RIVOLTA
CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO
di Carlo Terracciano
(Parte C)
Sul piano pratico, dell’azione,
la pretesa impersonalità e ineluttabilità del processo di globalizzazione
determinano volutamente nelle masse un fatalismo impotente, camuffato negli
intellettuali compatibili col Sistema sotto le spoglie accattivanti dell’impegno
metapolitico ed intellettualistico fine a se stesso. L’ennesima riproposizione, ma molto meno nobile, dell’apolitìa degli sconfitti e dei
falliti che si cercò, falsamente, di attribuire allo stesso Evola di “Cavalcare
la tigre” o “L’arco e la clava”.
Se una volta militanti di
destra e di sinistra puntavano a conquistare il Potere per affermare le loro
speranze in un Mondo Nuovo, oggi molto più borghesemente si acconteterebbero
del …“podere”!
Minimalismo e
localizzazione sono diventati l’alibi del disimpegno e del riflusso nel
privato, facendolo passare per il massimo dell’impegno possibile contro i
poteri forti; quasi che nel mondo moderno fosse possibile ritagliare oasi, isole
di un vivere alternativo, alieno alla società circostante ed anzi alternativo
ad essa. Chi ricorda le “comuni” dei sessantottini ?
Con l’aggravante che
questa ennesima esaltazione incapacitante della sconfitta e della fuga dal mondo
non più in una “torre d’avorio” ma direttamente in una stalla, viene
spacciata per il massimo del “comunitarismo” e dell’impegno: insomma un
Comunitarismo senza comunità. Per pochi eletti che hanno capito tutto (?) e
fatto niente (!).
La sinistra, ma anche buona
parte della destra, che pur contestano la globalizzazione dall’alto, ne hanno
accettato aprioristicamente la filosofia di fondo, l’ineluttabilità delle
tesi, i principi filosofici e le utopie livellatrici; sono all’interno del
fenomeno Globalizzazione, seppur criticandone errori ed orrori, e non lo sanno.
L’internazionalismo proletario di ieri si chiama oggi “antiglobal”,
ma è certo più globale che “anti”.
La destra, che aveva avuto
ben altri strumenti concettuali di comprensione e opposizione, partendo dagli
studi sul Mondialismo, sulla Geopolitica, sulle tradizioni e su tutta l’opera
di maestri di pensiero come Evola, Guenon, Nietzsche, Spengler, Sorokin, Lorenz,
Sombart, Weber e via elencando, come al solito NON ha capito niente ed è
rimasta al palo. Anzi spesso è persino regredita politicamente ed
ideologicamente rispetto alle analisi ed all’azione politica anticipatrici
degli anni '70 ed '80.
Questa serie di
considerazioni ci porta ad esprimere un giudizio definitivo e senza appello su
tutto un ambiente sub-politico, definito genericamente “area”, forse perché
fatto d’aria e di vuote parole al vento, della destra,neo/post/ultra
“fascista”.
Il Fascismo, come fenomeno
storico e politico europeo è DEFINITIVAMENTE DEFUNTO NEL MAGGIO DEL 1945. Una
sconfitta peraltro orgogliosa, con le armi in pugno, a differenza del comunismo
marxista europeo crollato meno di mezzo secolo dopo con l’implosione dell’URSS
e dei suoi satelliti.
E’ comunque un dato di
fatto irreversibile che le due forme di modernizzazione e mobilitazione di massa
sono uscite sconfitte dallo scontro con l’America.
E’ il modello americano
che ha trionfato nel XX secolo, dando l’impronta appunto al Mondialismo
globalizzatore su tutta la Terra.
Geopoliticamente è l’Eurasia
(+ Africa ed America Latina) ad uscire, per ora, sconfitta dal confronto-scontro
con il “Nuovo mondo”, per un Nuovo Ordine Mondiale.
Il cosidetto “neofascismo”
o “neonazismo” del secondo dopoguerra è stato tutto un grande equivoco,
talvolta tragico, molto spesso comico e farsesco. Alimentato anche dai suoi
nemici interessati.
Quella che impropriamente
viene definita “estrema destra” non si è mai ripresa dal trauma della
sconfitta bellica, dei suoi capi morti e/o massacrati, abbandonati da tutti al
ludibrio della feccia, della plebaglia osannante fino al giorno prima. L’immagine
di Mussolini e dei gerarchi con i piedi al cielo pesa come un macigno su più di
una generazione politica , che non l’ha mai rimossa.
Così come l’8 settembre
ha rappresentato una svolta epocale, la fine dell’Italia come Nazione per
tornare ad essere l’espressione geografica contenente qualche decina di
milioni di persone parlanti più o meno la stessa lingua.
La propaganda martellante
dei vincitori ha additato i fascismi come il Male personificato; tanto da
identificarsi spesso gli stessi seguaci in questo ruolo invertito, come estrema
forma di contestazione ed autoriproduzione.
Il nostalgismo, la
formalità esteriore, la castrante esaltazione della sconfitta, il culto quasi
necrofilo del passato, il “ducismo” senza Duce unito ad uno spontaneismo
anarcoide (armato o disarmato), sono stati altrettanti fattori di impotenza
politica e sociale, mentre il mondo cambiava vorticosamente emarginando sempre
più la destra nel ghetto costruito con le proprie mani.
Ovviamente il nostalgismo
neofascista, comunque riciclato, è la NEGAZIONE STESSA DEL FASCISMO storico,
che fu un movimento di mobilitazione rivoluzionaria delle masse, un movimento di
giovani rivoluzionari in tutta Europa, basato sullo slancio vitale, sulla
giovinezza, indirizzato al futuro, intenzionato a vincere e dominare; proprio
come il Comunismo rivoluzionario dei Lenin, dei Trotskij, degli Stalin.
Certamente entrambi
rapportati al mondo della prima metà del secolo passato.
E si consideri che stiamo
parlando della parte migliore della destra, di quella minoritaria che non ha
accettato tout court di allinearsi al Sistema, di divenire il cane da guardia
dell’ordine costituito.
Quest’altra
destra, che invece ha capito benissimo in che direzione va il mondo, si è
semplicemente sbarazzata di ogni bagaglio storico e culturale per passare armi e
bagagli nel campo dell’avversario, del liberal-capitalismo, dell’America,
del Sionismo, del Mondialismo.
Questi arrivisti di vera
destra rappresentano non certo il nemico principale, eppure il più prossimo,
essendo la loro massima ambizione di neofiti mercenari quella di dimostrare al
nuovo padrone la piena affidabilità
del servo da poco acquistato.
I recenti avvenimenti
genovesi, l’esaltazione della più bestiale repressione poliziesca (senza
neanche più il coraggio di scendere in piazza per un confronto diretto), l’anticomunismo
senza più comunisti, l’allinearsi ad ogni iniziativa antipopolare e la
perfetta identificazione nella politica estera americana e sionista sono fatti
così noti ed evidenti da non dover spendere troppe parole in merito.
Nei casi più estremi(sti)
si fa pura opera di provocazione nostalgica e integralista da sagrestia, sempre
ben nascosti dietro la rassicurante divisa e manganello della polizia di Regime,
per rilanciare uno scontro destra-sinistra, rosso contro nero, che sarebbe
quanto di più funzionale al Sistema mondialista in ambito nazionale, se non
fosse tanto anacronistica da essere inutilizzabile persino per i “servizi”
che la gestiscono, dentro e fuori i confini nazionali.
Non c’è bisogno di
aggiungere che l’antifascismo di certa sinistra di sistema, altrettanto
ridicolo e nostalgico, serve da pendant all’anticomunismo becero della destra
più o meno estrema.
Post-fascismo e
neo-comunismo marxista continuano così a combattersi ed elidersi a vicenda, a
maggior gloria della razza padrona che traccia i destini dell’Italia, dell’Europa,
del mondo intero.
Per i nostalgici dalla “dura
cervice” e dal collo torto all’indietro, bianchi, rossi o neri che siano, è
quindi evidente e comprovata l’impossibilità
di confrontarsi con la realtà del presente e tantomeno con le sfide del futuro.
E non è soltanto l’assoluta
mancanza di prospettiva storica a renderli impermeabili di fronte alle novità.
E’ la concezione stessa del tempo, dello spazio e dell’Eternità che non
permette agli uomini del mondo moderno di essere …moderni perché antichi, o
più semplicemente Uomini eternamente rinnovantisi nelle vicissitudini della
storia. Va da sé che esiste un iato insormontabile tra la “destra” ed il
pensiero tradizionale di Evola.
Abbiamo già ricordato che
Julius Evola scrisse “Rivolta contro il mondo moderno” negli anni Trenta.
Quando vergava quelle
pagine ancora attuali il mondo era ben
differente dal nostro all’inzio del nuovo millennio: non esisteva l’energia
nucleare prodotta dall’uomo e si iniziavano gli studi per produrre l’arma
più devastante, non c’era ancora la TV, il computer e tantomeno internet. L’avventura
nello spazio esterno, l’allunaggio, le missioni esplorative su Marte e nel
sistema solare erano soltanto frutto della fervida fantasia degli scrittori di
fantascienza. Non era stata identificata la mappa del genoma umano, non c’erano
biotecnologie e clonazione e ben pochi sapevano cosa fossero etologia ed
ecologia.
L’era dell’industrializzazione
avanzava con passi da gigante solo in America e nell’Europa occidentale,
peraltro ancora in gran parte con popolazione agricola e città a misura d’uomo.
E sul piano politico era
ancora l’Europa il centro del mondo, con i suoi imperi coloniali, la sua
cultura, la sua borghesia.
La globalizzazione era agli
inizi, tenuta a freno proprio dall’esistenza di più poli politici ed
economici ancora vitali. L’America era ancora lontana dal realizzare il suo
progetto di dominazione mondiale le cui linee erano state tracciate da ideologi
e geopolitici già nel XIX secolo.
Persino la chiesa, già
avviata sulla via di un’inarrestabile decadenza, faceva ancora una certa presa
sugli animi e i comportamenti del popolo minuto, mentre la Politica dominava
ancora l’economia negli stati “totalitari” più importanti, dalla Germania
alla Russia, dall’Impero Nipponico all’Italia di Mussolini.
Un mondo lontano da noi
60/70 anni in termini temporali, secoli e secoli per mentalità, organizzazione
sociale, tecnologia, rapporto tra economia e politica.
Ciò nonostante se
rileggiamo oggi le pagine di Evola rimaniamo colpiti dall’attualità dell’analisi,
specie nella seconda parte su “Genesi e volto del mondo moderno”.
Le sue conclusioni sul “tramonto
dell’Occidente”, come quelle di Spengler, i suoi giudizi sferzanti su Russia
ed America e in generale sul ciclo che si chiude, sono tanto esatte da apparire
profetiche;
tenendo conto che le sue
“profezie” non hanno niente di magico in senso banale, ma sono il frutto di
una saggezza e Conoscenza che affonda salde radici nella Tradizione, nella concezione
ciclica della storia.
Per
essa il nostro futuro è già scritto nel più remoto passato, il quale non è
alle nostre spalle ma DAVANTI a noi, in un a-venire ben più prossimo alla fine
che all’inizio del ciclo corrente e la cui conclusione determinerà un nuovo e
radicale Inizio.
Come sappiamo la Tradizione
è “tràdere”, trasmettere dei Valori che sono eterni calandoli ed
attualizzandoli nella storia, in forme e manifestazioni diverse ma facilmente
identificabili in ogni epoca e in ogni luogo.
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