Alcune impressioni su....

 

 

A SNAKE OF JUNE - Un serpente di giugno. (Rogukatsu no Hebi)


Giappone 2002.
Soggetto, sceneggiatura, montaggio, fotografia, regia: Tsukamoto Shin'ya.


Cast: Kurosawa Asuka , Koutari Yuji , Tsukamoto Shin'ya .

77 min.

 

Sembrerà singolare, ma questo 'Serpente di giugno' tanto caro al regista che già da molti anni lo aveva in un cantuccio nella sua testa e nella sua immaginazione visiva, fa parte integrante, fisica, indissolubile, come un corpo canceroso ed infine mutato in qualcos'altro, della sua cinematografia dura e cruda, underground e "fisica", forse in una parola " ineluttabilmente naturale", non di certo una sua deviazione in chiave positivistica ed "ottimistica".
Giugno, mese abituale di insistenti piogge blu scuro, che fanno virare l'intera immagine in una monocromia blu elettrico, un flash illuminante (audio-visivamente) di una macchina fotografica all'inizio dei titoli di testa dà il via al tutto, alla mutazione, illuminando per un istante appena l'intera messa in scena, forse sarà sufficiente così.
I serpenti, mutano, cambiano pelle, mentre l'acqua, con il suo essere "trasparente" lava questa pelle, la sua impurità, ma anche la sua essenza stessa, l'essenza di una persona, nel caso specifico della pellicola in questione della giovane e piacente Rinko, donna dalle forme in qualche modo delicatamente acerbe, che scopre di avere, oltre ad un grigiore affettivo ed una improvvisa perdita del "desiderio" (sessuale e di vita), un tumore al seno.
Il film, la pellicola stessa, "segue" in qualche modo le forme fisiche di Rinko, le avvolge come le spire di un serpente giungendo ad una forma filmica essenziale, suadente, simmetrica, rappresentante una mutazione della messa in scena, o meglio, mostrante quello che "rimane" della stessa dopo la mutazione finale di Rinko, della sua presa di coscienza avvenuta, della "sua" guarigione fisica e mentale.
Sarebbe lecito supporre che tutto il film sia in qualche modo la "pelle del serpente" dopo la muta, quello che ne rimane, quello che esisteva prima della mutazione, in un paio di scene abbastanza rappresentative, tra cui la bella scena finale sotto la pioggia illuminata dai continui flash, la cinecamera riprende insistentemente innumerevoli fotografie scattate alla giovane donna in pose molto intime, e tutte vengono fatte vedere in rapida successione, secondo dopo secondo, scatto dopo scatto, quasi ad un ipotetico 'passo-uno' animato, raffiguranti proprio una sorta di "passato" dell'immagine audiovisiva, inoltre non è un caso che a scattare le foto nella finzione scenica del film sia proprio l'uomo misterioso interpretato dallo stesso Tsukamoto, che farà mutare Rinko definitivamente prima di mutare-morire lui stesso di tumore.
Tutto converge in una fine non definitiva: giugno è passato, la muta è avvenuta, le piogge sono finite, si vede la "nuova" Rinko pronta per nuove future mutazioni, perché la fissità è morte, una lieve sensazione di pace pervade il tutto, il serpente di giugno è infine mutato, proprio come in tutti i film precedenti del regista, ci si avvicina ad una sorta di pace "naturale", ma non definitiva, nell'ordine delle cose, dovuta ad esempio alla nascita di qualcos'altro dalla "fusione/scontro" dei corpi di due fratelli o nemici, (Tetsuo I e II, Gemini, Tokyo Fist), da questo punto di vista allora, se si considera "ottimistica", come forse in effetti è, quest'ultima pellicola, probabilmente bisognerà giudicare con lo stesso parametro tutta la filmografia di Tsukamoto.

Davide Tarò
davidetaro@libero.it


Intervista al regista in occasione della presentazione di "A Snake of June" a Torino



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