Riferimenti storici e geografici
L'Istria veneta nel '600
Nell'introduzione a: Memorie sacre e profane dell'Istria del dott. Prospero Petronio, datate 1681.
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Per quanto concerne l'Istria veneta, il suo peggior male era lo spopolamento, dovuto molto più alle malattie che alle guerre.
Dal 1348, la peste, che già in precedenza era comparsa più volte a Venezia e nell'Istria, ricorse periodicamente ogni pochi anni, per decine e decine di volte fino al 1630. Questa terribile malattia, detta «mal della giandussa», mietè un enorme numero di vittime in ogni parte della nostra provincia; però la sua diffusione e frequenza non furono uniformi. Pirano, Rovigno, Isola, Muggia, buie, montona e Pinguente ne furono meno colpite al confronto di Pola, Parenzo, Cittanova, Umago.
Più danno ancora della peste portò fino ai tempi recenti la malaria, perché endemica e perché non solo portava spesso a morte i malati ma indeboliva e rendeva inabile al lavoro gran parte della popolazione, e spingeva gli abitanti ad abbandonare certe zone.
Se ne incolpava la prevalenza dei venti di ostro e di scirocco, o, non trovando altre spiegazioni la si attribuiva genericamente all'aria nociva.
In realtà, le zanzare, veicoli dell'infezione, trovavano le migliori condizioni per il loro sviluppo nello spopolamento dovuto alle guerre, alle carestie e alle pestilenze; perché vaste plaghe prima coltivate erano divenute paludose e nelle città, come Pola e Parenzo erbacce e acquitrini occupavano il posto che prima era di strade lastricate e di edifici.
Certo è che la malaria era più diffusa nelle stesse zone dove più infieriva la peste.
Ovviamente nelle località meno colpite le condizioni economiche e generali furono di gran lunga migliori che nelle restanti, per cui troviamo nel '600 Parenzo, Cittanova, Umago e Pola in condizioni disastrose, mentre Rovigno, Pirano e altri luoghi meno colpiti erano abbastanza fiorenti.
Detto questo in linea generale occorre aggiungere che all'epoca del Tomasini e del Petronio, la situazione economica era però in complesso più depressa rispetto ai tempi precedenti, essendo la Repubblica Veneta come detto sopra, in fase critica. È indubbio che la Serenissima fu amata dagli Istriani, specie dal popolo, che in ogni occasione non lesinò aiuti in denaro ed uomini, e che in più luoghi alla sua caduta si sollevò inferocito contro i presunti responsabili. anche se nelle piccole o grandi cose di ogni giorno molte erano le critiche che si facevano ai Podestà; i quali pertanto al loro arrivo, ogni sedici mesi, erano accolti dal saluto «viva el Podestà novo che el vecio iera un lovo».
I centri abitati erano denominati secondo l'antichissimo uso Città, Castello, Terra, Villa, Contrada, in ordine di importanza e dignità gerarchica.
Le città, oltre Trieste e oltre Pedena che era nella Contea, erano nell'Istria veneta Capodistria, Cittanova, Parenzo e Pola: perché sedi vescovili e antichi municipi romani.
Il loro consiglio e i membri di esso avevano rango nobiliare che non spettava invece alle Terre e Castelli.
Tale distinzione rimase fino alla caduta della Repubblica Veneta, che, intransigente, non aderì mai alle richieste di promozione di rango di Terre divenute assai più popolate e ricche di città del tutto decadute.
Per quanto riguarda infine la popolazione, i veri originari Parenzani, Cittanovesi, Umaghesi e Polesani erano praticamente scomparsi e furono rimpiazzati da italiani del Friuli, della Carnia, delle Marche e di altre regioni.
A Parenzo dopo la guerra di Candia vennero anche molte famiglie da quell'isola ma quasi tutte dopo poco emigrarono a Venezia.
A Pirano e a Rovigno e in parte a Muggia, assai meno colpite dalle pestilenze e dalla malattia, il ceppo etnico originario rimase molto più numeroso, e così si spiega il mantenimento del loro dialetto fino ai tempi vicinissimi a noi.
Nelle campagne, dal XII secolo in poi, e particolarmente dal XV e XVI, vennero importati coloni delle più varie nazioni: greci di Nauplia e Malvasia, di Cipro, di Candia; morlacchi, slavi della Slovenia, Croazia, Serbia, Dalmazia interna, e albanesi.
Contemporaneamente italiani di varie regioni, ma specialmente cargneli e friulani si insediarono nelle città costiere e nei centri maggiori dell'interno.
Per cui dal '600 in poi l'elemento italiano fu totale nelle città costire, del tutto prevalente nei centri maggiori dell'interno; mentre i contadini della campagna sia dell'Istria veneta che della Contea Austriaca, furono sloveni, croati, morlacchi, albanesi; pochissimi essendo rimasti dei greci.



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Revised - May 28th, 2001