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IL CAMBIAMENTO NEL PAZIENTE BORDERLINE. 

Incontro con Glen O. Gabbard

 

Recensioni bibliografiche 2003 Resoconto di Giuseppe Leo della relazione presentata da Glen O. Gabbard  al Seminario organizzato dal Centro di Psicoanalisi Romano (Roma, 21 febbraio  2004)
    News del 2003             
Recensioni dalla stampa 2003   

Foto: Georg Kolbe, "Ballerino (Il ballerino Nijinski)", 1913-1919 (dalla mostra di Bologna, "Il nudo fra ideale e realtà", 22 gennaio-9 maggio 2004, catalogo Skira)

                      Rivista Frenis Zero
                       Maitres à dispenser

 

 

 

La giornata di studio con Glen O. Gabbard, organizzata dal Centro di Psicoanalisi Romano, ha visto, nella mattinata, la relazione dello psicanalista statunitense (presentato da Vincenzo Bonaminio), seguita nel pomeriggio da una tavola rotonda a cui hanno partecipato, oltre all'illustre ospite, Giovanni Meterangelis, Maria Adelaide Palmieri e Giuseppe Riefolo. Ha chiuso i lavori Anna Maria Nicolò.

  Foto: Glen O Gabbard

Glen O. Gabbard attualmente è Professore di Psichiatria al "Baylor College of Medicine", Università presso la quale occupa anche una Cattedra di Psicoanalisi. E'  analista didatta e supervisore presso lo "Houston-Galveston Psychoanalytic Institute.  In qualità di "Joint Editor-in-Chief" dirige la prestigiosa rivista "International Journal of Psychoanalysis", oltre ad essere "Associate Editor" di numerose altre riviste. Per la bibliografia ed altri riferimenti vai a fondo pagina.

La relazione di Gabbard, intitolata "L'azione terapeutica nella psicoterapia psicoanalitica dei disturbi borderline della personalità", esordisce con una raccomandazione alla flessibilità del setting psicoterapeutico che tenga conto della struttura di personalità del paziente borderline. <<Di norma, i pazienti borderline di alto livello che hanno un Io più forte ed una maggiore attitudine psicologica riusciranno ad utilizzare meglio una psicoterapia di tipo espressivo, a differenza dei pazienti la cui struttura di personalità sia più prossima al confine con la psicosi, i quali avranno piuttosto bisogno di sostegno psicologico. Per la maggior parte di essi il terapeuta dovrà tenere una posizione flessibile che passi dagli interventi interpretativi a quelli non interpretativi, e ciò in relazione alle caratteristiche del rapporto che in quel dato momento il paziente ha con il terapeuta.>> Per Gabbard un approccio 'rigido' , che ad es. consista  solo di interventi interpretativi, potrebbe far sì  che alcuni pazienti borderline rivivano la situazione terapeutica come una ripetizione di un trauma infantile pregresso. Inoltre, pur ispirandosi ciascun terapeuta ad un preciso modello teorico, tuttavia la maggior parte di essi <<finisce con l'applicare un approccio per prove ed errori finché non riesce a definire con chiarezza quali siano gli interventi più efficaci per quello specifico paziente>>, e ciò particolarmente nel rapporto terapeutico col paziente borderline dato che <<nessuna teoria potrà isolare il terapeuta dagli affetti tumultuosi vissuti da entrambi i partners della diade terapeutica>>.

 

Al fine di studiare il peso che gli interventi interpretativi possono avere nel favorire il cambiamento terapeutico coi pazienti borderline, il "Progetto sugli interventi terapeutici" condotto alla Menninger Clinic (Gabbard, 19981; Gabbard et al., 19942) ha preso in esame dettagliatamente tre casi di terapia psicodinamicamente orientata di lunga durata con tre pazienti borderline. Tutti e tre i trattamenti erano state condotti alla Menninger Clinic e tutte le loro sedute erano state registrate: alcune sedute poi furono selezionate casualmente e  trascritte per essere analizzate. Queste trascrizioni sono state poi sottoposte a due gruppi di esperti che hanno lavorato gli uni indipendentemente dagli altri. Il primo gruppo di tre esperti ha valutato gli interventi a partire dal loro grado di 'espressività' o 'sostegno'. L'altro gruppo di tre esperti ha valutato il grado di collaborazione del paziente col terapeuta come misura dell'alleanza terapeutica, utilizzando come items  di rilevazione il fatto che il paziente portasse contenuti significativi o facesse un uso produttivo dei contributi del terapeuta. Scopo della ricerca consisteva nello stabilire se gli spostamenti verso l'alto o il basso del grado di collaborazione potessero essere messi in relazione con definiti interventi del terapeuta. Lo studio è approdato alla conclusione che le interpretazioni di transfert sono interventi 'ad alto rischio e ad alto risultato'  nella psicoterapia dinamica dei pazienti borderline. Esse tendono ad avere un impatto, rispetto ad altri tipi di intervento terapeutico, sensibilmente maggiore tanto in senso 'positivo' che 'negativo' in termini di alleanza terapeutica: mentre le interpretazioni di transfert in alcuni casi hanno comportato un netto miglioramento della capacità del paziente di collaborare col terapeuta, altre volte hanno avuto un effetto opposto. In seconda istanza, la ricerca ha cercato di determinare quali interpretazioni di transfert avrebbero incrementato la collaborazione e quali prodotto un risultato contrario. Un primo fattore di discriminazione tra i due tipi di interpretazione è stato individuato nella possibilità che un'interpretazione di transfert contenga un riconoscimento positivo dell'esperienza interna del paziente. <<I chirurghi fanno l'anestesia prima di operare. Gli psicoterapeuti debbono creare un ambiente di holding mediante la convalida empatica dell'esperienza del paziente prima di offrire un'interpretazione della dinamica dell'inconscio>>. Ed aggiunge: <<Gli approcci espressivo e di sostegno spesso sono polarizzati in modo artificioso, mentre di fatto possono agire in sinergia nella maggior parte delle situazioni psicoterapeutiche>>.

 

Con il paziente borderline l'analista avverte in maniera particolarmente pressante l'esigenza e la preoccupazione di mantenere il trattamento entro i confini del setting: tuttavia assumere da parte del terapeuta, all'inizio del trattamento, una posizione ferma potrebbe indurre il paziente a viverla come fredda e distaccata (Gabbard & Wilkinson, 1994, op. cit.; Gutheil, 19893). Il paziente potrebbe anche abbandonare l'analisi a seguito dell'apparente mancanza di reazioni dell'analista. Gabbard consiglia che <<è necessario che l'analista raggiunga una spontaneità controllata in cui mantenga il fulcro ed i confini professionali, ma nel contesto del riconoscimento dell'interazione umana di due persone che cercano di conoscersi. E' utile pensare alla dimensione caratteriale del paziente borderline nel costante tentativo di attualizzare certi tipi di rapporti oggettuali interni nel rapporto corrente (Gabbard, 1998, op.cit.; Sandler, 19814 ). Col suo comportamento il paziente tenta subdolamente di imporre agli altri un certo modo di reagire e di vivere gli altri. I terapeuti debbono essere abbastanza flessibili da reagire spontaneamente alla forma di rapporto che viene gettata loro contro. In altre parole, l'analista deve unirsi al paziente in una 'danza' la cui musica è suonata dal paziente e contiene molte informazioni sulle sue difficoltà nei rapporti umani al di fuori della situazione transfert/controtransfert. Naturalmente, questa reazione deve essere attenuata e parziale e il terapeuta deve tentare di mantenere una posizione riflessiva su questa 'danza'.>>

 

Proprio a motivo della natura caotica della vita di tali pazienti, è necessario stabilire con molta chiarezza prima che la terapia inizi (nelle consultazioni preliminari), ma anche ribadire durante il suo corso, delle regole che 'impongano' un minimo di stabilità al processo terapeutico: e cioé stabilire insieme al paziente cosa comporta la terapia ed in che cosa essa differisca da altri rapporti interpersonali, definire esplicitamente le modalità di pagamento dell'onorario, la necessità del rispetto degli appuntamenti, l'esigenza di porre fine alla seduta all'ora stabilita anche se il paziente desidera restare più a lungo, nonché le conseguenze che comportano gli appuntamenti mancati. Qualora il paziente avesse tendenze suicidarie, il terapeuta dovrà chiarire che non potrà far nulla, nel corso del trattamento, per impedire al paziente di mettere in atto i suoi impulsi, e che in questi casi potrà rendersi necessario un ricovero ospedaliero. In caso di pazienti dipendenti da alcol o droghe, l'analista dovrà stabilire come condizione necessaria perché la terapia abbia luogo che il paziente frequenti gruppi di auto-aiuto (ad es. alcolisti anonimi). Se al terapeuta appare evidente la necessità che il paziente intraprenda o continui un parallelo trattamento psicofarmacologico, deve chiarire col paziente che l'assunzione di tali farmaci costituisce una componente essenziale dell'intero programma terapeutico. <<Questo tipo di comunicazione spesso si scontra con l'immagine di salvatore onnipotente che il paziente ha del terapeuta. Per questo il dialogo deve affrontare quanto prima la definizione di cosa è e di cosa non è la terapia>>.

Per Kernberg (Kernberg et al., 19895) le consultazioni preliminari alla terapia devono prevedere un 'contratto' ben preciso da stipulare col paziente che preveda, tra l'altro, che l'analista non è tenuto a partecipare alle attività del paziente al di fuori delle sedute, per cui non è previsto che riceva telefonate tra una seduta e quella successiva. Un tale approccio può rivelarsi però troppo rigido ed ostacolare lo sviluppo di un attaccamento stabile da parte del paziente quando questi ritiene che le condizioni del contratto siano impossibili da mantenere. Gabbard concorda con Gunderson (1996) nel sostenere che <<il paziente può avere reazioni di panico ripetute a causa di una memoria evocativa poco sviluppata e può aver bisogno di telefonare periodicamente per formarsi una rappresentazione stabile da interiorizzare. Gunderson  propone di discutere la disponibilità tra una seduta e l'altra solo dopo che il paziente ne parla. Suggerisce infatti, e io concordo con lui, di dire ai pazienti che il terapeuta desidera essere contattato in caso di emergenza. questa posizione consente di evitare una posizione iniziale di contrasto e spesso fa sentire il paziente capito e 'tenuto' nel senso dell'holding winnicottiano. Se il paziente telefona tra una seduta e l'altra, Gunderson propone di concentrare la conversazione sull'esame del lavoro analitico.(...)Se le telefonate dovessero diventare eccessive, sarà necessario porre limiti chiari, pur cercando di capire il significato di questi contatti tra una seduta e l'altra>>. 

 

Altro 'topic' toccato da Gabbard nella sua relazione ha riguardato la capacità del terapeuta, alle prese col trattamento del paziente borderline, di 'lasciarsi trasformare nell'oggetto cattivo'. Tali pazienti, poiché hanno interiorizzato un oggetto odiato e forse anche 'odioso', in terapia tentano disperatamente di esteriorizzarlo mediante l'identificazione proiettiva nella dimensione transfert-controtransfert della diade analitica. Per Rosen (1993)7 il borderline cerca un 'oggetto sufficientemente cattivo'. In modo apparentemente paradossale, il paziente considera prevedibile, familiare ed anche tranquillizzante poter ricreare col terapeuta quel rapporto oggettuale interno di tipo sadomasochistico che risale alla sua infanzia. Qualora il terapeuta dovesse 'resistere' a questa tendenza, il paziente potrebbe incrementare la sua provocatorietà e tentare ancora più tenacemente di 'trasformare' il terapeuta (Fonagy, 1998)8. <<Lasciarsi trasformare in un oggetto cattivo non significa>> per Gabbard <<perdere il senso del decoro professionale>> (come ad es. il terapeuta che, di fronte ai ripetuti attacchi verbali del paziente, cominci a fare commenti sarcastici o ostili, oppure reagisca con rabbia al paziente, o ancora, in maniera più subdola, cominci a recedere da un investimento emotivo del paziente ed a sperare, più o meno consciamente, che egli abbandoni la terapia e vada a tormentare qualcun altro). Lasciarsi trasformare in un oggetto cattivo <<impone invece all'analista di fungere da contenitore che accetta le proiezioni e tenta di capirle e tenerle per il paziente finché questi non è in grado di accettare questi suoi aspetti proiettati>>. Per Gabbard (Gabbard & Wilkinson, 1994, op.cit.), lo stato mentale ottimale dell'analista consiste nel lasciarsi 'risucchiare' nel mondo del paziente mantenendo però la capacità di osservare ciò che accade davanti ad entrambi. <<In questo modo l'analista pensa veramente i suoi pensieri, anche se in una certa misura questi sono sotto l'influsso del paziente>>.

Secondo Gabbard, situazioni in cui il terapeuta non ha correttamente gestito minacce di suicidio da parte del paziente borderline, possono spiegarsi con 'il desiderio controtransferale di evitare di essere l'oggetto cattivo'. Riferendosi ad un lavoro di Maltsberger (1999)9, a livello controtransferale il terapeuta avverte dentro di sé come se  il paziente gli comunicasse che ha tentato il suicidio come reazione di fronte all'inadeguatezza del terapeuta. In seguito a queste comunicazioni colpevolizzanti più o meno esplicite del paziente, aumentano i dubbi e l'angoscia di abbandono nell'analista, cosicché questi potrà mettere in atto tentativi 'eroici' per salvare il paziente, al fine di mostrargli la sua dedizione. In questa sorta di gioco al rialzo, il paziente finisce per esercitare un controllo onnipotente sul terapeuta (<<legame coercitivo>> secondo Maltsberger, 1999, op.cit.). Quindi, questa escalation è pericolosa, in quanto è il terapeuta che finisce per assumere su di sé tutta la responsabilità della sopravvivenza del paziente, anziché consentire a questi di riconoscere che buona parte della scelta se vivere o morire spetta al paziente stesso.

Altro aspetto assai dibattuto nell'ambito della teoria psicoanalitica attuale, ma che ha delle ricadute importanti sulla tecnica del trattamento, consiste nel concetto di <<mentalizzazione>> ,  mutuato dalle scienze cognitive ( Dennett, 197811), che Fonagy (2001)10   ha coniugato con la teoria dell'attaccamento.

    Foto: P. Fonagy

 

La capacità di mentalizzazione (o capacità di 'avere una teoria della mente') può essere definita come quella competenza a riconoscere negli altri una mente differente dalla propria, potendo il soggetto, ad esempio,  inferire cosa succede nella mente di un altro sulla base delle sue espressioni mimico-gestuali, del suo tono di voce ed in generale della comunicazione non verbale. <<In sostanza>> e Gabbard qui cita un lavoro di Fonagy e Target (1997)12 <<  si tratta della capacità di capire il comportamento proprio e degli altri in termini di stati mentali come le convinzioni, i sentimenti e le motivazioni. Insiti nella mentalizzazione sono la valutazione ed il riconoscimento che gli stati del sé percepiti in sé e negli altri sono fallibili, soggettivi e sono rappresentazioni della realtà che riflettono solo una delle prospettive possibili>>. Da un punto di vista 'genetico', tale capacità viene ricondotta alla memoria procedurale implicita in quanto, se si creerà un contesto di  attaccamento sicuro tra il bambino ed il genitore, questi gli attribuirà stati mentali, lo tratterà come 'agente mentale' e lo aiuterà a costituirsi propri modelli operativi interni (Fonagy & Target, 1997, op.cit.). Al contrario, in assenza di un attaccamento sicuro il bambino potrà trovare difficile distinguere i propri stati mentali da quelli degli altri.  Nello sviluppo psicologico normale, un bambino al di sotto dei tre anni ha un funzionamento mentale basato sul principio dell'"equivalenza psichica" (Fonagy, 2001, op.cit.), per cui egli ipotizza che le percezioni della realtà siano identiche alla realtà stessa. Verso i 4-5 anni egli comincia ad integrare la 'modalità del fare finta' con quella dell'"equivalenza psichica". A 5-6 anni già il bambino è in grado di riferire le percezioni ad una dimensione soggettiva. Il funzionamento mentale del bambino secondo l'equivalenza psichica ha qualche analogia, secondo Gabbard, col modo con cui i borderline trattano le proprie percezioni come fatti assolutamente certi anziché considerarle una delle alternative possibili. <<I pazienti borderline spesso trovano estremamente difficile passare dalla modalità di equivalenza psichica a quella del far finta e ciò interferisce con la loro capacità di capire il transfert>>. Per quanto concerne il disturbo borderline di personalità, alcune ricerche hanno portato a stabilire una significativa correlazione tra attaccamento non sicuro, di tipo preoccupato o insicuro/disorganizzato e sviluppo di un disturbo borderline , altre hanno correlato il disturbo borderline con eventi traumatici infantili (maltrattamenti, abusi sessuali) ed in particolare con quei casi in cui col tempo le conseguenze psicologiche del trauma non sono state elaborate e risolte (Stalker & Davies, 199513; Alexander et al., 199814; Patrick et al., 199415). In questi casi, spesso, il terrore per la violenza subita finisce paradossalmente per spingere il bambino a cercare protezione nei confronti dell'adulto violento (Allen, 2001)16: un tale impasto di bisogno di prossimità fisica e terrore della violenza può avere come conseguenza un attaccamento di tipo disorganizzato. 

 

Inoltre, un tale tipo di attaccamento finisce per impedire che il bambino (la vittima)  rifletta sui contenuti della mente del genitore (autore della violenza) che possano aver costituito motivazioni delle azioni da lui commesse, e ciò ostacola la soluzione dell'esperienza violenta (Allen, 2001, op.cit.; Fonagy, 1998, op.cit.). Fonagy e coll. (1996)17 in una ricerca sul funzionamento riflessivo (Fonagy et al., 1997)18 di un campione di pazienti ricoverati (in maggioranza di sesso femminile), affetti da gravi disturbi di personalità, si è cercato di misurare la capacità di mentalizzazione. Un risultato della ricerca ha dimostrato che il 97% dei pazienti che avevano subito violenza e che avevano un basso grado di funzionamento riflessivo soddisfacevano i criteri diagnostici per il disturbo borderline di personalità. Al contrario, solo il 17% dei pazienti che aveva subito violenza ma che mostrava un alto funzionamento riflessivo rientrava nei criteri del disturbo borderline. <<Ne deriva>> commenta Gabbard <<che i pazienti con buona capacità di mentalizzazione riuscivano a capire la mente del genitore e ad elaborare ciò che era successo in modo da risolvere il trauma. D'altro canto, i pazienti che avevano subito violenza mentre concepivano il contenuto della mente del genitore e si erano ritirati difensivamente, non erano riusciti a mentalizzare e quindi non avevano potuto risolvere l'esperienza della violenza subita>>.

In termini operativi, Gabbard illustra in che modo aiutare il paziente borderline a 'recuperare la funzione riflessiva' nel corso del trattamento psicoterapico. Anziché basare tutto sull'interpretazione (in quanto <<interpretare il significato delle loro azioni può essere prematuro per pazienti che non sono capaci di mentalizzare>>), potrebbe essere più utile aiutare il paziente ad elaborare lo stato emotivo che può aver portato a quell'azione (Fonagy, 1998, op.cit.). Un caso portato da Gabbard può illustrare ciò:<<Una paziente venne in terapia dicendo che si era sbafata 10 barrette di cioccolato la sera prima. Il terapeuta le chiese di elaborare su cosa avesse innescato la furia alimentare. Anche se all'inizio la paziente disse che non sapeva, sotto la leggera pressione dell'analista per scoprire i possibili fattori scatenanti e gli stati emotivi, la paziente alla fine ricordò che un uomo che aveva conosciuto le aveva telefonato e l'aveva invitata a uscire una sera. Disse che se fosse andata a cena fuori con lui, egli l'avrebbe considerata una grassona e non l'avrebbe più invitata. Per cui aveva finito la telefonata con lui ed era uscita a comprarsi i dolci. grazie all'incoraggiamento a capire lo stato emotivo che aveva fatto scattare l'azione, il terapeuta ha aiutato la paziente anche a creare un collegamento tra sentimenti e azioni. In altre parole la crisi non è venuta dal nulla. E' invece emersa dalla sensazione di disgusto di sé e angoscia connessa all'invito a cena da parte dell'uomo che aveva conosciuto>>. 

Un altro intervento potenzialmente utile nel favorire la mentalizzazione potrebbe essere il far osservare al paziente i cambiamenti, da un momento all'altro, dei suoi sentimenti  affinché egli possa interiorizzare le osservazioni del terapeuta sui propri stati interiori. Anche incoraggiare le fantasie del paziente sugli stati interiori dell'analista può essere utile. Gunderson (1996, op. cit.) suggerisce, a tal fine, che se il paziente telefona di notte, l'analista dovrebbe esplorare le fantasie del paziente durante la seduta successiva chiedendogli:<<Come pensa che mi sia sentito quando lei ha telefonato?>>.

Ancora, un'altra tecnica potrebbe consistere nell'aiutare il paziente a pensare alle conseguenze che potrebbero avere i suoi atti autodistruttivi (Waldinger, 1987)19: chiedendo ripetutamente al paziente quali possibili conseguenze questi comportamenti potrebbero avere, secondo gabbard l'analista potrebbe rendere tali azioni meno gratificanti per il paziente. <<Un uso accorto della self-disclosure può essere utile a volte per far sapere al paziente l'impatto del suo comportamento sul terapeuta>>.

Tra le prescrizioni 'generali' sull'atteggiamento da tenere da parte del terapeuta, Gabbard consiglia di non essere intrusivo né distratto, ma di mantenere una posizione intermedia di disponibilità con un minimo di angoscia, di fornire 'formulazioni coerenti' onde alleviare la tendenza del paziente alla frammentazione, di focalizzare i commenti sul qui ed ora anziché sul là e l'allora. <<Non voglio dire che si debba evitare il passato, ma solo che non bisogna prestare eccessiva attenzione alle esperienze infantili trascurando i numerosi problemi del presente. Una strategia globale che favorisce la mentalizzazione consiste nell'aiutare il paziente a generare prospettive multiple invece di pensare che la propria percezione sia l'unica giusta>>.

Un rilevante obiettivo dell'"atteggiamento terapeutico" consiste poi nel saper gestire bene la scissione tra psicoterapia e farmacoterapia. <<La farmacoterapia richiede la stessa comprensione psicodinamica della psicoterapia>>. Per cui, se è lo stesso psichiatra a gestire i due trattamenti, egli <<dovrà evitare di considerare il farmaco una questione di pura somministrazione che non richiede ulteriori approfondimenti>>. In questo caso, la complessità della gestione simultanea dei due trattamenti richiede necessariamente una puntuale supervisione clinica.  Nella situazione che Gabbard ritiene ottimale, che cioé i due trattamenti siano gestiti da due professionisti distinti, laddove il rischio di scissione è maggiore, i due dovrebbero regolarmente comunicare tra di loro sull'andamento delle rispettive terapie. Vari possono essere i tipi di transfert che il paziente stabilisce col collega che prescrive i farmaci, e possono andare dall'idealizzazione al disprezzo. <<Al fine di gestire la possibile gestione, i due medici dovrebbero anche capire che quando il paziente comincia a disprezzare uno dei due, quello che riceve la comunicazione deve mettersi in contatto con l'altro per discutere quello che succede, invece di ascoltare la comunicazione così come è e agire per conto proprio>>. Qualora uno dei due interrompa la collaborazione con l'altro, è consigliabile che prima di prendere una decisione così drastica possa essere dai due consultato un supervisore per vedere se è possibile superare le divergenze, ed in caso contrario comunque è opportuno che chi lascia aspetti di trovare un sostituto.

Tra le finalità del trattamento, inoltre, Gabbard annovera anche l'aiutare il paziente a riprendere possesso degli aspetti del sé denegati e/o proiettati altrove, dato che l'identificazione proiettiva e la scissione sono i meccanismi di difesa maggiormente adoperati dai pazienti borderline. Infine, un particolare spazio nella relazione viene riservato al monitoraggio del controtransfert. Per Gabbard, se il terapeuta comprende bene i processi di scissione e di identificazione proiettiva, potrà gestire l'esperienza caotica del controtransfert con un borderline. La scissione si può manifestare in tre modi principali: 1) una costante alternanza di comportamenti ed atteggiamenti contraddittori che il paziente considera senza particolare importanza e nega debolmente; 2) una dicotomizzazione rigida tra persone buone e cattive; 3) una coesistenza di rappresentazioni contraddittorie del sé che si alternano l'una all'altra. Queste manifestazioni della scissione conducono alla proiezione di rappresentazioni del sé e degli oggetti sul terapeuta mediante l'identificazione proiettiva. Ciò avviene secondo Gabbard in tre tempi. Inizialmente, il paziente  nega l'oggetto interno o il sé e lo proietta sul terapeuta.  Nella seconda fase, il terapeuta inconsciamente finisce per divenire la rappresentazione del sé o dell'oggetto proiettato <<come reazione alla pressione interpersonale esercitata dal paziente (...) Per esempio, se il paziente provoca continuamente l'analista accusandolo di incompetenza o stupidità, alla fine l'analista sarà irritato ed esasperato dal paziente e potrà diventare sarcastico o sprezzante (...) se il terapeuta cerca di evitare di diventare l'oggetto cattivo, il paziente semplicemente moltiplicherà i suoi attacchi per rendere il terapeuta conforme a quanto sta proiettando>>. Nella terza fase, il terapeuta cerca di contenere e modificare l'oggetto cattivo proiettato il quale viene reintroiettato dal paziente ed assimilato. In quest'ultimo processo può essere utile il riferimento al modello di contenitore di Bion ed alla reverie materna che contiene gli affetti ingestibili del bambino e glieli restituisce in forma modificata o disintossicata.

Così Gabbard ha concluso il suo intervento: <<Voglio sottolineare qui che la gestione del controtransfert in questo modo  può durare settimane o anche mesi prima di avere un effetto terapeutico. per buona parte della seduta il terapeuta sentirà che una forza aliena ha colonizzato la sua mente e non riuscirà a pensare chiaramente. (...) Buona parte del lavoro viene svolto tra una seduta e l'altra e con i colleghi in supervisione. Vorrei concludere rivolgendovi una calda raccomandazione a usare i colleghi come supervisori quando curate pazienti borderline. E' facile per chiunque perdere di vista gli obiettivi e le strategie della terapia psicoanalitica con questi pazienti. La convinzione quasi delirante con cui si avvicinano al transfert può portare anche noi a dubitarne. Un collega ci servirà da terzo per ricordarci che dobbiamo riaffermare le nostre conoscenze e capacità terapeutiche e dobbiamo evitare di superare i confini nel futile tentativo di gratificare il paziente. Non dobbiamo sentire di essere soli nel trattamento di pazienti tanto difficili.  Tutti facciamo parte di una comunità di colleghi, e allora usiamoli!>>. 

 

Note al testo:

1 Gabbard GO: Treatment-resistant borderline personality disorder, Psychiatric Annals 28: 651-656, 1998.

2 Gabbard  GO, Wilkinson SM: Management of Countertransference with Borderline Patients, Washington, DC, American psychiatric Press, 1994.

3 Gutheil T: Borderline personality disorder, boundary violations, and patient-therapist sex: medicolegal pitfalls. Am J Psychiatry 146:597-602,1989.

4 Sandler J: Character traits and objet relationships. Psychoanal Q 50:694-708, 1981.

5 Kernberg OF, Selzer MA, Koenigsberg HW et al: Psychodynamic Psychotherapy of Borderline Patients. New York, Basic Books, 1989.

6 Gunderson JG: The borderline patient's intolerance of aloneness: insecure attachments and therapist availability. Am J Psychiatry 153:752-758, 1996.

7 Rosen IR: Relational masochism: the search for a bad enough object. Paper presented at scientific meeting of the Topeka Psychoanalytic Society, Topeka, KS, January 21, 1993.

8 Fonagy P: An attachment theory approach to the difficult patient. Bulletin of the Menninger Clinic 1998; 62: 147-169.

9 Maltsberger JT: Countertransference in the treatment of the suicidal borderline patient, in Countertransference Issues in Psychiatric Treatment (Review of Psychiatry Series; Oldham JM and Riba MB, series eds). Edited by Gabbard GO. Washington, DC, American Psychiatric Press, 1999, pp. 27-43.

10 Fonagy P: Attachment Theory and Psychoanalysis. New York, Other Press, 2001.

11 Dennett DC: Beliefs about beliefs. Behav Brain Sci 1978; 1:568-569.

12 Fonagy P, Target M:Attachment and reflective function:  their role in self organization. Development and Psychopathology 1997; 9:679-700.

13 Stalker CA & Davies F. Attachment, organization, and adaptation in sexually abused women. Canadian Journal of Psychiatry 1995; 40: 234-240.

14 Alexander PC, Anderson CL, Brand B, Schaffer CN, Grelling BV, Kretz L: Adult attachment and long-term effects in survivors of incest. Child Abuse &  Neglect 1998; 22:45-61.

15 Patrick M, Hobson RP, Castle D, Howard R, Maughan B: Personality disorder and the mental representation of early experience. Development & Psychopathology 1994; 6:375-388.

16 Allen G: Traumatic relationships and serious mental disorders. New York; Wiley 2001.

17  Fonagy P. , Leigh T., Steele M, Steele H, Kennedy R, Mattoun G, Target M, Gerber A: The relationship of attachment status, psychiatric classification, and response to psychotherapy. Journal of Consulting and Clinical Psychology 1996; 64:22-31.

18 Fonagy P, Steele M, Steele H, Target M:Reflective-Functioning Manual, version 4.1, for Application to Adult Attachment Interviews. London, University of London, 1997.

19 Waldinger RJ: Intensive psychodynamic therapy with borderline patients: an overview. Am J Psychiatry 144:267-274, 1987.

Documentazione: Fonte: http://psychematters.com/bibliographies/gabbard.htm
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"ONLINE PAPERS" di Gabbard

The Impact of Psychotherapy on the Brain by Glen O. Gabbard, M.D.
Psychiatric Times September 1998 Vol. XV Issue 9

A Meeting of Minds: Mutuality in Psychoanalysis reviewed by Glen Gabbard.

Glen O. Gabbard  Disguise or consent: Problems and recommendations concerning the publication and presentation of clinical material (IJPA download paper)

"Play It Again, Sigmund: Psychoanalysis and the Classical Hollywood Text" By Krin Gabbard and Glen Gabbard

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Psychodynamic Psychiatry in Clinical Practice, Third Edition  (May 15, 2000)

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Glen Gabbard Biography (Menninger)

PsyBC's Psychoanalysis Symposium Series

 

Altre fonti: Irene Chiarandini interviews
Glen O. Gabbard

Foto: GO Gabbard

The Contributions of Don and Helen Meyers to Psychoanalysis

by Glen O. Gabbard, M.D.

 

Pagina personale di G.O. Gabbard nel sito del Baylor College of Medicine

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