AUTONOMIA OPERAIA

 

 

ARTE INDUSTRIALE

COLLETTIVI POLITICI VENETI

 

              HOME

 
 

La storia dell’autonomia che fonda la sua identità sul concetto del rifiuto del lavoro può essere  riassunta    come un insieme articolato e frastagliato di esperienze politiche che si sviluppano nel corso degli anni   settanta. Un’esperienza che diviene una nuova e lucida lettura della società capitalista,dei  suoi poteri,dei suoi protagonisti,del suo sviluppo.Rifiuto del lavoro significa che dentro la struttura dei rapporti sociali comandati dal lavoro salariato esiste sempre un tessuto di saperi, di conoscenza,di comunicazione che ad esso si contrappone.Un tessuto sociale che lotta per più soldi e meno lavoro,per un lavoro meno faticoso e nocivo,per non morire in fabbrica.E’ la conoscenza operaia del ciclo produttivo,la capacità di fermarsi,di sottrarsi,di sabotare.La società capitalista non è più letta come luogo di comando indiscusso dell’interesse di parte del capitale e della gerarchia che si esprime nel lavoro salariato bensì il terreno di scontro tra lavoro e rifiuto del lavoro.Tempo di lavoro contro una struttura costruita sul tempo di lotta, sul tempo liberato dal lavoro,sulla cooperazione.Non esiste solo sfruttamento ma anche autonomia da esso e lotta.Il tempo del non lavoro diviene tempo di ricchezza,di scambio,di comunicazione,di conoscenza sociale.Rispetto alle rotture operate dall’operaismo sul marxismo-leninismo( vedi “Quaderni Rossi” di Renato Panzieri e Mario Tronti ) l’autonomia aggiunge una concezione della crisi non più intesa come esplosione,collasso dell’incapacità del capitale di  comandare e far fronte alle esigenze sociali bensì come esplosione di relazioni sociali operanti divenute troppo ricche per essere comandate e regolate dal capitale.

 

 

                                                                   

                      

 

 

 

In seguito allo scioglimento di Potere operaio e al suo progetto di unificazione tattica vale a dire la capacità di coagulare le energie attorno un obiettivo per unificare il movimento,far arretrare le istituzioni,scardinare il controllo la prospettiva aperta all’autonomia è l’aderenza totale al movimento abbandonando il divario tra tattica e strategia ,tra partito e movimento,tra politica e comunismo.Il terreno di unificazione del movimento sarà praticabile conquistando di volta in volta spazi di potere: il potere comunista crescerà giorno per giorno nello scontro tra lavoro e rifiuto del lavoro.Il comando politico-militare dello stato andrà affrontato laddove emergeranno le sue contraddizioni e nei suoi luoghi terminali che andranno rosicchiati. S’assiste dunque ad un generale spostamento delle tematiche,degli obiettivi e della forma organizzativa. Dall’<<insurrezione>> alla <<lotta di lunga durata>>,dalle <<scadenze>> attorno a obiettivi unificanti all’appropriazione.La pratica dell’appropriazione è il punto d’identità dell’area dell’autonomia.Appropriazione di beni ossia espropri,illegalità di massa,violenza diffusa ma anche autoriduzione delle tariffe sociali.Appropriazione in fabbrica significa riduzione del lavoro come atto politico univoco senza contrattazione.In pratica appropriazione come negazione della trattativa,come gestione di un contropotere.La stessa pratica dell’appropriazione svelerà i limiti storici dell’area dell’autonomia vale a dire povertà e frammentarietà dei suoi livelli organizzativi e il localismo. L’area dell’autonomia sarà la sola esperienza politica ad interagire con il movimento,ad alimentarlo e ad esserne alimentato portando conseguentemente le proprie virtù e i propri errori:il minoritarismo,il minimalismo,il problema irrisolto del “politico” in essa. 

 

 

 

                                                                  

 

 

L’autonomia operaia non fu né una sigla né una forma-partito,tanto meno una struttura monolitica con una direzione verticista e piramidale bensì una forma politico-organizzativa complessa,articolata,diversificata,composta da una varietà di organismi in grado però di coagularsi in tutta la sua capacità offensiva di fronte a strategie e programmi comuni.Essa raggiungerà il livello massimo di espressione nel 1977.Guerriglia e sabotaggio,nelle piazze,nelle strade,nelle fabbriche,l’uso ragionato della forza,contropotere di massa,l’azione diretta e la pratica dell’obiettivo erano tutti strumenti di un programma di liberazione contro il lavoro salariato,lo sfruttamento in fabbrica e nel sociale,la macchina dello stato.In questo insieme articolato di pratiche risiedeva la critica radicale della forma merce,l’appropriazione collettiva del valore d’uso,la soddisfazione materiale dei bisogni proletari,il reddito sociale sganciato dalle logiche del profitto e della produttività. Oggi,queste tematiche e concetti sono l’esatto opposto del modello di sfruttamento capitalistica su scala planetaria,il neoliberismo è in pratica la risposta controrivoluzionaria e reazionaria del capitale alle istanze di liberazione espresse dai movimenti nel ciclo di lotte ’68-’77.Cancellazione,annullamento di ogni alternativa sociale e di classe mediante la sottomissione violenta dei bisogni sociali collettivi ai meccanismi d’impresa,di efficienza e di produttività.Se oggi la riduzione della giornata lavorativa è attualità,l’autonomia seppe indicare di fronte all’innovazione tecnologica la prospettiva di ridurre la necessità del lavoro per gettare le basi potenziali di una società più ricca nelle attività umane e sociali,più evoluta e più sviluppata nelle facoltà della intelligenza e della creatività.Questa possibilità rende assurda il permanere dello sfruttamento,del lavoro coatto e salariato,l’attuale utilizzo della scienza e della tecnica per incrementare l’asservimento degli uomini,anziché al servizio della loro liberazione.Contro ogni logica lavorista e sacrifici vari,l’autonomia poneva al primo posto il <<diritto all’esistenza>>,il problema del reddito garantito,del salario sociale.Inteso non soltanto in termini monetari ma anche come appropriazione del valore d’uso,casa,servizi,spazi di socialità e comunicazione.

                                               

                               

 

 

                                   

 

 

                                          

 

 

 

Il ’77 fu dunque l’individuazione di alcuni nodi su cui sviluppare nuovi orizzonti di liberazione sociale: reddito garantito e rifiuto del lavoro,cooperazione dal basso sganciata dal profitto e dalle leggi di mercato,riduzione della giornata lavorativa sociale e liberazione di tempo di vita. L’autonomia operaia organizzata travolse la forma partito e il rapporto classico tra avanguardia e masse, tra intellettuali e popolo.Niente più bonzi,partiti,nessun riconoscimento nazionale,ne sollecitazione di interventi legislativi,nessuna delega ma pratica degli obiettivi,azione diretta,autorganizzazione sociale per fare vivere nel conflitto un progetto di liberazione collettiva. L’autonomia organizzata sarà inoltre l’espressione di un metodo cioè il legare le forme organizzative alle modificazioni della composizione di classe,il rapporto di reciprocità mai scontato e definitivo tra forma organizzativa e trasformazioni della composizione sociale. Come detto precedentemente la storia dell’autonomia è priva di un vero e proprio centro focale: l’assemblea autonoma dell’Alfa,i circoli del proletariato giovanile,le occupazioni del ’73 e le lotte del ’74,i picchetti cittadini del ’79 ai cancelli della Fiat,una quantità enorme e non censibili di collettivi locali,le esplosioni del ’77 a Bologna e a Roma,le due esperienze saldamente radicate nelle larghe fasce di proletariato giovanile e operaio a Roma e a Padova. Quest’ultima fu caratterizzata da fisionomie e caratteristiche del tutto originali.Innanzitutto la combinazione tra elaborazione teorica che ebbe nell’Istituto di Scienze Politiche e nel marxismo eretico e critico proprio dell’analisi operaista la massima rappresentazione e una pratica antagonista e organizzata di una giovane generazione di militanti,in seguito allo scioglimento di potere operaio.Il nesso teoria-pratica e la sua ridefinizione costante alla luce delle modificazioni strutturali,sociali,politiche costituisce sicuramente la discriminante dell’autonomia padovana.In secondo luogo la lucida lettura della composizione di classe,delle caratteristiche del territorio (fabbrica diffusa,lavoro nero ) agevolata dalla presenza dell’Università e di una intellettualità di massa altamente proletarizzata. L’autonomia operaia organizzata si fondò su collettivi politici locali come forme di ricomposizione della lotta nel territorio. L’intreccio tra forme di lotta,legali e non,l’azione di massa,l’uso ragionato della forza getteranno le condizioni per l’egemonia dell’esperienza autonoma in Veneto che proprio all’interno del movimento del ‘77 troverà la verifica delle proprie opzioni pratiche e teoriche.

 

    TORNA SU