PEPPINO IMPASTATO - UN UOMO IN RIVOLTA

 

 

    

"Che cos'è un uomo in rivolta?
Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando".


A. CAMUS, "L'Homme révolté"

 

 

Con queste poche parole i GIOVANI COMUNISTI vogliono ricordare Peppino Impastato, il giovane militante di Democrazia Proletaria barbaramente assassinato dalla mafia nella notte fra l’8 e il 9 maggio 1978. Peppino era il figlio di uno dei maggiori esponenti della mafia siciliana essendo il padre intimo amico di Gaetano Badalamenti, il famigerato boss di Cinisi, che sta scontando una condanna a 45 anni di carcere per traffico di droga negli U.S.A.. Nonostante questa condizione Impastato si impegnò attivamente a smascherare e a creare un forte movimento d’opposizione, riuscendo a destare clamore e allo stesso tempo tanto fastidio, in Sicilia. Pagherà per questo prima con la vita, e ,dopo la sua scomparsa, con l’insabbiamento degli atti giudiziari e con l’accusa infamante di terrorismo. Soltanto grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, (che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa), dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria. Nel maggio 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva organizzato il primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.

Peppino Impastato è pertanto un esempio lampante non solo di ribellione alla mafia, cosa peraltro a dir poco ardua in un periodo così “caldo”,ma anche e soprattutto di un’ espressa volontà di cambiare lo stato reale delle cose; rappresenta l’attualità di un progetto difeso fino a scontrarsi con un qualcosa di immensamente più grande che presentava e presenta tutt’ora ramificazioni nei cosiddetti “piani alti”. La salvaguardia di una memoria storica che tanto ha ancora da insegnare è  e deve essere per tutti una  priorità ASSOLUTA. Pertanto, il PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA della città di Aversa, a nome dei Giovani Comunisti inoltra alla S.V. le seguenti richieste:

 

1.    Concessione della cittadinanza onoraria a FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO, madre dello scomparso Peppino,”donna antimafia” che ha fatto della ricerca della verità riguardo a quell’ orribile delitto, l’unico scopo della sua vita.

2.    Proiezioni GRATUITE e a carico dell’ A.C. ,del film “I CENTO PASSI”di Marco Tullio Giordana, pubblicizzando adeguatamente l’iniziativa in tutte le scuole aversane

 

 

Per rendere l’alto significato del citato film, si allega la lettera, particolarmente significativa,scritta dalla giornalista FRANCESCA TORRANI, a seguito della visione dello stesso.

 

Giovani Comuniste/i

Circolo PRC E.”Che”Guevara

Aversa

 

Cinquantacinque giorni, cento passi


 

Cinisi, maggio 1978

 

Marcella e Giuseppe, quelli di Lotta Continua, dicono che per un compagno in Sicilia è difficile anche morire. Io in Sicilia ci arrivo per la prima volta, a battere la cronaca di un morto ammazzato.
Cinisi - mi dicono - è un paese di mafia: sono tutti parenti e quelli che non sono parenti sono amici di Gaetano Badalamenti e quelli che non sono amici di Gaetano Badalamenti o se ne stanno zitti o saltano in aria.
Peppino Impastato è saltato in aria. Aveva trent'anni e qualche mese e un chilo di tritolo legato attorno al corpo. Non è rimasto niente di lui. Niente.
La polizia dice che si è suicidato e come prova porta un biglietto autografo con su scritto "la faccio finita". Solo che il biglietto Peppino Impastato l'ha scritto tre anni fa e credo che a vent'anni e qualcosa l'esercizio di esorcizzare la morte pensandola non come destino ma come scelta sia un fatto abbastanza naturale.
Ho provato a dirglielo, al magistrato inquirente venuto da Palermo per l'inchiesta. Ma lui, a Cinisi, ci è venuto per archiviarla, l'inchiesta, mica per sentire «le versioni campate in aria di certa stampa e di certi ambienti». «Ma mettiamo pure che non si sia suicidato», mi dice. «Allora l'ipotesi è un'altra: se Impastato non si è suicidato allora è chiaro che è rimasto vittima di se stesso. Voleva compiere un attentato alla ferrovia, è arrivato ai binari, la notte, l'oscurità, una disattenzione... il tritolo e il destino hanno fatto il resto».
Solo che è difficile spiegare perché nel casolare vicino alla ferrovia c'era una pietra con il sangue di Peppino Impastato sopra, e perché sul terreno sono rimaste tracce non di una ma di almeno due automobili. Forse, signor magistrato, qualcuno gli ha dato la morte, a Peppino.
«Ma via - mi dice infine - questi giovani sono violenti e sanguinari. Lo ha visto cosa hanno fatto a Roma».
No, signor magistrato, non l'ho visto cosa hanno fatto a Roma. Io so soltanto che nella stessa notte in cui le Brigate Rosse hanno ucciso Aldo Moro, a Cinisi qualcuno ha fatto suicidare Peppino Impastato.
No, signor magistrato, i cinquantacinque giorni delle Brigate Rosse, quelli da via Fani a via Caetani, non sono uguali ai cento passi che ha contato Peppino Impastato per arrivare al portone di Tano Badalmenti.
No, signor magistrato, io non ci sto mescolare le carte e se viene la rossa la metto di qua e se viene la nera la metto di là. Io voglio capire.
Capire perché non finiamo mai di contare morti e di contare balle. Capire perché Badalamenti scappa e Peppino muore, perché Andreotti ride e Aldo Moro muore.
E Pasolini. Pasolini se sapeva perché non li ha fatti, i nomi?

Guardo Felicia e Giovanni, guardo madre e fratello. Stanno a qualche centimetro dai compagni che tengono sulle spalle il niente che è rimasto di Peppino. Avanzano. Non c'è mafia né dietro né dentro di loro. Pugni chiusi. Occhi rossi come bandiere. Sputi. Applausi. Brividi brividi brividi. Piangono trattengo non posso lasciar scorrere dolore non mio.
Perché?
E Radio Aut che trasmetteva:
«She said, there is no reason, and the truth is plain to see...»
(Lei disse, non c’è ragione, e la verità sta per venire alla luce)

Ho scritto queste righe dopo aver visto "I cento passi" di  Marco Tullio Giordana (Bellinzona, "Castellinaria", 25 novembre 2000).
Prima, non sapevo chi fosse Peppino Impastato, né cosa avesse fatto.







 

 


 

(c) 2000 Francesca Torrani per “l'Argonauta”