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LA BATTAGLIA DEI GIGANTI

INDICE

FRANCESCO I...............................................................

L'ARMATA FRANCESE.........................................................

10 SETTEMBRE 1515 FRANCESCO I ARRIVA A MELEGNANO......................... 

GLI SVIZZERI AVANZANO.....................................................

LA BATTAGLIA..............................................................

LINKS e RIFERIMENTI.......................................................

«ZIVIDO DIVENTI UN PARCO STORICO»...dal Corriere della sera.........

 

 

 

 

 

FRANCESCO I                                                                                    -top-

Nell'immaginario collettivo dei Francesi, la figura di Francesco I si colloca tra quelle più amate, accanto a Enrico IV, Luigi XIV, Clemenceau. … Re forse più di qualunque altro, se, ancor prima di diventarlo, seguiva il suo naturale impulso di conosce­re il reame che il destino (e non certo il diritto della discendenza diretta) gli aveva riservato, cavalcando a briglia sciolta attraverso solitudini sconfinate e fermandosi poi nei villaggi e nelle province per accumula­re quella che più tardi sarà una tale esperienza diretta, da farlo un «politico» nella più alta accezione del termine. Il suo fisico favoriva in lui l'idea di sovranità in chi lo vedeva: di taglia gigantesca, almeno 1.,90, secondo l'affermazione degli antropologi che esaminarono il suo scheletro, quando vennero profana­te dai rivoluzionari le tombe dei re di Francia a Saint-Denis, tale da far dire ad un ambasciatore di Venezia: «anche se non lo si conoscesse, si capirebbe al solo vederlo che lui è il re», uomo dedito alla caccia ed all'esercizio fisico, non disdegnava di certo divertirsi nelle danze di corte. … Re inventore della monarchia, secondo l'unanime giudizio della storiografia, … poiché Francesco, cesura vivente tra una Francia feudale ed una Francia monarchi­ca, instaura nel suo paese, cicatrizzato ormai da mezzo secolo di convalescenza delle ferite infertegli dalla Guerra dei Cento Anni, un rapporto affatto diverso tra sovrano e sudditi: incentrerà in sé ogni potere, eli­minando l'intermediazione del clero per la nomina dei vescovi e dei cardinali e riferendosi per tale biso­gna unicamente a Roma, indebolendo l'aristocrazia, che dovrà ricorrere in primis a lui ed infine gestendo personalmente le tasse, con l'accentuazione, tra l'altro, di quella istituzione della vendita degli uffici pub­blici, che era stata saltuariamente messa in pratica. … Cavaliere nel contempo, «généreux par nature», come lo classificherà felicemente il Sainte-Beuve, il suo ideale di rinnovamento lo farà attivo fautore del Rinascimento, che per taluni può trascrivere l'espressio­ne teologica greca di «palingenesi». Davvero rinascimentale lo spirito di Francesco I, che darà modo alla Francia di rivivere e sotto il profilo artistico e sotto il profilo cavalleresco. …Perfettamente compiuto in se stesso, il sovrano sa ottemperare all'imperativo politico e dare libero sfogo alla ricchezza della sua natura: a questa riuscita sul piano umano aveva contribuito non poco l'educazio­ne che la madre, Luisa di Savoia, con costante ed oculata adorazione, gli aveva data. Questa educazione viene ben espressa da uno dei «màitre a penser» del sovrano (l'altro sarà Leonardo), quel fecondo Rabelais, che appunto in Pantagruel vorrà adombrare il re magnifico, eternandolo letterariamente. …Di qui la decisione, che è proprio da riportare al suo precettore, di Francesco adolescente, di prendere a suo simbo­lo la salamandra, animale ritenuto capace di sopravvivere alle fiamme e persino di spegnerle, con il con­seguente suo motto «Nutrisco et extinguo». Non si creda, comunque, ad un'unanimità positiva di giudizio sul giovane erede al trono capetingio. …Egli anticipa addirittura altri che più tardi seguiranno quell' empito di universalità che non era sfuggito a Rabelais, quando si legga con attenzione i viaggi che fa compiere a Pantagruel. Così la gloria di Cartier scopritore del Canada si unisce al trionfo del sovrano e quella croce del Gaspé, piantata il 24 Luglio 1534, sarà l'espressione di affermare la volontà del Re cristianissimo. Francois d'Angouléme uscirà dall'angusta signoria di Cognac per realizzarsi in una situazione ben più privilegiata, succedere al suo regale cugino Luigi XII, morto senza eredi maschi ed essere consacrato a Reims nel Gennaio 1515, divenendo così, secondo 1' espressione di Giovanna d'Arco, quando parlava al suo «gentil dauphin», il «lieutenant du Roi des Cieu». Il 1515 è davvero un inizio per la Francia; a sovrani dalla «mine renfrognée», succede una creatura solare sempre aperta al sorriso, che inciderà una data aurea nella storia del suo paese. … 

Il ducato di Milano, «le plus beau duchè du monde», aveva sempre suscitato un interesse appassionato nei Francesi, che vi vedevano un crogiolo di arte e di cultura ed una porta spalancata su tutta l'Italia. Signore di quel paradiso era allora Massimiliano Sforza, figlio di quel Lodovico il Moro, che, fatto prigioniero da Luigi XII, era morto in cattività in Francia; per la tutela del suo ducato lo Sforza si era rivolto agli Svizzeri, temibili soldati mercenari.

L'ARMATA FRANCESE                                                                      -top-

Il Re Francesco I, circondato da un brillante stuolo di principi e di gentiluomini, il 28 giugno 1515 lasciò il castello di Amboise e si diresse verso Lione dove andava facendosi la radunata delle truppe. In verità, l’organizzazione dei servizi pubblici era ancora in uno stato così deplorevole, che nemmeno il Re fu mai bene informato con precisione delle reali forze attive della sua armata, Il condottiero Pietro di Navarra, si incaricò di arruolare 8.000 Guasconi; il Maresciallo Trivulzio,  incontrò a Lione l’ambasciatore di Venezia Giustiniani in viaggio per recarsi a Londra, gli disse che vi erano 8.000 Lanzichenecchi in Gheldria pronti a partire. I tedeschi prima di muoversi vollero l’anticipo di tre paghe; quelli  germanici delle cosiddette «bande nere» di Friburgo  ritardarono il loro trasferimento, e giunsero a Lione il 19 agosto, quando il grosso dell’armata aveva già passato le Alpi. Nel complesso la fanteria raggiunse i 30.000 uomini, gli uomini d’arme erano 3.000 con 10.000 cavalli. La maggior parte di questi uomini sono armati di una lunga picca, un decimo di loro di alabarda e, cosa questa assai moderna, taluni manovrano la haquebute, specie di colubrina portatile, arma ultramoderna capace di colpire anche un nemico lontano. Inoltre vengono trainati 60 cannoni, che hanno rivoluzionato l'arte della guerra.Gli Svizzeri attendevano l'arrivo dei Francesi sotto il Moncenisio ed il Monginevro, sbocchi facili ed opinabili dalla Francia. Francesco, che era capace di coniugare, sin da e malgrado la giovane età, quel «furor» di azione con la pacata riflessione diplomatica ed una strategia incomparabili, accogliendo il suggerimento del Trivulzio, intraprende una strada accidentata, rotta, irta di mille ostacoli, più difficile di quella percorsa da Annibale e che solo Bonaparte ripercorrerà, ma in altra epoca e quindi in altre condizioni. Valica il colle di Larches, si spinge tra l'Ubaye e la Stura, prosegue per Villafranca di Piemonte ove giunge il 10 agosto 1515: e nella piana del Po fa dispiegare un'armata rutilante, che annovera i più bei nomi di Francia. Appena gli Svizzeri del cardinale Mathias Schiner - vescovo di Sion - hanno notizia che Francesco avanza sulla via di Milano, decidono di ingaggiare battaglia ittico et immediate: è risaputo il carattere pugnace dei montanari svizzeri, nonché il sentimento di orgoglio che essi hanno di tale loro caratteristica.

10 SETTEMBRE1515 FRANCESCO I  ARRIVA A MELEGNANO    -top-

Malgrado le apparenze, Francesco non vuole subito attaccare battaglia ed il trattato di Gallarate dell'8 Settembre testimonia della sua generosità, ma i suoi interlocutori, per svariati motivi, non accettano. Il Pontefice, Leone X, infatti, aveva a suo tempo incoraggiato gli Svizzeri a restare nel Milanese, il cardinale Mathias Schiner, divenuto signore di Vigevano, grazie al duca di Milano, si compiace immensamente di questa signoria, inoltre detesta i Francesi; infine Ferdinando il Cattolico, rè di Spagna, che ha fatto man bassa nel Bresciano, vuole mantenere occupati territori che sono di spettanza di Venezia. La decisione è presa sferrare l'attacco. 

Per tentare di capire è necessario ricostruire quello che era l'aspetto del paese (Melegnano) nel '500; in particolare la differenza più importante è che la via Emilia (che Pasquier chiama "le gran chemin") passava per il paese e l'unico ponte sul Lambro (Pasquier lo chiama "Dambre") era quello che si trova al centro del paese. 

All'epoca Melegnano era probabilmente tutto sulla destra del fiume e il ponte divideva il paese dai sobborghi.
Il Re prende alloggio nei sobborghi, oltre il ponte, vicino "all'immagine di San Giovanni", un buon alloggio situato alla biforcazione di due strade, davanti al quale c’è un grande olmo.


 

Il Connestabile conte     Carlo di Borbone, invece appena ebbe rilevata la posizione topografica di Zivido e dei dintorni, fissò il proprio alloggiamento nella villa di  Lucrezia Visconti vedova del marchese Brivio; dispose il campo in modo che le compagnie più avanzate giungessero, come attesta il Giovio, sino alla chiesa di San Giuliano, posizione che poi abbandonarono ritirandosi sopra Zivido, dopo avere però incendiate tutte le abitazioni per non lasciare agli svizzeri alcun luogo di difesa. 

Dunque, secondo Pasquier, il Re non si è accampato né a Mulazzano, né a Casalmaiocco; egli menziona questi due paesi ("Mulsan" e "Casal") solo per dire che sono a poca distanza dall'alloggio del Re.

Due giorni dopo l'armata ripassa per Melegnano e si accampa tra Santa Brera e Zivido ( "Saincte Brigide" e "Genille"); il Re in particolare alloggia a Santa Brera, che è così descritta: "un grande caseggiato, con 4 o 5 grandi portici pieni di paglia e fieno e attorniata da grandi prati e vigne, con tanta uva bianca più che in qualsiasi altro posto". 

I Francesi, in tal modo, si sono impadroniti delle migliori posizioni strategiche sul Lambro. E' il l 13 settembre 1515  ha inizio l'immane battaglia dei Giganti o di Marignano. Milano, antica capitale del prosperoso ed ambito Ducato nel quale regnava Massimiliano Sforza, erano accampate le truppe mercenarie svizzere.

GLI SVIZZERI AVANZANO                                                               -top-

Mathias Schinner,  si dichiarò senza esitazione per la guerra. Occorreva essere concordi ed agire tutti insieme. Il trattato di Gallarate era un tranello: accettarlo, significava condannare gli svizzeri a non uscir più dalle loro valli.
Si discuteva, e più aspramente del solito, si combatteva sotto le mura. I francesi si erano fatti sotto. I capi confederati accorsero: fu subito chiaro che si era trattato una zuffa, agli avamposti, tra sentinelle e qualche cavaliere francese in ricognizione. Ma il cardinale di Sion non si lasciò sfuggire quella occasione; arringò brevemente la massa eccitata dei soldati; esortò alla battaglia; e sebbene rivestito dei purpurei abiti pontificali, montò in sella e s'avviò verso la Porta Romana.


Lo seguirono tutti, bandiere al vento, per la strada di Lodi. Marciavano, davanti a tutti, i "perduti" costoro uomini elettissimi di tutti i Cantoni, per poter conseguire  i rari onori della milizia, affrontavano volontariamente tutti gli aspri e difficili uffici della guerra. Ed erano conosciuti dagli altri, solo dai candidissimi mazzi di penne che con gran pompa portavano sui cappelli..."
Verso la località di San Donato, la massa tumultuante dei Confederati lasciò la strada ed entrò nei campi; alcuni ufficiali, che s'erano portati avanti a riconoscere il terreno, cercarono d'arrestare la marcia.
Attaccare subito era follia. Non si combatteva dopo una corsa come quella, non si combatteva a stomaco vuoto; e se occorreva farlo, non ci si buttava avanti così, in disordine e proprio in quel giorno infausto, il tredicesimo del mese!... Proposero d'accamparsi, di mangiare, e d'attaccare il giorno dopo.
Ma i soldati, in tumulto, non ascoltarono; e in una sorta d'eroico ammutinamento, s'ordinarono su tre quadrati, e seguirono i "perduti" che s'avviavano verso il nemico. Ai comandanti non restò che portarsi in testa ai loro reparti.

LA BATTAGLIA                                                                                  -top-

L'esercito francese era diviso in tre corpi e si era attendato nei campi aperti di Zivido oltre San Giuliano; i quali, per essere circondati a sinistra dalla roggia Spazzola che scorre parallelamente alla grande strada lodigiana (ora Via Emilia), di fronte ai fossati irrigatori, a destra da varie altre acque compresa la roggia Nuova che scorre al basso verso le praterie fiancheggiando il Lambro dal quale essa deriva, presentavano una posizione tanto più vantaggiosa, in quanto i Francesi vi avevano eretti su tre lati fortissimi ripari con terrapieni ed alti targoni conficcati nel suolo e legati tra loro, in modo che arcieri ed archibugeri potevano, così protetti, meglio colpire il nemico al suo comparire, mentre dai campi circostanti e più elevati di Rovido e di Zivido le artiglierie erano pronte a fulminarlo da ogni lato.

Il primo corpo francese era comandato dal Connestabile conte Carlo di Borbone, col Trivulzio ed il Navarro; il secondo tenuto dal Re col Monsignor gran Mastro, il Castiglione ed altri moltissimi Cavalieri esperti e valorosi, tra cui il Bajardo; il terzo, ossia la retroguardia, a poca distanza dal centro di Zivido sotto gli ordini di Monsignor di Lanson.

Era il 13 di settembre tra le dodici e la una pomeridiane che le sentinelle avanzate (francesi), avuta notizia che gli Svizzeri si erano messi in cammino, ne diede subito avviso al Connestabile ed al Re; il quale spedì monsignor di Montereal Bonun ad avvertire l'esercito che si mettesse subito in armi e che pronto se ne stesse alla imminente Battaglia. Indossata quindi il re la splendida sua armatura, rivestita la sopraveste azzurra dai gigli d'oro, postosi in testa l'elmo dalla lucente visiera e dal ricchissimo pennacchio, Francesco I montò il suo fido destriero e, percorrendo le file dei suoi soldati confortandoli ed animandoli alla pugna ed alla vittoria, andò a porsi alla distanza di un tratto d'arco dietro la riserva e centro, rimanendo a quel posto fin quasi alle quattro pomeridiane ad attendere con ansia febbrile l'istante della battaglia.

Francesco I alla battaglia di Marignano: Ms.FR.1738, foglioI, V.Bibliotheque National, Paris.

Gli Svizzeri, nonostante siano accolti dal terribile fuoco dell'artiglieria francese, procedevano baldanzosi e spediti sopra le ancora fumanti rovine delle abitazioni di San Giuliano. Qui giunti, alcuni esperti capitani svizzeri, Pellegrino Landebergo, Cenzio Amerer e Rodolfo Longo, spinti i loro cavalli sull'alto d'un argine a destra del fossato che fiancheggiava la grande strada, alla sinistra videro e studiarono il campo trincerato dei Francesi; ed osservando in pari tempo alla loro destra una lunga distesa di bassi campi chiusi dallo stradale e dalla Vettabbia, idearono di porre qui il campo onde ristorare le forze dei propri soldati ed attendervi tutte le altre insegne prima di attaccare battaglia. Ma inutilmente,ignorando gli ordini dei propri capitani e le regole di una sana prudenza militare, compatta e furente piega a sinistra della grande strada, entra nei campi adiacenti, si avventa contro gli avamposti francesi e con impeto sfrenato e pazzo si getta sopra i ripari impegnando una sanguinosa zuffa con i Guasconi e con i Tedeschi; i quali con altrettanta energia e fierezza contrastano terribilmente l'avanzata del nemico.

Gli Svizzeri, resi furibondi dal vedere il grande numero di compagni caduti, assalgono nuovamente il campo francese superano i ripari, dentro i quali impegnano una accanitissima lotta, e, seminando ovunque la morte, scompigliano le schiere francesi, si impossessano di sette pezzi di artiglieria e piombano su Guasconi e Tedeschi con tale foga che questi, sopraffatti, si danno a precipitosa fuga. A frenare questo pericoloso scompiglio s'interpose l'intrepido Navarro mentre entravano in campo il Trivulzio ed il Borbone con numerosa cavalleria. Il Re, avvertito del disastro imminente, affidò il comando della riserva al Gran Mastro ed al Castiglione e, seguito da pochi valorosi cavalieri, si spinse rapidamente verso l'avanguardia in rotta dove,  scese da cavallo e tolta una picca dalle mani di un soldato la agitò in aria gridando ad alta voce che voleva insieme ad essi vincere o morire.

Incitati da tale atto inaspettato i francesi si riordinarono ed impegnarono un contrattacco durante il quale caddero i capitani elvetici Cenzio Amerer e Pellegrino Landebergo. Ma giunsero in aiuto altri Svizzeri i quali, gettandosi impetuosi nella mischia con il proposito di vendicare la morte dei loro capitani, uccisero lo Scatelard e trafissero Giorgio e Lodovico valorosi Elempurghesi. Poi, presero di mira la cavalleria francese scagliandosi in mezzo ad essa e scompigliandola tanto che il Sanserro, l'Ymbecourt, Francesco di Borbone, Bussy d'Amboise ed altri distinti ufficiali vennero uccisi. A tanta furia tentarono di resistere i Francesi, con scarsi risultati, perché gli svizzeri sfondarono nuovamente le loro fila, attraversando una profonda fossa, assaltarono e presero le artiglierie aggravando lo scompiglio del campo avverso fino a giungere nel centro dell'accampamento francese.

Il Re, non si perdette d'animo e ordina al Lanson di seguirlo nel centro del campo e, sprezzando ogni pericolo, si getta nuovamente nel fitto della mischia ed atterra i nemici che gli si fanno incontro. Qui cadono uccisi il Talamone figlio della Tramoglia insieme ad altri nobili capitani, mentre tra le fila svizzere trovano la morte i condottieri Flecchio, Gualterio, Offio e Rodolfo Longo.

Il Cardinale di Sion, trovandosi confuso fra i nemici, fu attratto dalla sinistra luce di un casolare in fiamme e, sfuggendo inosservato dai francesi, poté dirigersi verso questo dove trovò riuniti molti capitani svizzeri insieme al Rostio e all'Angiardo che, come era costume svizzero, fecero dare fiato ai corni per chiamare a raccolta gli sbandati compagni. Sopravviene la notte e la battaglia continua sino al momento in cui, verso la mezzanotte, fitte nubi nascondono la luna, cosicché è impossibile vederci. Riunitosi  il consiglio, gli svizzeri convennero l'opportunità di riattaccare battaglia all'indomani mattina.

La prima tragica ed immane strage fu compiuta.

L'alba del 14 Settembre segna l'inizio di una giornata che rimarrà eternata nei manuali di storia di Francia come «la vittoria» per antonomasia e che gli studenti francesi ricordano sempre come «soleil de Marignan». Durante tutta la giornata si verifica una serie di movimenti che saranno determinanti per il successo delle truppe reali. Francesco I fa abbandonare alle truppe lo scaglionamento in profondità tenuto sino allora e le fa disporre su un'unica linea, lui stesso si mette in centro, affidando a d'Alencon la retroguardia. Ed è proprio il centro che deve sopportare il primo terribile urto: intervengono di nuovo e con successo i cannoni di Galiot de Genouillac che portano il disordine tra gli Svizzeri e la gendarmeria insegue gli uomini in fuga, che sono sopraffatti dalla cavalleria leggera dei veneziani comandati da Bartolomeo d'Alviano, chiamato in aiuto nottetempo.Per affrettare la vittoria, l'astuzia del Trivulzio escogitò un espediente strategico. Il grande condottiero fece rompere gli argini della roggia Nuova e della Spazzola, con conseguente allagamento dei prati. Gli uomini si muovevano con gran difficoltà con le ginocchia nel fango. Stratagemma determinante, che impedì di condurre oltre la lotta i valorosi soldati elvetici sono costretti a ritirarsi in Zivido: qui purtroppo, conosceranno una morte terribile, perché i Francesi daranno fuoco all'abitato ed al castello. La loro sconfitta è determinata, soprattutto, dal venir meno, secondo l'interpretazione del Prato, di «integra unione di tutti loro».

Il giovane re, che ha compiuto ventuno anni il 12 Settembre, è ebbro di gioia e di gloria e vuole concludere davvero «cavallerescamente» quell'episodio da manuale. Si fa armare cavaliere sullo stesso campo di battaglia da Bayard. Alcuni giorni dopo entrerà trionfalmente a Milano, la sua seconda capitale, su cui regnerà per dieci anni. La pagina storica di Marignano, che vasta eco ebbe nell'Europa del tempo - si dice che Enrico VIII fosse molto ingelosito della gloria ottenuta dall'ardimentoso sovrano francese - ha una duplicità di lettura: da un lato il mero «exploit» cavalleresco che da un inizio fulgido di regno al giovane principe, dall'altro la presenza di un'idea del perseguire un'azione già da altri sovrani intrapresa. Mancava tuttavia una forte convinzione sociale: per questo motivo l'impresa brillante del re, che va ascritta ad un ideale superiore e rimane a tutt'oggi un esempio luminoso di «epos» cavalleresco, non avrà seguito e dev'essere considerata, quindi, oggi, azione fine a se stessa.

La cronaca del tempo ci informa che, commosso dalla strage avvenuta in Zivido, il rè facesse celebrare messe solenni per ben tre giorni nella chiesa di Zivido e facesse erigere la cappella espiatoria detta S. Maria della Vittoria, affidata all'ordine dei Celestini.

La piana di Lombardia, che aveva udito risuonare lo strepito di una battaglia immane con morti ed incendi innumerevoli, ora giaceva quieta e sonnolenta in attesa dell'autunno incipiente, coperta dalla brina e dalle prime nebbie e con greve silenzio.

La leggenda dice che da allora gli svizzeri dichiarano la loro neutralità.

 


LINKS e RIFERIMENTI                                                                    -top-
  • www.melegnano.net
  • www.snet.it/aczivido/acz.asp
  • Zivido, mille anni di storia - Dall'alto medioevo alla battaglia dei      giganti. ( M.V.Antico Gallina, M.T.Bisiachi, A. Deiana, G.B.Sannazzaro).
  • Mulazzano, 1000 anni di storia (Giovanni Canzi)
  • L'Italia del millennio - Indro Montanelli Mario Cervi (Rizzoli)