Riforma, Controriforma, cultura

Percorso disciplinare tratto da "La conoscenza storica", B. Mondadori

scalette per le relazioni  

COME FARE?

Ti presentiamo alcune scalette che puoi seguire per preparare la tua relazione sia nella forma di un testo scritto sia come esposizione con diapositive (in PowerPoint).

Spetterà a te riempire le scalette sintetizzando le informazioni dal tuo manuale o quelle contenute nel percorso stampato all'interno del volumetto: sceglierai tu se citare o meno documenti.

Per ogni punto della scaletta ti indicheremo le fonti corrispondenti (se ve ne sono) che potrai citare o riportare in parte nell'esposizione.

Naturalmente potrai accorciare o allungare la relazione a tuo piacere, o fondere due o più scalette per preparare una relazione più ampia.

Relazione 1. La riforma protestante: aspetti dottrinali e conseguenze socio-culturali

Obiettivo

  1. Collocare la Riforma nel contesto culturale e religioso dell'epoca. Rilevare le principali differenze fra luteranesimo e umanesimo cristiano (Erasmo);
  2. precisare la visione del cristianesimo in Lutero;
  3. precisare la dottrina di Zwingli e soprattutto di Calvino;
  4. sintetizzare le conseguenze della Riforma sul piano culturale e sociale.

 

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Relazione 2. La Riforma e l’arte

Obiettivo

  1. Introdurre il tema spiegando quale concezione dell'uomo avesse la religione riformata;
  2. illustrare con esempi la polemica antirinascimentale condotta dalla cultura protestante.

 

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Relazione 3. La Riforma cattolica

Obiettivo

  1. Illustrare in modo critico il concetto di "Controriforma";
  2. illustrare gli aspetti dottrinali delle cosiddetta "Controriforma";
  3. mostrare con quali strumenti - repressivi e non - la Chiesa condusse la sua battaglia contro il protestantesimo.

 

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Relazione 4. La Controriforma e l’arte

Obiettivo

  1. Sintetizzare i caratteri generali della Controriforma, per poi mostrarne le conseguenze in campo artistico;
  2. mostrare come nella Controriforma si espresse una nuova concezione della spiritualità e dell'arte.

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M. Lutero, Le novantacinque tesi sulle indulgenze, trad. it. di F. di Caccia, in A. Agnoletto, Lutero: la vita il pensiero i testi esemplari, Edizioni Accademia, Milano 1974.La “grande indulgenza” bandita per la Germania nel 1517 (con lo scopo, tra l’altro, di raccogliere fondi per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma) era basata sul presupposto che esistesse in cielo un tesoro accumulato da Cristo e dai santi grazie ai loro meriti e che di questo tesoro il papa potesse disporre per distribuirlo ai peccatori. Le indulgenze in verità non erano “vendute”, ma “elargite”; tuttavia da molto tempo ormai la prassi che trasformava le spontanee “offerte” dei fedeli in vere e proprie tariffe di compravendita era stata accettata e incoraggiata dalla Chiesa. Lutero predicò più volte contro questa pratica che egli riteneva immorale, negando sia l'esistenza del presunto tesoro dei santi, sia la potestà del papa di attingervi, sia, infine, accettando anche che tutto ciò fosse ammissibile, il fatto che tali indulgenze potessero venir vendute. Alla fine, decise, di affiggere, nella chiesa di Wittenberg, le famose “95 tesi” (31 ottobre 1517) nelle quali contestava, in particolare, la vendita delle indulgenze. 

1. Il signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo: “Fate penitenza ecc. ”, volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza. 2. E ciò non può intendersi come penitenza sacramentale (cioè come confessione e soddisfazione, che viene compiuta mediante il ministero dei sacerdoti). 3. E tuttavia non ha in vista la sola penitenza interiore, perché anzi non vi è penitenza interiore se questa non produce esternamente le diverse mortificazioni della carne. 4. Quindi questa pena perdura finché continua l’odio di se stesso la vera penitenza interiore), vale a dire fino all’entrata nel regno dei cieli. 5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena, eccetto quelle che ha imposto o per suo volere o per volontà dei canoni. 10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti che comminano ai moribondi penitenze canoniche per il purgatorio. 11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del purgatorio appaiono certo seminate mentre i vescovi dormivano. 20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende realmente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui. 21. Errano dunque quei predicatori di indulgenze, i quali dicono che l’uomo può essere liberato e salvato da ogni pena mediante le indulgenze del papa. 22. [Il papa anzi] non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni. 24. Perciò deve accadere che la più parte del popolo sia ingannata da quella promessa di liberazione dalla pena indiscriminata e appariscente. 27. Predicano come uomini quelli che dicono che appena il soldino gettato nella cassa risuona, un’anima se ne vola via [dal purgatorio]. 28. Certo è che col tintinnio della moneta nella cassa si possono aumentare il guadagno e l’avidità; ma il suffragio della Chiesa dipende solo da Dio. 32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che si credono sicuri della propria salvezza per mezzo delle lettere di indulgenza. 33. Predicano una dottrina non cristiana coloro che insegnano che non è necessaria la contrizione per quelli che comprano le indulgenze per i defunti o le lettere confessionali. 36. Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli spetta, anche senza lettere di indulgenza. 37. Qualunque vero cristiano, vivo o defunto, ha la partecipazione, datagli da Dio, a tutti i beni del Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza. 40. La vera contrizione cerca e ama le pene; la prodigalità delle indulgenze invece produce un rilassamento e fa odiare le pene, o almeno ne offre l’occasione. 43. Bisogna insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze. 44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e l’uomo diventa migliore, mentre con le indulgenze questi non diventa migliore, ma solo più libero dalla pena. 45. Bisogna insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e lo trascura per comprarsi indulgenze, si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio. 46. Bisogna insegnare ai cristiani che, eccettuato il caso in cui abbondano di beni superflui, debbono risparmiare il necessario per la loro casa e non sprecarlo mai per le indulgenze. 50. Bisogna insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro finisse in cenere, piuttosto che vederla edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle. 51. Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe dare del proprio denaro (anche a costo di vendere — se fosse necessario — la basilica di San Pietro) a quei molti ai quali alcuni predicatori di indulgenze carpiscono denaro. 52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenze, anche se un commissario, e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima. 53. Nemici del Cristo e del papa sono coloro i quali, perché si possano predicare le indulgenze, ordinano che la parola di Dio sia fatta del tutto tacere nelle altre chiese. 54. Si offende la parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo uguale o maggiore all’indulgenza che ad essa. 62. Vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio. 63. Ma questo tesoro è a ragione odiatissimo perché dei primi fa gli ultimi. 64. Il tesoro delle indulgenze invece é giustamente il più accetto, perché fa degli ultimi i primi. 65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali una volta venivano pescati uomini ricchi. 66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini. 75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo anche se questi — per impossibile — avesse violato la madre di Dio, è pura follia. 76. Al contrario affermiamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa. 79. Dire che la croce delle insegne papali, eretta solennemente, equivalga alla croce di Cristo, è bestemmia. 80. Dovranno renderne conto vescovi, curati e teologi che permettono che simili discorsi siano tenuti al popolo. 81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze è tale che non rende facile neppure a uomini dotti di difendere il rispetto dovuto al papa dalle infami calunnie o, se volete, dalle sottili obiezioni dei laici. 82. Vale a dire: perché il papa non vuota il purgatorio a causa della santissima carità e della grande sofferenza delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero senza fine di anime a causa del funestissimo denaro per la costruzione della basilica, che è un motivo futilissimo?83. Parimenti: perché devono continuare le esequie e gli anniversari dei defunti e non restituisce, o permette siano ritirati i benefici istituiti per loro, dal momento che è un'offesa pregare per dei redenti?84. Parimenti: qual è questa nuova pietà di Dio e del papa, per cui concedono per denaro ad un empio nemico di liberare un'anima pia ed amica di Dio, mentre non la liberano con gratuita carità per la sofferenza in cui quest'anima pia e diletta si è venuta a trovare?85. Parimenti: perché canoni penitenziali di per sé e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a causa della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora con il denaro come se fossero ancora in pieno vigore?86. Parimenti: perché il papa, le cui ricchezze oggi sono più crasse di quelle dei più ricchi Crassi, non costruisce almeno la basilica di San Pietro con il suo denaro, invece che con quello dei poveri fedeli?87. Parimenti: che cosa rimette o partecipa il papa a coloro che, a causa di una perfetta contrizione, hanno diritto alla piena remissione o partecipazione?88. Parimenti: quale maggior bene si arrecherebbe alla Chiesa se il papa, invece di concedere ad ognuno dei fedeli queste remissioni e partecipazioni una sola volta, le concedesse cento volte ogni giorno?90. Soffocare queste sottilissime argomentazioni dei laici con la sola forza e senza addurre ragioni, significa esporre la Chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani. 91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l'intenzione dei papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente risolte, anzi non esisterebbero. 94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le morti e gli inferni. 95. E confidino così di entrare nel cielo più attraverso molte tribolazioni che non nella sicurezza di [una falsa] pace. 

 

Da una lettera di Lutero a G. Lang, 1525, in Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, vol. VIII, 1964.La polemica tra Erasmo e Lutero sul libero arbitrio costituisce un momento di grande importanza per cogliere gli elementi che distinguono la riforma luterana dallo spirito di rinnovamento tipico di un intellettuale umanista come Erasmo. Mentre Erasmo sostiene che il libero arbitrio è una caratteristica fondamentale dell'essere umano, senza la quale non solo l'uomo non avrebbe alcun merito agli occhi di Dio, ma l'esistenza stessa dell'uomo sarebbe per certi aspetti priva di senso, Lutero ribatte che per quanto riguarda la salvezza il libero arbitrio non può nulla, e che solo confidando nell'intervento imperscrutabile della grazia divina e non sulle sue facoltà, l'uomo può sperare di salvarsi.

Leggendo il nostro Erasmo, diminuisce in me giorno per giorno la fiducia nei suoi riguardi: fa piacere in verità il fatto che egli critichi con una costanza non inferiore alla erudizione sia i religiosi che i sacerdoti e metta sotto accusa la loro inveterata e letargica ignoranza; temo però che non valuti abbastanza Cristo e la grazia di Dio... in lui le cose umane prevalgono sulle divine.

Lettera ad Erasmo. Tu (Erasmo) riconosci al libero arbitrio una sia pur modesta forza, ma tale da riuscire del tutto inefficace senza la grazia di Dio. Non è questa la tua affermazione? Ora io ti domando: se mancasse la grazia di Dio o si separasse da tale modesta forza, che cosa questa potrebbe fare? Tu rispondi che è inefficace e che non fa nulla di buono. E allora non farà ciò che Dio e la sua grazia vorrà, dal momento che abbiamo supposto da lei separata la grazia di Dio. Ma ciò che la grazia di Dio non fa, non è buono. Ne consegue che il libero arbitrio, senza la grazia di Dio, non è affatto libero, ma è immutabilmente prigioniero e schiavo del male, non potendo da solo rivolgersi al bene.

Calvino: Le opere come segno della grazia divina, da Institution chrétienne, in Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, vol. VIII, 1964.

Non vi è alcun dubbio che quanto merita lode nelle nostre opere è tutto grazia di Dio e che non vi è una sola goccia di bene che dobbiamo propriamente attribuirci. Se consideriamo questi principi come verità, non soltanto ogni fiducia ma anche ogni fantasia intorno ai meriti svanirà. Noi quindi non riportiamo la lode per le buone opere fra Dio e l'uomo, come fanno i sofisti della Sorbona, ma riferiamo a Dio ogni lode... Le buone opere quindi piacciono a Dio e non sono inutili a quelli che le fanno, ché, anzi, ricevono dei grandi benefici da parte di Dio; questo, non già perché essi meritino tali premi, ma perché la generosità del Signore dà loro una ricompensa.

H. Zwingli, I 67 articoli, Scritti teologici e politici, a c. di E. Geure e E. Campi, Claudiana, Torino, 1985.Lo svizzero Huldrych Zwingli (1484-1531), a differenza di Lutero, cercò di fare della sua dottrina un naturale sviluppo della cultura umanista. Zwingli espose, nel gennaio del 1523, a Zurigo, i "67 articoli" nei quali era compendiata la sua interpretazione della Scrittura. Il sindaco e il piccolo e grande consiglio della città di Zurigo, in un documento ufficiale datato 29 gennaio 1523, concedendo a Zwingli il permesso di predicare liberamente la sua dottrina, constatavano che “il maestro Huldrych Zwingli, canonico e predicatore presso la cattedrale, e che è stato in precedenza accusato e oggetto di chiacchiere, si è offerto e ha messo in discussione i suoi articoli, ma nessuno gli si è opposto e nessuno lo ha saputo contraddire con la verace Sacra Scrittura”.

Io, Huldrych Zwingli, attesto di aver predicato le seguenti tesi e opinioni nella ragguardevole città di Zurigo, sul fondamento della Scrittura che è ispirata da Dio, e mi offro a difendere e a sostenere queste tesi su questa base. E dove non ho capito rettamente la predetta Scrittura, sono disponibile a lasciarmi istruire da una migliore interpretazione, purché sia fondata sulla Scrittura stessa. l. Tutti coloro i quali affermano che l'evangelo non ha valore senza l'approvazione della Chiesa, errano e disprezzano Dio. 2. Summa dell'evangelo è che il nostro Signore Gesù Cristo, vero figlio di Dio, ci ha rivelato la volontà del suo Padre celeste, e con la sua innocenza ci ha liberati dalla morte e riconciliati con Dio. 3. Perciò Cristo è la sola via di salvezza per tutti coloro che furono, sono e saranno. 4. Chiunque cerca o indica un'altra porta è nell'errore, anzi è un assassino delle anime e un ladro. 5. Perciò sono nell'errore tutti coloro che considerano altre dottrine sullo stesso piano o superiori all'evangelo: non sanno cosa sia l'evangelo. 8. Da quanto precede, segue in primo luogo che tutti coloro che vivono nel Capo sono membra e figli di Dio, e questa è la Chiesa o comunione dei santi, una sposa di Cristo: Ecclesia Catholica. 9. In secondo luogo segue che, così le membra del corpo nulla possono senza la guida del capo, così nel corpo di Cristo, nessuno può qualcosa senza il suo Capo: Cristo. 11. Perciò noi constatiamo che i regolamenti degli ecclesiastici in merito al loro sfarzo, ricchezza, posizione, titoli, statuti, sono causa di ogni sorta di insensatezza, perché non si accordano col Capo. 17. Cristo è l'unico, eterno sommo sacerdote; da ciò si deduce che coloro i quali si sono presentati come sommi sacerdoti contrastano l'onore e la potenza di Cristo, anzi la ripudiano. 18. Cristo ha offerto se stesso una volta sola in un sacrificio che dura nell'eternità ed ha valore espiatorio per i peccati di tutti i credenti; da ciò si deduce che la messa non è un sacrificio, ma una commemorazione del sacrificio e garanzia della redenzione che Cristo ci ha manifestato. 19. Cristo è l'unico mediatore tra Dio e noi. 20. Dio vuole darci ogni cosa nel nome di Cristo; da ciò deriva che, anche oltre i limiti di questa vita, non abbiamo bisogno di alcun mediatore all'infuori di lui. 22. Cristo è la nostra giustizia; da ciò noi riconosciamo che le nostre opere sono buone nella misura in cui sono opere di Cristo; ma in quanto sono nostre non sono né giuste né buone. 27. Tutti i cristiani sono fratelli in Cristo e fratelli fra di loro; e non devono innalzare alcuno come padre al sopra degli altri sulla terra. Perciò cadono: tutti gli ordini, le sette, le congregazioni. 28. Tutto ciò che Dio permette o non ha proibito è giusto. Da ciò si deduce che il matrimonio si addice a tutti gli uomini. 29. Tutti coloro che vengono chiamati ecclesiastici commettono peccato quando, presa coscienza che Dio non ha concesso loro di serbare la castità, non si proteggono col matrimonio. 30. Coloro che pronunciano il voto di castità si assumono un impegno troppo grande, in maniera puerile o stolta. Da ciò si apprende che coloro che pronunciano simili voti, si comportano in modo sacrilego verso gli uomini pii. 31. Un uomo singolo non può decretare ad alcuno la scomunica, ma la Chiesa soltanto, cioè la comunità di coloro in mezzo ai quali vive anche colui che deve essere scomunicato, unitamente al sorvegliante, cioè al pastore. 34. La cosiddetta autorità ecclesiastica non ha alcun fondamento, per quanto concerne il suo fasto, nell'insegnamento di Cristo. 35. Per contro, l'autorità secolare riceve forza e conferma dall'insegnamento e dall'opera di Cristo.36. Tutto ciò che l'autorità ecclesiastica rivendica come suo diritto ed esercizio del diritto, è di competenza dell'autorità secolare, nella misura in cui essa vuol essere cristiana. 37. All'autorità secolare tutti i cristiani, senza eccezione, devono assoluta obbedienza. 38. Fin tanto che essa non esiga ciò che è contrario a Dio. 39. Perciò tutte le sue leggi devono essere conformi alla volontà divina, in modo tale da tutelare l'oppresso, anche se egli non si lamenta. 40, Soltanto l'autorità secolare ha il diritto di condannare a morte senza attirare l'ira di Dio, e solo nel caso di coloro che sono motivo di pubblico scandalo, a meno che Dio suggerisca altrimenti. 50. Dio perdona i peccati soltanto tramite Gesù Cristo, suo figlio e nostro unico Signore. 51. Chi attribuisce il perdono alla creatura, sottrae a Dio il suo onore e lo concede a chi non è Dio. Questa è una vera idolatria. 52. Perciò la confessione che viene fatta al prete o al prossimo, non deve avere come scopo la remissione dei peccati, ma la ricerca di un consiglio. 54. Cristo ha preso su di sé tutti i nostri dolori e le nostre fatiche. Chi attribuisce alle opere di penitenza ciò che appartiene unicamente a Cristo, erra e oltraggia Dio. 57. La vera Sacra Scrittura non sa nulla di un purgatorio dopo questa vita. 58. Il giudizio sui defunti è noto solo a Dio. 62. La Scrittura non riconosce altri sacerdoti se non quelli che annunciano la parola di Dio. 

G. Calvino, L'interpretazione dell'ultima cena, Istituzioni della religione cristiana, a c. di G. Toum, Utet, Torino, 1971Quando, nel 1536, apparvero Le istituzioni della religione cristiana, Giovanni Calvino (1509-64), ventisettenne, fu subito riconosciuto come uno dei grandi interpreti della Riforma, e la città di Ginevra, dove egli si stabili nell'agosto del 1536, divenne la capitale politica e religiosa del nuovo credo calvinista. Riportiamo dal cap. 17 ["La Cena di Gesù Cristo e i frutti da essa recati"] della suddetta opera, alcuni passi relativi alla critica che egli muove all'interpretazione cattolico-romana dell'ultima cena.

Affermo dunque, come è sempre stato accolto nella Chiesa ed è tuttora insegnato da coloro che predicano fedelmente, che vi sono nella santa Cena due realtà: i segni visibili che ci sono qui offerti a motivo della nostra infermità, e la verità spirituale, in questi segni figurata e parimenti offerta. [...]Si eviti anzitutto di concepire tale presenza secondo l'immaginazione dei Sofisti, quasi il corpo di Cristo scendesse sul tavolo e fosse quivi localizzato per essere toccato dalle mani, masticato in bocca e inghiottito nello stomaco. [...] Poiché non essendoci dubbio che il corpo di Cristo ha la sua dimensione, come è richiesto dalla natura di un corpo umano, e che è localizzato in cielo, dove è accolto finché non venga per il giudizio, dobbiamo considerare illecito includerlo fra gli elementi corruttibili e immaginarlo presente ovunque. Di fatto questa presenza non è necessaria per avere comunione col signore Gesù Cristo dato che egli ci elargisce, mediante il suo Spirito, il beneficio di essere fatto uno con lui, nel corpo, nello spirito, nell'anima. Il legame di questa unione è lo Spirito Santo, che è quasi un canale mediante cui scende sino a noi tutto ciò che Cristo è e Cristo possiede. Noi infatti constatiamo, in modo visibile, che il sole illuminando la terra, invia in qualche modo, mediante i suoi raggi, la sua sostanza per generare, nutrire, far crescere i frutti; perché dovrebbero essere la luce e l'irradiazione dello Spirito di Cristo meno potenti da non poter recarci la comunione della sua carne e del suo sangue?La Scrittura pertanto, parlando della partecipazione che abbiamo con Cristo, ne sintetizza tutta la forza nello Spirito. Un testo solo risulta sufficiente: San Paolo nel capitolo ottavo dei Romani dichiara che Cristo abita in noi col suo Spirito. Dicendo questo non annulla tuttavia questa comunione del suo corpo e del suo sangue, di cui stiamo ora parlando, ma dimostra che lo Spirito è il solo mezzo per cui noi possiamo possedere Cristo e averlo dimorante in noi. I teologi scolastici scandalizzati da così rozza empietà si esprimono in termini più moderati, o forse meno espliciti, si tratta però solo di un alibi più sottile. Ammettono che Gesù Cristo non sia rinchiuso nel pane e nel vino in forma locale, né corporale ma ne inventano una nuova, che non capiscono essi stessi, né tanto meno sono in grado di illustrare agli altri. La sostanza del loro insegnamento è in fondo che si debba cercare Gesù Cristo nelle specie del pane, per usare la loro espressione. Quando però affermano che la sostanza del pane è tramutata in lui, non vincolano forse la sostanza di lui al candore che pretendono essere il solo elemento che quivi rimane? Dicono però che è contenuto nella specie del pane in modo tale da rimanere tuttavia in cielo, e definiscono tale presenza abituale. Qualunque siano però i termini inventati per mascherare le loro false dottrine e renderle accettabili, si ritorna pur sempre a questo punto: ciò che era pane diventa Cristo: in modo tale che dopo la consacrazione la sostanza di Gesù Cristo è nascosta sotto forma di pane. E questo non hanno vergogna di dirlo in modo esplicito e chiaro. [...]Di qui è venuta fuori quella assurda transustanziazione per la quale i papisti combattono oggi con impegno maggiore che per tutti gli altri articoli della fede. I primi inventori di questa teoria non erano in grado di capire come il corpo di Gesù Cristo potesse essere unito con la sostanza del pane senza che sorgessero, immediatamente, molte assurdità evidenti. Sono perciò stati costretti a ricorrere a questo misero sotterfugio: il pane si è mutato nel corpo di Cristo non nel senso che il pane si è fatto corpo, ma nel senso che Gesù Cristo, per nascondersi sotto le specie del pane, annulla la sostanza di quello. Stupisce che siano caduti in tanta ignoranza, per non dire stupidità, osando contraddire, per sostenere tale mostruosità, non solo la Sacra Scrittura, ma anche ciò che era stato creduto dalla Chiesa antica. Ammetto che fra gli antichi alcuni abbiano a volte adoperato il termine "mutamento", non per abolire la sostanza dei segni esteriori, ma per sottolineare il fatto che il pane consacrato a quel mistero risulta differente dal pane comune, e da ciò che era prima. Nondimeno tutti affermano, unanimemente, che nella santa Cena sono presenti due elementi: uno terrestre, l'altro celeste, e non avvertono il minimo disagio nell'affermare che il pane e il vino sono segni terreni. [...] Fra gli antichi non c'è nessuno che non riconosca esplicitamente che il pane e il vino sono segni del corpo e del sangue di Gesù Cristo quantunque a volte in vista di sottolineare la dignità di questo mistero ricorrano a molte espressioni. Le loro affermazioni secondo cui, consacrando il pane, si opera un mutamento segreto in modo tale che sia presente altro che del pane e del vino, non è, come ho già mostrato, per significare che il pane e il vino svaniscano, ma che devono essere considerati in modo diverso da alimenti comuni, atti solo a nutrire il ventre, dato che siamo quivi in presenza del cibo e della bevanda spirituale per nutrire le anime nostre. Accetto dunque la verità di queste affermazioni degli antichi dottori. Riguardo però al dedurre, come fanno questi fabbricanti di nuove dottrine: se c'è mutamento il pane deve essere annullato, perché è il corpo di Cristo che prende il suo posto, replico che è bensì vero che il pane è reso altro da ciò che era ma se da questo pensano poter ricavare le loro speculazioni, domando loro quale cambiamento, a loro avviso, si compie nel battesimo. Gli antichi infatti affermano che anche qui si verifica un mirabile mutamento, nel senso che un elemento corruttibile è fatto lavacro spirituale delle anime, tuttavia nessuno contesta che l'acqua mantenga la sua sostanza. [...]In sostanza la natura dei sacramenti è sovvertita quando il segno terrestre non corrisponde alla realtà spirituale per significare autenticamente ciò che deve essere quivi inteso. La verità della Cena risulterebbe solo annientata se non vi fosse del vero pane per rappresentare il vero corpo di Gesù Cristo. Essendo la Cena null'altro che una visibile conferma di quanto è detto nel capo sesto di San Giovanni, che cioè Gesù Cristo è il pane di vita disceso dal cielo, è assolutamente necessario che vi sia pane visibile e materiale per essere figura di quello spirituale, se non vogliamo che lo strumento dato da Dio a sostegno della nostra debolezza venga meno senza che ne ricaviamo alcun vantaggio. Come potrebbe san Paolo dedurre che nell'aver parte all'unico pane siamo fatti un pane e un corpo [I Cor, X, 17] se non vi fosse che apparenza di pane e non invece la sostanza e la realtà? In realtà non si sarebbero lasciati così grossolanamente ingannare dalle illusioni di Satana se già non fossero stati stregati dall'errore che il corpo di Cristo, essendo rinchiuso sotto il pane, si mangia e si digerisce. Una teoria così priva di senso è derivata dal fatto che quel termine "consacrazione", assume per loro il carattere di un incantesimo o di uno scongiuro di tipo magico. Ignorano il fatto che il pane non è sacramento se non per coloro cui è stata rivolta la Parola; come l'acqua del battesimo non è mutata in se stessa, ma comincia a essere per noi ciò che non era prima, al momento in cui le si aggiunge la promessa. [...] È dunque facile dedurre che, quando elementi terreni vengono adoperati per un uso spirituale della fede, il solo mutamento che si verifica concerne gli uomini, in quanto questi elementi diventano per loro suggelli di promesse divine. 

Ruzzante, lettera al cardinale Pisani del 1547, in Ricciardi, Milano, 1971.La diffidenza protestante verso l’arte rinascimentale era parzialmente condivisa anche da religiosi e intellettuali, come il Savonarola e il Ruzzante, che, pur non facendo parte del campo riformato, sentivano la necessità di una svolta da imprimere alla spiritualità religiosa, spesso incorrendo nella condanna della chiesa o dovendo difendersi dall'accusa di eresia. In questa lettera il Ruzzante accusa il cardinale Pisani di voler sprecare tempo e denaro nella ricostruzione di una cattedrale distrutta dagli iconoclasti.

Se avete tanto denaro da poterlo sprecare, date del pane a coloro che hanno fame, un marito a quelle che lo desiderano e non possono averlo perché prive di dote, date la libertà a chi è in prigione, fate fare delle vesti e delle camicie a quelli che muoiono di freddo, e molte altre opere dello stesso tipo, in modo che ognuno dica bene di voi; in breve, cercate di restaurare la chiesa spirituale e non quella di pietra, poiché non ho mai sentito che qualcuno sia andato in paradiso per aver fatto questo tipo di costruzioni. E se tuttavia voi avete proprio la mania dell'edificare fate costruire un ospedale per i poveri e fate che i nostri operai abbiano paghe tutte uguali, infine date da bere alle piante che mancano di acqua, giacché siete proprio voi che avete in mano le chiavi delle fontane.

Hubert Jedin, Riforma cattolica o Controriforma?, Morcelliana, Brescia, 1967.L'analisi storica della Controriforma è passata da giudizi puramente negativi, tendenti a circoscriverne soltanto l'aspetto reazionario, ad interpretazioni più sfumate, finalizzate, come nel presente brano dello storico tedesco Hubert Jedin, a ricercarne anche i valori positivi, tipici di una vera e propria Riforma cattolica.La riforma cattolica prosegue il Medioevo poiché difende i valori della fede ma anche rappresenta un fatto innovativo, che spazia dal rinnovamento teologico a quello della vita della Chiesa. 

Il Concilio di Trento è dunque - mi si permetta questa espressione - “reazionario”? Fu un prolungamento artificiale del medioevo? Conservatore, certo, lo è. Non solo tutela il bonum fidei [il bene derivato dal possedere la fede] contro il Protestantesimo, ma anche tutte le istituzioni essenziali ch'erano state elaborate durante il Medioevo. Ma è anche progressivo, nel miglior senso della parola, poiché riconosce i compiti urgenti della cura d'anime, la necessità di educare il clero meglio che sinora, di dare ai vescovi maggiore libertà di movimenti nelle loro diocesi, e rende utili ai propri fini istituzioni più antiche come i sinodi diocesani e la visitazione canonica; e lascia anche possibilità di sviluppo al nuovo metodo della teologia positiva... Ci furono nel Concilio di Trento tensioni, tanto forti che a momenti sembrò in pericolo la sua riuscita. Ma le tensioni, se non sono soltanto personali, ma hanno condizioni oggettive, sono un segno di vita e di salute. Esse mancano dove si sa dire solo: no. Le pure e semplici reazioni sono infeconde, destinate alla rovina. La storia passa al di sopra di esse. Se il Concilio di Trento fosse stato solo una galvanizzazione del medioevo, sarebbe rimasto un episodio transeunte, e la sua efficacia non avrebbe superato i secoli. O forse gli si vuol fare rimprovero che non ha impedito l'estraniarsi dello spirito moderno dalla Chiesa, che non ha impedito rivoluzione e secolarizzazione?

Decisioni dei concili ecumenici, a c. di G. Alberigo, trad. it. R. Galligani, Utet, Torino, 1978.La risposta a tutti i problemi e ai dubbi sollevati dalle dottrine luterane e dalle altre dottrine riformate fu data dalla Chiesa cattolica attraverso i decreti del concilio di Trento. Il Concilio si preoccupò di chiarire le grandi verità di fede. Fra queste il primo posto toccava alle questioni della fede e delle opere, della grazia e del libero arbitrio. Su tutti questi problemi il concilio pronunciò la sua parola definitiva con i "canoni sulla giustificazione", approvati il 13 gennaio 1547, che scagliavano la maledizione (anatema) sulle tesi condannate.

1. Se qualcuno afferma che l'uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema. 3. Se qualcuno afferma che l'uomo, senza previa ispirazione e aiuto dello Spirito Santo, può credere, sperare e amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema. 4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell'uomo mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara a ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz'anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema. 5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell'uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella Chiesa da Satana: sia anatema. 6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell'uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema. 7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l'odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema. 8. Se qualcuno afferma che il timore dell'inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema. 9. Se qualcuno afferma che l'empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient'altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema. 14. Se qualcuno afferma che l'uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l'assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anatema. 15. Se qualcuno afferma che l'uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema. 17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema. 18. Se qualcuno dice che anche per l'uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili a osservarsi: sia anatema. 19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema. 20. Se qualcuno afferma che l'uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto a osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all'osservanza dei comandamenti: sia anatema. 21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema. 24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata e anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone; ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema. 25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o [cosa ancor più intollerabile] mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema. 30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della vita eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l'ingresso al regno dei cieli: sia anatema. 31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema. 

Da H. Denzinger - A. Schönmetzer, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Friburgi Brisgoviae, 1963.Il concilio di Trento, tenutosi dal 1545 al 1563, segnò la riflessione della Chiesa sulla Riforma protestante. La lunga assise riformulò e ribadì la dottrina cattolica riguardo ai punti che erano stati posti in discussione: la validità delle interpretazioni ecclesiastiche delle Sacre Scritture, la giustificazione (ossia i mezzi per la salvezza dell'anima), i sacramenti (in particolare, si riafferma la transustanziazione, secondo cui nell’eucarestia si ha la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati), la liturgia, il culto dei santi e della Madonna, l'uso delle indulgenze e l'obbedienza alla Chiesa ed al pontefice. Un documento significativo dell’attività del Concilio è la Professione di fede tridentina, emanata da papa Pio IV. Il documento parte dal ribadire la professione integrale di quanto affermato nel Credo (il “simbolo della fede”).

Io... con ferma fede credo e professo tutto ciò che si contiene nel simbolo della fede usato dalla Santa Chiesa di Roma. Ammetto ed abbraccio fermamente le tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche e le altre regole e costituzioni della medesima Chiesa. Inoltre ammetto la Sacra Scrittura secondo l'interpretazione che ha seguito e segue la Santa Madre Chiesa, a cui spetta giudicare del vero senso e delle interpretazioni delle Sacre Scritture, né mai la intenderò e interpreterò se non secondo l'unanime consenso dei Padri. Professo inoltre che veramente e propriamente sono sette i sacramenti della Nuova Legge istituiti dal Signore Nostro Gesú Cristo e necessari per la salvezza del genere umano [...] cioè il battesimo, la cresima, l'eucarestia, la penitenza, l'estrema unzione, l'ordine e il matrimonio, che essi conferiscono la grazia e che di essi il battesimo, la cresima e l'ordine non possono essere ripetuti senza sacrilegio. Accolgo ed ammetto inoltre i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica nella solenne amministrazione di tutti i predetti sacramenti. Accolgo ed abbraccio tutto ciò che è stato definito e dichiarato intorno al peccato originale e alla giustificazione nel sacrosanto concilio tridentino. Professo parimenti che nella Messa viene offerto a Dio un vero, proprio e propiziatorio sacrificio per i vivi e i morti, e che nel santissimo sacramento dell'eucarestia è veramente, realmente, e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con l'anima e la divinità di Nostro Signore Gesú Cristo e che vi si attua la conversione di tutta la sostanza del pane in corpo e di tutta la sostanza del vino in sangue, la quale conversione la Chiesa cattolica chiama transustanziazione.[...] Ritengo fermamente che il Purgatorio esiste e che le anime ivi rinchiuse si giovino dei suffragi dei fedeli. Analogamente che i Santi regnanti insieme con Cristo sono da venerare e invocare e che offrono per noi orazioni a Dio, e che le loro reliquie devono essere venerate. Fermamente affermo che si debbono avere e confermare le immagini di Cristo e della Madre di Dio sempre Vergine e degli altri Santi, e che ad esse va tributato il dovuto onore e la dovuta venerazione. Inoltre affermo che la potestà delle indulgenze fu lasciata da Cristo nella Chiesa, e che l'uso di esse è sommamente salutare al popolo cristiano. Riconosco la Santa cattolica e apostolica Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro sincera obbedienza al Romano Pontefice, successore del beato Pietro, principe degli apostoli, e vicario di Gesú Cristo. Similmente accolgo e liberamente riconosco ogni cosa tramandata, definita e affermata dal sacrosanto Concilio Tridentino, e similmente condanno e ripudio tutte le cose contrarie e tutte le eresie condannate e rigettate dalla Chiesa. Io stesso... prometto, mi impegno e giuro di mantenere e confessare integra e immacolata sino all'estremo di mia vita, costantemente, con l'aiuto di Dio, questa vera fede cattolica (fuori della quale nessuno può essere salvo), che adesso spontaneamente professo e tengo per vera; e che curerò, per quanto sarà in me, che sia osservata, insegnata e predicata dai miei sottoposti, o da coloro la cui cura spetterà a me nell'ambito del mio ufficio: cosí mi aiutino Iddio e questi santi Evangeli.

Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, trad. it, N.J. Severi, Tea, Milano, 1988.La Compagnia di Gesù, approvata dal papa Paolo III nel 1540, fu creata da Ignazio di Loyola con tutte le caratteristiche di un esercito, in primo luogo l'obbedienza incondizionata agli ordini del proprio capo, il generale, e, a un livello più alto, il papa stesso. Come ha scritto Jean Delumeau “il gesuita non deve preoccuparsi di sapere se ciò che gli viene ordinato sia conforme o meno alla volontà divina. [...] Non solo deve eseguire gli ordini, ma, al secondo grado dell'obbedienza, ammette che questi ordini sono buoni. E anche egli deve sforzarsi di prevenire i pensieri del suo superiore e gli ordini che gli verranno dati. Tale è il terzo grado dell'obbedienza”. Nelle Costituzioni dell'Ordine (composte a varie riprese fra il 1542 e il 1550) si legge perciò: “Ciascuno persuada se stesso che coloro che vivono sotto l'obbedienza devono lasciarsi reggere e condurre dalla Dìvina Provvidenza per mezzo dei superiori così come se fossero un corpo morto che si lascia portare in qualsiasi direzione e si lascia trattare in qualunque modo”.

Prima regola. Lasciato ogni giudizio proprio, dobbiamo tenere il nostro cuore disposto a prestarsi a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, la nostra santa madre Chiesa gerarchica.Seconda regola. Lodare la confessione al sacerdote e il ricevimento della santa Eucarestia una volta all'anno, e più ancora ogni mese, e ancora meglio ogni otto giorni, nelle condizioni richieste e dovute.Terza regola. Lodare l'assistenza frequente alla messa, oltre che i canti, i salmi e le lunghe preghiere all'interno e al di fuori della chiesa. Ugualmente, si lodi un orario nel tempo prefissato per tutti gli uffici divini, tutte le preghiere, e tutte le ore canoniche.Quarta regola. Lodare molto gli uomini religiosi, la verginità e la continenza, ma non cosi tanto il matrimonio come quel che precede qui.Quinta regola. Lodare i voti religiosi d'obbedienza, povertà, castità, e gli altri voti di virtù consigliate. Notare che il voto è su cose che riguardano la perfezione evangelica e non si deve fare voto su ciò che le è estraneo, per esempio il dedicarsi al commercio, lo sposarsi ecc.Sesta regola. Lodare le reliquie dei santi, venerando quelle e pregando questi. Lodare inoltre le stazioni, pellegrinaggi, giubilei, crociate, e accender ceri nelle chiese.Settima regola. Lodare i decreti sul digiuno e l'astinenza, per esempio nella quaresima, sulle quattro tempora, sulle vigilie, sui venerdì e sul sabato; inoltre le penitenze, non solamente interne, ma anche esterne.Ottava regola. Lodare gli ornamenti e gli edifici delle chiese, oltre che le ímmagini,i da venerare secondo ciò che rappresentano.Nona regola. Lodare infine tutti i precetti della Chiesa, con il cuore pronto a cercare ragioni per difenderli e mai per attaccarli.Decima regola. Dobbiamo esser pronti ad approvare e a lodare i decreti e le ordinanze dei nostri superiori e la loro condotta. Se essi possono talvolta non esserne degni, o possono non esserlo stati, mai criticarli, sia nella predicazione pubblica, sia nella conversazione davanti a gente semplice, poiché ciò farebbe nascere mormorazioni e scandali più che profitti. Perché il popolo s'indignerebbe contro i propri superiori, sia temporali, sia spirituali. Ma, come è dannoso parlare male davanti alla gente semplice in assenza dei superiori, può essere vantaggioso, per contro, parlare della loro cattiva condotta a quelle persone che possono rimediarvi.Tredicesima regola. Per non sbagliare, bisogna sempre ritenere che ciò che vedo bianco davanti a me sia invece nero, se la Chiesa gerarchica decide così. Perché noi crediamo che tra il Cristo nostro Signore, che è lo Sposo, e la Chiesa sua sposa, vi è un medesimo spirito che ci governa e dirige per la salvezza delle nostre anime. Infatti lo stesso Spirito e Signore nostro che ci ha dato i dieci comandamenti, dirige e governa la nostra santa madre Chiesa.Quattordicesima regola. Benché è gran parte verità che nessuno può salvarsi senza esservi predestinato e senza avere la fede e la grazia, bisogna essere molto prudenti nel modo di parlare e di discutere di tutte queste questioni.Quindicesima regola. Non dobbiamo parlare abitualmente di predestinazione, ma se, in qualche modo e alcune volte sarà necessario doverne parlare, bisogna fare in modo che la gente semplice non cada in errore, come fa talvolta quando dice: “Se dovrò essere condannato o salvato, è già deciso; che io agisca bene o male, ciò non cambierà nulla”. Poiché ciò leva le forze, porta alla negligenza nelle opere che conducono al bene e al progresso spirituale dell'anima.Sedicesima regola. Nello stesso modo, bisogna stare in guardia, nel parlare della fede con molta insistenza, senza alcuna distinzione né spiegazione, di non dare occasione al popolo di essere negligente e pigro nelle opere, sia prima che la fede venga informata dalla carità, sia dopo.Diciassettesima regola. Allo stesso modo, non si deve parlare a lungo e con insistenza sulla grazia, da generare quel veleno che toglie la libertà. Della fede e della grazia, è dunque possibile parlare per quanto è possibile con l'aiuto del soccorso divino, per una più grande lode della divina maestà. Ma non in modo, né con una presentazione tale che, soprattutto in questa nostra epoca così pericolosa, le opere e il libero arbitrio ne subiscano pregiudizio o siano tenuti per nulla.Diciottesima regola. Bisogna stimare soprattutto il servire Dio nostro Signore per puro amore, ma bisogna inoltre molto lodare il timore della sua divina maestà. Perché non solamente il timore filiale è cosa buona e molto santa; ma anche il timore servile, quando non si giunga ad altra cosa migliore e proficua, molto giova a uscire dal peccato mortale, e, una volta uscitine, si arriva facilmente a quel timore filiale e pienamente accetto e amato da Dio nostro Signore, perché esso è tutt'uno con l'amore divino.

J. de la Cruz, Poesie, trad. it. G. Agamben, Einaudi, Torino, 1974.Juan de Yepes Alvarez (15429l) che assunse, poi, il nome di Juan de la Cruz, amico e collaboratore di Teresa d'Avila, espresse in poesia la sua teologia mistica che “non è anzi come scrive G. Agamben una teologia [una scienza di Dio], ma una teo-alogia, che approda a un'inconoscibilità ultima o, almeno, a un conoscere soltanto per opacamento e negazione. [...] L'esperienza finale che essa implica è quella, puramente negativa, di una presenza che non si distingue in nulla da una assenza”.

 Canzoni dell'anima che si rallegra di essere giunta all'alto stato di perfezione, che è l'unione con Dio attraverso il sentiero della negazione spirituale. In una notte oscura, di amorose ansie infiammata, o felice ventura! uscii e non fui notata essendo già la mia casa addormentata.Al buio, sicura, per la scala segreta, travestita, o felice ventura! al buio, di nascosto, essendo già la mia casa addormentata.Nella notte propizia, in segreto nessuno mi vedeva né io guardavo cosa alcuna -senz'altra luce o guida che quella che mi bruciava nel cuore.Ma questa mi guidava più certa della luce meridiana dove mi aspettava chi ben io conoscevo in luogo dove nessuno si mostrava.0 notte che guidasti, notte più cara dell'aurora: notte che hai riunito l'Amato con l'amata,l'amata nell'Amato trasformata!Sul mio petto fiorito che per lui solo intero si serbavaegli restò addormentato; io lo carezzavo e il ventaglio di cedro dava aria.La brezza dai bastioni mentre io gli scompigliavo i capelli con la sua mano serena mi feriva nel collo e tutti i miei sensi sospendeva.Senza ricordo, immobile, il volto chinai sull'Amato, tutto cessò, e io giacqui lasciando la mia cura dimenticata tra i gigli.

Caravaggio: La vocazione di San Matteo

Da Torquato Tasso, Il re Torrismondo, atto V, coroUn tema classico della letteratura dell’età barocca è la riflessione sulla fugacità della vita e sul carattere passeggero di ogni realtà terrena cui gli uomini attribuiscono valore.

Ahi lacrime, ahi dolore:passa la vita, e si dilegua e fuggecome gel che si strugge.Ogni altezza s'inchina, e sparge a terraogni fermo sostegno,ogni possente regnoin pace cadde al fin, se crebbe in guerra.E come raggio il verno imbruna e muoregloria d'altrui splendore;e come alpestro e rapido torrente,come acceso balenoin notturno sereno,come aura o fumo o come stral repentevolan le nostre fame, ed ogni onoresembra languido fiore.Che piú si spera, o che s'attende omai?dopo trionfo e palmasol qui restano a l'almalutto, e lamento e lagrimosi lai.Che piú giova Amicizia o giova Amore?Ahi lagrime, ahi dolore!

Torquato Tasso, Discorsi del poema eroico, Libro IITorquato Tasso, che vive nella propria biografia artistica i cambiamenti della Controriforma, si interroga a più riprese sull’oggetto e sui fini della poesia. L’arte non deve essere solo piacevole, ma deve giovare moralmente.Tasso accetta la tesi aristotelica per cui l’oggetto della poesia è il verosimile, ossia ciò che può essere e ciò che deve essere. Come materia del poema è consigliata la storia, che non dovrebbe essere né vicina né lontana. Ma ciò non basta a rendere dilettevole un poema, che è pur sempre qualcosa di diverso da un’opera di storia. Occorre introdurre il meraviglioso. Verosimile e meraviglioso sono inconciliabili? No, se si rifiuta il meraviglioso delle mitologie pagane e si ricorre al soprannaturale cristiano: miracoli, incantesimi, interventi divini e infernali.

Ma ora seguiamo il nostro proposito, come il verisimile possa esser congiunto col maraviglioso senza la grazia ancora e senza la venustà de' versi, che sono quasi lusinghe da persuadere a gli orecchi. Diversissime sono, illustrissimo signore, queste due nature, il maraviglioso e 'l verisimile, e in guisa diverse che sono quasi contrarie fra loro: nondimeno l'una e l'altra nel poema è necessaria; ma fa mestieri che arte di eccelente poeta sia quella ch'insieme le accoppii: il che se ben è stato sin ora fatto da molti, niuno è (che io mi sappia) il quale insegni come si faccia; anzi alcuni uomini di somma dottrina, veggendo la ripugnanza di queste due nature, hanno giudicato quella parte ch'è verisimile ne' poemi non essere maravigliosa; né quella ch'è maravigliosa, verisimile, ma che nondimeno, essendo ambedue necessarie, si debba or seguire il verisimile, ora il maraviglioso, di maniera che l'una a l'altra non ceda, ma l'una da l'altra sia temperata. Ma io questa opinione non approvo; né stimo che parte alcuna debba nel poema ritrovarsi che non sia verisimile; e la ragione che mi muove a cosí credere, è tale. La poesia non è altro che imitazione; e questo non si può chiamare in dubbio; e l'imitazione non può essere discompagnata dal verisimile, perché l'imitare non è altro che il rassomigliare. Non può dunque parte alcuna di poesia esser separata dal verisimile: ed in somma il verisimile non è una di quelle condizioni richieste ne la poesia per maggior sua bellezza ed ornamento, ma è propria ed intrinseca de l'essenza sua, ed in ogni sua parte sovra ogn'altra cosa necessaria. Ma benché io stringa il poeta epico ad un obligo perpetuo di servare il verisimile, non però escludo da lui l'altra parte, cioè il maraviglioso: anzi giudico che un'azione medesima possa essere e maravigliosa e verisimile; e molti credo che siano i modi di congiungere insieme queste qualità cosí discordanti; e rimettendo gli altri a quella parte ove de la testura de la favola si tratterà, la quale è lor proprio luogo, qui parleremo di quello che più si conviene. Attribuisca il poeta alcune operazioni che di gran lunga eccedono il potere de gli uomini a Dio, a gli angioli suoi, a' demoni, o a coloro a' quali da Dio o da' demoni è conceduta potestà, quali sono i santi, i magi e le fate. Queste opere, se per se stesse saranno considerate, maravigliose parranno: anzi miracoli sono chiamati nel comune uso di parlare. Queste medesime, se si averà riguardo a la virtú ed a la potenza di chi l'ha operate, verisimili saranno giudicate: perché avendo gli uomini nostri bevuta ne le fasce insieme col latte questa opinione, ed essendo poi in loro confermata da i maestri de la nostra santa fede, cioè che Dio ed i suoi ministri, e i demoni e i magi, permettendolo lui, possano far cose sovra le forze de la natura maravigliose; e leggendo e sentendo ogni dì ricordarne nuovi esempi, non parrà loro fuori del verisimile quello che credono non solo esser possibile, ma stimano spesse fiate esser avenuto e poter di nuovo molte volte avenire: sì come anco a quegli antichi che vivevano ne gli errori de la lor vana religione, non deveano parer impossibili que' miracoli che de' lor dei favoleggiavano non solo i poeti, ma l'istorie, perché, se pur gli uomini scienziati vi prestavano picciola credenza, basta al poeta in questo, com'in molte altre cose, la opinion de la moltitudine, a la quale, molte volte lasciando l'esatta verità de le cose, e suole e dee attenersi. Può esser dunque una medesima azione e maravigliosa e verisimile: maravigliosa, riguardandola in se stessa e circonscritta dentro ai termini naturali; verisimile, considerandola divisa da questi termini ne la sua cagione, la quale è una virtù sopranaturale, possente ed usata a far simili maraviglie.