storia del jazz |
[RAGTIME] [NEW ORLEANS] [DIXIELAND] [CHICAGO] [SWING] [BE-BOP] [COOL] [HARD-BOP] [MODALE] [FREE JAZZ] [JAZZ ROCK] [FUSION] [ACID JAZZ]
(*) L’esecuzione
di autumn leaves in sottofondo è stata programmata dal musicista Gianni Giudici
(http://www.jazzitalia.net/Artisti/giannigiudici.asp)
Impropriamente molti
storici fanno rientrare negli stili jazzistici il ragtime.
Diciamo impropriamente, perché al ragtime manca una delle caratteristiche
essenziali del jazz: limprovvisazione.
Il ragtime è infatti frutto della composizione ed è musica scritta
essenzialmente per pianoforte. Quello che lo avvicina al jazz è il senso del
ritmo: lo swing e la comune derivazione afro americana.
Lo avvicina al jazz, infatti, il fatto di essere una musica di immediata
derivazione nera. Il suo repertorio è immensamente vasto e raccoglie oltre ai
temi originali, composti dai suoi esponenti più qualificati, melodie che
derivano dalla musica occidentale tanto bandistica che classica, da Schubert a
Chopin, dalla marcia al valzer, il tutto filtrato ed interiorizzato entro il
modo di sentire la musica tipicamente nero.
Un altro importante elemento che avvicina il ragtime al jazz è il fatto che
questo genere musicale si suoni prevalentemente nei bar di St. Louis, nei
teatri di Kansas City, nei bordelli di New Orleans : importante perché come nel
jazz i musicisti fanno del ragtime, di questo singolare modo di suonare il
pianoforte, il loro lavoro, la loro fonte di sostentamento. Da sempre, infatti,
e specialmente alle origini, suonare la loro musica è stata, per i neri, un importante
fonte di occupazione libera nell'ambito delle ristrette possibilità a loro
offerte dall'economia bianca degli Stati Uniti.
Figura di spicco del ragtime è stato Scott Joplin, nato in Texas nel 1868,
principale compositore e pianista, i cui temi sono rimasti nel patrimonio
musicale jazzistico e non.
La città di New Orleans,
sul finire dell'800, era un insieme di popoli e razze, essendo stata dominata,
nel tempo da spagnoli, francesi, inglesi e anche italiani.
La tradizione vuole che in questa città sia nato il jazz: ovviamente questa è
più che altro una convenzione legata essenzialmente alla leggenda della musica
afro americana. E' infatti noto che in molte zone degli Stati Uniti, praticamente
contemporaneamente, il particolare modo di vivere la musica da parte dei neri
era presente sin da epoche remote.
New Orleans costituì, però, il centro cristallizzante delle tendenze e degli
stilemi originari del jazz.
Nelle sue strade, infatti, da sempre si potevano ascoltare canzoni popolari
inglesi, danze spagnole, marcette alla francese, bande militari; oppure era
molto frequente sentire nell'aria le più svariate linee melodiche uscire dalle
diverse chiese cattoliche o battiste, metodiste o puritane: tutti questi suoni
mescolati divennero ben presto patrimonio delle comunità nere che le eseguivano
alla loro maniera, ricollegandole alle antiche tradizioni di derivazione
africana.
Tutte queste forme ed insieme a queste i worksongs che i neri cantavano nelle
campagne durante il lavoro, gli spirituals nelle funzioni religiose, i blues,
si riversarono tutte assieme nelle originarie e primitive forme del jazz.
Per questo New Orleans rappresentò il centro di riferimento nel quale le varie
tendenze della musica nera trovarono il loro sbocco naturale dove - elemento
determinante - i primi veri professionisti del jazz trovarono numerose
possibilità di occupazione.
Fino agli anni trenta i principali musicisti di jazz provenivano da New Orleans
e la maggior parte di loro aveva iniziati lì la sua carriera musicale, anche se
nessuno, ovviamente, è in grado di escludere che le cose che accadevano, ben
documentate, nella città del sud non si riproponessero tal quali in molte altre
parti degli Stati Uniti.
Una delle caratteristiche forse più interessanti di New Orleans è che nella
città convivevano due comunità nere profondamente diverse tra loro, ognuna con
il proprio patrimonio etnico e culturale: i creoli e quelli che possiamo
definire più genericamente i neri americani.
I creoli, di discendenza franco-coloniale, non avevano condiviso le medesime
origini dalla schiavitù dei neri americani dal momento che i loro antenati
erano stati liberati molto tempo prima dai ricchi proprietari agrari francesi.
Per questo sentivano molto più attenuata la originaria discendenza africana e
vivevano con minori remore la contaminazione con la cultura bianca; anzi,
avevano radicata una profonda discendenza dalla cultura francese e la loro
stessa lingua proveniva dal francese e non era l'inglese.
Così mentre i neri americani costituivano la parte più povera del proletariato
di New Orleans, molti creoli erano ben integrati nella realtà economico-sociale
della città e avevano una estrazione piccolo borghese; i loro pregiudizi
razziali nei confronti della rimanente popolazione nera erano addirittura più
forti di quelli dei banchi.
Questa contaminazione si riflesse ovviamente anche nella tradizione musicale
nera, nella quale i creoli introdussero molti elementi della cultura musicale
franco-europea.
Lo stile di New Orleans nacque dall'incontro tra questi diversi gruppi: nello
Storyville, il quartiere riservato alle case di tolleranza, che con i suoi
innumerevoli locali costituiva un formidabile punto di ritrovo ed il trampolino
di lancio per i diversi musicisti e cantanti; nelle strade della città, dove si
esibivano le "bands" dei cortei funebri che accompagnavano i defunti
al cimitero suonando musiche di circostanza e che tornavano in città suonando
musiche colorite e allegre; durante i festeggiamenti del carnevale.
Lo stile di New Orleans è caratterizzato dall'esecuzione di linee melodiche
improvvisate in collettivo su semplici e tradizionali progressioni armoniche,
con la presenza centrale di tre strumenti tromba, trombone e clarinetto accompagnati
da una sezione ritmica, che si inseguono in un alternarsi di elementi
contrappuntisti che si innestano l'uno sull'altro.
L'elemento ritmico è molto vicino a quello della musica bandistica di
derivazione europea, con gli accenti che cadono sul primo e sul terzo tempo di
una battuta di quattro.
Sin dalle origini il jazz
non è stato prerogativa dei neri.
Già sul nascere, infatti, numerose "bands" bianche suonavano alla
maniera di New Orleans.
La mitica figura di Papa Jack Lane ci rivela, anzi, che erano frequenti le
"gare" tra bands bianche e nere.
Ma al di là dei contenuti leggendari, i bianchi contribuirono certamente in
maniera considerevole allo sviluppo lessicale del jazz ed alla sua evoluzione.
Il modo di suonare dei bianchi era più razionale, più costruito, più
individuale, anche se, in molti casi, meno spontaneo ed istintuale rispetto al
modo di suonare dei neri.
I bianchi del Dixieland rafforzarono la ricerca del suono pulito, la
completezza e la linearità delle linee melodiche dell'improvvisazione, la
riconoscibilità dei temi, la cantabilità degli a solo e, soprattutto,
l'individualità e l'espressività del solista.
Il monopolio economico dei bianchi, inoltre, contribuì senza dubbio in modo
determinante alla notorietà del jazz: di bands bianche furono, infatti, le
prime incisioni discografiche e, per un lungo periodo, i bianchi rivendicarono
la paternità del jazz.
Le orchestre come la Original Dixieland Jazz Band o la New Orleans Rhythm Kings
si esibivano con regolarità nei grandi locali ed avevano più possibilità di
quelle nere di accreditare l'immagine del jazz presso il grande pubblico. Con
il termine Dixieland viene quindi definito il particolare modo di suonare lo
stile New Orleans da parte dei bianchi.
Quando i confini tra bianchi e neri, almeno a livello musicale, si attenuarono,
con la nascita delle bands miste, venne finalmente alla luce la vera
peculiarità della musica jazz, ovvero il fatto di essere una musica nata
dall'incontro di due diverse espressioni culturali americane, quella nera e
quella bianca, nel cui tracciato si è sviluppata.
Chicago, capitale
dell'Illinois, situata sulle rive del lago Michigan ed importante nodo
ferroviario e stradale, divenne, alla fine del primo decennio del '900, il
rifugio dei musicisti che, rimasti senza lavoro a causa della chiusura dello
Storyville di New Orleans (voluta dalle autorità militari statunitensi
all'entrata in guerra degli U.S.A. per non turbare i militari di leva nella
città), vi trovarono ospitalità nei numerosi club, music-hall e locali,
nell'ambito della più generale migrazione delle popolazioni nere verso le terre
del Nord.
Durante gli anni '20, l'originario stile di New Orleans trovò la sua vera
fioritura in Chicago, e qui si affermò definitivamente.
Qui, Insieme allo stile di New Orleans anche il blues trovò negli anni '20, il
suo periodo d'oro.
Nella southside di Chicago, il quartiere nero, si sviluppò una fervente
attività musicale e jazzistica. Qui vennero incisi i primi capolavori del jazz
da parte delle bands guidate da King Oliver, poi da Louis Armstrong, Johnny
Dodds, Jelly Roll Morton, Jimmie Noone .
Contemporaneamente a questa massiccia affermazione dello stile di New Orleans a
Chicago, un gruppo di musicisti bianchi, dilettanti e professionisti maturò una
propria interiorizzazione del jazz suonato dai neri, dando vita ad uno stile
proprio, lo stile di Chicago.
Ancora una volta come per il Dixieland, gli elementi della cultura occidentale
e bianca contaminarono abbondantemente il jazz nero. Partendo dal modello di
improvvisazione collettiva dello stile New Orleans, a poco a poco, la
sensibilità bianca derivata dai modelli musicali europei e folcloristici dello
hillbilly e shiffle introdusse soluzioni armoniche più raffinate e sempre
crescendo, la valorizzazione dell'elemento solistico che all'apice dello stile
di Chicago, si tradurrà nella preponderanza dell'improvvisazione del singolo e
nella dominazione del sassofono, nonché nella nascita delle grosse formazioni
(Big Bands ), annunciando il jazz degli anni trenta e lo stile Swing .
Tra i solisti di spicco: Bix Beiderbecke, Bud Freeman, Pee Wee Russell, Muggy
Spainer .
Chicago fu, dunque, un centro che segnò profondamente l'evoluzione del jazz e
rimase costantemente un importante punto di riferimento per i musicisti, tanto
è vero che, negli anni '60, diverrà uno dei più importanti luoghi in cui si
cristallizzeranno le tendenze d'avanguardia musicalmente e politicamente più
radicali della cultura nero-americana, delle quali l'Art Ensemble of Chicago
rappresenterà il gruppo emblematico.
Verso la metà degli anni
venti gli stili degli anni precedenti sembravano essere superati e già da più
parti si delineava un nuovo stile che, confluendo con la musica suonata alla
maniera di New Orleans e Chicago diede origine ad uno dei più importanti momenti
del jazz, quello della sua massima affermazione di pubblico: lo Swing.
In quegli anni iniziò la seconda migrazione dei musicisti che si spostarono da
Chicago a New York.
La parola swing per lungo tempo parola chiave del jazz viene impiegata in due
accezioni diverse: swing inteso come elemento ritmico della musica jazz,
difficilmente riproducibile sul pentagramma e soggetto pertanto ad una forte
personalizzazione da parte dei musicisti; swing inteso come lo stile musicale
degli anni trenta, con il quale il jazz raggiunse il massimo successo
commerciale.
La caratteristica peculiare dello swing è costituita dalla formazione delle big
bands dovuta principalmente alla esigenza di creare un rilevante volume sonoro
sufficiente alla sonorizzazione dei grossi locali da ballo.
Dal 1925 al 1929, nelle città di Harlem e Kansas City, le grandi orchestre di
Duke Ellington e di Fletcher Henderson impostarono un radicale rinnovamento del
jazz, con la messa a punto del linguaggio orchestrale.
Queste grandi orchestre fissarono le fondamentali caratteristiche strutturali
delle orchestre stesse, formate da tre distinte sezioni di fiati: trombe,
tromboni e sassofoni in numero variante dai tre ai cinque strumenti per
sezione, oltre ad una sezione ritmica comune anche ai piccoli complessi,
formata da pianoforte, chitarra, contrabbasso e batteria.
Le orchestre suonavano la loro musica e si caratterizzavano per la personalità
del loro leader il quale definiva l'impostazione del suono della band
attraverso gli arrangiamenti scritti.
Completavano il quadro gli interventi improvvisati dei solisti, cosicch´,
l'affermazione delle big bands corrisponde, allo stesso tempo, alla
affermazione dei migliori solisti.
Tutti questi elementi, già in buona parte presenti, come abbiamo visto, nello
stile di Chicago, trovarono nello Swing la massima affermazione e diffusione,
ed il loro perfezionamento.
La crisi americana del 1929 costituì una grossa battuta di arresto per il jazz;
in quella occasione molti musicisti furono costretti a cambiare mestiere o a
trovare qualche impiego nei locali gestiti dai gangsters locali dediti al
controllo della prostituzione ed al traffico clandestino di alcoolici durante
il proibizionismo.
Proprio grazie a queste possibilità, il jazz continuò a sopravvivere, specialmente
nella città di Kansas City, dove la vita notturna non ebbe praticamente
interruzioni e crisi, nei locali gestiti dai boss della malavita bianca. A
Kansas City si affermarono alcune delle più importanti grandi orchestre, come
quella di Benny Noton o quella di Count Basie, e trovarono il loro momento di
gloria i grandi solisti Ben Webster, Coleman Hawkins e Lester Young, o le
grandi cantanti come Billie Holiday .
Kansas City vide nascere una vera e propria scuola solistica che formerà alcuni
dei grossi nomi del jazz moderno, uno tra tutti: Charlie Parker .
Bisognerà comunque attendere il superamento della crisi economica per assistere
al rilancio in grande stile del jazz, quando, verso la metà degli anni trenta,
raggiunse con lo Swing il suo culmine commerciale, segnando contemporaneamente
la sua decadenza, logorato dal suo stesso successo, nel momento in cui le
esigenze di cassetta soppiantarono la spontaneità e la vitalità delle origini.
Quando l'insoddisfazione
dei solisti per il ristretto ambito loro concesso nelle big bands, raggiunse il
culmine, questi si ritrovarono a cercare rifugio, al termine del lavoro in
orchestra, nei piccoli jazz-club, che nel frattempo si erano moltiplicati,
proponendo ogni sera le loro performance; lì, superando gli stereotipi musicali
a loro imposti dalle esigenze del pubblico, prepararono la prima vera grande
rivoluzione, non solo stilistica, ma anche culturale, del jazz.
Nei piccoli clubs di Harlem il Monroe's o il Minton's ad esempio dopo il lavoro
regolare nelle orchestre, molti solisti si riunivano in piccole formazioni con
le quali sperimentavano nuove soluzioni armoniche e nuovi arrangiamenti, con
l'intento di superare l'insoddisfazione delle limitazioni e costrizioni subite
nelle big bands.
Così si sviluppò un movimento musicale che, partendo dalla esigenza di
individuare nuove forme di espressione, si trovò alle prese con l'ambizioso
progetto di conferire al jazz la qualifica di forma d'arte a tutti gli effetti,
al di fuori dello showbussiness legato allo Swing e ai gusti del pubblico,
affermando, al contempo, la pretesa del popolo nero e delle classi emarginate
della società americana di accreditare la propria cultura ed il superamento dei
pregiudizi razziali.
Quello dei boppers divenne un vero e proprio movimento culturale e di tendenza
che accumunava le posizioni di "elitismo" artistico dei musicisti
neri, all'esistenzialismo delle giovani generazioni americane che si
ribellavano al mondo borghese, razzista e perbenista delle generazioni
precedenti.
Un movimento che si esprimeva non soltanto con la musica, ma anche con una
propria originale immagine che si traduceva nell'imitazione di modelli di vita
senza regole e limitazioni, il cui riferimento era costituito dal personaggio
emblematico del bop, Charlie Parker .
Anche il nome del nuovo stile esprimeva in sé questi elementi. La parola be-bop
infatti, può essere riferita tanto al suono onomatopeico dell'intervallo di
quinta diminuita, tipico delle nuove armonizzazioni utilizzate dai boppers,
quanto, nel linguaggio gergale della gioventù outs, rissa, coltellate o meglio
ancora, rivolta (J.E.Berendt, Il libro del jazz, pg. 22).
Intorno all'idea di rivolta nei confronti dello Swing commerciale e di una
radicale trasformazione delle intenzioni dei musicisti, si formo', con i
contributi più disparati e senza un organico programma, uno stile dal fraseggio
nervoso e frammentato, basato sulla disintegrazione della melodia, giocato su
velocissimi cromatismi, nuove soluzioni armoniche e ritmiche furiose.
Ciò provocò la reazione immediata del pubblico, disorientato dal nuovo
linguaggio proposto dai boppers, e non ancora pronto all'impatto con
l'ideologizzazione della musica, specialmente il pubblico dei neri. Il
superamento degli stereotipi dello Swing si tradusse, così, in un ritorno al
jazz delle origini, con una rilevante rifioritura, non soltanto americana,
dello stile New Orleans e del Dixieland. Ma per i musicisti, al di là del
messaggio ideologico, il ricco patrimonio innovativo del be-bop non poteva che
costituire un momento di importante riflessione e la possibilità di percorrere
nuove strade espressive.
Esaurita la spinta
ideologica che aveva sostenuto la trasformazione radicale imposta dal be-bop,
il jazz moderno entrò in una fase di assestamento nella quale si stabilizzarono
gli elementi e le nuove concezioni armoniche introdotte.
Verso la metà degli anni cinquanta, la schizofrenia be-bop lasciò il posto a
soluzioni più razionali ed equilibrate; venne riscoperto, in primo luogo, il
contenuto melodico del jazz, che il be-bop aveva fatto a pezzi, ed una
dimensione più rilassata delle ritmiche, in netta antitesi con i frenetici
tempi staccati dai vari Charlie Parker e Dizzy Gillespie .
Accanto a questi elementi squisitamente musicali, la necessità, per chi della
musica faceva la propria professione, di recuperare il pubblico perduto, impose
le nuove tendenze stilistiche del jazz degli anni cinquanta.
La concezione cool del jazz, si impose ad opera di alcuni personaggi chiave per
il suo sviluppo e per la sua evoluzione.
Da un lato, il nero Miles Davis.
Davis, che giovanissimo si era formato alla scuola di Parker, nella cui band
aveva sostituito Gillespie alla tromba, imponendosi, già da allora, come
brillante promessa, fu, probabilmente, il primo musicista nero ad avvertire la
necessità di un ripensamento dei radicalismi del be bop in una chiave più
proponibile al grande pubblico.
Le sue incisioni degli anni cinquanta rimangono una importante e decisiva
testimonianza dello sforzo compiuto per individuare una soluzione espressiva di
ampio respiro estetico, che abbracciasse, oltre che la tradizione jazzistica,
la tradizione musicale colta ed europea.
Una direzione di ricerca che percorre un sentiero che attraversa tutta la
tradizione complessiva della musica afroamericana e che va da Bix Beiderbecke a
Lester Young, da Red Norvo alle piccole formazioni dirette da Benny Goodman .
Da un altro versante, il pianista bianco Lennie Tristano, con la sua New School
of Music e i musicisti che si formarono in essa: Lee Konitz, Warne Marshe,
Billy Bauer.
Queste tendenze, alle quali si può riconoscere l'intento di ricerca, assieme
alle esperienze più spontanee di Gerry Mulligan, di Dave Brubeck, del jazz da
camera del Modern Jazz Quartet di John Lewis e Milt Jackson, costituiscono il
movimento cool.
La sintesi dell'esperienza davisiana e di quella più propriamente cool comporta
la nascita, sulla costa occidentale della California, di una corrente
stilistica, prevalentemente bianca, denominata, appunto, West Coast, che tra il
1952 ed il 1958 vide in primo piano l'orchestra di Stan Kenton e solisti come
Shelly Mann, Shorty Rogers, Jimmy Giuffre, i quali proposero una musica che non
obbediva ad alcuna regola ben definita, ma che contiene elementi unificanti e
riconoscibili, tali da determinarne una caratterizzazione stilistica peculiare.
I contenuti e gli approcci
classicheggianti del cool e della West Coast, provocarono la reazione dei
musicisti neri, i quali, ad eccezione di Miles Davis e John Lewis, si
ritrovarono imbrigliati in questa nuova concezione musicale.
La loro reazione, fu indirizzata al recupero delle caratteristiche più
marcatamente nere del jazz: le influenze gospel e blues, l'immediatezza, in
contrasto con il jazz arrangiato del movimento cool, e soprattutto la scansione
ritmica.
Accanto alle semplici progressioni tipiche, trovarono spazio le soluzioni
armoniche del be-bop ed i temi tradizionali che si aggiunsero alle composizioni
originali.
Questa tendenza stilistica viene denominata Hard-bop e presenta, quali elementi
qualificativi, le denominazioni concorrenti di East Coast Jazz per indicarne la
contrapposizione con lo stile West Coast di Funky per esaltarne le commistioni
con il blues ed il gospel o ancora di post-bop per metterne in risalto la più
immediata derivazione dal be-bop rispetto allo stile cool.
Dal punto di vista melodico ed armonico, l'hard-bop appare caratterizzato dalla
bluesizzazione dei temi, attraverso strutture armoniche che esaltano il
rapporto sottodominante-tonica (IV-I) tanto nel modo maggiore, quanto nel modo
minore, e dall'utilizzo di sezioni ritmiche più omogenee e agili di quelle
be-bop.
Le formazioni guida del periodo sono il quintetto con sax e tromba (Quintetto
di Clifford Brown e Max Roach ), o il sestetto con sax, tromba e trombone (Jazz
Messengers di Art Blakey, Jazztet di Benny Golson e Art Farmer ).
Le esperienze cool e
hard-bop si imposero in modo uniforme nel panorama jazzistico per tutto il
corso degli anni cinquanta, fino a divenire, nei diversi atteggiamenti assunti
dai vari gruppi operanti, un aggregato stabilizzato di tutti gli elementi
musicali radicalmente innovativi introdotti dal be-bop e dei più classici
contenuti del jazz pre-bop.
Con la sedimentazione di tali elementi, che diventano propri del jazz moderno,
arrivò ben presto, comunque, la stereotipizzazione e la monotonia.
Quando, ancora una volta, la ossessiva ricerca di diversi ambiti di espressione
da parte dei musicisti diventerà una esigenza pressante, la sperimentazione di
nuove soluzioni arriverà attraverso il lavoro di Miles Davis coadiuvato dal
sassofonista tenore del suo quintetto, John Coltrane .
Con Milestone (1958) Davis introduce, nelle esperienze congiunte di cool e
hard-bop, la concezione modale, che si caratterizza per l'impiego di
armonizzazioni povere, basate su lunghe sequenze di uno o due accordi sulle
quali si improvvisa utilizzando melodie elaborate su modi o scale costruiti al
di fuori delle due principali modalità: maggiore e minore.
L'impiego di questi semplici schemi armonici consente al solista di superare la
monotonia delle melodie costruite sulle tradizionali progressioni armoniche
tonali, rendendolo contemporaneamente più libero di spaziare a proprio
piacimento entro la costruzione dei modi e senza la limitaziòne di una
vincolante struttura di accordi.
L'esperimento di Davis con Milestone verrà portato a compimento con un'opera
fondamentale che segnerà un momento importante per l'evoluzione stilistica ed
un altrettanto importante spartiacque tra le due tendenze musicali degli anni
sessanta.
L'opera in questione è Kind of Blue (1959), dove le intuizioni di Davis e
Coltrane trovarono, attraverso il contributo del giovane pianista bianco Bill
Evans, la loro giusta collocazione ed una sistemazione organica e definitiva,
oltre ad un risultato estetico tra i più apprezzabili in tutto il panorama
musicale jazzistico.
Da Kind of Blue, due strade saranno percorse successivamente.
La modalità, mescolata ai modi abituali più classici ed al sistema tonale, sarà
sviluppata da Bill Evans e, filtrata dalla sua immensa sensibilità e dal suo
senso estetico, diverrà patrimonio di giovani musicisti come Herbie Hancock,
Chick Corea, Keith Jarrett, Gary Burton e nuovo terreno fertile per quei
musicisti formatisi nell'esperienza cool, come il chitarrista Jim Hall.
Su un altro versante il jazz intraprese la strada del free jazz.
L'approfondimento radicale
degli elementi modali introdotto nel jazz porterà alcuni solisti a raggiungere
dimensioni sempre più libere e meno convenzionali, sulle orme del sassofonista
John Coltrane .
In ogni caso, dopo gli anni settanta, la modalità diverrà parte integrante del
jazz contemporaneo, stemperandosi nelle diverse concezioni stilistiche, dal
free alla fusion.
Nel 1960 Ornette Coleman utilizzò per primo la accezione di Free Jazz,
incidendo, con quel nome, uno storico album nel quale due quartetti
contrapposti, partendo da una modalità e da una scansione ritmica
predeterminate, improvvisano liberamente svincolandosi, mano a mano, dalle
stesse.
Da questo esperimento, si svilupperà una tendenza che, cercando la rottura
completa ed incondizionata con quanto fatto in precedenza nel jazz - stili,
forme e strutture - cercherà la propria strada al di fuori dell'armonia e della
ritmica prestabilite, lasciando al solista unicamente la sua più libera
improvvisazione.
Accanto al discorso musicale, ancor più che nel bebop, ancora una volta
troviamo la presa di coscienza, l'evoluzione della condizione, la lotta per
l'emancipazione del popolo nero.
Un popolo nero che è convinto di dover incidere in maniera netta e determinata
nella società americana, troncando definitivamente ogni legame con quella
società, fino al suo completo superamento. E' il periodo dei grandi movimenti
neri di Martin Luther King e di Malcolm X.
L'atteggiamento si traduce, in campo musicale, nella demolizione di forme e
schemi, nella ricerca delle origini del jazz e nel recupero del gusto,
dell'entusiasmo, dell'immediatezza di quelle origini, come nel caso dell'improvvisazione
collettiva che diviene momento coagulante della rabbia del singolo, nella
rabbia e nel grido collettivo del blackpower.
Oltre a questo, esiste la convinzione del rinnovamento possibile soltanto
attraverso il taglio netto con le influenze musicali bianche. La rivolta
investe i temi, i ritmi segnati, la tecnica strumentale accademica, visti come
elementi di costrinzione alla voglia di gridare la propria liberazione.
Insomma, un radicale mutamento di atteggiamento verso la musica.
Se nel be-bop, infatti, l'atteggiamento rivoluzionario si tradusse nella
individuazione di nuove forme che esaltassero la trasgressività, il movimento
free non ha bisogno di essere trasgressivo, ma di abbattere la forma: non
rifiuta il sistema collocandosene ai margini, ma lo combatte, per il suo
definitivo annientamento.
Entro i confini del free operarono le più diversificate esperienze, proprio per
la necessità di consentire a ciascuno di fare i conti solo ed esclusivamente
con la sua sensibilità.
Ovvio che il risultato non può che riflettere tale sensibilità: è apprezzabile
quando il solista è artista e gli esempi non mancano: Don Cherry, Cecil Tylor,
Ornette Coleman, Pharoah Sanders, Albert Ayler; difetta, quando la mancanza di
una progettualità non è neanche adeguatamente supportata da una grande capacità
inventiva e comunicativa. Paradossalmente, il movimento free non abbracciò il
pubblico nero, tradendo le intenzioni dei musicisti free ed i loro propositi di
costituire un terreno musicalmente unificante della cultura nera.
Il pubblico nero, nel
periodo più alto del free, si era allontanato dal jazz, avvicinandosi a forme
musicali di più diretta derivazione nera, quali il blues, il rhythm & blues,
o di più immediata fruibilità, quale è il rock.
Il free divenne, invece, prerogativa dei movimenti giovanili bianchi e delle
loro lotte studentesche e rivoluzionarie di fine anni sessanta.
Ancora una volta fu Miles Davis ad intuire che l'intento di recuperare il
pubblico nero al jazz doveva passare necessariamente attraverso l'avvicinamento
del jazz alla musica rock.
Dopo l'esperienza di Kind of Blue il trombettista percorse varie strade, con
l'intento di rinnovarsi periodicamente e di incontrare costantemente il favore
commerciale. Molti solisti si avvicendarono nelle diverse formazioni da lui
capitanate, tentando, di volta in volta, soluzioni compromissorie ora con il
modale più spinto, ora con il free. Erano percussionisti latino-americani,
musicisti della pop-music, pianisti elettrici, batteristi free.
Attraverso l'utilizzo della strumentazione elettrica, dei tempi rock e latini,
di temi presi in prestito dalla pop-music, Davis effettuerà una mirata scelta
attraverso la quale si confronteranno tra loro esperienze le più diversificate
e fascie di pubblico eterogenee, indirizzando il jazz verso una nuova stagione
felice e verso risultati creativi notevoli.
Il panorama jazzistico che ci
troviamo di fronte in questi ultimi anni è frutto di un lungo lavoro di
mediazione e contemperamento delle diverse esperienze passate.
Le nuove tendenze del jazz degli anni ottanta raccolgono il contributo del
notevole cammino evolutivo compiuto dal jazz in un periodo di tempo
relativamente breve, fornendoci un insieme stratificato e poliforme.
Accanto agli sviluppi della modalità contaminata da elementi classici convivono
innumerevoli forme di contaminazione del jazz con altre forme musicali, che
sarebbe riduttivo ricondurre ad una peculiare connotazione stilistica.
Per questo si e preferito denominare fusion queste esperienze, abbandonando la
formula jazz rock usata nel decennio precedente.
L'ascoltatore si trova a contatto alle molte strade della possibile linea
evolutiva della musica jazz, senza essere in grado di individuare con certezza
quale sarà quella vincente.
Quelle più interessanti provengono dall'utilizzazione dell'elettronica,
attraverso la quale sembra che il jazz si sia rivitalizzato.
Il riferimento immediato è a Pat Metheny, a Michael Breacker e, ancora una
volta, a Miles Davis, la cui ultima produzione, sicuramente pregevole, è stata
il sintomo della sua immensa capacità di cogliere gli elementi qualificanti in
grado di conferire al jazz la spinta evolutiva della quale, forse, si comincia
a sentire il bisogno, dal momento che si ha sempre bisogno che il nostro amore
si ravvivi.
E' qualche tempo che, nel
panorama musicale, circola la definizione di acid jazz. Che cosa è
l'acid jazz? E' uno stile musicale funky che incorpora elementi di jazz, funk
degli anni '70, hip-hop, soul e tante altre cose. Un fritto misto, dunque, che,
rielaborando il concetto di fusion, punta alla integrazione di ogni possibile
elemento musicale contemporaneo, contrapponendosi, però, a quella tendenza del
Rap che su basi di musica jazz gioca con le parole: il vero interesse dell'acid
jazz è la componente musicale.
In ogni caso, è pressoché impossibile, al momento, dare una definizione precisa
di acid jazz, dal momento che la proposta dei vari gruppi emergenti che si
riconoscono nella definizione, è estremamente articolata e differenziata. Non
resta che attendere e ascoltare !