"The end"-La fine di un mito!

LE TESI SULL’ESTINZIONE DELL’UOMO DI  NEANDERTHAL

 

Nel 1856 nei pressi del fiume Neander, vicino a Düsseldorf, in Germania, furono ritrovati i primi resti di una particolare specie di Homo Sapiens vissuto in un periodo compreso all’incirca tra 150.000 e 40.000 anni fa. Ed è proprio dal 1856 che i più importanti scienziati di tutto il mondo cercano di risolvere i molteplici enigmi che circondano la figura dell’Homo Sapiens Neanderthalensis. Uno dei più importanti è quello riguardante l’estinzione di questa specie. L’incertezza degli studiosi è dovuta alla presenza di non una sola ipotesi. La prima di queste è la teoria della palatoschisi: questa malattia non permetteva agli uomini di esprimersi in maniera chiara. L’eloquio era lento, talmente lento che, oggi, noi uomini sapiens, abituati a emettere e percepire da 15 a 30 suoni al secondo, ci saremmo addormentati nell’ascoltarlo. Da questa ipotesi gli scienziati moderni hanno dedotto che la palatoschisi possa essere una causa dell’estinzione poiché, ad esempio, in caso di una tentata aggressione da parte di un animale feroce, sarebbe stato difficile avvertire in tempo l’ignaro compagno del pericolo che stava correndo. La seconda ipotesi, adottata oggi dagli antropologi dell’URSS e di altri paesi dell’Europa orientale e da molti studiosi negli Stati Uniti, è una nuova enunciazione della vecchia ipotesi della “fase neandertertaliana”: secondo questa concezione i neandertaliani si sarebbero trasformati direttamente e sul posto nella popolazione anatomicamente moderna del Paleolitico superiore, ossia l’uomo moderno. I fattori di questa spiegazione vedono caratteri anatomici neandertaliani in certi esemplari del Paleolitico superiore, come quello di Brno e di Předmostì in Cecoslovacchia. Questi caratteri non sono però esclusivi dell’intero tipo neandertaliano: i fossili esemplari del Paleolitico superiore, pur essendo robusti e massicci, non manifestano segni convincenti di una morfologia totale di transazione fra l’uomo di Neanderthal e l’uomo moderno. Un’altra interpretazione assegna la scomparsa dei neandertaliani ad un’invasione da parte di nuove popolazioni anatomicamente moderne. Quest’ipotesi potrebbe essere fortificata anche nel caso in cui emergessero elementi che confermino l’esistenza di una patria d’origine dei presunti invasori o dell’itinerario seguito nella loro migrazione. Un’altra possibile spiegazione è che gli uomini moderni, migrando, abbiano portato con sé delle malattie, dalle quali gli uomini di Neanderthal non erano immuni.  

 

"NOI NON DISCENDIAMO DALL'UOMO DI NEANDERTHAL!"

 

Ora lo conferma anche il Dna:l'uomo di Neanderthal non è un nostro antenato,ma un nostro "cugino" che si è estinto senza lasciare discendenti. I Neanderthaliani e l'uomo moderno si sarebbero infatti evoluti indipendentemente da un progenitore comune, l'Homo Erectus. La tesi, gia' formulata sulla base del confronto fra le ossa appartenute all'uomo di Neanderthal e all'Homo Sapiens, esce rafforzata dopo che campioni di DNA umano moderno sono stati confrontati con quello dell'ominide. Lo studio è stato svolto da un gruppo di ricercatori tedeschi,guidati da Svante Paablo, professore di zoologia all'Universita' di Monaco. La testimonianza del Dna potrebbe confutare per sempre le tesi dei "multiregionalisti". Essi sostengono che le attuali popolazioni umane si sarebbero evolute indipendentemente a partire da differenti popolazioni di ominidi, ora estinti, che avrebbero avuto come antenato comune l'Homo Erectus. Secondo questo modello gli europei discenderebbero dall'uomo di Neanderthal, mentre, per esempio, gli asiatici sarebbero gli eredi dell'uomo di Dalì. Allo stesso modo cadrebbe la teoria di chi ritiene che l'uomo di Neanderthal si sia incrociato con l'uomo moderno quando, più di 30 mila anni fa, le due popolazioni convivevano in Europa e Asia occidentale. Se ciò fosse accaduto, infatti, noi dovremmo conservare nel nostro Dna qualche traccia di geni neanderthaliani. Ipotesi esclusa dai ricercatori tedeschi. Il Dna utilizzato da Svante Paablo e i suoi collaboratori proviene dalle ossa di un uomo di neanderthal ritrovato vicino Dusselford nel 1856. Gli scienziati  non hanno analizzato il normale materiale genetico localizzato nel nucleo, ma quello dai mitocondri, gli organelli dove avviene la respirazione cellulare che si trovano numerosi in ogni cellula. Ci spiega Mark Stoneking, uno dei ricercatori che hanno partecipato allo studio:"Abbiamo scelto di lavorare su Dna mitocondriale perche' se ne trovano varie copie in ogni cellula e questo ci permette di ottenere una porzione sufficiente di Dna da un campione antico. Per avere la stessa quantità di Dna nucleare occorrerebbe distruggere 50 grammi di ossa fossili. E sarebbe un'operazione troppo devastante per essere giustificabile". Una volta estratto il Dna dell'ominide è stato confrontato con quello corrispondente ricavato dalle cellule di 2051 persone provenienti da varie popolazioni moderne. Inoltre, sono state anche studiate le differenze fra Dna mitocondriali appartenenti a ciascuno di tali gruppi etnici. Esaminando i dati ottenuti i ricercatori hanno concluso che le prime differenze tra l'uomo di Neanderthal e l'uomo moderno sono quattro volte più antiche delle prime diversità comparse fra le attuali popolazioni umane. Ma in che epoca la nostra strada evolutiva ha iniziato ad allontanarsi da quella dei Neanderthal? Per rispondere bisogna conoscere la velocità media con cui si sono accumulate le differenze tra i Dna osservati. Per risolvere l'enigma i ricercatori hanno messo a confronto il Dna mitocondriale dell'uomo moderno e del neanderthaliano con quello dello scimpanzè, che si è separato dalla specie umana 4-5 milioni di anni fa. I ricercatori sono arrivati alla conclusione che le prime differenze genetiche tra l'uomo di Neanderthal  e Homo Sapiens sarebbero comparse tra 550 e 690 mila anni fa. Mentre quelle tra le moderne popolazioni umane iniziano tra 120 e 150 mila anni fa. Le date ottenute sono in accordo con quelle proposte dai paleontologi e dagli archeologi che si sono basati sullo studio dei fossili. I risultati  della ricerca rafforzano anche l'ipotesi che sia l'Africa la culla della nostra specie."Innanzi tutto"-conclude Stoneking-"i nostri studi mostrano che è estremamente improbabile che i neanderthaliani siano stati nostri antenati o ci abbiano tramandato qualcuno dei loro geni". Ciò è in accordo con la recente teoria dell'origine africana dell'uomo moderno. In secondo luogo se le sequenze di Dna mitocondriale appartenuto all'uomo di Neanderthal vengono usate come  riferimento per tracciare le radici dell'albero evolutivo umano, ne risulta che i rami più bassi sono formati da Dna mitocondriale di tipo africano".