Is mollinos

 

Molto è rimasto fino ai giorni nostri, grazie al secolare isolamento dal quale Samugheo uscì nella seconda metà di questo secolo. Se da un lato l'isolamento può essere considerato un aspetto negativo perché ha consentito ben pochi contatti col mondo esterno,  dall'altro  questo può essere considerato in modo positivo in quanto ha permesso di mantenere a lungo costumi e tradizioni scomparsi da tempo in altre parti dell'isola (D. Turchi: Samugheo).


Nella valle di "Accoro", percorrendo una strada in terra battuta che costeggia il fiume omonimo, rivestono notevole importanza diverse testimonianze di un mondo lontano, ma che ancora oggi si fa sentire vivo e ricco di ricordi e contenuti: trattasi di numerosi mulini idraulici ritenuti ormai scomparsi sul territorio italiano (Schevermaier: Il lavoro del contadino) dal 1919-20, mentre secondo le ricerche del Vieli nel 1927 n’esistevano sei in tutta Italia.

Tutt'oggi esistono lungo il fiume di "Accoro" diversi mulini integri; uno in località "Bau 'e 'ebrese" o "Is calavrighes" (un tempo appartenente a Flore Giovanni, noto "Giobbe" da cui il nome del mulino ha origine, oggi della famiglia Olla); il mulino "Faes", ereditato dai "Mereos" (poi Perdighe e oggi di Cossu Peppino) in località "S'ispadula", i mulini "Madau" (da sempre proprietari) siti ancora in località

"S'ispadula".


Il tratto di strada, immerso nel fitto verde dei boschi di lecci, sughere e vigneti, che costeggia il fiume a circa cinque km dal paese, porta il nome di "caminu de is molinos" (sentiero dei mulini). Uno di questi mulini, grazie all'amore del suo proprietario (P. Cossu), è stato ristrutturato recuperando i pezzi originali usati tanti anni fà e per l'integrità e l'autenticità che lo caratterizzano, ben si presta  ad essere descritto:

Percorso il primo tratto de "su caminu de is molinos", dopo il ponte romano, sulla destra della strada, si trova una vecchia porta in legno, non molto alta; un ponticello in pietra è la soglia per accedere alle case dei mulini ("sa omo de is molinos").

Sotto il ponticello scorre un condotto artificiale d'acqua (“cora”) che ha origine da uno sbarramento sul fiume fatto a monte con grossi massi in granito ("su forte"). I massi sono disposti trasversalmente e obliquamente rispetto al letto del fiume in maniera da incanalare l'acqua sul condotto artificiale e contemporaneamente creare una riserva d'acqua per l'estate. "Su forte" si trova ad una distanza che varia da mulino a mulino in funzione all'orografia del territorio, quindi anche "sa cora" ha una lunghezza variabile e costeggia il fiume da "su forte" fino al mulino.

Qui l'acqua viene raccolta in un piccolo bacino e sfruttata per azionare l'impianto di molitura poi riversata sul fiume. Al bacino sono collegati due dotti: il primo in pietra, si ricollega al fiume passando per i mulini. Questo impedisce che l'acqua in eccesso straripi quando, durante l'inattività del mulino, il  secondo dotto è chiuso tramite un pannello in legno removibile.

Il secondo dotto, in legno a forma di U (“Tuva”), è reclinato verso una nicchia sotterranea con pareti in pietra in cui è accolta una turbina idraulica.

Varcata, quindi, la soglia ci si trova di fronte a due edifici: il primo destinato alla macinazione del grano; il secondo, con macine in pietra scadenti, in quanto più usurate, usate per gli altri cereali.

I due edifici, costruiti entrambi da un unico ambiente, sono costruiti con pietre locali (granito) e fango; il tetto è stato ristrutturato usando i materiali originali (canne e giunco, fango misto a paglia e tegole). La porta, sormontata da un solido architrave in pietra, è in legno ormai tarlato e di piccole dimensioni.

Aperta la porta “de sa ‘omo” , si presenta un ambiente dove l’odore della farina si miscela a quello degli alberi, degli arbusti selvatici, dei vigneti. L’ambiente ricalca fedelmente quello di un tempo: il pavimento in pietra (“arrejollas”), le mensole in legno (“is paristagios”), la finestrella (“fronesta”) e un caminetto (“jimminera”) rifinita in legno. La prima immagine che si percepisce entrando in “sa ‘omo”.

Riposti in un angolo ci sono ancora tutte le misure: "s'imbudu" (3,5 litri) in sughero, "sa meagia" in legno (5 litri), "sa cuarra" (25 litri) in legno, "su moiu" (50 litri) in legno, "su cartu" (12,5 litri), "su cartucciu" (6,25 litri) e "s'imbudu" (3,125 litri). Solo negli ultimi anni d’attività (1950) si usarono le misure in ferro. Ci sono anche vassoi in sughero ("maides") usate dal mugnaio per disidratare il grano lavato dalle massaie. 

 
 


  

 

Disposto sul quadrante sinistro, rispetto alla porta d’ingresso, si trova la parte superiore dell’impianto di molitura: la macina; mentre in un vano sottostante si trova la turbina idraulica.

L'impianto è costituito da una tramoggia ("majollu"), costruita con tavolati in legno formanti una struttura piramidale tronca capovolta.

Sui due lati superiori della tramoggia, si trovano due aste di quattro cm di diametro tenuti da due funi che scorrono lungo gli altri due lati. Sulle estremità di queste due aste si inseriscono quattro corde che ancorano "Su majollu" sulle travi del tetto ("crabettura"). Le corde venivano realizzate artigianalmente lavorando e intrecciando il cipero ("fune de sessene" o "arrestiga"). La tramoggia può contenere fino a 50 litri di grano ("unu moiu").

Sotto la tramoggia è appesa una cassetta di legno ("Atzicadore") inclinata in direzione della bocca delle mole. "S'atzicadore" nella parte alta è fissato alla tramoggia con una stecca di legno, mentre la parte più declive poggia tramite un'asta sulla mola soprana che, col suo moto trasmette vibrazioni alla cassetta, sollecitando così la caduta del grano tra le mole.

"S'atzicadore" è fornito di un dispositivo che regola la quantità di grano da far cadere tra le mole, in funzione della portata dell'acqua, quindi della potenza idraulica disponibile e indirettamente regola la grana della farina.

Questo registro è costituito da una cordicella ("sa idedda"), collegata ad un’estremità con un'asticella di legno e all'altra con un disco di legno fissato sul lato frontale della tramoggia; la rotazione della cordicella su sé stessa, in senso orario e antiorario ("trocchigiare"), solleva o abbassa l'estremità libera della cassetta, diminuendo o aumentando l'apertura di fuoriuscita del grano.

Sotto la cassetta ci sono le mole."soprana" e "sottana", di forma tronco conica con un foro centrale di 10 cm in asse con la parte più declive della cassetta ("pedras"- "orrodas de pitzu e de suta"- "mascu e femina").

 

                                                        

 

Le mole sono in basalto e venivano periodicamente affilate ("accutzadas") previa asportazione dalla sede propria con la martellatura ("picadas").

Nel foro centrale della mola sottana passa una struttura in ferro ("cristos") che porta sull'estremità superiore un arco in ferro sporgente 12 cm e largo 5 cm che si incunea in escavazioni complementari e diametralmente opposte alla mola soprana.

Inferiormente, la struttura in ferro, attraversando il pavimento forato, si collega nel vano sotterraneo con un albero in legno ("buttu") formando un giunto rigido.

"Su buttu" si collega con la turbina idraulica ("orroda a teruddas"); in questo modo la forza motrice della turbina idraulica si trasmette alla mola soprana. Attraverso il foro della mola soprana, viene alimentato il grano che viene macinato tra le mole; la farina ottenuta scorre dalle macine in una cassa in legno ("cascia de linna") che circonda la mola sottana bloccata sul pavimento.

Da questo vano si origina anche un asse in legno ("sa rughe" o "abbarradore") che termina, attraversando il pavimento, nel vano sotterraneo su un basamento in legno ("crabiga"), la cui funzione è quella di far variare di pochi millimetri lo spazio tra le mole e quindi regolare la grana della farina.

Gli elementi più importanti del vano sotterraneo sono la turbina idraulica e "su buttu"; quest'ultimo presenta un'escavazione di 4 cm che lo percorre per quasi tutta la sua lunghezza in cui s'incunea l'asse in metallo ("cristos") di forma complementare proveniente dalle mole il cui giunto è rinforzato da due potenti anelli in ferro ("cricos").

Sul mozzo de "su buttu" sono inserite a cuneo le 28 pale della turbina, ottenute ognuna da un ceppo di legno (lunghe 30 cm, alte e larghe 7 cm). Queste hanno una forma a cucchiaio ("teruddas") e sono disposte con la concavità verso il getto d'acqua.

 

                                                           

 

Le pale sono trattenute sul mozzo da un disco metallico e chiodi. "Su buttu" prosegue per un breve tratto sotto la turbina idraulica e termina con una bordatura in ferro ("cricu");  al centro presenta un perno di ferro che poggia e ruota attorno ad un rettangolo, anch'esso in ferro ("sa rana") di 3 cm, accolto a sua volta in un cavo complementare sito al centro di un grosso listello di legno  ("crabiga"-"aisongia").

"Sa cabriga" costituisce l'ultimo elemento del mulino e ne è il basamento; essa è ancorata al pavimento in pietra del vano sotterraneo e termina ad un'estremità con una biforcazione e all'altra con una concavità che accoglie "sa rughe".

Esiste un sistema automatico di bloccaggio del mulino costituito da una tavola in sughero posto all'interno della tramoggia e legato ad una corda che scorre attraverso una puleggia ("caruciu") fissata sul tetto.  La corda si porta nel vano sotterraneo dove termina su un listello posto in "sa tuva", quando la tramoggia è piena di grano e quindi il grave in sughero è tenuto sul fondo della stessa, il listello è sollevato e l'acqua scorre lungo "sa tuva" fino alle pale; quando la tramoggia è vuota e nessuna forza tiene sul fondo il grave, il listello si abbassa arrestando la molitura.

 

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