Una storia per un millennio (da scrivere tutti insieme)

  Il ragazzo senza padre, la madre onnipotente e la Terra Desolata

  Il sogno della spada

  La madre ha paura

  Un sussurro

  L'Arcangelo, i Longobardi, e, sotto, Lucifero.  

 

Il ragazzo senza padre, la madre onnipotente e la Terra Desolata

E' la storia di un ragazzo selvatico, Parsifal, che salva sé stesso, e anche il mondo intorno a sé. Che é poi il compito del selvatico. Da cosa si salva, Parsifal? Si salva dalle cure di una madre ricca e ansiosa, che lo chiude in una ben fornita e chiusa fattoria perché vorrebbe che non morisse mai, che non corresse alcun pericolo, che non si ponesse mai delle domande a cui non c'é risposta certa. Insomma, una Grande Madre: La Grande Madre, un po' ottusa, possessiva e molto prepotente. Tanto che un giorno fa uccidere tutti gli uccelli della fattoria, quando si accorge che il piccolo Parsifal ne segue il volo, chiedendosi cosa c'é "al di là". La madre, per evitare ogni rischio al suo figlio-schiavo, é costretta a non rivelargli neppure il suo nome, e a chiamarlo con dei vezzeggiativi: figlio bello, caro, buono. Perché il nome é già un'identità, e per certi versi, un destino. Perché il nome viene dal padre. E il padre, Gahmuret l'Angioino, era un Re, valoroso. Che aveva combattuto molti nemici, difeso molti amici, amato molte donne, belle e ricche, nel corpo e nell'anima. E infine, come capita agli uomini così, era morto in battaglia. Lui, cavaliere cristiano, mentre difendeva il Baruc di Baghdad, un re islamico. Perché così fanno gli uomini. Si battono, e rischiano, per ciò in cui credono. Sono di vedute larghe: perché il mondo maschile é più ampio di un paese, una religione, un'usanza, e il fratello lontano é prezioso quanto il vicino. E amano quelle donne sufficientemente ricche, potenti, e sicure di sé, da essere capaci di amare gli uomini, e farne i loro campioni. Infine, gli uomini, a differenza dei lettori dei "Corrieri della salute", non temono la morte. Gli uomini danno tutto: il fallo, lo sperma, l'attenzione, l'amore, e alla fine anche la vita, per gli altri. Questo é lo scenario dell'inizio del secolo, e del Parsifal. Un uomo selvatico che non sa chi é, non conosce il suo nome. Prigioniero di una madre che vuole conservare a tutti i costi le cose come stanno, senza rischiare nulla. Una madre padrona, verso cui tutti si comportano come servi. A un primo sguardo essa sembra abbastanza potente da fermare il tempo, e impedire la libertà del figlio. Il padre morto da tempo, in una guerra lontana. Attorno, appena fuori dalla fattoria, la"terra desolata", la terra che muore, la "waste land" di cui ha scritto nel secolo scorso Eliot, nella quale orrende pantegane nuotano nelle acque nerastre, attorno alla barca del malato Re Pescatore. La facciamo continuare, cari amici selvatici, la terribile e meravigliosa storia della perdita e del ritrovamento dell'uomo? Io l'ho già scritta (ma la si riscrive tutta la vita). Volete scriverne dei pezzi anche voi, e mandarceli, condividerli insieme con altri uomini, per ora rinchiusi nella grande fattoria della società madre di tutti consumi, di tutte le menzogne, e di tutte le viltà ? O anche,se preferite, scrivetene dei pezzi, e viveteveli per conto vostro, in silenzio. Io, e i maschi selvatici, saremo vicini a voi, con voi.

Claudio Risé

Il sogno della spada

Adesso era un Parifal, si, un Parifal. Era lì che tutto sommato non stava malissimo, ma neanche perfect. Bussano alla porta: chi è? Niente. Ribussano. Parifal apre: chi sei? Sono San Michele Arcangelo. Cosa vuoi? chiede Parifal. da dove vieni? Sono uscito dalla copertina di un libro che hai lì. Non voglio granché, voglio solo farti notare che ti manca una s nel nome! Ah, è vero! risponde Parifal. E adesso, dove la trovo? La trovi qui: e l'Arcangelo tira fuori la sua Spada dal fodero: ecco, vedi è proprio una s. E Parifal: Cavolo, bel casino, come faccio ad avere una spada così? Non ci riuscirò mai, è come scalare una montagna altissima! Un modo ci sarebbe, dice l'Arcangelo: guarda quella xilografia. L'ha fatta un artista di nome Hokusai: non è niente di magico, era persino esposta alla mostra di Palazzo Reale, a Milano. C'è il monte Fujii, alto, con un circolo di neve che scende in giù, e c'è un drago che sale rumoroso, potente, rimbombante verso la cima. Non ti resta che saltarci sopra, a quel drago. E avrai la spada; e la esse. E diventerai Parsifal. Dopo la stramba visita dell'Arcangelo, Parifal se ne uscì per prendere il drago e salire alla vetta. Ma: dov'era questo drago? Decise comunque di andare, e mentre andava il sole picchiava, e Parifal si accorse che era vero che c'era l'ombra, come dicevano alcuni studiosi della mente. Eccola lì la sua ombra. Ma il sole picchiava e lo abbagliava, cosicché non riusciva neppure a riconoscerne i contorni. Allora si mise dietro un muro: brutta mossa, l'ombra spariva del tutto. Che fare? Ricomparve l'Arcangelo e gli disse: per vederla devi andare dove il sole c'è ma filtrato: ti serve ancora una s! La Selva. Va bene! disse Parifal. Ed entrò nella Selva. Qui Parifal si sedette su un tronco tagliato ( non mi piace, ma l'ho pensato tagliato). Poi, la testa abbassata tra le mani e le ginocchia, pianse. Era abbastanza contento di piangere. Finalmente piangeva. Era nei guai, e piangeva.

Antonello

La madre ha paura

La madre, la regina Herzeloyde, entrò nella camera del ragazzo, per svegliarlo, come ogni mattino. Non che dovesse fare granché, quel figlio: la madre temeva che se avesse imparato qualcosa sulle cose del mondo, l'avrebbe subito lasciata per correre a cambiarle, come avevano fatto suo padre e i suoi fratelli, che erano tutti morti. Ma insomma non se la sentiva di lasciarlo dormire, anche se sapeva che poi, in quella fattoria con tutto quel ben di Dio, Parsifal si sarebbe annoiato. Quando entrò, il ragazzo si stava lamentando. Si girava nel letto, bagnato di sudore e lacrime, e: "La spada", diceva, "la spada…"La madre impallidì: chi aveva osato parlargli di spade, di armi, di cavalieri, al suo figlio amato? Egli non doveva conoscere ferite, né battaglie: lo avrebbero portato lontano da lei. Lo scosse bruscamente: "Figlio, mio bel figlio, smetti, svegliati, esci dall'incubo". Il ragazzo socchiuse gli occhi: "la spada", ripeté ancora. "Chi t'ha parlato di spade?" domandò la madre, severa. "L'arcangelo, lui l'aveva". Rispose Parsifal, ancora nel sonno. La madre impallidì: poteva quasi tutto sui servi della fattoria, ma di fronte agli Arcangeli, alle loro spade lucenti, il suo potere cadeva. "E poi, e poi?", domandò ancora, ansiosa. "Il drago, devo cercare il drago…" continuò Parsifal, non ancora sveglio, col volto bagnato di lacrime. La madre smise di chiedere. E tornò il ricordo. Quando s'era accorta di essere incinta di quel figlio, l'indovino di corte aveva detto: "Un drago ha cominciato a crescerti nel ventre; e un giorno ti spezzerà il cuore". Herzeloyde ebbe paura, e uscì dalla stanza, lasciando il ragazzo alla sua visione.

Claudio

Un sussurro

Volava alto nel cielo l'Arcangelo Michele, la sua spada lucente sfoderata ben in avanti a fender l'aria, sul tragitto che va dal Mont Saint Michel, in Normandia, a Castel Sant'Angelo, sul Tevere, a Roma. Era una rotta che percorreva senza soste e senza fatica, da quando, dicono, era apparso nei secoli bassi dell'Evo e poi se ne era andato, senza che di lui se ne sapesse più nulla. Tanto che molti miscredenti, nei loro studi con poca luce, ma anche molte donne, nelle cucine un po' unte, dicevano che quell'Arcangelo lì, con la spada, non era poi nemmeno mai esistito. A loro era la spada che dava fastidio, in fondo, e ci godevano, che se ne fosse andato. Una volta, tuttavia, qualcuno ebbe una visione. E raccontò poi in giro di aver scorto l'Arcangelo scendere, di soppiatto, in una verde vallata di montagna. Guardandosi intorno per accertarsi che nessuno lo vedesse, Michele si mise a dipingere, sulla volta della chiesa che c'era lì, su un cocuzzolo, un guerriero alato nell'atto di trafiggere il demonio. Poi di nuovo via, di volata, verso quel castello che costeggiava l'acqua verde del Tevere. A sorvegliare, perché appena lui si allontanava, da quelle parti, preti e cardinali ne combinavano, che diventava peggio dell'Inferno, e diavoli e arcidiavoli danzavano intorno ai torrioni del castello. Volava alto dove l'aria è più rarefatta, l'Arcangelo, ma quando passava sopra la Selva Nera, giusto un soffio di distanza dalla rotta, si tuffava a sorvolare le fronde degli alberi per sentirne il fruscio. E il profumo, intenso. Perché anche gli Angeli, e gli Arcangeli, contrariamente a quanto pensano gli sciocchi, hanno il naso, e anche tutti gli altri sensi. Udì, un pianto provenire da dentro la selva.., guardò in giù. Era Parifal, il ragazzo senza esse e senza spada, che aveva salutato tante volte senza che lui lo vedesse, ed ora stava singhiozzando, seduto su un tronco tagliato, con la testa abbassata tra le mani e le ginocchia... A dire il vero non era proprio il ragazzo, col suo corpo e tutto, che poi non si chiamava neppure Parifal, ma Parsifal, con la esse, anche se ancora non sapeva di averla: non sapeva nulla del resto, perché la madre non gli aveva insegnato niente. Era il corpo sognante del ragazzo, il suo corpo astrale : insomma era Parsifal che si sognava come Parifal, senza esse e senza spada, e piangeva. Gli Angeli, infatti, e soprattutto gli Arcangeli, vedono come sono gli uomini, anche quando sognano. " Adesso scendo, e lo consolo" si disse subito l'Angelo... Si sedette accanto a lui e, chissà perché, gli sussurrò all'orecchio, in un bisbiglìo che solo Parifal sapeva udire: " Stavo veramente per trafiggere Lucifero, il demonio…" In quel momento, l'Arcangelo si accorse che quel sottile raggio di luce che filtrava attraverso il fitto degli alberi, nella Selva verde-nera, si era impercettibilmente spostato. Era il segnale che per Michele si era fatto davvero tardi. Mentre si levava in volo gridò al ragazzo, tutto sbalordito: "non ho più tempo! Ora devo andare", e riprese la solita rotta che Dio voleva, giù verso Roma, col fiume un po' puzzolente quando l'acqua scarseggiava, bello e selvaggio quando era in piena, l'odore del piscio dei cavalli che tiravano le carrozze dei cardinali che saliva forte dalle strade lastricate di sanpietrini, e quei pochi alberi, sempre un po' bruciacchiati dal sole, che gli davano nostalgia della foresta… Parifal rimase lì, seduto, a guardare quella spada che si alzava, dritta verso il cielo, arrossata dalla luce del tramonto che filtrava dagli alberi. Il ragazzo smise di piangere.

Michele e Claudio

L'Arcangelo, i Longobardi, e, sotto, Lucifero.

Nel tragitto verso Roma, innumerevoli sensazioni, pensieri, immagini attraversavano l'Arcangelo in volo, quali presenze aeree provenienti dall'esterno in un campo diafano che si dileguano rapidamente; un'immagine, tuttavia, rimase solo una frazione di secondo più a lungo, quella, carica di nostalgia ,della grotta sul monte del promontorio Gargano. Correva l'anno 490 e, ben si ricordava, egli si era rivelato, per la prima volta, agli umani, lasciando all'interno della grotta ,su una roccia , quasi un altare, un manto rosso contrassegnato da una croce; così , pure ricordava di essere apparso anche ad un toro fuggitivo, piegandolo alla sua volontà: era stato tale il prodigio che il pastore Gargàno si vide rimbalzargli addosso la freccia, che in un impeto di rabbia gli aveva lanciato per fermarlo. Lassù, gli uomini gli avevano eretto un santuario, ed in quella grotta Michele amava riposare alla notte, le volte in cui gli era concesso, per ripercorrere, nel momento del dormiveglia i fatti più piacevoli della sua eterna esistenza. Così fu quella volta in cui le tribù Longobarde, salite al monte, scoperta la grotta, colpite dal prodigio delle sue imprese di guerriero della fede, avevano deciso, durante la loro conversione al Cristianesimo, di assumerlo a patrono della loro nazione: la Langobardia, come allora si chiamavano quelle terre laggiù. E così fu anche questa volta. Al mattino, ritemprato dal sonno della notte, spiegate, ripiegate e dispiegate definitivamente le ali, impugnata la spada lucente, l'Arcangelo riprese il volo, puntando diritto sulla verde Selva Nera…voleva sapere che ne era avvenuto di Parifal. Incredibile! Parifal era ancora laggiù, certamente doveva aver trascorso la notte nella selva, vincendo il freddo, il buio e le spaventevoli presenze notturne…....ora con un lungo bastone, ricavato da un ramo, quasi una lancia, menava grandi fendenti nell'aria, accompagnando ogni colpo con un grido, che ancora non si poteva dire guerresco ma aspirava ad esserlo, muovendo in sincronia le gambe e le braccia, prima avanti, poi a destra, indietro ed a sinistra, come per sbaragliare il nemico da ogni parte, disegnando nell'aria e sul terreno una vera e propria croce. Solo per un attimo, ma un poco l'Angelo si commosse, per quanto è consentito agli angeli commuoversi…ma era tardi, tuttavia , perché si concedesse una sosta nella selva e virò diritto verso la Normandia. Parifal sembrò avvertire la presenza amica dell'Arcangelo, poiché guardò verso l'alto ed alzò il bastone che sembrava un saluto, e procedette in una immaginaria direzione, sferrando colpi a destra e a manca , ma… senza accorgersi si ritrovò riverso al suolo ad assaporar la terra. Già, Lucifero, ancorché oberato dagli innumerevoli incarichi che gli provenivano da ogni angolo della terra, si era improvvisamente risvegliato. Si era così accorto di avere del tutto sottovalutato la forza di Parifal, ed ora si rendeva conto che gli stava sfuggendo. Doveva correre ai ripari, non poteva permettersi che si creasse una falla all'interno del suo disegno di potere ingannevole, ammantato di perbenismo. Si mise così a seguire il nostro eroe, procedendo a distanza, sottoterra, dove nulla, nemmeno il magma più incandescente o la roccia più dura, lo potevano fermare; e da lì appunto, affiorato in superficie gli aveva teso uno sgambetto con un fuscello. L'Arcangelo aveva avvertito la presenza del demonio, poiché era un nemico da sempre conosciuto, sapeva che sarebbe apparso, non lo stupivano le forme ed i modi in cui si sarebbe manifestato, ma non riusciva sempre a prevederne il momento di apparizione : era una eterna battaglia di mosse e contromosse, imprevedibili ; non ritornò indietro, tuttavia, poiché era consapevole che ora toccava a Parifal riconoscerne la presenza, superare l'orrore e la paura e combatterlo. Tributando anche a lui l'onore che si deve ad ogni nemico, una volta che lo si è riconosciuto. Continuò dunque il suo volo, l'Arcangelo, preoccupato. Perché sapeva che quello che faceva impazzire Lucifero di una tremenda rabbia, distruttiva, e ne amplificava all'infinito il potere, fosse proprio lo sguardo assente degli uomini, che fingevano di non vederlo e non sancivano con un nome la sua esistenza. Quali segnali avrebbe potuto inviare all'amico per metterlo sull'avviso?

Michele

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