di Fulvio Aurora
Con la legge
29 luglio 2003 n. 229 il Governo è stato delegato ad emanare uno
o più decreti legislativi sulla salute e sicurezza sul lavoro.
Il decreto o i decreti devono essere emanati entro il 30 giugno 2005.
Premessa
storica
Il TU ha una lunga storia: il governo avrebbe dovuto, secondo l’articolo
24 della legge 23.12.78 n. 833, emanarlo entro il 31.12.79 (prorogato
successivamente al 31.12.1980).
Allora non se ne fece nulla e neanche dopo, nonostante numerosi tentativi.
Un secondo tentativo si è avuto con l’istituzione della Commissione
Lama al seguito di uno dei maggiori crimini perpetrati nei confronti dei
lavoratori, quando 12 operai morirono sulla MECNAVI, nel porto di Ravenna,
nel 1988.
Anche il tentativo successivo della Commissione Smuraglia (fu allora il
senatore Carlo Smuraglia l’estensore della proposta di TU) non giunse
a buon fine. Il testo unico venne licenziato dalla Commissione Lavoro
del Senato, ma non venne discusso in Aula.
Evidentemente le forze avverse, particolarmente quelle confindustriali,
furono tanto potenti da fermare anche i governi di centro sinistra.
Il
TU proposto dal Governo Berlusconi
L’attuale governo di centro destra ha preso in mano la patata bollente,
volgendola a suo favore, e a favore delle lobby padronali che lo sostengono.
Il testo predisposto è in linea con tutta la sua produzione legislativa,
specie quella sul lavoro, per salvaguardare i profitti delle aziende piuttosto
che la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il Governo Berlusconi ha lavorato, dopo la legge delega della quale a
suo tempo non si è parlato molto, nel più assoluto silenzio,
senza fare conoscere nulla a nessuno, se non quando, aveva pronto tutto,
immettendo, in via informale nel circuito degli interessati, la proposta
di schema di decreto legislativo con tanto di allegati e di relazione
introduttiva.
L’opposizione
al TU
Da quando le forze sociali, gli operatori della prevenzione, in misura
minore i partiti dell’opposizione, si sono visti davanti i 187 articoli
della bozza di TU, vi è stata una grande levata di scudi.
La Conferenza Nazionale sull’Amianto che si è svolta il 12
e 13 novembre scorso a Monfalcone ne è entrata per prima nel merito
impegnando le forze aderenti (principalmente CGIL-CISL-UIL) ad intervenire
anche sul piano della mobilitazione.
I sindacati successivamente hanno indetto e in varie parti d’Italia
degli incontri e dei convegni, riunendo soprattutto gli RLS ed assumendo
posizioni molto dure contro l’attuale proposta di testo unico.
Le forze parlamentari di opposizione, sembrano – o si sentono –
tagliate fuori, poiché si esprimeranno solo nelle commissioni competenti
di Camera e Senato. Il parere non sarà vincolante per il Governo
che potrà, motivandolo, non tenerlo in considerazione.
Sarà invece la Conferenza Stato-Regioni, se le forze che la compongono
raggiungerà una posizione comune, ad esprimere un parere vincolante,
quindi ad intervenire nel merito con delle modifiche sostanziali. Meglio
se farà di tutto per allungare i tempi, allo scopo di fare decadere
il decreto.
Il
TU del governo: quale opposizione
Il discorso inizia quindi dalla mancata attuazione del TU stabilito dalla
legge di riforma sanitaria. Il governo con questo provvedimento continua
la sua azione di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Si è
trattato anche di una scelta politica inserita in tutta l’azione
tesa a smantellare il servizio sanitario nazionale).
Oltre a non avere ottemperato alla legge per la realizzazione del TU,
i diversi governi hanno accuratamente evitato di trasferire alle competenze
della sanità compiti suoi propri, lasciandoli nelle mani degli
istituti assicurativi. Così quanto previsto dall’articolo
75 della legge 833/78 prima non è stato attuato, quindi è
stato derogato. In altri termini i poteri di riconoscere le malattie professionali
e gli infortuni sul lavoro sono rimasti all’INAIL. Una mancata scelta
non da poco non solo per le conseguenze che hanno dovuto pagare i lavoratori,
ma per le politiche successive che con la proposta di nuovo TU vengono
accentuate. Si vogliono ridare diverse competenze in tema di prevenzione
nei luoghi di lavoro al ministero del lavoro e ai suoi organi.
Si riproduce in certo modo quanto avvenuto nel passato: agli inizi del
900 è nato l’istituto assicurativo sugli infortuni sul lavoro
per salvaguardare le aziende prima dei lavoratori; oggi il TU governativo
vuole eliminare le pastoie burocratiche, ovvero, gli adempimenti in ordine
alla sicurezza che impedirebbero alle aziende (specie quelle più
piccole) piena libertà per massimizzare i profitti.
Il TU ha scandalizzato
tutti in ordine alle conseguenze negative che potrà avere per i
lavoratori, ma è pienamente in linea con le condizioni generali
poste dal sistema che ha messo al centro della sua ideologia l’impresa
con le sue esigenze di profittabilità. Le indicazioni del GATS
e la proposta di direttiva Bolkestein lo dimostrano.
Forse questa è pure un occasione per discutere anche dei principi
che sottendono alla direttiva CEE alla base del 626, quasi un punto di
passaggio fra il regime rigido di applicazione di norme di sicurezza precise,
anche se inadeguate alle modificazioni dell’organizzazione del lavoro,
e quello previsto dal TU, in cui sono le buone prassi che dominano e dove
le sanzioni per le inadempienze sono un’opzione.
La critica ai principi
fondamentali del TU è generalizzata nell’ambito sindacale,
delle opposizioni, delle associazioni e dei movimenti.
Le iniziative sono molte e promosse da diversi organizzazioni; occorrerebbe
arrivare ad una di sintesi, come si è fatto per la Conferenza Nazionale
sull’Amianto perché l’analisi possa essere la più
compiuta e soprattutto per promuovere la più ampia mobilitazione.
I
contenuti del TU
L’analisi dello schema di decreto legislativo mostra la filosofia
che sopra abbiamo evidenziato.
La sintesi dei punti più negativi presentata dal prof. Carlo Smuraglia
nell’incontro del 29.11.04 a Milano, nel convegno organizzato da
Ambiente e Lavoro è esemplificativa, apprezzabile e sostanzialmente
condivisibile.
“1. Lo schema
di decreto, in realtà, non introduce, al di là di quanto
accennato, alcuna positiva innovazione, non tenendo conto delle osservazioni
e proposte formulate da più parti e delle indicazioni emergenti
dal rapporto di monitoraggio sull’attuazione del decreto legislativo
626/94, presentato dalle regioni nel novembre 2003.
2. La tecnica utilizzata è quella di inserire nel testo unico i
principi generali, trasferendo tutti gli aspetti più specifici
agli allegati. In questo modo, però, il sistema non si rafforza
e sotto certi aspetti si complica; mentre c’è il rischio
evidente della degradazione di molti precetti imperativi al semplice livello
di norme tecniche e di buone prassi, spesso sprovviste di sanzioni effettive:
3. La valorizzazione del dialogo sociale, indicata fin dal primo articolo,
è certamente utile ed opportuna, ma poi non si capisce in che cosa
consista; e se tutto si riduce al rafforzamento della bilateralità,
bisogna dire che gli aspetti più innovativi, rispetto all’articolo
20 del decreto 626, sono tali da suscitare forti perplessità e
preoccupazioni. In particolare si crea una confusione rispetto ai compiti
degli organismi pubblici di vigilanza e di prevenzione e si attribuisce
un potere di certificazione, che non può competere ad enti del
genere e che sarebbe certamente fonte di contrasti sociali, nell’evenienza
di infortuni e malattie professionali.
4. L’esclusione di moltissimi lavoratori di varie tipologie, dalla
determinazione del numero di lavoratori dal quale il decreto fa discendere
particolari obblighi, è assolutamente negativa, agli effetti di
un efficace sistema di prevenzione.
5. Il frequente riferimento alle “norme di buona tecnica”
e alle “buone prassi” finisce per togliere forza ed efficacia
ai precetti, che dovrebbero essere chiari, efficaci ed imperativi.
6. Il riferimento all’obbligo di adottare misure tecniche, organizzative
e procedurali “concretamente attuabili… in quanto generalmente
utilizzati” è contrario a tutta l’evoluzione della
dottrina e della giurisprudenza di questi anni, che ha privilegiato il
concetto di “massima sicurezza tecnologicamente fattibile”.
In questo modo, si introducono valutazioni di mera opportunità
e convenienza, mentre il riferimento a ciò che è generalmente
praticato sminuisce gli obblighi fondamentali, compreso quello di tenersi
informati anche sulle acquisizioni scientifiche (quanto meno su quelle
non difficilmente accessibili).
7. L’affidamento alla libera scelta del datore di lavoro dei criteri
di redazione del documento di valutazione dei rischi rappresenta un passo
indietro rispetto alle definizioni oggettive ed al richiamo alle linee
guida formulate da enti pubblici, che hanno costituito finora il principale
punto di riferimento.
8. La riconosciuta facoltà di redigere il documento di valutazione
dei rischi in forma semplificata, sulla base di indicazioni fornite da
organismi bilaterali, è incoerente con il sistema e palesemente
pericolosa, oltre che negativa ai fini della vigilanza..
9. Manca una disciplina efficace dei “consulenti della sicurezza”,
ormai largamente diffusi in forma individuale o in forma societaria, nonostante
inconvenienti ed abusi più volte segnalati da molte parti.
10. Lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di
prevenzione deve essere consentito, ma con particolari cautele. Nello
schema di decreto, invece, si ampliano i limiti già previsti dal
626, non si prevede alcuna forma di aggiornamento e si esclude ogni tipo
di comunicazione di organismi pubblici.
11. La riunione periodica viene omessa proprio nelle aziende in cui il
rischio è maggiore.
12. Le attribuzioni degli RLS vengono ridotte.
13. Il ritorno alla figura della “disposizione”, divenuta
inutile dopo il decreto legislativo 758/94 è più che mai
negativo, almeno nella forma in cui viene prospettato, perché introduce
meccanismi complicati e certamente negativi ai fini dell’efficacia
e prontezza degli interventi.
14. Il ruolo delle Regioni è svalutato al punto che non si consente
loro di effettuare monitoraggi se non insieme ad altri organismi, pubblici
e privati.
15. C’è un evidente accentramento di poteri e funzioni nel
Ministero del Lavoro, a tutto scapito del settore della sanità.
16. Il sistema delle sanzioni viene fortemente depotenziato, non solo
per quanto riguarda la minore responsabilizzazione dei datori di lavoro,
ma anche e soprattutto perché troppe sono le disposizioni che passano
a livello di buone prassi o di norme tecniche.
17. L’abrogazione di interi provvedimenti tuttora dotati, por molti
aspetti, di validità ed efficacia (vedi articolo 18, con particolare
riferimento ai decreti presidenziali 547/55 e 3003/56) e la degradazione
di alcune parti di essi a livello di buona tecnica e di buone prassi,
significa solo disperdere un patrimonio normativo che per tanti anni è
riuscito a conservare un saliente valore.
18. L’aggiornamento di tutti gli operatori addetti alla sicurezza,
pubblici e privati, è previsto in forma oltremodo generica e vaga.
19. Di “responsabilità sociale”e di “responsabilità
amministrativa”delle imprese non si parla affatto, nonostante i
propositi manifestati nel preambolo e nella relazione.
20. Il rafforzamento della rete delle strutture pubbliche, da tutti auspicato,
sia per le funzioni di prevenzione e consulenza che per quelle di vigilanza
e di repressione, è sostanzialmente assente.
21. Per un provvedimento che dovrebbe unificare e coordinare sono troppe
le esclusioni e le deroghe, anche per settori di particolare rilievo o
rischiosità.
22. Per quanto riguarda le sanzioni amministrative e meramente pecuniarie,
manca una disciplina moderna ed aggiornata, che ne consenta una reale
effettività.
(Si tratta di alcune indicazioni, tutt’altro che esaustive; ulteriori
approfondimenti condurranno ad analisi più puntuali e specifiche
e risulteranno certamente utili per i confronti che si auspica vengano
instaurati nel prossimo periodo e prima del varo definitivo del provvedimento)”
Sottolineo in particolare
il punto 3 che riguarda gli Enti bilaterali, ovvero le parti sociali (sindacati
dei lavoratori e organizzazioni delle imprese) hanno la facoltà
di stabilire modalità di applicazione delle sicurezza extra lege,
quindi di derogare alle norme. I sindacati in pratica condividerebbero
la responsabilità delle imprese per gli infortuni e le malattie
professionali che si verificherebbero successivamente. I sindacati fin
da ora dovrebbero prendere posizione dichiarando la loro indisponibilità,
nel caso in cui questa legge dovesse passare, ad entrare in questi organismi.
Sottolineo ancora il
punto, forse il più stravolgente dell’intera proposta di
decreto che eliminerebbe la responsabilità per i datori di lavoro.
Tutto potrebbe essere giustificato. Come sarebbe possibile dire a chiunque
che il processo produttivo, l’organizzazione di quel lavoro non
è generalmente praticato? Ogni azienda pratica ciò che è
più conveniente per lei. Il principio stabilito dall’articolo
2087, sottolineato dalla giurisprudenza stabilisce che per salvaguardare
la salute dei lavoratori occorre utilizzare le tecnologie più avanzate.
Si devono studiare e praticare tutte quelle forme che garantiscono l’integrità
fisica e morale del lavoratore. E questo deve essere ed è sempre
possibile. Oggi più di ieri.
Per quanto riguarda
l’amianto (articoli 100-113) viene fatto riferimento al nuovo concetto
di “esposizioni sporadiche e di debole intensità” che,
quando si verificano, su decisione del datore di lavoro naturalmente,
non darebbero luogo alle misure di prevenzione stabilite. Possiamo scommettere
che tutte (o quasi) le esposizione saranno sporadiche e di debole intensità!
La storia ci dice che si riesce a salvaguardare la salute dei lavoratori
solo di fronte a due fattori precisi: la presa di coscienza e determinazione
dei lavoratori e l’imposizione di legge, cui discendono sistemi
di sicurezza controllati dalle strutture pubbliche di prevenzione. Inoltre
il testo unico modifica sostanzialmente le modalità di registrazione
che già molte regioni avevano adottato. E’ abbastanza diffuso
il registro dei mesoteliomi, sta iniziando a farsi strada quello degli
esposti. Nel nuovo sistema stabilito dal TU le registrazioni fondamentali
vengono fatte a cura dei datori di lavoro il quale, quando viene a cessare
il rapporto d’impiego le comunica all’ISPESL. Un sistema che
finisce per dipendere dalla “buona volontà” delle direzioni
aaziendali!
La determinazione poi di stabilire per l’amianto un valore limite
(100 fibre/litro) è altrettanto inaccettabile. Non solo perché
non esiste valore limite che possa garantire la salute degli esposti,
ma anche e soprattutto perché viene a cambiare la concezione di
valore limite stabilita nel decreto legislativo 277/91 e nel 626/94. Il
valore limite è un riferimento che costituisce un’aggravante
se superato, ma non implica l’eliminazione delle responsabilità
del datore di lavoro ad attuare proprio quelle misure concretamente fattibili
per eliminare l’esposizione, se non altro utilizzando una sostanza
non nociva oppure, al limite, adottando il ciclo chiuso.
Risulta evidente che
occorre fare tutto il possibile per non fare passare questo testo. Se
questa nuova normativa verrà approvata gli infortuni e le malattie
professionali, lungi dal diminuire, verranno incrementate, considerando
anche il contesto delle leggi di liberalizzazione del rapporto di lavoro.
Impegni
istituzionali
E’ auspicabile che le Commissioni Lavoro del Parlamento esprimano
parere negativo ed ancora di più, come abbiamo precedentemente
sottolineato che la Conferenza Stato-Regioni operi per ottenere l’abbandono
del testo unico da parte del Governo oppure che proponga degli emendamenti
tali che stravolgano la filosofia complessiva che nel TU viene portata
avanti.
Si dovrebbe però verificare anche se a livello di UE qualche organismo
istituzionale possa prendere posizione in contrasto, considerando come
il complesso dell’articolato non sia rispondente alle direttive
già emanate.
Il TU deve essere approvato
da un altro governo con il coinvolgimento più ampio possibile di
tutte le forze sociali.
Di qui alla nuova legislatura occorre lavorare per avere una proposta
che possa essere velocemente approvata dal nuovo Parlamento. Un lavoro
che deve scaturire da tutte le forze interessate. Le regioni devono prendere
posizione e nella campagna elettorale per le elezioni della primavera
del 2005 non si può non menzionare il problema. Occorre pertanto
riprendere il lavoro che è stato fatto precedentemente, ripartire
dall’ultimo testo approvato dalla commissione Lavoro del Senato
rivedendolo in base alle modificazioni tecnologiche, organizzative e legislative
che sono avvenute da allora ad oggi.
Risolvere
alcuni nodi fondamentali
Non solo il punto di partenza deve essere diverso da quello del testo
unico proposto dal Governo Berlusconi, ma occorre rilanciare il problema,
risolvendo alcuni nodi fondamentali, la cui mancata attenzione non ha
portato al miglioramento delle condizioni di lavoro e di salute dei lavoratori.
La premessa è la cancellazione della legge 30/ e dei suoi decreti
applicativi;
il seguito deve comprendere:
maggiore potere agli RLS. Anzitutto i rappresentanti dei lavoratori della
sicurezza devono avere una più consistente relazione con i lavoratori
che rappresentano. Questo non è un problema di legge, ma è
sindacale. Deve comunque essere compreso nella discussione per la definizione
del TU. Nel merito deve essere dato agli RLS la facoltà di promuovere
un proprio documento di valutazione del rischio, fornendo loro gli strumenti
necessari per stenderlo;
il medico competente deve avere la specializzazione in medicina del lavoro,
quindi vi devono essere i posti corrispondenti nelle scuole di specializzazione;
inoltre i medici competenti devono rispondere, pur pagati dalle aziende,
ai servizi di prevenzione delle A-USL. In altri termini i medici competenti
devono essere affrancati dalle direzioni aziendali;
deve essere riaffermato il principio del rischio zero per le sostanze
cancerogene, mutagene e teratogene e deve essere ribadito il valore puramente
indicativo dei limiti di soglia (MAC/TLV);
infine deve essere ristabilito nel TU quanto già previsto dall’articolo
75 della legge di Riforma Sanitaria, cioè che il riconoscimento
degli infortuni e delle malattie professionali spetta alle A-USL e non
all’INAIL.
Fulvio Aurora
Milano, 8 dicembre 2004
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