CHARLIE
CHAPLIN - LA FEBBRE DELL'ORO
Chaplin ha spesso
dichiarato che il film con cui sarebbe voluto passare ai posteri era La
febbre dell'oro. Inutile dire che l'autore aveva visto giusto,dal momento
che a distanza di 70 anni la critica ne ammira la grandezza stilistica
e la perfetta fusione di tematiche diverse e allo stesso tempo complementari,
mentre il pubblico,non da meno,rimane ancor oggi affascinato dalla potenza
visiva di alcune sequenze che,nella loro schiettezza e semplicita'di linguaggio,riescono
a centrar bene il bersaglio del coinvolgimento emotivo.
Questo "poema epico con venature da tragedia greca"si presta a piu'chiavi
interpretative:la piu'comune e'un'allegoria del capitalismo,visto come
idolo distruttivo,che porta gli uomini a farsi trafiggere dal mito della
ricchezza. La corsa verso le miniere del Klondike,da parte di migliaia
di americani che non avrebbero piu'avuto il privilegio di vedere la luce
del sole dopo essersi avventurati nelle nevi,e'uno dei piu'tragici-e tremendamente
reali-esempi di quanto l'ingordigia umana possa portare a degli effetti
brutalmente deleteri.Non e'neanche storia antica rispetto a quando viene
girato il film-e'ambientato nel 1898-: a Chaplin dunque il merito di aver
saputo analizzare in maniera cosi'rigorosa e pienamente cosciente un momento
storico non troppo lontano nel tempo; ma soprattutto la capacita'di rendersi
conto di quanta affinita'ci potesse essere fra gli ingenui cercatori d'oro
e i piu'"astuti"manipolatori di denaro della moderna societa'americana,e
una "preveggenza"-tipica del Chaplin degli anni migliori-rispondente a
uno spirito pessimista-oltreche'estremamente sensibile-di uomo che si rende
conto del fallimento imminente di un sistema apparentemente infallibile
basato sull'accumulo del denaro (sara'un caso la Grande Depressione del
1929…).
Il vagabondo Charlot e'l'omino "capitalista"che si avventura in Alaska
in cerca di un
po'di fortuna: il suo ingenuo candore lo porta naturalmente in una dimensione
diametralmente opposta rispetto a quei cinici che nella realta'hanno sfidato
la morte (e spesso ne sono usciti sconfitti).
Diremo dunque che uno dei motivi della grandezza di questo film sta-piu'che
nei riferimenti subliminari alla societa'americana-nella descrizione di
questo piccolo uomo baffuto,oppresso da una societa'alla quale e'costretto
a modellarsi. E'simile all'operaio di Tempi moderni,perche'entrambi compiono
delle azioni senza domandarsi il perche':il primo e'naturalmente un estremizzazione
di questo atteggiamento,ma anche il protagonista del nostro film non crede
moltissimo nella sua impresa. Questo suo isolamento dal contesto che lo
circonda lo porta a un ripiegamento su se stesso,che lo porta,pur nella
sua posizione di eterno sconfitto,a una vittoria morale senz'altro al di
sopra di ogni biasimevole fine lucroso.
Ancora una volta Charlot diventa il paladino degli oppressi,che possono
riuscire a trovare un loro spazio anche in una societa'che fa di tutto
per reprimerli.
Del resto,dopo mille peripezie,il finale e'un trionfo sia dal punto
di vista economico sia da quello sentimentale:ma forse,a lui come ad ogni
oppresso,sarebbe bastato continuare a rinchiudersi in se stesso,proprio
come aveva fatto per tutta la vita.
Da queste anticipazioni,avrete capito che,dietro la componente avventurosa,si
nascondono delle tematiche serissime come l'alienazione e la morte. E'lo
stesso Chaplin
ad affermare che "sara'paradossale,ma nella creazione di una commedia,la
tragedia stimola il senso del ridicolo,e cio'avviene senz'altro perche'il
ridicolo e'un atteggiamento di sfida:la nostra impotenza di fronte alle
forze della natura,per esempio,deve farci ridere per forza,altrimenti si
impazzisce…"; cosi',tre sequenze fra le piu'comiche della storia del cinema,ci
suscitano il riso dimenticando il dramma collaterale: Charlot che mangia
le sue scarpe perche'e'l'unico strumento di sopravvivenza;il suo compagno
trovato nelle nevi che ha un'allucinazione e lo scambia per un pollo,l'impossibilita'da
parte dell'uomo di controllare i propri istinti; la capanna che sta per
crollare di frinte al cedere dello strapiombo, la morte imminente
Di fronte a cotanta rappresentazione artistica,mi sembra il minimo prostarsi
di fronte a questo straordinario uomo del nostro secolo
LA FEBBRE DELL'ORO (1925)
Scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin
Altri interpreti:Mack Swain,Tom Murray, Georgia Hale
Fotografia: Rollie Totheroh,Jack Wilson
Scenografia: C.D.Hall
Montaggio: Monta Bell
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