Conversazione con Pierre Restany

Milano 1992


Domanda. Esiste un rapporto tra Duchamp e il procedimento appropriativo delle compressioni di César? Con César la scultura riscopre Duchamp?

Pierre Restany. Il problema di Duchamp è forse molto più ampio. Il ready-made è stato interpretato in modo autoritario sia dal Bauhaus sia dai surrealisti per ragioni diverse; Duchamp con il ready-made crea il problema dell’appropriazione oggettiva, lo crea, ma nello stesso tempo crea il problema della legittimità. Infatti, i contemporanei di Duchamp davanti al ready-made si sono posti questo problema: è possibile e moralmente accettabile che uno in quanto artista ed assumendosi il suo destino come tale, è giusto che possa creare questa situazione estetica, questo battesimo artistico dell’oggetto? Questa è stata la grande domanda dei contemporanei di Duchamp. Questo problema realmente lo ha risolto Duchamp attraverso la sua posterità, attraverso l’operato dei Nouveaux Réalistes quarant’anni dopo o di Rauschenberg o della Pop Art.

Per la seconda famiglia di questa avventura dell’oggetto, cioè César e tutti gli altri novorealisti si pone lo stesso problema. La risposta èstata data proprio dall’evoluzione stessa del gusto e del gusto estetico se oggi andiamo nelle periferie delle grandi città, vediamo tutti questi cimiteri di macchine e pensiamo subito a César, e questa è la risposta a questo problema della legittimità dell’appropriazione, basta vedere una superficie colorata in blu, per esempio, nei pannelli pubblicitari delle strade o autostrade, quando un contratto pubblicitario scade, se lo stesso giorno la ditta che gestisce la pubblicità stradale non ha un cliente, lascia vuoto il pannello con una copertura di carta blu; allora basta vedere una serie di pannelli così per pensare a Klein e credo che sia proprio questa la verifica. Dunque César ha avuto in comune all’inizio della sua affermazione in conclusione lo stesso problema di legittimità che aveva avuto Duchamp perchè il problema è un problema di strutturazione del gusto e di cambiamento anche dei valori e dei parametri della sensibilità.

Il ready-made di Duchamp o le compressioni di César, ma questo vale per i pacchi di Christo, vale per i manifesti strappati di Rotella o dei suoi colleghi francesi, vale per le accumulazioni d’Arman vale per tutti i gesti appropriativi del Nouveau Réalisme, vale anche per l’atteggiamento di Klein sulla monocromia o verso il vuoto ancora più strutturato, misticamente simbolico. Ebbene, tutti questi gesti appropriativi sono basati sul transfert estetico dei valori e ciò perchè esiste il problema della legittimità del gesto appropriativo, perchè questo si conserva, non è percepito nel momento immediato della appropriazione, questo transfert estetico è quello dal bello verso il vero. Il ready-made di Duchamp, questo oggetto industriale che diventa opera d’arte attraverso la scelta di Duchamp, questo oggetto industriale diventa una scultura, un oggetto d’arte per noi perchè lo possiamo perce pire come vero; ma questo tipo di verità esiste solo se il vero si sosti tuisce al bello nella formazione del nostro gusto, è evidente che questo vero non è il vero della logica normale, non è un fatto d’evidenza, questo vero è il prodotto di tutto un circuito d’apparenze, di tutto un sistema d’apparenze e se la verità estetica è apparenza, non si può rappresentare, si presenta, e tutto questo passaggio dalla rappresentazione alla presentazione, crea questo sistema di una nuova estetica che evidentemente è stato Duchamp ad iniziare e che si è sviluppata oramai come una specie di storia dell’arte parallela alla storia dialettica, storicista, diacronistica, se posso dire, normale e questo credo che sia molto importante.

L’oggetto appropriato è vero, però per essere vero deve essere veridico; la grande dimostrazione di Duchamp in questo senso è molto chiara, è la ruota di bicicletta che ha fatto vedere il bello dell’oggetto fatto a macchina e questo è diventato vero, è diventato la verità dell’oggetto di poter coesistere con lo sgabello che è un pezzo d’artigianato. Dunque il problema è quello di questa verità fondamento del gusto, una verità che deve essere vendica per conquistare la nostra adesione e per essere vendica, deve essere più vera della natura ed, infatti, è questo il problema, la compressione di César è uno stadio del metallo più vero della natura. E’ così che posso rispondere a questa questione che, si può capire, è un problema fondamentale per l’estetica.

 

D. Klein nei suoi scritti parla di superamento della problematica dell’arte. Guy Debord, teorico del Situazionismo scrive nel 1967: Il dadaismo voleva sopprimere l’arte senza realizzarla, il surrealismo voleva realizzare l’arte senza sopprimerla. La soppressione e la realizzazione dell’arte sono gli aspetti inseparabili di un unico superamento dell’arte. Come si pone il Nouveau Réalisme di fronte a quest’affermazione?

P.R. Debord ha visto bene puntando giusto sulla strategia del surrealismo e soprattutto di Breton che è stata quella di recuperare gli elementi positivi di Dada facendo di Dada la fine dell’arte e creando una positività espressiva e linguistica del surrealismo, questo va chiarito bene. Bisogna relativizzare la formula di Debord anche se corrisponde ad una verità parzialmente giusta. Non si cancella l’arte, non si uccide l’arte se non a parole e in metafore, è evidente che il concetto di negare o eliminare l’arte è solo la metafora di un superamento e questo è totalmente vero. La gente che attacca l’arte l’attacca perchè cerca di eliminare le scorie, le parti negative del corpo poetico dell’arte, l’arte è un fatto umano e dunque è composta da motivazioni diverse. Tutti i riferimenti alla morte dell’arte, la fine dell’arte, la cancellazione dell’arte sono di tipo hegeliano, dato che Hegel aveva dell’arte un certo concetto: siccome l’arte non poteva diventare idea pura doveva per forza morire per liberare dal campo delle idee il suo disagio poetico. Queste sono dunque delle strutture metaforiche, l’arte d’altronde non ha bisogno di nessuno per vivere o sopravvivere, l’arte è un’espressione di una società, una civiltà, una cultura e dunque ogni epoca ha l’arte che si merita e quando la società industriale è arrivata al punto di saturazione d’oggetti di produzione ha trovato un Duchamp per farci capire che c’era ancora possibilità di un riciclaggio a partire da questo eccesso produttivo. Dunque rimaniamo lì a livello diciamo, di una dialettica di tipo filosofico e soprattutto metaforico. Superare l’arte vuol dire solo cercare di individuare le nuove condizioni in cui l’arte può apparire, può imporsi in settori dell’attività umana che prima erano considerati come non artistici però in altra condizione e in un altro momento della storia. Il Nouveau Réalisme si è inserito in un territorio preciso che era quello del rapporto fra l’arte, la cultura in generale e la produzione industriale è lì che evidentemente era andato a cercare le giustificazioni, le motivazioni dei diversi linguaggi che sono il linguaggio quantitativo questo vale per la monocromia di Klein vale per le compressioni o le espansioni di César, vale per le accumulazioni o per le coléres d’Arman, vale per i manifesti strappati di Niki de Saint-Phalle, vale per gli assemblage-trappola di Spoerri e così via. Insomma credo che il problema non è il superamento dell’arte, è il superamento diciamo di una visione conformista, storicistica, tradizionale, classica dell’arte; i Nouveaux Réalistes hanno inserito il problema estetico ad un altro livello e quest’altro livello era proprio dell’attualità di una storia, la storia era quella della società industriale, che a forza di produrre degli oggetti aveva bisogno di dare a questo flusso quantitativo di produzione un valore poetico, questa è la cultura della società industriale, i grandi Nuovi Moderni della società industriale sono i nouveau réalistes non c’è dubbio, hanno dato proprio questo parametro poetico all’universo industriale, alla grande motivazione dell’industria, che era la produzione d’oggetti.

     Arman "Chopin's Waterloo"  (1962). Pianoforte fracassato su pannello di legno. 186 x 300 x 48 cm. Musèe National d'Art Moderne - Centre Georges Pompidou, Paris. PHOTO: MNAM Centre Georges Pompidou.

 

D. Vogliamo soffermarci su Klein, sul coinvolgimento dei sensi il silenzio, il vuoto, la monocromia, il rapporto con l’universo e il rapporto che esiste in molti artisti contemporanei con la monocromia, è un punto d’arrivo o altro?

P.R. Nella domanda vi è una specie di graduatoria passando dalla monocromia al vuoto, questo è molto significativo e si può fare un paragone con il silenzio di Cage. Quando un operatore artistico, culturale si proietta su una dimensione così estrema lo fà perchè considera l’arte non come fine a se stessa, ovvero la produzione d’oggetti estetici, ma come la misura altamente individuale della sua coscienza esistenziale. L’arte, nel caso di Yves Klein la pittura, nel caso di John Cage la musica, l’arte diventa un modo di vivere, dinamico, un modo di vivere esistenziale legato proprio al flusso e all’energia vitale, questi estremisti che vanno fino al punto estremo del territorio pratico e fisico dell’arte il vuoto per la pittura è evidentemente la fine estrema della presenza fisica pittorica come il silenzio è proprio la fine estrema della presenza fisica della musica. Uno che affronta questo tipo di problema lo fà non perchè sarà un mistico o avrà diciamo una visione trascendentale di questo problema, lo fa prima di tutto perchè vive l’arte a questo livello d’impegno esistenziale e dunque il fatto d’essere artista o di fare l’artista per questo tipo di creatori è un impegno necessario, è un destino, non è una vocazione diciamo pratica è un destino esistenziale e assumere questo destino vuol dire assumere anche la coscienza sensibile di questo destino. La cosa che Cage, Duchamp o Yves Klein hanno in comune è proprio questa visione, questa coscienza della sensibilità, la sensibilità è un elemento globale, universale, è una parte dell’energia cosmica che ci circonda anche se è invisibile. La sensibilità è nostra, ognuno ha una sensibilità, e questa definisce la nostra identità però questa sensibilità che sembra nostra non lo è, infatti, fa parte del grande flusso vitale, fa parte dell’energia cosmica che è un bene comune uni versale, noi siamo solo gli inquillini di questa sensibilità, non siamo i proprietari. E’ lì che insomma si vede proprio nascere due famiglie d’artisti: quelli che credono che la loro sensibilità è di loro proprietà, quelli che fanno lo stile e che una volta trovato lo stile, non lo mollano più, sono capaci di fare lo stesso quadro per quaranta - cinquant’anni; e gli altri che hanno il senso d’essere solo gli inquillini della sensibilità, vogliono utilizzare nel modo più esaltante, estremista questo bene che loro hanno in affitto e che è proprio la fonte dei loro linguaggi e delle loro capacità espressive. Questo è proprio il caso di Klein, perchè di Klein avevo capito che la cosa importante era proprio il poter usare questa sensibilità, renderla totalmente alta ed espressiva come un fatto di coscienza; lo ha fatto con il colore puro, poi con il blu e dal blu è passato al vuoto per provare; perchè questa gente che ha questo senso d’essere inquillini della sensibilità, questa gente, questa famiglia rara, ha anche l’intuito, il presentimento di avere un certo tipo di verità e questa deve essere proprio spiegata, dimostrata, proposta agli altri.

E’ questo che Yves Klein ha voluto fare con il vuoto, cioè dire: va bene so che la mia forza espressiva è legata proprio alla mia coscienza della sensibilità, ho voluto fissarla su dei pannelli di legno, di tela con un pigmento industriale monocromo; posso andare al di là, presento, propongo al pubblico di Parigi i muri vuoti della galleria sensibilizzati solo dalla mia presenza, vado fino in fondo della mia verità.

Dopo essere andato fino al vuoto, non si é trovato bloccato spalle al muro, no, è andato sempre con la stessa logica, verso la trilogia dei colori, la trilogia cosmologica, il suo blu, il suo rosa, il suo oro che era evidentemente il transfert alchimista dei tre colori fondamentali blu, giallo e rosso nella sintesi dei tre colori fondamentali e cosmogonici di Klein; la sintesi è la prova della fiamma del fuoco, il gas di coke, ad alta pressione nell’ossigeno dell’atmosfera dà una fiamma color oro, blu, e nell’esterno rosa, la cui sintesi dà il fuoco. Dal vuoto al fuoco lo sviluppo della coscienza di Yves Klein è totalmente logico ed è legato proprio a questa dimensione esistenziale e dunque alchimista, evidentemente più un artista progredisce in questo tipo di coscienza e più la sua visione diventa universale. Insomma, è li che Klein raggiunge la grande tradizione alchimista e la purificazione del mondo. La grande salvazione del mondo attraverso questo processo di Katharsis col fuoco.

 

D. Il Nouveau Réalisme è un nuovo avvicinarsi percettivo al reale, reale rappresentato negli anni 50 dalla presenza e dalla diffusione massificata dell’oggetto di consumo, su cui si basava la società dell’epoca. César operava direttamente con le più avanzate tecnologie di trasformazione dei prodotti industriali, Arman analizzava ed accumulava oggetti, Spoerri li catalogava sistematicamente, Christo li impacchettava e Raysse diffondeva la sua idea di igiene della visione attraverso la seduzione pubblicitaria. Ritiene possibile trasferire la medesima sistematicità operativa dei Nouveaux Réalistes ad oggi, avendo non più come riferimento privilegiato l’oggetto consumistico, ma le strutture mediali su cui si basa il potere attuale: televisione, giornali, i media in genere?

P.R. Certamente, il discorso è aperto, esistono evidentemente delle ricerche che tentano in questo senso, forse Nam June Paik è l’esempio più chiaro di questa coscienza. Il problema è che per manipolare tutta l’etimologia mediatica, uno ha bisogno d’avere accesso ad un macchinario costosissimo e complesso, ed è evidente che siamo ancora una volta ad un momento di transizione, anche lì, di sensibilità e di gusto. Deve nascere un altro tipo d’intelligenza poetica legato proprio all’uso, al controllo e al dialogo mediatico perchè purtroppo non basta solo sapere utilizzare i meccanismi mediatici per esprimersi, bisogna stare anche al gioco delle nuove tecnologie delle nuove generazioni di computer. La società industriale ha conosciuto i computer del linguaggio binario SI - NO, adesso stiamo entrando nella post-modernità e la società post-industriale e post-moderna deve fare l’esperienza dei computer a tre dimensioni: il SI, il NO e il forse. Lì nasce il problema dell’interattività, del dialogo necessario fra l’intelligenza artificiale cheè quella del computer e l’intelligenza naturale che è la nostra e questo è anche un grande problema. E’ finito il momento della grande illusione tecnologica in cui la gente diceva: il computer è il migliore amico dell’uomo, è come il cane, ci aiuta ad andare più avanti, a calcolare più velocemente, a disegnare in un modo più sintetico i quadri. Questo periodo è finito, oggi si tratta proprio di trovare le condizioni di un nuovo dialogo fra l’uomo è la macchina; dunque l’artista che si vuole esprimere a questo livello deve fare questo grande sforzo, deve insomma proporci dei circuiti interattivi di comunicazione dove insomma, interviene la macchina, ma interviene anche l’uomo nel dialogo con la macchina.

Questo evidentemente è il grande problema d’oggi; devono nascere questo tipo di nuovi artisti, il grande pioniere è stato Nam June Paik in questo settore, adesso esistono chiaramente un pò dappertutto degli operatori culturali inseriti in questo tipo di ricerche. Nascerà un giorno il Leonardo dei mass media certamente, però questo fa parte diciamo della grande rivoluzione della verità come la chiamo io, cioè questa rivoluzione della nostra sensibilità. L’artista di domani per forza avrà acquistato un altra cultura, un altra sensibilità e sopratutto si sentirà totalmente a suo agio nell’universo tecnologico.

 

D. Cosa pensa del grande potere della televisione, la capacità di creare una realtà più reale del reale. In occasione della rivoluzione in Romania del 1989, si è ricreato per fini propagandistici un finto olocausto con lo scopo di legittimare la presa di potere del nuovo regime, le cui immagini sono state trasmesse da tutte le televisioni del mondo. Questo e solo un esempio delle innumerevoli situazioni in cui la televisione diviene occulto strumento di controllo sociale.

P.R. Si, però anche lì, manipolare così questi elementi basici che sono la violenza, l’orrore, il sangue, la forza anche brutale degli elementi, degli uomini questo crea il problema, evidentemente che la violenza nella nostra TV esiste, ed, infatti, è stata sfruttata in un modo molto spesso abusivo, però nell’abuso della violenza dei media, c’è anche come una volontà d’esorcizzazione, tutti questi grandi film dell’orrore ci fanno una grande impressione, vedere queste macchine che esplodono, questi laser che distruggono tutto, queste armi del futuro, però, fino a quando rimangono? Nel monopolio dell’espressione visiva nello spazio-tempo dei media, sono in un certo senso esorcizzanti, ci fanno paura e nello stesso tempo è un modo di esorcizzare questa paura. La televisione o i media in generale hanno una grande potenza, hanno veramente una capacità di visualizzare, di estetizzare il mondo; però ogni tanto devono fare i conti con la realtà, la realtà può essere anche molto più forte delle loro strutture anche se sono veramente per’fezionate. Posso fare un esempio:

Capaci, Sicilia 1992. Attentato al giudice Falcone

L’assassinio del giudice Falcone, abbiamo tutti visto alla televisione nelle trasmissioni, mille chili d’esplosivo, cento metri d’autostrada sventrata, le macchine distrutte con una precisione enorme, ecc. Il nostro primo riflesso di telespettatori è stato l’orrore, ma subito dopo, e credo che queste immagini siano rimaste veramente incise nella mente di cinquanta milioni d’italiani per tutta la vita, la seconda impressione è stata che la mafia ammazzava come alla televisione, come al cinema; queste visioni proprie d’orrore apocalittico, le abbiamo viste tante volte nei film, lì insomma la mafia ha realizzato nei fatti proprio questo tipo di dimostrazione. 

War Gulf. (1991)

Dopo la guerra del golfo, e la divulgazione astratta di questa guerra, avevamo l’impressione che ormai questo era il modo nuovo di vedere e di leggere le notizie e che dunque le immagini sporche, inumane, totalmente ingiuste che erano state proprie del commentare le guerre passate erano finite e purtroppo l’assassinio del giudice Falcone o anche certe trasmissioni della Yugoslavia ci fanno vedere che il timore, la realtà non viene più esorcizzata dalla televisione perché è più forte ancora della televisione nel suo orrore, nel suo abuso visivo. Uno dei momenti più tristi, più penosi della guerra in Bosnia, quelle persone che erano andate a prendere il pane, anche della carne, dei pezzi di cibo, questa gente si è ritrovata dopo una raffica di bombe ad essere anche loro pezzi di carne, questa è follia, uno va a cercare un pezzo di carne e si ritrova lui stesso un pezzo di carne, le trasmissioni del giorno dopo hanno cercato di censurare le immagini perchè la cosa era troppo orrenda però le prime trasmissioni l’hanno mostrata bene, allora tutte queste cose mi danno da pensare evidentemente... La realtà può essere più forte della finzione televisiva, però nello stesso tempo c’è una contaminazione fra l’informazione sulla violenza che registriamo giorno dopo giorno grazie ai media e la realtà dei fatti ma si può ricostruire, si può creare un tipo d’orrore di là dallo studio televisivo questa è dunque una cosa che fa pensare, esiste lì come una specie di contaminazione come se, non so, come se la mafia avesse visto i primi di Godard come Week-End prima di fare lo scenario della morte di Falcone, è una cosa tremenda se uno pensa che forse allora esiste così una specie di contaminazione nella pratica dell’orrore. 

Jean-Luc Godard. " Week-end" (1967)

L’arte fa parte di questo tipo d’esorcismo per forza, l’arte è anche un atto di violenza però viene mediata attraverso il dialogo dell’artista. Il valore d’esorcismo dell’arte non è solo diciamo un valore di linguaggio, o di proposta visiva, è anche un linguaggio interno all’artista stesso. L’artista è convinto che fare l’artista è già vivere meglio e presuppone che la sua pratica artistica è legata ad una deontologia del vivere bene, dunque l’arte in questo senso ha anche questo valore forte, diciamo di controllo e di permanenza umani; il più orrendo degli artisti moderni è certamente più umano che il più anonimo degli assassini e questo fa parte anche della missione, della funzione anche dell’arte oggi, questo cambiamento di gusto e sensibilità estetica, l’arte deve mantenere quella dimensione umana.

 

D. Non le sembra che l’arte sia sempre più rinchiusa nel suo castello dorato che trovi enormi difficoltà a comunicare con l’esterno, con la realtà quotidiana?

P.R. Si, questo fa parte anche del diritto assoluto dell’artista, della torre d’avorio, però anche l’artista vive in un territorio così autopreservato, autoghettizzato, lo fa con una giustificazione che è una giustificazione umana, se ha una teoria, per esempio i costruttivisti o gli artisti geometrico-cinetici che fanno delle proposte strutturali legate ad una architettura del pensiero, anche loro tentano di giustificare questo tipo d’atteggiamento che può essere molto isolato, fine a se stesso, essi tentano insomma di motivare per delle ragioni umane il rifiuto dell’appartenenza al mondo esterno, facendo questo tipo d’astrattismo perchè è un modo per loro di evitare le contaminazioni e, diciamo, l’ingiustizia del mondo reale. Dunque è lì che risiede sempre, almeno credo, la permanenza umana nell’arte.

Questo è molto importante e forse è il minimo denominatore comune finalmente dell’arte: la sua motivazione umana; questo è molto importante soprattutto nel nostro mondo d’oggi dove l’abuso tecnologico può veramente rendere un pò più disumano anche il mondo della ricerca, il mondo del lavoro e le più alte sfere della società. L’importante è che l’arte abbia sempre questa virtù, la virtù di questa permanenza umana. Questo discorso sembra sentimentale, però se ci si pensa, si capisce che l’arte deve essere considerata anche come un elemento sociale nel senso quasi politico della parola. L’arte ha una dimensione speciale in questo senso perchè è capace di influire direttamente sul concetto di cittadino sulla vita in società e su questo tipo, diciamo, di supplemento d’animo che era dato all’individuo cosciente dalla religione, da un certo tipo di filosofia; oggi è sempre più legata a questa visione umanista dell’arte e forse stiamo per entrare in un nuovo umanesimo dell’arte. Senza l’arte credo che la scienza e la tecnologia sarebbero già disumane, è importante che l’uomo sia al centro di tutte queste cose e lo può essere solo attraverso l’arte perchè l’arte è istinto, soprattutto l’arte è sempre un serbatoio di una relativa generosità umana, relativa perchè la generosità dell’uomo è relativa, però esiste.

Questa è una conclusione morale al nostro discorso, ma è molto importante perchè evidentemente questa non è la morale, ancora una volta del bene o del male, è proprio la giusta coscienza della filosofia dell’azione dell’uomo, questa è la morale della filosofia dell’azione.

 

Conversazione raccolta presso il Centro Domus di Milano il 30/06/1992.


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