Critica, commento e proposte allo schema di decreto legislativo adottato dal Governo il 18 novembre: Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro”.

di Fulvio Aurora

Con la legge 29 luglio 2003 n. 229 il Governo è stato delegato ad emanare uno o più decreti legislativi sulla salute e sicurezza sul lavoro. Il decreto o i decreti devono essere emanati entro il 30 giugno 2005.

Premessa storica
Il TU ha una lunga storia: il governo avrebbe dovuto, secondo l’articolo 24 della legge 23.12.78 n. 833, emanarlo entro il 31.12.79 (prorogato successivamente al 31.12.1980).
Allora non se ne fece nulla e neanche dopo, nonostante numerosi tentativi. Un secondo tentativo si è avuto con l’istituzione della Commissione Lama al seguito di uno dei maggiori crimini perpetrati nei confronti dei lavoratori, quando 12 operai morirono sulla MECNAVI, nel porto di Ravenna, nel 1988.
Anche il tentativo successivo della Commissione Smuraglia (fu allora il senatore Carlo Smuraglia l’estensore della proposta di TU) non giunse a buon fine. Il testo unico venne licenziato dalla Commissione Lavoro del Senato, ma non venne discusso in Aula.
Evidentemente le forze avverse, particolarmente quelle confindustriali, furono tanto potenti da fermare anche i governi di centro sinistra.

Il TU proposto dal Governo Berlusconi
L’attuale governo di centro destra ha preso in mano la patata bollente, volgendola a suo favore, e a favore delle lobby padronali che lo sostengono. Il testo predisposto è in linea con tutta la sua produzione legislativa, specie quella sul lavoro, per salvaguardare i profitti delle aziende piuttosto che la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il Governo Berlusconi ha lavorato, dopo la legge delega della quale a suo tempo non si è parlato molto, nel più assoluto silenzio, senza fare conoscere nulla a nessuno, se non quando, aveva pronto tutto, immettendo, in via informale nel circuito degli interessati, la proposta di schema di decreto legislativo con tanto di allegati e di relazione introduttiva.

L’opposizione al TU
Da quando le forze sociali, gli operatori della prevenzione, in misura minore i partiti dell’opposizione, si sono visti davanti i 187 articoli della bozza di TU, vi è stata una grande levata di scudi.
La Conferenza Nazionale sull’Amianto che si è svolta il 12 e 13 novembre scorso a Monfalcone ne è entrata per prima nel merito impegnando le forze aderenti (principalmente CGIL-CISL-UIL) ad intervenire anche sul piano della mobilitazione.
I sindacati successivamente hanno indetto e in varie parti d’Italia degli incontri e dei convegni, riunendo soprattutto gli RLS ed assumendo posizioni molto dure contro l’attuale proposta di testo unico.
Le forze parlamentari di opposizione, sembrano – o si sentono – tagliate fuori, poiché si esprimeranno solo nelle commissioni competenti di Camera e Senato. Il parere non sarà vincolante per il Governo che potrà, motivandolo, non tenerlo in considerazione.
Sarà invece la Conferenza Stato-Regioni, se le forze che la compongono raggiungerà una posizione comune, ad esprimere un parere vincolante, quindi ad intervenire nel merito con delle modifiche sostanziali. Meglio se farà di tutto per allungare i tempi, allo scopo di fare decadere il decreto.

Il TU del governo: quale opposizione
Il discorso inizia quindi dalla mancata attuazione del TU stabilito dalla legge di riforma sanitaria. Il governo con questo provvedimento continua la sua azione di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Si è trattato anche di una scelta politica inserita in tutta l’azione tesa a smantellare il servizio sanitario nazionale).
Oltre a non avere ottemperato alla legge per la realizzazione del TU, i diversi governi hanno accuratamente evitato di trasferire alle competenze della sanità compiti suoi propri, lasciandoli nelle mani degli istituti assicurativi. Così quanto previsto dall’articolo 75 della legge 833/78 prima non è stato attuato, quindi è stato derogato. In altri termini i poteri di riconoscere le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro sono rimasti all’INAIL. Una mancata scelta non da poco non solo per le conseguenze che hanno dovuto pagare i lavoratori, ma per le politiche successive che con la proposta di nuovo TU vengono accentuate. Si vogliono ridare diverse competenze in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro al ministero del lavoro e ai suoi organi.
Si riproduce in certo modo quanto avvenuto nel passato: agli inizi del 900 è nato l’istituto assicurativo sugli infortuni sul lavoro per salvaguardare le aziende prima dei lavoratori; oggi il TU governativo vuole eliminare le pastoie burocratiche, ovvero, gli adempimenti in ordine alla sicurezza che impedirebbero alle aziende (specie quelle più piccole) piena libertà per massimizzare i profitti.

Il TU ha scandalizzato tutti in ordine alle conseguenze negative che potrà avere per i lavoratori, ma è pienamente in linea con le condizioni generali poste dal sistema che ha messo al centro della sua ideologia l’impresa con le sue esigenze di profittabilità. Le indicazioni del GATS e la proposta di direttiva Bolkestein lo dimostrano.
Forse questa è pure un occasione per discutere anche dei principi che sottendono alla direttiva CEE alla base del 626, quasi un punto di passaggio fra il regime rigido di applicazione di norme di sicurezza precise, anche se inadeguate alle modificazioni dell’organizzazione del lavoro, e quello previsto dal TU, in cui sono le buone prassi che dominano e dove le sanzioni per le inadempienze sono un’opzione.

La critica ai principi fondamentali del TU è generalizzata nell’ambito sindacale, delle opposizioni, delle associazioni e dei movimenti.
Le iniziative sono molte e promosse da diversi organizzazioni; occorrerebbe arrivare ad una di sintesi, come si è fatto per la Conferenza Nazionale sull’Amianto perché l’analisi possa essere la più compiuta e soprattutto per promuovere la più ampia mobilitazione.

I contenuti del TU
L’analisi dello schema di decreto legislativo mostra la filosofia che sopra abbiamo evidenziato.
La sintesi dei punti più negativi presentata dal prof. Carlo Smuraglia nell’incontro del 29.11.04 a Milano, nel convegno organizzato da Ambiente e Lavoro è esemplificativa, apprezzabile e sostanzialmente condivisibile.

“1. Lo schema di decreto, in realtà, non introduce, al di là di quanto accennato, alcuna positiva innovazione, non tenendo conto delle osservazioni e proposte formulate da più parti e delle indicazioni emergenti dal rapporto di monitoraggio sull’attuazione del decreto legislativo 626/94, presentato dalle regioni nel novembre 2003.
2. La tecnica utilizzata è quella di inserire nel testo unico i principi generali, trasferendo tutti gli aspetti più specifici agli allegati. In questo modo, però, il sistema non si rafforza e sotto certi aspetti si complica; mentre c’è il rischio evidente della degradazione di molti precetti imperativi al semplice livello di norme tecniche e di buone prassi, spesso sprovviste di sanzioni effettive:
3. La valorizzazione del dialogo sociale, indicata fin dal primo articolo, è certamente utile ed opportuna, ma poi non si capisce in che cosa consista; e se tutto si riduce al rafforzamento della bilateralità, bisogna dire che gli aspetti più innovativi, rispetto all’articolo 20 del decreto 626, sono tali da suscitare forti perplessità e preoccupazioni. In particolare si crea una confusione rispetto ai compiti degli organismi pubblici di vigilanza e di prevenzione e si attribuisce un potere di certificazione, che non può competere ad enti del genere e che sarebbe certamente fonte di contrasti sociali, nell’evenienza di infortuni e malattie professionali.
4. L’esclusione di moltissimi lavoratori di varie tipologie, dalla determinazione del numero di lavoratori dal quale il decreto fa discendere particolari obblighi, è assolutamente negativa, agli effetti di un efficace sistema di prevenzione.
5. Il frequente riferimento alle “norme di buona tecnica” e alle “buone prassi” finisce per togliere forza ed efficacia ai precetti, che dovrebbero essere chiari, efficaci ed imperativi.
6. Il riferimento all’obbligo di adottare misure tecniche, organizzative e procedurali “concretamente attuabili… in quanto generalmente utilizzati” è contrario a tutta l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza di questi anni, che ha privilegiato il concetto di “massima sicurezza tecnologicamente fattibile”. In questo modo, si introducono valutazioni di mera opportunità e convenienza, mentre il riferimento a ciò che è generalmente praticato sminuisce gli obblighi fondamentali, compreso quello di tenersi informati anche sulle acquisizioni scientifiche (quanto meno su quelle non difficilmente accessibili).
7. L’affidamento alla libera scelta del datore di lavoro dei criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi rappresenta un passo indietro rispetto alle definizioni oggettive ed al richiamo alle linee guida formulate da enti pubblici, che hanno costituito finora il principale punto di riferimento.
8. La riconosciuta facoltà di redigere il documento di valutazione dei rischi in forma semplificata, sulla base di indicazioni fornite da organismi bilaterali, è incoerente con il sistema e palesemente pericolosa, oltre che negativa ai fini della vigilanza..
9. Manca una disciplina efficace dei “consulenti della sicurezza”, ormai largamente diffusi in forma individuale o in forma societaria, nonostante inconvenienti ed abusi più volte segnalati da molte parti.
10. Lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione deve essere consentito, ma con particolari cautele. Nello schema di decreto, invece, si ampliano i limiti già previsti dal 626, non si prevede alcuna forma di aggiornamento e si esclude ogni tipo di comunicazione di organismi pubblici.
11. La riunione periodica viene omessa proprio nelle aziende in cui il rischio è maggiore.
12. Le attribuzioni degli RLS vengono ridotte.
13. Il ritorno alla figura della “disposizione”, divenuta inutile dopo il decreto legislativo 758/94 è più che mai negativo, almeno nella forma in cui viene prospettato, perché introduce meccanismi complicati e certamente negativi ai fini dell’efficacia e prontezza degli interventi.
14. Il ruolo delle Regioni è svalutato al punto che non si consente loro di effettuare monitoraggi se non insieme ad altri organismi, pubblici e privati.
15. C’è un evidente accentramento di poteri e funzioni nel Ministero del Lavoro, a tutto scapito del settore della sanità.
16. Il sistema delle sanzioni viene fortemente depotenziato, non solo per quanto riguarda la minore responsabilizzazione dei datori di lavoro, ma anche e soprattutto perché troppe sono le disposizioni che passano a livello di buone prassi o di norme tecniche.
17. L’abrogazione di interi provvedimenti tuttora dotati, por molti aspetti, di validità ed efficacia (vedi articolo 18, con particolare riferimento ai decreti presidenziali 547/55 e 3003/56) e la degradazione di alcune parti di essi a livello di buona tecnica e di buone prassi, significa solo disperdere un patrimonio normativo che per tanti anni è riuscito a conservare un saliente valore.
18. L’aggiornamento di tutti gli operatori addetti alla sicurezza, pubblici e privati, è previsto in forma oltremodo generica e vaga.
19. Di “responsabilità sociale”e di “responsabilità amministrativa”delle imprese non si parla affatto, nonostante i propositi manifestati nel preambolo e nella relazione.
20. Il rafforzamento della rete delle strutture pubbliche, da tutti auspicato, sia per le funzioni di prevenzione e consulenza che per quelle di vigilanza e di repressione, è sostanzialmente assente.
21. Per un provvedimento che dovrebbe unificare e coordinare sono troppe le esclusioni e le deroghe, anche per settori di particolare rilievo o rischiosità.
22. Per quanto riguarda le sanzioni amministrative e meramente pecuniarie, manca una disciplina moderna ed aggiornata, che ne consenta una reale effettività.
(Si tratta di alcune indicazioni, tutt’altro che esaustive; ulteriori approfondimenti condurranno ad analisi più puntuali e specifiche e risulteranno certamente utili per i confronti che si auspica vengano instaurati nel prossimo periodo e prima del varo definitivo del provvedimento)”

Sottolineo in particolare il punto 3 che riguarda gli Enti bilaterali, ovvero le parti sociali (sindacati dei lavoratori e organizzazioni delle imprese) hanno la facoltà di stabilire modalità di applicazione delle sicurezza extra lege, quindi di derogare alle norme. I sindacati in pratica condividerebbero la responsabilità delle imprese per gli infortuni e le malattie professionali che si verificherebbero successivamente. I sindacati fin da ora dovrebbero prendere posizione dichiarando la loro indisponibilità, nel caso in cui questa legge dovesse passare, ad entrare in questi organismi.

Sottolineo ancora il punto, forse il più stravolgente dell’intera proposta di decreto che eliminerebbe la responsabilità per i datori di lavoro. Tutto potrebbe essere giustificato. Come sarebbe possibile dire a chiunque che il processo produttivo, l’organizzazione di quel lavoro non è generalmente praticato? Ogni azienda pratica ciò che è più conveniente per lei. Il principio stabilito dall’articolo 2087, sottolineato dalla giurisprudenza stabilisce che per salvaguardare la salute dei lavoratori occorre utilizzare le tecnologie più avanzate. Si devono studiare e praticare tutte quelle forme che garantiscono l’integrità fisica e morale del lavoratore. E questo deve essere ed è sempre possibile. Oggi più di ieri.

Per quanto riguarda l’amianto (articoli 100-113) viene fatto riferimento al nuovo concetto di “esposizioni sporadiche e di debole intensità” che, quando si verificano, su decisione del datore di lavoro naturalmente, non darebbero luogo alle misure di prevenzione stabilite. Possiamo scommettere che tutte (o quasi) le esposizione saranno sporadiche e di debole intensità!
La storia ci dice che si riesce a salvaguardare la salute dei lavoratori solo di fronte a due fattori precisi: la presa di coscienza e determinazione dei lavoratori e l’imposizione di legge, cui discendono sistemi di sicurezza controllati dalle strutture pubbliche di prevenzione. Inoltre il testo unico modifica sostanzialmente le modalità di registrazione che già molte regioni avevano adottato. E’ abbastanza diffuso il registro dei mesoteliomi, sta iniziando a farsi strada quello degli esposti. Nel nuovo sistema stabilito dal TU le registrazioni fondamentali vengono fatte a cura dei datori di lavoro il quale, quando viene a cessare il rapporto d’impiego le comunica all’ISPESL. Un sistema che finisce per dipendere dalla “buona volontà” delle direzioni aaziendali!
La determinazione poi di stabilire per l’amianto un valore limite (100 fibre/litro) è altrettanto inaccettabile. Non solo perché non esiste valore limite che possa garantire la salute degli esposti, ma anche e soprattutto perché viene a cambiare la concezione di valore limite stabilita nel decreto legislativo 277/91 e nel 626/94. Il valore limite è un riferimento che costituisce un’aggravante se superato, ma non implica l’eliminazione delle responsabilità del datore di lavoro ad attuare proprio quelle misure concretamente fattibili per eliminare l’esposizione, se non altro utilizzando una sostanza non nociva oppure, al limite, adottando il ciclo chiuso.

Risulta evidente che occorre fare tutto il possibile per non fare passare questo testo. Se questa nuova normativa verrà approvata gli infortuni e le malattie professionali, lungi dal diminuire, verranno incrementate, considerando anche il contesto delle leggi di liberalizzazione del rapporto di lavoro.

Impegni istituzionali
E’ auspicabile che le Commissioni Lavoro del Parlamento esprimano parere negativo ed ancora di più, come abbiamo precedentemente sottolineato che la Conferenza Stato-Regioni operi per ottenere l’abbandono del testo unico da parte del Governo oppure che proponga degli emendamenti tali che stravolgano la filosofia complessiva che nel TU viene portata avanti.
Si dovrebbe però verificare anche se a livello di UE qualche organismo istituzionale possa prendere posizione in contrasto, considerando come il complesso dell’articolato non sia rispondente alle direttive già emanate.

Il TU deve essere approvato da un altro governo con il coinvolgimento più ampio possibile di tutte le forze sociali.
Di qui alla nuova legislatura occorre lavorare per avere una proposta che possa essere velocemente approvata dal nuovo Parlamento. Un lavoro che deve scaturire da tutte le forze interessate. Le regioni devono prendere posizione e nella campagna elettorale per le elezioni della primavera del 2005 non si può non menzionare il problema. Occorre pertanto riprendere il lavoro che è stato fatto precedentemente, ripartire dall’ultimo testo approvato dalla commissione Lavoro del Senato rivedendolo in base alle modificazioni tecnologiche, organizzative e legislative che sono avvenute da allora ad oggi.

Risolvere alcuni nodi fondamentali
Non solo il punto di partenza deve essere diverso da quello del testo unico proposto dal Governo Berlusconi, ma occorre rilanciare il problema, risolvendo alcuni nodi fondamentali, la cui mancata attenzione non ha portato al miglioramento delle condizioni di lavoro e di salute dei lavoratori.
La premessa è la cancellazione della legge 30/ e dei suoi decreti applicativi;
il seguito deve comprendere:
maggiore potere agli RLS. Anzitutto i rappresentanti dei lavoratori della sicurezza devono avere una più consistente relazione con i lavoratori che rappresentano. Questo non è un problema di legge, ma è sindacale. Deve comunque essere compreso nella discussione per la definizione del TU. Nel merito deve essere dato agli RLS la facoltà di promuovere un proprio documento di valutazione del rischio, fornendo loro gli strumenti necessari per stenderlo;
il medico competente deve avere la specializzazione in medicina del lavoro, quindi vi devono essere i posti corrispondenti nelle scuole di specializzazione; inoltre i medici competenti devono rispondere, pur pagati dalle aziende, ai servizi di prevenzione delle A-USL. In altri termini i medici competenti devono essere affrancati dalle direzioni aziendali;
deve essere riaffermato il principio del rischio zero per le sostanze cancerogene, mutagene e teratogene e deve essere ribadito il valore puramente indicativo dei limiti di soglia (MAC/TLV);
infine deve essere ristabilito nel TU quanto già previsto dall’articolo 75 della legge di Riforma Sanitaria, cioè che il riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali spetta alle A-USL e non all’INAIL.

Fulvio Aurora
Milano, 8 dicembre 2004

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