L'OREFANTE

Primo Capitolo

LA RUTA DOS

.. Quasi cinquecento anni fa, Alvar Núñez "Cabeza de vaca" nudo e disarmato, marciava dalla Florida al Messico affrontando tremende difficoltà e pericoli, ma riuscendo a salvarsi la pelle e diventando un mito.

Dopo il naufragio sulla costa Atlantica aveva vagato con altri quattro superstiti per ben otto anni prima di incontrare degli spagnoli in Messico, sulla costa Pacifica.

In tutto quel tempo percorse scalzo 8.000 chilometri esplorando per primo tutti gli attuali Stati Uniti meridionali.

Quando provò a riinfilarsi un paio di stivali non ci riuscì: i suoi nobili piedi erano diventati larghi come quelli degli Indios ..

Posai il libro sulle ginocchia pensando ai piedi miei, alle bolle e ai calli che mi ero procurato marciando nella foresta con stivali troppo larghi: forse anch'io non sarei più riuscito a calzarli.

Intanto il mio occasionale compagno di viaggio continuava a dormire beato accennando appena a russare; lanciai uno sguardo al monotono panorama e ripresi a leggere le avventure del condottiero Spagnolo.

.. Nel 1541, considerando il suo coraggio e la sua esperienza, gli venne affidata una spedizione in aiuto di una banda di suoi compatrioti assiedati dagli Indios in Asunción nel Paraguay.

A differenza delle precedenti spedizioni fallite, egli non risalì i fiumi verso Nord, ma attraversò la la foresta, da est verso ovest, grosso modo sotto al tropico del capricorno.

Oggi la strada asfaltata BR 277, in territorio brasililiano, ricalca più o meno il percorso di questo andaluso dal soprannome curioso: "Testa di Vacca", ma col cuore di toro.

.. Il gran camminatore preferì compiere l'ultima parte del percorso in canoa sul fiume Iguazù, giungendo alle fantastiche cascate dove oggi viene ricordato da un mediocre monumento.

Da qui il nostro eroe continuò, sempre verso Est sino ad Asunciòn sorprendendo gli assedianti che lo aspettavano giungere da Sud ..

Percorrendo la Ruta Dos, il seguito Paraguayano della 277, comodamente stravaccato su di un pulman di lusso, mi immedesimavo in questo personaggio sentendomi parimenti un avventuriero; al di la dei piedi, in un certo senso anch'io dovevo "sorprendere" qualcuno.

.. l'anno successivo capitanò una spedizione esplorativa nel Chaco Boreal nel segreto intento di raggiugere il mitico Eldorado ..

L'Eldorado! Un lago pieno dell'oro che un principe Inca vi lasciava ogni anno immergendovisi dopo d'essere stato ricoperto dalla testa ai piedi della preziosa polvere.

Le mie ambizioni erano più modeste e forse l'oro stava già dentro il mio zaino.

Avevo scelto di fare tappa a Caaguazù dopo aver consultato la carta stradale e notato che la cittadina si trova grosso modo a metà strada tra Ciudad del Este, da dove ero partito, ed Asunciòn, dove stavo andando.

Secondo il mio vicino di posto, che intanto si era svegliato, ci saremo passati più o meno a mezzogiorno.

< Allora mi fermerò a mangiare, a vederla qui sembrerebbe una cittá grossa e importante. >

Il tipo, molto gentile come la gran parte di coloro che fino ad ora avevo incontrato, mi spiegò di non crearmi illusioni perché le piccole città del Sud-America sono segnate belle grosse sulle carte geografiche non tanto per il numero più o meno grande degli abitanti, quanto perché in quelle località si incrociano importanti vie di comunicazione.

Sulla carta era segnato anche un aeroporto, ma quello che vidi non era che un villaggio molto esteso che non invogliava a visitarlo, perciò mangiai qualcosa stando in piedi al bar presso la stazione dei bus, ben deciso a ripartire al più presto.

Prima di scendere restituii il libro narrante le gesta dell'esploratore al mio vicino.

< E come andò a finire la storia del nostro Cabeza de Vaca? >

< Ah! Semplice, oltre a non trovare l'oro finì in galera, come molti altri sognatori di quei tempi! >

Non era un finale molto incoraggiante, avrei dovuto vederci un segno del destino e invece mi preoccupai soprattutto di ingozzarmi di sandwich.

Avevo un ora a mia disposizione e volli approfittarne per fare un poco di toeletta.

Posto generalmente incoffesabile come luogo di meditazione, proprio al cesso nacque la grande curiosità che due giorni dopo mi avrebbe portato a Nord-Ovest, sulle traccie di Alvar Nùñez nella regione del Chaco Boreal.

Da un paio di giorni ero abituato che qualcuno a cui scanciavi un mezzo dollaro ti dava in cambio un metro di carta igienica unitamente al diritto di servirti dei gabinetti.

Questo posto assomigliava ai precedenti, soltanto era momentaneamente incustodito e probabilmente senza carta: é sempre meglio controllare prima di calarsi le brache.

Esplorando quell'ambiente (molto lontano dagli standard igienici europei!) trovai attaccati a un chiodo dei fogli strappati da un libro; tolsi i fogli e appesi la borsa al posto loro.

Nonostante il caldo dovetti pure indossare la giacca perché mancava un secondo chiodo per appendere qualcos'altro.

È sempre prudente tenere tutto il proprio equipaggiamento sotto controllo, anche uno straccio di giubbetta perché l'abbigliamento qui ha prezzi mostruosi.

Durante l'operazione, che si dilungava nonostante il confetto quotidiano, iniziai a leggere uno dei fogli che si rivelò molto interessante.

Scorsi rapidamente tutti gli altri cinque o sei e compresi che non potevo usarli per uno scopo, importante si, ma cosi poco nobile come pulirsi il fondoschiena.

Per fortuna avevo ancora alcuni biglietti da un dollaro USA (e getta!) e ne sacrificai un paio alla cultura e all'igiene.

Mi impadronii dei fogli che mi avevano tanto incuriosito e risalii sul bus per Asunciòn dove avrei cercato una libreria per identificare il libro al quale appartenevano.

Ecco il brano che avevo letto su una scomoda turca Paraguayana.

... La sua estensione, la sua aridità e monotonia opprime l'anima.

Dalle rive del fiume Paraguay fino ai primi rilievi Andini, invano si cerca una nota di colore nei suoi boschi silenziosi e magri, nei suoi campi coperti di Espartillo ingiallito, nei suoi arenali rinsecchiti.

Non ci sono uccelli canterini, non ci sono fiumi scorrenti in verdi gallerie, non ci sono letti di foglie umide e fresche, non ci sono ruscelli mormoranti.

Soltanto estremi Àsperos che ricacciano l'uomo e gli animali.

Terra calcinata e dense erbaccie spinose , alberi ritorti; acqua e fango (in estate), siccità e sete (il resto dell'anno), serpenti e zanzare, tafani, ragni punzecchianti, fatica e abbrutimento.

Questo è il CHACO, ostile, secco e tragico ...

Altro che l'Eldorado! A parte alcuni nomi di piante ed animali che non conosco ancora neppure oggi, intuii che quello era il posto adatto per collaudare "l'Orefante", un aggeggio misterioso inventato da un mio amico e ingegnerizzato da me.

Il mio compare era, ed è tuttora, un vero inventore di quelli "pazzi" e perennemente al verde.

In pagamento per i miei disegni e per la consulenza mi aveva ceduto un passaggio aereo di andata e ritorno in Sud America; era un biglietto che aveva vinto ad un quiz televisivo per casalinghe fingendosi sua moglie.

Compreso nell'accordo era la sperimentazione del misterioso marchingegno in un posto desertico.

Inizialmente avevamo pensato alla Patagonia, però io avevo deviato un po' troppo per ammirare le spettacolari cascate di Iguazù e adesso questo Chaco era lì a portata di mano.

A portata di mano! Si fa per dire poiché mancavano ancora 900 chilometri per raggiungere il cuore di quel semi-deserto quasi prossimo al confine con la Bolivia, ma quando si viaggia da queste parti ci si deve adeguare a un nuovo concetto di valutazione delle distanze.

Naturalmente il mio sponsor non aveva fatto alcuna pratica per far passare tre o quattro frontiere al nostro "trovato", come si definisce legalmente un invenzione, quindi dovevo contrabbandarlo come tenda da campeggio tra le altre cose che mi pesavano nello zaino.

A Torino e a Francoforte nessuno mi aveva chiesto niente, se non il passaporto.

Ecco invece come era andata appena messo piede in Brasile:

Eravamo sbarcati al mattino quando appena albeggiava, ciononostante c'era abbastanza ressa attorno ai bagagli e vidi circolare il mio zaino almeno un paio di volte prima di poterlo afferrare.

Considerando i miti sull'indolenza dei latino-americani mi aspettavo meno esagitazione nelle azioni della folla e mentre mi avviavo in coda ai controlli mi consolai pensando che erano ancora troppi gli Europei stressati a transitare in questo luogo.

Avevo scelto la corsia di coloro che non hanno niente da dichiarare e premuto il pulsante della scelta casuale, purtroppo accendendo la fottuta lampadina che ti obbliga ad aprire le valigie.

< Rossi Roberto, idade 25 anos, disegnatore .. .. desenhador? Verdade? >

Il doganiere non dubitava del mio mestiere, soltanto voleva farmi intendere che capiva qualcosa anche lui, come se avesse letto nel mio pensiero la poca considerazione che avevo e mantengo nei riguardi di chi ha scelto il mestiere di ficcare il naso nelle valigie degli altri.

In questi frangenti occorre fingere di non capire, il che è tutt'altro che difficile con una lingua ostica come il Portoghese.

La cosa migliore è sorridere e tenere un espressione idiota, da vero Alpitour.

Erano le sei del mattino quando l'aereo aveva toccato la pista dell'aeroporto internazionale Guarulho a São Paulo; prima la gran bagarre per ritirare lo zaino, adesso una lunga coda per passare la dogana e già erano le sette.

Malgrado l'assembramento questo aveva deciso di perdere tempo con me nonostante che per l'occasione mi fossi anche fatto la barba e pettinato.

I grossi paletti in acciaio al titanio lo incuriosivano come succedeva un po' con tutti e non riuscendo a farsi spiegare da me se quella fosse o non fosse una tenda, chiamò un collega.

Anche questo scosse la testa sconcertato davanti alle insolite dimensioni dei tubi ed io, con un poco di mimica, tentai di spiegare loro che era una tenda speciale anti-umidità.

Non so come sarebbe finita se un tale dall'aria losca pieno di tic facciali non avesse attirato la loro attenzione.

I due doganieri mi mollarono da solo un attimo per confabulare un po' col tipo e gli mostrarono uno dei paletti.

Anche quest'ultimo, forse un agente in borghese, fu colpito dai tre centimetri di diametro del tubo e dal suo esiguo spessore.

Lo guardò e lo riguardò, poi osservò insistentemente la mia faccia e infine fece un cenno di assenso muovendo quel suo enorme testone e esibendosi in un ricco campionario di tic prima di andarsene.

Avevo potuto osservarlo bene poiché non avevo di meglio da fare per non cadere nello sconforto che comporta, per me, trovarmi davanti a gente in divisa con i suoi canoni di ragionamento tanto alieni ai miei.

Era molto grosso e la sua faccia, anche quando momentaneamente distesa, era davvero patibolare.

Allora non potevo supporre che presto avrei rivisto quel tale, ne come sarebbe finita con lui.

Quando il primo dei doganieri mi restituì i documenti e mi congedò lo fece con l'aria di chi gioca al gatto col topo; sornione mi salutò:

< Ate logo senhor Rossi! >

Arrivederci .. .. e dove? Boh! La gioia di andarmene mi fece presto dimenticare questo episodio.

In seguito, alle altre frontiere, nessuno mi chiese altro che di vedere il passaporto e il visto turistico.

Pochi minuti dopo salivo sul bus per Curitiba, la capitale dello stato brasiliano del Paraná e capitale ecologica del Sud America.

Nonostante fossimo in piena estate appresi subito, nei quattrocento chilometri verso sud a non tenere la giacca nello zaino, ma a tenerla addosso perché un freddo cane dovuto all'aria condizionata mi paralizzava sui sedili dei bus.

Il problema era di togliersela appena si scendeva a terra e di non dimenticarla in giro; per precauzione tenevo tutti i soldini ed i documenti nelle tasche anteriori dei pantaloni.

Allora, era il 1993, in quasi tutte le repubbliche del Sud c'era una inflazione pazzesca.

Cambiavo solo quanto necessario al mercato nero, anche due volte al giorno perché la valutazione poteva variare di molto anche dal mattino al pomeriggio.

Avevo le tasche anteriori delle brache che scoppiavano di soldi e documenti e per non dare nell'occhio indossavo magliette ampie, molto lunghe da portarsi fuori dei pantaloni a coprire le mie vergogne capitalistiche.

Prima di partire mi ero procurato parecchi biglietti da uno e cinque dollari che tenevo pronti, ma separati dal resto del malloppo.

Servivano per le cose di poco conto dove rischiavi sempre di rimetterci il resto pagando con banconote di maggior valore, inoltre speravo che in caso di rapina si sarebbero potuti accontentare di questi e a questo scopo ci avevo aggiunto pure un centone.

Una cifra credibile vista l'età e l'abbigliamento.

(continua)

Bruno Giuliano

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