LA CENGIA

Il vocabolario definisce una "cengia" come un angusta sporgenza naturale e pianeggiante lungo una parete rocciosa a picco, che permette agli scalatori un passaggio trasversale sul fianco del monte o una sosta.

La nostra cengia invece si trovava sotto terra in una grotta, caso non contemplato nella definizione, come non era previsto nei miei piani di trovarmici in compagnia di una persona del tutto sconosciuta.

La mensola calcarea era molto scivolosa e stretta, sporgeva per non più di otto centimetri.

Quello che presumevo fosse un ragazzo, stava con la schiena appoggiata alla parete; tutto sommato in una posizione sicura ed inoltre scaricava il suo peso sui talloni.

Non altrettanto stabile ero io, che mi trovavo di fronte, appoggiato sulle punte dei piedi e col sedere in bilico nel vuoto. Le mie braccia lo circondavano evitando accuratamente di sfiorarlo, mentre le sue le teneva distese lungo i fianchi, forse nel tentativo di assottigliare la sua già pur minuta figura.

Dovevo continuamente spostare il peso ora da una parte, ora dall'altra, per alleviare il fastidioso dolore alle punte dei piedi che mi stava procurando quella inattesa e lunga fermata a metà del percorso.

Le braccia erano troppo divaricate per garantirmi l'equilibrio durante questa manovra, simile alla danza di un orso ammaestrato e dovevo aiutarmi appoggiando la testa alla parete puntandovi la visiera del casco.

Il rischio era di rimanere appeso nel vuoto come un salame.

Nel compiere questa manovra, i pochi centimetri in più d'altezza rispetto all'altro occupante l'angusto gradino, facevano si che le mie labbra sfiorassero il lobo del suo orecchio sinistro non ben protetto da un casco da motociclista modello anni 50; quelli a "stampo da budino", tanto per intenderci.

Inoltre, arcuando la schiena, la testa mi si abbassava ed il naso oscillava arrivando a insinuarsi fin nell'apertura del collo della sua tuta non ben abbottonata.

Inutile precisare che il mio imbarazzo di "macho" era enorme, quasi non osavo respirare.

Come mai ci trovavamo in quella situazione tanto scomoda quanto precaria?

Dovevamo arrampicare quella paretina per arrivare ad un pozzo per iniziare la calata vera e propria, sulle corde fisse, che ci avrebbe portato ad un grazioso laghetto sotterraneo.

Un escursione abbastanza semplice, che si era complicata quando ci eravamo intrecciati con un altro gruppetto di speleologi entrati in grotta con il nostro stesso obiettivo. Ecco perché non conoscevo colui che mi stava davanti; neppure pensavo di trovarmelo lì salendo.

Sopra di noi uno dei miei compagni cercava di liberare nervosamente da dei sassi la stretta fessura che comunicava col pozzo e dopo un buon quarto d'ora non era ancora riuscito a farlo.

A me non sarebbe successo; da tempo avevo imparato a pazientare. In grotta non é come in montagna dove la velocità é un fattore importante di sicurezza.

Sottoterra non piove ne nevica e nemmeno gela, neppure c'é differenza tra il giorno e la notte: quindi é stupido e controproducente prendersela.

Comunque, come ogni regola viene confermata da un eccezione, speravo vivamente che da sopra si dessero da fare alla svelta, anche se ormai mi ero impadronito dei parametri di equilibrio di quella posizione e potevo soffermarmi a considerare la nostra situazione.

In verità era proprio questo meditare a crearmi dei problemi.

Non potevo vedere in viso il mio sconosciuto coinquilino perché nel tentativo di ritrarre la testa e spostala sulla destra mi sarei certamente ribaltato, rimanendo poi appeso nel vuoto come un salame.

Neppure avevo potuto vederlo arrivando sulla cengia poiché, resomi conto con sorpresa che era occupata, per non abbrustolirlo, avevo spento la fiamma sul casco ed per una colpevole pigrizia ancora non avevo riparato l'interruttore della pila frontale scassato nella precedente escursione.

Annaspando alla cieca e cercando di strusciarmi il meno possibile, mi ero sistemato nella scomoda posizione attuale.

Certo che se avessi saputo dell'ingorgo sarei rimasto comodamente in basso. Il bello era che non potevo neppure ridiscendere perché la corda di sicurezza me lo impediva: il mio socio l'aveva prudentemente fissata in alto per avere le mani libere. Così, se avessi voluto ritornare sui miei passi, avrei dovuto slegarmi a rischio di farmi anche molto male con quel buio e quella roccia sdrucciolevole.

Il male minore era di rimanere li. D'accordo che ero abbracciato ad un maschietto, ma disponevo pure di un buon alibi davanti al tribunale della mia educazione, sezione virilità.

Comunque il tempo sembrava non scorrere annoiandomi a morte. Ancor più del mio imbarazzo, e immagino anche dell'altro ospite della cengia, ci impediva di parlarci il rumore assordante della vicina cascata, avremmo dovuto urlarci nelle orecchie.

Il mio naso prossimo al suo collo, sebbene poco allenato, data la mia rusticità intrinseca, iniziò a percepire un profumo particolare che mi ricordava quello usato da mia sorella. Esitai prima di giungere a questa conclusione e volsi i miei pensieri ai componenti del gruppo che avevamo incontrato all'ingresso della grotta e che adesso ci intralciava.

Avevo appena avuto il tempo di notare che era composto in maggioranza da ragazzini che partecipavano ad un corso e questa doveva essere la loro prima uscita sul terreno, dopo le solite tre-quattro lezioni teoriche.

Mi venne in mente una teoria sentita al Costanzo show per cui gli adolescenti d'oggi tendono a prolungare il loro stato infantile vestendosi in modo simile sia maschietti che femminucce, cercando forse di rimandare il brusco ingresso nell'età adulta, che implica in primo luogo una chiara identità sessuale.

Mah! .. ma da qui ad usare gli stessi profumi delle donne .. ..

Già, mah .. cominciai ad alimentare dei dubbi, o forse é meglio dire: a nutrire delle speranze.

Chi mi assicurava che questi non fosse una ragazza? Fuori ne avevo notate alcune tra il gruppo degli allievi, ed erano proprio minute come questa .. e c'era pure una istruttrice piccoletta ma carinissima.

Mi stavo eccitando troppo e iniziai a temere di scoprire che una squallida natura affiorasse in me dopo anni di latenza .. oddio! Sarebbe stato terribile! Lo spavento accelerò i battiti del mio cuore.

Dovevo fare chiarezza, era inderogabile, dovevo scoprire se era qualcosa di magnetico che "lei" emanava verso di me o se invece si trattava di qualcosa di perverso che nasceva dentro di me e verso di "lui" .. .. o che cavolo!

Galileo!

Ecco chi mi avrebbe salvato, la scienza avrebbe spazzato via i mostri dalla mia mente. Per prima cosa svuotai il cervello da tutti i pensieri ed attesi che i battiti riprendessero il loro ritmo normale.

A questo punto mandai il cuore sottocoperta e passai il timone al cervello ponendo come ipotesi di lavoro che questi, per via del profumo, aveva almeno il 60% di probabilità d'essere una donna e che in via provvisoria potevo considerarla tale.

Sempre razionalmente, riprovai ad annusarla: intendevo separare l'odore di femmina dal contesto, così come un sommelier isola i profumi di viola o di mela in vino prestigioso.

Disgraziatamente non ci trovavamo in una ascettica sala d'assaggio e l'odore delle muffe sulla parete, sebbene non riuscissero ad attenuare il profumo artificiale, soffocava inesorabilmente il suo odore naturale.

Incidentalmente il mio naso cozzò contro un corpo freddo, certamente metallico poiché al limite del mio limitato campo visivo avvertii un tenue luccichio: dunque portava gli orecchini.

Entusiasta stavo per elevare le probabilità al 70% quando il dubbio, questo compagno indivisibile d'ogni mente scientifica che si rispetti, pose il solito verme nel formaggio: oggi gli orecchini li portano tutti, indifferentemente maschietti e femminucce!

Galileo cominciava a starmi stretto come le mie mutande, mentre Torquemada affilava i coltelli delle sue macchine da tortura.

Il cuore era risalito sul quadrato e ripreso a pulsare pompandomi litri su litri di sensi di colpa su per le giugulari. Per lui, lei doveva essere femmina! Cento su cento!

In quel momento di crisi la mia "teoria" si mosse per la prima volta alzando il braccio sinistro verso il vuoto e illuminando il polso con la lampada frontale. Compiendo questa manovra la visiera del suo casco cozzò contro la mia squilibrandomi un poco e rischiando di farmi cadere lasciandomi appeso come un salame, ma permettendomi ugualmente di vedere chiaramente il suo orologio: accidenti! portava uno di quei cosi svizzeri trasparenti tanto di moda e comuni ai due sessi!

Galileo, il promulgatore del metodo sperimentale, mi suggeriva di dare una palpatina qua e là. E chi se lo sarebbe aspettato da lui? A scuola me lo avevano dipinto così serio! Ragionai che esiste una separazione netta tra morale e scienza, semmai il problema risiedeva nel non perdere l'equilibrio durante la manovra.

A togliermi ogni responsabilità etica fu l'oggetto dei miei studi, che assestandosi dopo tanta immobilità, strusciò furtivamente il bacino contro il mio.

Ahimè! Questo complicò la situazione e la consistente prominenza che adesso premeva contro la mia pancia mi ripiombò nel dubbio più atroce.

Stavo per calare da 60 a 40 o ancora più in basso quando considerai che il serbatoio del carburo si porta in genere proprio a quell'altezza.

Comunque mi risolsi ad agire e lentamente mi scostai di fianco perdendo il contatto, dopodiché ritornai in posizione cercando di scostare con l'anca l'eventuale bidoncino.

Ritrovando tutto relativamente piatto recuperai punti e risalii a 70. Potevano bastare, ai cavalli mi sarei giocato pure la camicia con simili probabilità. Al diavolo il fottuto pisano! Mi abbandonai un po' ed iniziai a intuire un certo qual ritmo nello scrosciare dell'acqua, una cadenza che sincronizzai con la prima canzone lenta che mi suonò nella testa.

Chiusi gli occhi e da orso al mercato mi trasformai in un sensuale ballerino, dando maggior ampiezza alle mie oscillazioni sulle punte dei piedi: avevo fatto di necessità virtù.

Anche lei iniziò a oscillare: contagiata?

Forse per sottrarsi? Boh!

No, continuando i suoi movimenti sincronizzati in controfase, piano, piano aderì completamente a me.

Intanto Galileo se n'era andato offeso o vergognoso della sua presunzione, mica ci voleva una laurea a capire che questa era una donna! Cento su cento!

Psicologia e rispetto delle presunte capacità dell'altro! Semplicemente lei non aveva mai dubitato di trovarsi di fronte ad un bel ragazzo, con quei tre-quattro anni in più di lei che fanno la perfezione. Semmai s'era posta la domanda: ma questo che aspetta? Era questo il messaggio dell'orologio, scienziati babbei.

Proseguimmo rapiti l'insolito ballo del mattone e saremmo rimasti così chissà quanto ad ascoltare la musica della cascata e a sfregare i nasi contro i lobi delle orecchie, nonché a soffiarci sul collo, se una voce tonante non fosse arrivata dall'alto:

- Ehi! Roberto! Siamo pronti! Mi senti? Manda su il ragazzo!

Ridacchiando tra di me pensai:

- Eh! Caro il mio amico Gino, poi ti racconto! Altroché "ragazzo", eh, eh!

Il mio compagno mollò un poco la corda ed io lasciai cadere fiducioso la schiena all'indietro nel vuoto, puntando i piedi alla roccia.

Ora potevo vedere, sebbene vagamente, il viso della mia occasionale pomiciata: mi pareva abbastanza pustolosa e pelosetta, un po' troppo in veritá .. 90 - 80 - 70 .. ..

Un altro urlo mi distolse dall'esame, probabilmente la voce dell'istruttore dell'altro gruppo:

- Forza Ugo, tocca prima a te, sali!

.. 20 - 10 - 0: Mi lasciai cadere e rimasi appeso nel vuoto come un salame.

FINE


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