonimo di crescita ma di progresso e questo vuol dire che oltre ad un aspetto quantitativo esiste, ed è sempre più importante, un aspetto qualitativo dello sviluppo; in teoria potrebbe esserci sviluppo anche con diminuzione del PIL[10]. D.Pearce[11] propone di inserire nel conteggio del PNL anche il deprezzamento delle risorse naturali, e spiega come calcolarlo.
Una volta ammesso che nel concetto di sviluppo esistono l’aspetto qualitativo (ambientale, sociale, ma in cui possiamo inserire anche il livello di istruzione, i diritti civili e politici, la libertà, la democrazia, l’accesso al patrimonio culturale, l’eguaglianza fra i sessi, i livelli di occupazione, la protezione della salute, ecc.) e l’aspetto etico dell’intergenerazionalità, non dovrebbe essere più necessario chiamarlo sostenibile visto che la sostenibilità fa già parte delle caratteristiche intrinseche del progresso. Forse quando si parlerà di sviluppo senza aggettivi, il mondo avrà fatto già molti passi in avanti sulla strada della sostenibilità.

Note:
[1] D. e D. Meadows - 1972.
[2] A Rio vennero prodotti altri importanti documenti: la Dichiarazione su ambiente e sviluppo, la Dichiarazione dei principi sulle foreste, la Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici.
[3] Già nel 1988 D.Pearce (Centre for Social and Economic Research on the Global Environment) aveva definito lo S.S. come “il progresso economico ottenuto senza erosione del capitale naturale, in modo tale che le disponibilità ecologiche rimangano costanti, mentre l’economia persegue gli obiettivi sociali ritenuti adeguati”.
[4] tra i quali Meadows, Daly, Pearce e Turner.
[5] http://www.worldwatch.org/bios/brown.html
[6] Edizioni Ambiente, 1998.
[7] In Parlamento al momento della stesura dell’articolo.
[8] Tra i quali G. Franceschetti.
[9] ma chi decide?
[10] Lo sviluppo economico normalmente viene misurato dal PIL (o dal PNL). Ma il concetto può essere esteso ed includere altri indicatori di sviluppo come l’istruzione, la salute ed alcune misure della qualità della vita. Un esercizio di questo tipo può essere trovato nell’Indice di sviluppo umano (HDI) delle Nazioni Unite. Più che una misura questo indice dà una graduatoria.
[11] Conferenza su “Sviluppo sostenibile: quali contenuti?” Perugia- 1996.