Riferimenti storici e geografici
La preistoria della Venezia Giulia
in Gianna G. Buti, Giacomo Devoto - Preistoria e storia delle regioni d'Italia. Sansoni, Firenze 1974, pp. 52-57.
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La preistoria della Venezia Giulia è importante e omogenea. Essa è concentrata, nelle sue testimonianze, nelle grotte della regione triestina. (...)
Le Alpi Giulie hanno restituito industria antichissima, ma in territorio oggi jugoslavo. Nella grotta Betal, presso Postumia, sono stati identificati vari livelli, e la parte inferiore ha dato manufatti di tecnica clactoniana; seguono livelli attestanti due fasi dell'industria musteriana, che ci fanno scendere così in pieno Paleolitico medio.
Le grotte triestine si trovano disposte sia vicino al mare, a nord e a sud di Trieste, sia sull'altopiano carsico. Resti musteriani sono venuti in luce solamente in due grotte del Carso: dalla grotta San Leonardo, sul monte omonimo, provengono 37 manufatti, e 33 dalla grotta Pocala presso Aurisina, questi ultimi scoperti assieme a ossa di animali che mostrano tracce di utilizzazione e anche adattamenti da parte dell'uomo. Gli unici reperti del Paleolitico superiore appartengono a un territorio oggi jugoslavo anch'esso: industria dell'Aurignaciano è presente nella grotta del Sandalo presso Pola.
Torniamo nel Carso per trovare notevoli testimonianze del Mesolitico nella grotta delle Trincee, nella grotta Benussi, nella grotta della Tartaruga, nella grotta Azzurra di Samatorza: in quest'ultima prende risalto l'industria ossea, con punteruoli e spatole a margine ricurvo. Sempre nella grotta Azzurra si succedono, senza interruzioni vistose, tipi neolitici, non già isolati ma con collegamenti danubiani, e finalmente elementi della civiltà più tarda e così caratteristica della regione, che è quella dei castellieri. La grotta delle gallerie, a oriente di Trieste, allarga ancor più gli orizzonti, anche se gli inizi della vita vi siano più recenti: stazione neo-eneolitica, mostra collegamenti con la corrente dell'Italia meridionale a ceramica dipinta, poi con civiltà più settentrionali, come quella di Fiorano e quella dei vasi a bocca quadrata, per ampliare il quadro con testimonianze della civiltà danubiana di Vucvedol nel passaggio dal Neolitico all'Eneolitico e restituendo tracce della cultura di Remedello, cioè di un aspetto della civiltà di origine iberica del vaso campaniforme. Anche qui si arriva, alla fine, alla ceramica propria della civiltà dei castellieri. La grotta del Pettirosso, poco lontana dalla grotta Pocala, che per altro continua ad essere abitata anche nel Neolitico, precisa i rapporti lontani e si collega in maniera stretta con le culture danubiane del Neolitico medio e quindi con quella di Vucvedol. Nel Neolitico medio è da rammentare anche il primo dei villaggi all'aperto, quello di Zaule. Tutto nello stadio dei metalli si svolge l'insediamento esplorato nella grotta Teresiana presso Duino, a breve distanza dal mare. Anche qui i collegamenti sono estesi: con la civiltà di Vucvedol, con quella di Remedello, con quella appenninica dell'Italia centrale. Anche qui, come alla grotta Azzurra o a quella delle Gallerie, si afferma infine la civiltà dei castellieri (...) che si va diffondendo dall'Istria e dalla Venezia Giulia, fino al Trentino.
I castellieri sono abitati posti su alture e circondati da cinte di difesa, alle volte imponenti, con muri fino a sei metri di larghezza e a otto di altezza. Essi cominciano a apparire nell'Istria e nelle isole immediatamente a sud con l'età del bronzo e rappresentano l'assestamento e il consolidamento di una tecnica caratteristica, forse non estranea alla civiltà delle tombe a tumulo dell'Europa centrale. Le sepolture sono presso gli abitati: nella prima fase, cassette di pietra, nelle quali i morti erano deposti in posizione rannicchiata seduta. Esse poi venivano ricoperte da un tumulo. Alla continuità della tecnica non corrisponde nella storia dei castellieri continuità culturale assoluta. E difatti solo nella seconda fase si afferma nei castellieri il rito funebre della incinerazione che, più a occidente, si era precedentemente imposto nella civiltà delle terramare. Ma il nuovo rito non si è sovrapposto, distruggendo, con la sua nuova visione della vita. Si è limitato ad introdurre le urne, e queste, che contenevano le ceneri, hanno continuato a essere custodite a loro volta nelle cassette di pietra tradizionali. Il secondo strato della civiltà dei castellieri si distingue anche per una maggiore apertura di orizzonti. Mentre nel primo i confronti più ovvi avvengono al livello di elementi propri della civiltà terramaricola, nel secondo non si hanno soltanto i legami con la finitima civiltà atestina ma anche, dalla parte opposta, con quella centro-europea di Hallstatt. La civiltà dei campi d'urne, che ne è l'antefatto, ha agito così sul territorio giulio in una forma indiretta, quasi accerchiando le tradizioni ancora inumatrici risalenti alla civiltà precedente nella stessa area dell'Europa centrale, e cioè quella di Unevtice.
Tra i castellieri più antichi si annovera quello di Montursino presso Dignano d'Istria. Quello degli Elleri presso Muggia appartiene invece alla civiltà del Ferro arcaica e mostra collegamenti generici non solo con il filone terramaricolo e poi con quello atestino, ma anche con la civiltà subappenninica dell'Italia centrale. Questo castelliere continua ad essere utilizzato fino in età romana. È interessante notare come, scendendo nel tempo, tale attività di rapporti e traffici venga mantenuta dalle genti dei castellieri: nel IV secolo a. C. la ceramica di Gnathia, creazione della Magna Grecia, arriva fino nell'Istria. Più intrinsecamente interessanti sono le necropoli di Nesazio e di Pizzughi, degli inizi della seconda fase dei castellieri in Istria, per la bella documentazione che offrono dell'assimilazione del nuovo rito incineratore entro schemi arcaici, con l'interramento, nel grande sepolcro tradizionale, della cassetta litica contenente l'urna con le ceneri al posto del cadavere. Altri castellieri importanti sono quelli di Monrupino e di Zolla immediatamente a nord di Trieste. Tracce caratteristiche di un ampliamento progressivo mostrano i castellieri di monte Gioia presso Prosecco, posti su due cime vicine, ma contornati da una cinta esterna comune. Resti di intonaco di capanne mostra infine il castelliere di San Polo presso Monfalcone. Trovamenti in grotta sono stati segnalati più sopra: forse le grotte servivano da rifugi occasionali oppure venivano frequentate per scopi cultuali. Tumuli non organizzati in castellieri sono quelli di Contovello e di monte Lanaro, che si inseriscono però completamente nella civiltà classica dei castellieri. Invece a Cattinara si è trovato un abitato, privo di cinta di difesa, gravitante verso i modelli contemporanei della civiltà atestina.

Da un punto di vista etnico la regione giulia mostra successivamente un periodo più antico di relativo isolamento e immobilismo, poi uno di collegamenti generici sia verso oriente che verso occidente, poi uno di collegamenti specifici con gli ambienti danubiani. Infine quello caratteristico dei castellieri, distinto in una fase attardata di perdurante inumazione e una più recente, incineratrice. Fino a tanto che non ci sono collegamenti organici con altre regioni, è naturale che si applichi alla Venezia Giulia lo stesso criterio applicato al Veneto e quindi si parli del periodo più antico come quello degli Euganei. Nomi locali come quelli di Ampezzo o Gemona (lat. Glemona), di un fiume come il Tagliamento (lat. Tiliaventum) possono essere riferiti a queste fasi più lontane, e trovano rispondenze, nel senso della latitudine, a est in Emona (oggi Lubiana) e Albona (nell'Istria) e a ovest in Verona Cremona Dertona, nel senso della longitudine in Salona e Cortona, tutti di eredità preindeuropea, picena-euganea co già indicato a pp. 30-31 e 42.
Dopo un lungo periodo di passaggio, durante il quale certamente nuclei di tradizione linguistica indoeuropea hanno attraversato numerosi la regione giulia, la prima affermazione organica, corrispondente alla civiltà dei castellieri, ci suggerisce una doppia denominazione etnica, l'una generica, collegata alle tradizioni nord-italiche che si sono spinte lontano nella pianura padana fino al Ticino e alla Trebbia, l'altra specifica, associata al «venetico» e al centro culturale di Este.
Il nome locale che più significativamente rappresneta questo strato, è quello stesso di Trieste, in latino, Tergeste. Si tratta di parola derivata per mezzo di un suffisso antichissimo, ma la cui radice TERG con il significato di «mercato» appartiene allo strato venetico, e riappare fra l'altro nel nome di Oderzo, latinamente Opi-tergium, oltre che in altre aree indoeuropee.
Ma fra l'Isonzo e la Livenza rimane un vuoto, che, al di là della mancanza di ricerche adeguate, induce al sospetto che un elemento estraneo, sopraggiunto, abbia interrotto la continuità fra le genti dei castellieri istriani e in genere giuli da una parte, e le genti delle civiltà lombardo-venete di Este e di Golasecca dall'altra; o, anche, fra il TERG del «mercato» di Trieste e il TERG del «mercato» di Oderzo. Effettivamente questo cuneo ha un nome, che gli viene dato dai Carni, popolo celtico disceso dalle Alpi omonime nel IV secolo a. C. e solidamente insediato nel Friuli. Ma la prova decisiva che si tratti effettivamente di una frattura operata da un cuneo sopraggiunto è data dalle testimonianze epigrafiche. Alcune iscrizioni, disposte lungo l'arco che va da Muggia, immediatamente a oriente di Trieste, a Idria di Santa Lucia di Tolmino (oggi Jugoslavia) a Gruni e Würmlach in Carinzia, immediatamente a nord del crinale delle Alpi Carniche, sono perfettamente venetiche e trovano i loro chiari riscontri nell'alto bacino del Piave e nella pianura intorno a Este. L'impronta gallica si imprime fortemente e dura fino alla affermazione romana, fra il 181 a. C., anno della fondazione della colonia di Aquileia, e il 115 a. C., l'anno del soggiogamento definitivo della regione.



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Revised - May 28th, 2001