Riferimenti storici e geografici
Per una storia degli Slavi del Sud
Nell'introduzione a: Niccolò Tommaseo - Canti popolari serbo-croati di Gheorghe Carageani. Sansoni, Firenze 1992. Il testo ovviamente nelle parti che trattano avvenimenti dei primi anni novanta è datato, nel senso che alcune delle considerazioni esposte sono superate dalla storia recente.
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I territori compresi nell'odierna Jugoslavia furono abitati, in tempi remoti, dagli Illiri e, in alcune zone, anche dai Traci. Dopo diverse invasioni o migrazioni di altri popoli (fra i quali i Celti, gli Sciti, i Geti), i Romani cominciarono a penetrare nella penisola balcanica alla fine del III secolo a.C. per impossessarsi poi dell'intera penisola nel I secolo d.C.
I coloni romani ivi stanziati imposero la loro cultura, costruirono città, svilupparono il commercio. Contemporaneamente, da sud e da sud-est, penetrava e si estendeva nella penisola balcanica l'ellenismo. Si sa che, sia per la sua eccessiva estensione territoriale sia a causa delle invasioni cosiddette barbariche, l'Impero Romano si divise, nel 395, in due parti: l'Occidente e l'Oriente. Quest'ultimo, nel quale preminente era la cultura e la lingua greca, prenderà in seguito il nome di Impero bizantino ed eserciterà per molti secoli la sua sovranità su gran parte della penisola balcanica.
Un vero pericolo per Bisanzio fu rappresentato, a un certo momento, dalle varie tribù slave che si riversarono sui Balcani. Seppure non tutti d'accordo, gli studiosi sembrano collocare la patria primitiva degli Slavi a nord della catena montuosa dei Carpazi e al di là della Vistola, in un territorio che corrisponde grosso modo a quello della Polonia e dell'Ucraina occidentale.
I termini slav(eno) e slov(eno) hanno una radice comune che si ritrova in varie denominazioni di popoli e di toponimi, radice che ha presumibilmente il duplice significato di «parlata» e di «gloria». Tale nome viene attestato per la prima volta agli inizi del V secolo, nei Dialoghi di Pseudo Cesareo, ignoto autore bizantino, nella forma «Sklavenoi», per essere poi ripreso, un secolo più tardi, da Procopio di Cesarea.
Particolarmente numerosi e divisi in varie tribù, gli Slavi si sono man mano riversati verso ovest e verso sud, differenziandosi poi anche dal punto di vista linguistico e originando i tre ceppi dai quali si sono formate in seguito le diverse varietà etniche slave: a) il gruppo orientale (Russi, Ucraini, Bielorussi); b) il gruppo occidentale (Polacchi, Cechi, Slovacchi), ai quali si potrebbero eventualmente aggiungere i Polabi - scomparsi nel XVIII secolo perché assimilati dai Tedeschi -, i Sorabi ed i Casciubi); c) il gruppo meridionale (Bulgari, Croati, Serbi, Macedoni, Sloveni).
Per molto tempo si credette che gli Slavi fossero un popolo pacifico e mite, alquanto diverso da altri «barbari» dell'antichità. Di fatto, essi si comportavano allo stesso modo: saccheggiavano le città, bruciavano i villaggi, uccidevano e facevano schiavi. Lo scrittore Procopio di Cesarea racconta, per esempio, che ogni incursione degli Slavi nell'Impero bizantino significava per i Bizantini la perdita di 100.000 persone tra morti, feriti e prigionieri.
Spronati, ma abche trascinati dagli Avari e, a volte, anche di propria iniziativa, cominciarono a invadere la zona carpato-balcanica nel VI secolo ed entrarono in conflitto con Bisanzio. Nella seconda metà del VII secolo quasi l'intera penisola balcanica era già stata conquistata da varie tribù slave; nel 626, in alleanza con gli Avari, gli Slavi attaccarono persino Costantinopoli, che però resistette.
In contatto con popoli loro superiori per civiltà (Bizantini a Oriente, Latini e Franchi a Occidente) e convertiti al cristianesimo, gli Slavi dei Balcani si suddivisero in varie etnie - presumibilmente tra i secoli VII e IX - e arrivarono poi a costituirsi in blocchi nazionali.
Per la zona che ci interessa, quella dell'odierna Jugoslavia, va detto subito che né gli Sloveni (sopravvissuti per secoli come entitá etnica e culturale, malgrado la pressione dell'elemento germanico), né i Macedoni (così legati, per secoli, alla Bulgaria, sul piano politico, culturale e letterario) riuscirono a conquistare una loro indipendenza politica, ad affermarsi, cioè, come Stati a sé stanti. Lo stesso dicasi della Bosnia - nominata per la prima volta nel 950 dall'imperatore Costantino Porfirogeneto come parte essenziale della Serbia - che appartenne alla Serbia o alla Croazia e che si unì nel 1120 all'Ungheria.
Parzialmente diversa fu, invece, la sorte dei Serbi e dei Croati. Infatti, all'inizio del IX secolo, i Croati riuscirono a creare nella Dalmazia centro-settentrionale una sorta di ducato, trasformatosi in regno nel secolo seguente. Essi accolsero da Roma la liturgia cattolica e latina, accettarono come loro capo spirituale il papa e ottenero la corona reale nel 925 da parte di papa Giovanni X. Nel 926 l'imperatore bizantino Romano Lecapeno si appellò al duca croato Tomislavo contro lo zar bulgaro Simeone, che tanto filo da torcere dava ai Bizantini. Simeone subì una dura sconfitta da parte di Tomislavo.
I rapporti tra il mondo cattolico e la Croazia fecero sì che la Croazia si collocasse, sin dall'inizio, nella sfera della cultura occidentale, a differenza della Serbia ortodossa, legata indissolubilmente a Bisanzio. L'interferenza e il peso della Santa Sede si fecero sentire in Croazia anche in altre occasioni, come, per esempio, nel 1076, quando un legato di papa Gregorio VII incoronò Demetrio Zvonimiro «re di Croazia e di Dalmazia». Lo spessore ela forza del regno croato furono, però, ridottissimi: nel 1102 la corona della Croazia fu offerta a re Ladislao d'Ungheria con l'intesa denominata Pacta Conventa e da allora la dipendenza da varie potenze straniere fu continua. La debolezza e la modestia del regno croato sarebbero dimostrate - secondo alcuni studiosi - anche dall'assenza di una sede fissa per la sua corte reale, la quale dovette cambiare variw collocazioni - anche in un breve lasso di tempo - e tutte in piccoli centri rurali.
Già separate dalle altre etnie slave nel IX secolo, le tribù serbe controllavano all'inizio territori ristretti, che si riducevano spesso a qualche vallata lungo i fiumi e/o tra le montagne. Due di questi territori diventeranno in seguito noti. Il primo fu quello della vallata di Zeta, l'unico corridoio che permetteva la comunicazione tra le montagne montenegrine. Qui si formò, nel X secolo, il principato o regno di Zeta (denominato anche regno di Dioclea), che si trovava in rapporto di vassallaggio rispetto a Bisanzio, o, a volte, nei confronti dello zarato bulgaro. Solo in rari momenti il regno di Dioclea riuscì a emanciparsi dalla sottomissione bizantina, come accadde, per esempio, nel 1035, quando il principe di Zeta, Stefano Voislavo, riuscì a sconfiggere l'esercito imperiale.
Più importante, storicamente parlando, fu il territorio della Rascia, piccola zona montuosa situata tra la vallata del Lim e il regno di Dioclea. I boiari, alti dignitari che governavano la Rascia chiamati «gran giuppani», appartenevano, dalla prima metà del secolo XI, a un ramo della dinastia diocleate. Spesso in lotta tra loro, assoggettati ora a Bisanzio ora alla Dioclea, essi riuscirono a godere, in più di cent'anni, solo di effimeri periodi di indipendenza, fino a quando si affermò il gran giuppano Stefano Nemanja, fondatore dell'omonima dinastia.
Sfruttando una situazione che era favorevole sia sul piano interno (grazie ai malumori generati nelle file dei gran giuppani della Rascia, imprigionati nel 1168 dall'imperatore bizantino Emanuele Comneno e sostituiti con uomini sottomessi al potere imperiale) sia sul piano esterno (a causa della guerra tra Venezia e Bisanzio del 1170-1171), Stefano Nemanja, in alleanza anche con l'Ungheria e con l'Impero d'Occidente, estese man mano il proprio dominio sui territori delle vallate vicine. Dopo una parentesi di ben sette anni (1173-1180), nella quale, per scongiurare una sorte peggiore, si sottomise a Bisanzio, Stefano Nemanja approfittò della morte di Emanuele Comneno e conquistò vasti territori (fra questi, Zeta) e importanti città quali Scutari, Dulcigno, Antivari, Cattaro, Nisv, Skoplje, Prisrenda, ecc. Seppur sconfitto silla Moravia, nell'autunno del 1190, dall'imperatore bizantino Isacco Angelo e costretto a restituire a Bisanzio la regione compresa tra Prisrenda e Skoplje fino a Sofia, Stefano Nemanja riebbe poi dall'imperatore i territori persi e si dedicò all'organizzazione della vita religiosa e ai contatti con l'Occidente. Si ritirò nel 1196 a vita monastica.
Dopo alcune lotte tra i suoi eredi, prese il sopravvento il figlio Stefano, orientato dapprima verso Bisanzio (anche perché marito di Eudossia, nipote dell'imperatore Isacco Angelo), e poi - dopo aver ripudiato Eudossia e sposato Anna Dandolo, nipote del celebre doge veneziano - verso Venezia e il papato. Da papa Onorio III ottenne, d'altronde, nel 1217, la corona regale, il che permise la trasformazione della Serbia da grangiuppanato a regno.
L'apertura verso l'occidente, non impedì, tuttavia, la collocazione dello Stato serbo nell'oriente bizantino e questo grazie soprattutto all'onnipotente spirito ortodosso, sancito ancor più dopo la fondazione della Chiesa nazionale autocefala ortodossa serba, il cui primo arcivescovo, consacrato dal patriarca e riconosciuto dalla corte imperiale di Nicea, fu proprio il fratello di Stefano Nemanja, Sava, diventato monaco. Il XIII secolo portò la Serbia a varie lotte e a fatali conflitti per il potere fra i nipoti di Stefano Nemanja prima (Radoslao, Vladislao e Urosv I) e poi fra i suoi pronipoti (Stefano Dragutin e Stefano Urosv II Milutin). I successori del fondatore della dinastia Nemanja si trovarono spesso divisi anche per i loro orientamenti, che oscillavano tra Bisanzio, lo zarato bulgaro e le potenze cattoliche - col papato e l'Ungheria in primo luogo.
Il regno serbo durò fino al 1345. Infatti Stefano Dusvan - che aveva spodestato il padre Stefano Urosv III imprigionandolo e, forse, assassinandolo - dopo aver conquistato ampi territori dell'albania, della Macedonia e della Grecia, divenne, nel 1346, imperatore dei Serbi e dei Greci. Conquistò inoltre la Tessaglia e l'Epiro. Morì a soli 48 anni nel 1355 e l'impero da lui creato si dimostrò effimero e crollò in un brevissimo lasso di tempo. Le cause dello sgretolamento dell'impero furono sostanzialmente le seguenti: a) le lotte intestine tra i suoi successori; b) l'assenza di strutture adatte a promuovere e a consolidare l'impero: coloro che dovevano amministrare e condurre effettivamente le varie regioni dell'impero cercarono di rafforzare la propria potenza mirando a un'autonomia propria; c) i pericoli esterni che venivano dall'Ungheria, ma soprattutto dai Turchi, arrivati nel 1366 ad Adrianopoli e avviati alla conquista della penisola balcanica.
Con le battaglie di Cvernomjan, sul fiume Marica (1371), nella quale morì il re serbo Vukasvin, e soprattutto di Kosovo (1389), gli eserciti serbi furono completamente annientati dai Turchi.
Al conflitto armato di Kosovo (in serbo: Kosovo Polje, ovvero «Campo dei merli») si arrivò dopo che il re serbo Lazzaro Hrebeljanovic', in seguito a una vittoria ottenuta contro i Turchi a Plocvnik, nel 1387, organizzò contro di loro una coalizione dei Paesi cristiani. La sua iniziativa ebbe, purtroppo, scarsa eco, poiché gli Ungheresi non risposero favorevolmente in tempo utile e ridotta fu la partecipazione di Bosniaci e Albanesi. Secondo alcuni cronisti turchi, anche il principe valacco Mircea il Vecchio mandò un contingente in aiuto di Lazzaro.
La battaglia si svolse il 15 giugno e sembrò, all'inizio, favorevole ai cristiani, tanto più che il coraggioso Milsv Obilic' penetrò nel campo dei Turchi e uccise il sultano Murad. Fu un momento di sbandamento, ma il figlio del sultano, Baiazette, soprannominato anche Yildirim («Fulmine») per la rapidità dei suoi movimenti e delle sue decisioni, prese il comando dell'esercito ottomano e trasformò la ritirata in una splendida vittoria. Nella battaglia perì lo stesso re Lazzaro.
La vedova di Lazzaro, Milica, riuscì a stabilire un rapporto di vassallaggio con i turchi (mandando, tra l'altro, come segno di sottomissione, la propria figlia Oliviera a Brussa, nell'Harem del sultano) e ottenne così che sul trono della Serbia, diventata una specie di despotato, salisse Stefano Lazarevic', figlio del re defunto. In qualità di vassallo, Lazarevic' partecipò diverse volte, col suo esercito, a varie battaglie a fianco dei Turchi. Nella prima di esse, quella di Rovine (1394) contro il principe valacco (romeno) Mircea il Vecchio, il contingente serbo fu guidato da Marko Kraljevic', figlio maggiore del già menzionato re Vukasvin. La battaglia fu persa dai Turchi e lì morì Marko Kraljevic', eroe di un intero ciclo epico di ballate popolari serbe. Decisivo fu, invece, il contributo di Stefano Lazarevic' a Nicopoli, nel 1396, dove i crociati di Sigismondo di Lussenburgo subirono una terribile disfatta da parte dei Turchi.
Il despotato serbo durò fino al 1495 quando, dopo la morte di Giorgio Brankovic', la Serbia diventò pascialato turco, perdendo con ciò ogni forma di autonomia. Non si trattò, però, inizialmente, di un'azione cruenta da parte dei Turchi, ma piuttosto di una sottomissione dei Serbi che conservavavno la religione, la lingua e le terre che continuavano a lavorare, pagando ovviamente un tributo, all'inizio abbastanza ridotto. Una parte della nobiltà serba (e non solo di essa, specialmente nella zona meridionale del Paese) passò all'islamismo. Intenso fu, tuttavia, nel Quattrocento e nel Cinquecento, l'esodo dei Serbi verso l'Austria e l'Ungheria.
Iniziato il declino dell'Impero ottomano, l'Austria allargò i propri confini con la pace di Carlowitz prima (1699) e con quella di Passarowitz poi (1718), conquistando quasi l'intera Slavonia e larghe zone della Serbia meridionale e settentrionale, territori però successivamente persi.
Nell'Ottocento scoppiarono le insurrezioni contro i Turchi: quella condotta da Karagjorgje fu repressa, mentre quella iniziata nel 1815 e capeggiata da Milosv Obrenovic' ebbe, alla fine, successo e portò alla Serbia lo statuto di principato indipendente, riconosciuto come tale dalla Sublime Porta. L'indipendenza, tuttavia, era solo relativa, poiché la Serbia rimaneva sottomessa alla sovranità turca; inizialmente però con la garanzia della protezione russa e più tardi, con quella delle grandi potenze.
Sul piano dinastico, l'Ottocento e i primi del Novecento videro la lotta accanita - senza esclusione di colpi - tra i Karagjorgjevic' e gli Obrenovic'. Con una parentesi di 16 anni, quando governò Alessandro Karagjorgjevic' (tra il 1842 e il 1858), furono sempre gli Obrenovic' a guidare la Serbia. Le lotte dinastiche portarono varie volte all'assassinio, come successe nel 1817 a Karagjorgje, nel 1868 a Michele Obrenovic' e nel 1903 ad Alessandro, l'ultimo degli Obrenovic', ucciso insieme alla moglie, a due cognati e ad alcuni dei suoi ministri.Partendo da un territorio ristretto a sud del Danubio, la Serbia riuscì a estendersi dopo la guerra contro i Turchi e ad ottenere, col trattato di Santo Stefano e con la pace di Berlino (1878), altri distretti, non però - come sperava - la Bosnia e l'Erzegovina, territori assegnati all'Austria. Sempre nel 1878 la Serbia ottenne l'indipendenza, insieme al Montenegro.
Nel 1882 Milan Obrenovic' assunse il titolo di re e il Parlamento (Skupsvtina) proclamò regno la Serbia. La grande svolta doveva avvenire, però, solo nel Novecento. Pietro Karagjorgjevic' si orientò verso la Russia e cercò di riunire intorno al proprio Stato i territori slavi vicini, molti dei quali erano già in passato appartenuti alla Serbia. Dopo la seconda guerra balcanica raddoppiò infatti il territorio della Serbia. Si arrivò così al fatidico 28 giugno 1914, quando il bosniaco Gavrilo Princip assassinò a Sarajevo il principe ereditario asburgico Francesco Ferdinando. Un mese dopo, in seguito al rifiuto, da parte della Serbia, delle richieste asburgiche, iniziò la prima guerra mondiale che portò alla vittoria dell'Intesa, alla cancellazione dell'Impero austro-ungarico e alla creazione dello Stato multinazionale jugoslavo, denominato - fino al 1929 - «Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni». Nella sua composizione entrarono a far parte Serbia, Montenegro, una parte della Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Slovenia, Vojvodina, Dalmazia e Slavonia.
Seppur costituito il 1 dicembre 1918 - con un gabinetto jugoslavo e un Consiglio di Stato formatisi il 24 dicembre dello stesso anno - lo Stato jugoslavo incontrò subito numerose difficoltà sul piano interno, difficoltà dovute a ci6ograve; che alcuni denominao la «crisi di assestamento», caratterizzata da innumerevoli crisi di Governo e dalla forte opposizione, fin dall'inizio, dei Croati alla Costituzione emanata nel 1921.
Che il connubio tra la Serbia e la Croazia non fosse così felice - il che spiega, tra l'altro. l'accanimento con il quale la Croazia tenta oggi di ottenere l'indipendenza - lo dimostrano vari eventi. Ci limiteremo a elencarne alcuni, accaduti in un lasso di tempo di circa dieci anni: a) il riparo forzato all'estero di Stefano Radic', capo del Partito dei contadini croati con programma repubblicano, autonomista e comunista; b) l'arresto dello stesso S. Radic', dopo il suo ritorno in patria; c) l'esclusione completa dei Croati dal Gabinetto Uzunovic', nel 1927; d) il grave incidente avvenuto il 10 giugno 1928, quando il deputato serbo Punica Racvic' sparò contro gli oppositori croati, durante una discussione, uccidendo sul colpo due deputati e ferendone gravemente altri due, uno dei quali, proprio Stefano Radic', moriva dopo quasi due mesi di agonia; e) i gravi disordini a carattere anti-serbo avvenuti a Zagabria il 1 dicembre 1928.
Per por fine a questa situazione, il re, Alessandro I, soppresse la Costituzione, sciolse la Skupsvtina e introdusse la dittatura, trasformando la Jugoslavia in una monarchia assoluta, con un regime strettamente centralizzato in senso serbo. Nell'ottobre 1934 Alessandro I fu ucciso a Marsiglia dai terroristi del partito croato degli Ustascia. Salì al trono Pietro II, minorenne, sotto la reggenza dello zio Pavel Karagjorgjevic'.
In politica estera, a un certo iniziale avvicinamento alla Francia e al patto noto col nome di Piccola Intesa tra la Jugoslavia, la Romania e la Cecoslovacchia, si contrappose l'orientamento filo-tedesco che portò, nel marzo 1941, all'adesione al Patto Tripartito tedesco-italo-giapponese. Il governo filo-tedesco di Cvetkovic' fu rovesciato, ma al colpo di Stato del re Pietro II seguì la reazione italo-tedesca che condusse alla rapida occupazione della Jugoslavia nell'aprile 1941. Nacque la lotta partigiana a opera sia dei cetnici del generale Draga Mihailovic' sia dei comunisti di Tito, il quale creò l'esercito popolare di liberazione.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale nel marzo 1945, si formò un Governo cosiddetto democratico. Il Fronte Popolare, di ispirazione comunista, ottenne la vittoria nelle elezioni del '45, il che portò all'abolizione della monarchia e alla proclamazione della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia, diventata Repubblica Socialista nel 1963. Sulla stessa strada percorsa da altri Paesi dell'Europa centrale e orientale, in Jugoslavia venne instaurata la dittatura comunista, il che significò, in pratica, la soppressione delle libertà individuali. A differenza di altri Paesi comunisti, la Jugoslavia si staccò dall'orbita sovietica nel 1948, ma ben poco cambi6ograve; per la popolazione e per il destino dell'economia del Paese, fallimentare anche dopo l'applicazione del sistema di imprese autogestite, glorificato, a un certo momento, come un toccasana. Non solo, ma dopo la morte di Tito, il quale, con la sua dittatura ma anche col suo carisma personale, era riuscito a tenere a bada, in qualche modo, le forze centrifughe, impedendo la disgregazione della Jugoslavia e soprattutto dopo la recente disfatta dell'Impero sovietico e dopo il crollo del comunismo nei Paesi ex satelliti dell'U.R.S.S, i nodi sono venuti al pettine: alcune delle Repubbliche jugoslave hanno proclamato infatti la loro indipendenza, il che ha generato la recente guerra - seppur non dichiarata esplicitamente - dei Serbi e delle forze federali contro i Croati ribelli.



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Revised - May 28th, 2001