Il silenzio americano



Sbaglio, o su quanto è successo lunedi alla Maddalena il silenzio delle istituzioni “sarde” è stato totale? Certo è che se qualcuno ha aperto bocca, ha fatto in modo che nessuno sentisse. Chi sa? forse a suggerire il letargo delle parole e dei fatti è la cattiva coscienza che dovrebbe albergare nei ceti politici sardi, in ricordo di un altro affaire legato alla base Usa.
Nel 1988 il governo italiano disse di no al referendum che chiamava i sardi ad esprimersi sulla inquietante presenza dei sottomarini nucleari. Alberto Testa ricorda con troppa generosità la scomparsa degli “steccati di partito” intorno al no a questa presenza. A me sembra, invece, che in questa vicenda i ceti dirigenti sardi scrissero una sgradevole pagina della loro sudditanza chi al potere e chi al centralismo.
Vogliamo ricordare quali furono questa reazioni? Il segretario del Psi, Antonello Cabras appoggiò l'operato del governo affermando che «l'aver forzato lo strumento referendario forando i limiti della legge istitutiva non poteva che creare un conflitto con lo stato». Per l'oggi pattista Mario Segni (allora Dc) la decisione del governo fu «perfettamente legittima sul piano costituzionale e corretta sul piano politico». Evasivo il Pci Pier Sandro Scano, per il quale «le forze democratiche dovrebbero muoversi perché i sardi possano dire, con i referendum, che il Mediterraneo va liberato, con la trattativa, dalle armi nucleari sovietiche e americane». Ill segretario del Psdi Augusto Onnis considerò «del tutto legittima sul piano del merito e del diritto l'azione del governo». Per i repubblicani parlò La Voce repubblicana: «La decisione del governo è giunta opportuna e doverosa».
Durissima, ma solo nella forma, fu la protesta del Psd'az che si limitò a denunciare la «violazione dell'autonomia speciale della regione» e si accontentò del ricorso presso la Corte di Cassazione, ricorso perso come era nell'ordine delle cose. Eppure, nella notte del 24 novembre la Direzione del Psd'a aveva deciso, con un solo voto contrario, di proporre al Consiglio nazionale, convocato per il giorno dopo, di ritirare dalla Giunta la delegazione sardista e di aprire, quindi, una crisi che drammatizzasse il problema dei rapporti fra la Regione e lo Stato.
L'indemani, nel dibattito accadde di tutto, compreso il fatto che a difendere la permanenza in giunta (e a mobilitare di conseguenza i consiglieri nazionali loro amici) furono anche persone che solo qualche ora prima, in Direzione, si erano battuti come leoni per aprire la crisi. Fatto sta che la maggioranza, sia pure risicata, decise di tenere in piedi la Giunta Melis.
Con il risultato, previsto e prevedibile, che i governi centrali non si sono più accontentati di quell'attentato all'autonomia ma anzi, sondata la scarsissima capacità di resistenza autonomista dei partiti italiani e anche del Psd'az, da allora non hanno mancato di esercitare il diritto al centralismo così rischiosamente conquistato. Hanno bocciato più volte la legge sulla lingua, sganciato unilateralmente lo Stato dal sistema produttivo sardo, occupato le zone interne con le “Operazioni Forza Paris”, revocato l'impegno a diminuire le servitù militari e a smilitarizzare L'Asinara.
Ma sì. È più onesto il silenzio.

Pubblicato sull'Unione sarda il 22.11.94